Teatro romano di Catania: differenze tra le versioni

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== Storia ==
[[File:Mura greco-romane del Teatro di Catania.JPG|thumb|Porzione del teatro greco, visibile dal cortile della "Casa dell'Androne".]]
 
=== Il Teatro greco ===
Di un teatro a Catania si fa riferimento nelle fonti classiche in merito alla [[Spedizione ateniese in Sicilia#Le fasi iniziali della guerra (415 a.C.)|consultazione delle polis siceliote]] da parte di [[Alcibiade]], che tenne nel [[415 a.C.]] un discorso all'assemblea civica riunita appunto nel teatro<ref>Tucidide, VI 50, 3 sgg.; Sesto Giulio Frontino, Strateg. III 2, 6.</ref>. Di questo teatro però non era chiara l'ubicazione e la tradizione tendeva a identificarlo con il teatro di età romana oggi visibile. Tale associazione diede adito a numerose fantasticherie sull'edificio, al punto che è ancora oggi chiamato ''Tiatru grecu'' dalla comunità locale, mentre la strada che lo costeggia a nord è chiamata ''via Teatro Greco''. Ciò che ha dunque mosso gli studiosi dell'edificio sin dai primi lavori di sgombero delle strutture antiche è stato anche il quesito se il teatro delle fonti fosse il medesimo che si ammira oggi, ossia se su una preesistente struttura greca possa essere nata la [[Teatro romano (architettura)|struttura romana]]. Per un certo periodo venne persino messo in dubbio che potesse esistere davvero un teatro in epoca greca a Catania e che si trattasse di una errata traduzione delle fonti ad aver generato la credenza di detto edificio. Diverse quindi le ipotesi a favore dell'identificazione del teatro romano con quello greco: la posizione alla base di una collina a differenza dell'usanza romana di edificare in pianura o la scena rivolta verso il mare<ref name= Branciforti>{{Cita|M. G. Branciforti, G. Pagnano}}.</ref>. Sul monumento però le fonti sono piuttosto silenti e ne tacciono le vicissitudini storiche: per capirne quindi la storia si fa ricorso ai ritrovamenti archeologici che gettano un po' di luce sull'edificio.
 
Le fasi più antiche testimoniano la presenza di un edificio teatrale costruito con grossi blocchi di [[pietra arenaria]] con lettere in [[Alfabeto greco|greco]] in pianta rettangolare, un tipo di planimetria più diffusamente ellenistica. Tale struttura, già identificata negli anni [[1884]] e [[1919]] e attribuita a un teatro greco di [[V secolo a.C.|V]]-[[IV secolo a.C.]]<ref>La conferma dei dati precedenti è avvenuta nel corso di recenti scavi; {{Cita|M. G. Branciforti, G. Pagnano}}.</ref>, potrebbe essere propriamente il teatro in cui Alcibiade tenne il discorso ai [[Katane|Katanaioi]] per convincerli ad allearsi con [[Atene]] contro [[Siracusa|Syracusae]]<ref name= Branciforti/>.
 
=== Il Teatro romano ===
Il teatrateatro di epoca greca venne dunque restaurato nel corso del [[I secolo]], probabilmente a seguito dell'elezione a colonia romana di Catania, avvenuta ad opera di [[Augusto]]. A questo periodo appartengono un rifacimento della cortina quadrangolare con la sostituzione dei blocchi in arenaria mancanti con conci lavici squadrati, l'aggiunta della scena e le gradinate più antiche dell'edificio<ref name= Branciforti/>.
 
Nel corso del [[II secolo]], forse a seguito di finanziamenti ottenuti da [[Publio Elio Traiano Adriano|Adriano]], assistiamo a un progressivo processo di monumentalizzazione dell'area che coinvolge anche le vicine [[Terme della Rotonda|strutture termali]] e numerosi edifici cittadini (tra cui anche l'[[Anfiteatro di Catania|anfiteatro]]). A questo periodo risale il plinto conservato nel [[museo civico al Castello Ursino]], in cui è rappresentata una vittoria che incorona un trofeo su un lato e dei barbari resi schiavi a lato; tale plinto potrebbe rappresentare una vittoria sui [[Germani]] di [[Marco Aurelio]] o di [[Commodo]]<ref>AA.VV., ''Il Museo Civico a Castello Ursino – Introduzione al nuovo ordinamento'', [[Catania]] 2000, p. 23.</ref><ref> Antonino Scifo (a cura di), ''Catania Urbs Clarissima - 728 a.C.-1693'', edizioni Sémata, [[Enna]] 2003, p.34.</ref>. Le tracce della monumentalizzazione si notano anche nell'assunzione di una pianta emiciclica dell'edificio, la realizzazione di un proscenio decorato da lussuosi marmi, l'ampliamento della scena e la realizzazione di due massicce torri laterali, atte a ospitare le scale d'accesso ai diversi piani dell'edificio<ref name= Branciforti/>. La struttura si dota in questo periodo di numerosissimi elementi architettonici, tra fregi, statue, bassorilievi e colonne, in passato spesso trafugati o raccolti ed usati come materiale da costruzione per gli edifici della città barocca, come ad esempio per la facciata della [[Cattedrale di Sant'Agata]].
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[[File:Archi di via Grotte.JPG|thumb|Archeggiato di sostegno della settecentesca via Grotte.]]
 
Nonostante le dure manipolazioni nel corso dei secoli, tra cui l'aggiunta nel [[XVI secolo]] di piccole stradelle che tagliavano il monumento da parte a parte, l'emiciclo dell'ultimo ambulacro era perfettamente leggibile dall'esterno e tale veniva riprodotto dai cartografi [[XVI secolo|cinque]] e [[XVII secolo|secenteschi]]. Il [[terremoto del Val di Noto del 1693]] rovinò molte abitazioni che erano nate sulla cavea, le cui macerie vennero sfruttate per realizzare le fondamenta di nuove abitazioni. Nel [[XVIII secolo]] viene eretta la ''via Grotte'', i cui archeggiati sono ancora visibili a testimonianza della sua esistenza, che tagliava in senso sud-nord l'edificio, mettendo in comunicazione la strada del corso (oggi via Vittorio Emanuele II) con lo spiazzo alle spalle del teatro. La strada, come si nota da alcune fotografie precedenti al suo abbattimento, era in comunicazione con alcune stradelle minori e persino una piazza, ricavate sulla cavea tra il XVIII e il [[XIX secolo]].
 
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[[File:Ingresso est del Teatro Romano di Catania.jpg|thumb|Accesso orientale per gli attori. Indagato già nel [[1773]] da [[Ignazio Paternò Castello]] principe di Biscari, è stato messo in luce dalla campagna di scavi conclusa nel [[2008]].]]
Il Teatro di epoca romana, ben visibile nel tessuto urbano della città medioevale, venne studiato per primo dal [[Lorenzo Bolano|Bolano]]<ref>[[Guido Libertini]], «Lorenzo Bolano e l'indagine archeologica catanese nel secolo XVI», in ''Archivio Storico per la Sicilia Orientale'', XVIII, [[1922]].</ref> e dal [[Tommaso Fazello|Fazello]]<ref>Vedi per esempio «Dell'Historia di Sicilia,/ del R.P.M. Tomaso Fazello,/ Siciliano dell'Ordine de' Predicatori,/ Divise in venti libri./ ''Tradotte dal latino in lingua toscana dal P./ M. Remigio Fiorentino, del medesimo Ordine.''/ Nella prima decha: s'ha pienissima cognitione di tutti i luoghi della/ Riviera, e fra terra dell'Isola./ Nella seconda, si contien tutto quello ch'è seguito in Sicilia, da' pri-/ mi habitatori, per fino alla felicissima memoria di/ Carlo Quinto Imperatore./ ''Con tre tavole. La prima de gli Autori citati nell'Historia; la seconda de' Capitoli;/ e la terza, delle cose più notabili contenute in quella.''/ In Venetia, appresso Domenico, & Gio. Battista Guerra, fratelli./ M. D. LXXIIII.» [http://books.google.it/ebooks/reader?id=szE8AAAAcAAJ&hl=it&printsec=frontcover&output=reader&pg=GBS.PA93 III p. 93]. Il Fazello ricorda anche una ''parte del muro, ch'è rivolta verso Leontini (...), la quale per esser di pietre negre tirate in quadro, mostra in se stessa una grandissima magnificenza'', forse i resti della palestra del teatro.</ref>, trattato dai vari autori [[XVII secolo|secentisti]] che si occuparono delle antichità di Catania, così come da [[Vito Maria Amico]]. La prima vera indagine archeologica compiuta in un'area adiacente al Teatro venne compiuta nel [[XVIII secolo]] dal principe [[Ignazio Paternò Castello]]<ref>{{cita libro |cognome=Paternò Castello|nome=Ignazio |titolo=Viaggio per tutte le antichità della Sicilia|anno= 1781|editore=Stamperia Simoniana|città= Napoli|url=http://books.google.it/books?id=QhxBAAAAcAAJ&printsec=frontcover&hl=it#v=onepage&q=teatro%20catania&f=false|cid=I. Paternò Castello}}, p. 29.</ref>, che in anticipo sui tempi sperimentò nell'area est - forse perché costretto dalla situazione - la trincea di scavo e ad occidente ricolmò lo scavo con il materiale di risulta dello stesso, rendendolo riconoscibile per le future indagini, probabilmente perché - come egli stesso avrà modo di scrivere in proposito - intenzionato a completare le indagini archeologiche qualora ne avesse avuta l'occasione<ref>{{Cita|I. Paternò Castello}}, p. 30.</ref>. Lo scavo occidentale mise in luce un lastricato romano che chiudeva nella scala d'accesso orientale dell'edificio, un monumentale arco che venne prontamente rilevato da [[Sebastiano Ittar]], che ne realizzò un rilievo su lamina di rame oggi esposta al Museo civico<ref>Dall'incisione fu tratta una delle diverse stampe costituenti la ''Raccolta degli antichi edificj di Catania. Rilevati e disegnati da Sebastiano Ittar Architetto e Disegnatore di Ruderi. A Milord William Bentinck Ministro Pluripotenziario della gran Brettagna in Sicilia'', edita a [[Catania]] nel [[1812]].</ref>.
 
Alla fine del [[XIX secolo]] [[Adolf Holm]] ne visita la struttura e ne ipotizza per primo la capienza di 7000 persone<ref>Adolf Holm, ''Catania Antica'', traduzione, note e cura di [[Guido Libertini]], Tirelli, Catania 1925.</ref>, un dato poi non più verificato, ottenuto da un calcolo relativo alle dimensioni dell'edificio che poté desumere all'epoca, mettendole a confronto con gli edifici teatrali a lui noti. Nello stesso periodo inizia la lunga opera di sbancamento delle abitazioni che alterarono la natura dell'edificio, coronata nel [[1884]] dal ritrovamento di un muro in pietra arenaria identificato con parte dell'antico teatro greco delle fonti e successivamente nella campagna del [[1919]]-[[1920]] col rinvenimento di blocchi cui era incisa la sigla {{maiuscoletto|KAT}}, interpretata come l'abbreviazione di [[Katane]], antico nome della città.
 
[[File:Teatro Romano di Catania (1930).png|thumb|Il teatro romano com'era nel [[1930]], prima dei lavori di sbancamento.]]
 
Durante gli [[anni 1950|anni cinquanta]] vennero compiuti i più impegnativi lavori di sbancamento sotto la direzione di [[Guido Libertini]] che riportarono alla luce gran parte della cavea, partendo dal settore orientale, e restituirono una grande quantità di marmi decorativi, accatastati man mano che si procedeva lungo il corridoio nord. Gli scavi, interrotti durante il ventennio successivo, ebbero seguito a partire dal [[1980]] nel settore orientale e in diversi punti della cavea, oltre che focalizzati sull'orchestra per liberarla dai detriti e dal materiale di crollo del sisma del 1693. In quest'ultima zona si rinvenne un frammento della testa di [[Marco Aurelio]], completata grazie ad un secondo frammento rinvenuto durante la campagna dei primi [[anni 2000]]. In quest'ultima campagna, iniziata nel [[1998]], si sono liberate ampie porzioni del settore occidentale e nel contempo è stato predisposto un percorso visite, preservando diversi ambienti sorti sull'edificio per ricavarne uffici amministrativi o sale espositive. Gli scavi, condotti dall'allora soprintendente ai BB.CC.AA. Maria Grazia Branciforti, hanno anche permesso di conoscere meglio l'edificio nel suo rapporto con la città e con la storia, nel suo evolversi nel tempo e nello spazio, mettendo in luce anche le parti più antiche dell'edificio, quali ad esempio un ambiente chiuso creato con gli stessi blocchi in arenaria siglati {{maiuscoletto|kat}} che hanno permesso di datare meglio le strutture sfruttate dal teatro romano al [[IV secolo a.C.]], piuttosto che al [[V secolo a.C.|V]] come si credette nel 1919. Inoltre si è potuta ricostruire l'estensione del primo impianto e identificare l'area sacra del tempio cui il teatro era legato.
 
Con gli ultimi scavi degli anni 2014-2015, diretti da Fabrizio Nicoletti, è stato del tutto liberato l'atrio orientale con la facciata d'ingresso su piazza San Francesco, è stata restaurata la cavea, e, sul lato esterno nord, è stata messa in luce una sequenza stratigrafica di epoca neolitica ed eneolitica.
 
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[[File:Catania - Teatro Romano 04.jpg|thumb|Il teatro romano, dopo i lavori di sbancamento.]]
La struttura teatrale visibile appartiene alle grandi costruzioni del genere di epoca [[Imperatori adottivi|antonina]], composta da una complessa scena, originariamente decorata da colonne marmoree in seguito resa monumentale con l'aggiunta di nicchie e finti ambienti prospettici che dovevano creare l'illusione di una più vasta profondità, un ''pulpitum'' riccamente strutturato e decorato da marmi, l'orchestra dal diametro di circa 22 metri originariamente rivestita in ''[[opus sectile]]'' con una fantasia di cerchi inscritti in quadrati, danneggiata più volte e restaurata un'ultima volta malamente nel [[IV secolo]], e sovente allagata da una [[Risorgiva|polla di acqua sorgente]] scambiata in passato con l'[[Amenano]]<ref>Si è a lungo fantasticato che tale polla idrica fosse usata per rendere il teatro una [[naumachia]], tuttavia mancano prove in tal senso, anzi: il fenomeno ha iniziato ad esistere da quando negli anni cinquanta venne realizzata una condotta fognaria lungo la via Vittorio Emanuele II, isolata da pareti in cemento armato. Si è supposto che la risorgiva allaghi periodicamente l'orchestra del teatro perché non trova più uno sfogo naturale a causa dello sbarramento; cfr. {{Cita|M. G. Branciforti, G. Pagnano}}.</ref>, i due ''parodoi'' fortemente rovinati dai lavori effettuati per ricavarne ambienti e persino scarichi per le acque nere, una delle ''carceris'' resa nel XVIII secolo una palazzina privata, l'ampia cavea dal diametro di 98 metri costituita da ventuno serie di sedili, divisi orizzontalmente da due ''praecinctiones'' e verticalmente da nove cunei e otto scalette. Le due precinzioni separano le tre parti della cavea: ''ima'' (poggiata direttamente sul declivio del [[colle Montevergine]]), ''media'' e ''summa'' (queste ultime messe in comunicazione dagli ambulacri che si aprono verso l'esterno tramite diversi ''vomitoria'' ai vari cunei e tra loro con un fitto sistema di scale).
 
[[File:Map of the Roman Theater of Catania.png|thumb|Planimetria del Teatro messo in luce. Sono segnati anche gli edifici ad esso orbitanti e il lastricato che fece da accesso occidentale.]]
 
Gli ambienti scenici erano riccamente decorati da marmi, tra colonnati, statue e bassorilievi con un repertorio iconografico legato al mondo mitologico quanto alla celebrazione di eventi o personalità pubbliche. Tra le figure a carattere mitologico spicca il gruppo scultoreo della ''[[Leda]] col cigno'' copia romana di un originale del [[360 a.C.]] di [[Timotheos]], mentre tra gli ornamenti funzionali del teatro una lastra di marmo bianco rappresentante un delfino, ritenuto quale bracciolo per un seggio d'onore o più probabilmente (vista la certa presenza di almeno altri due delfini identici immortalati dalle foto degli [[anni 1930|anni trenta]]) divisori per segnalare la zona riservata al pubblico più importante. In marmo bianco erano pure i rivestimenti dei sedili, costruiti in blocchi di arenaria per la ''ima cavea'' e in ''opus coementitium'' per le altre due cavee, i quali dovevano creare un singolare aspetto cromatico con il nero delle otto scalinate in pietra lavica. Molti elementi decorativi vennero trafugati o adoperati per la realizzazione della [[Cattedrale di Sant'Agata|cattedrale]] del [[1094]], dove ancora si possono notare alcuni capitelli, colonne o elementi decorativi in marmo<ref>Uno di questi, un piedritto di altare del [[XVII secolo]], era stato ricavato segando per metà una statua di nudo femminile ed esposto dal lato del taglio. Oggi il manufatto si trova esposto al [[Museo diocesano di Catania]].</ref>. Secondo la ricostruzione di [[Sebastiano Ittar]] le colonne - numerose - dovettero costituire un loggiato sulla sommità della scalea, analogamente al [[teatro antico di Taormina]], esemplare più grande e reso famoso dai viaggiatori del [[Grand Tour]]. All'esterno si aprivano diversi accessi, molti dei quali sono oggi liberi sebbene non praticabili a causa della mancanza delle scale, chiusi da lesene che creavano un notevole gioco di ombre e luci, tendenza chiaroscurale già presente in [[Sicilia]] dai tempi del Teatro di [[Termini Imerese|Thermae Himerae]]<ref>Vedi ad es. Francesca Rivieri, Tiziana Consoli, «Odeon di Catania», in Luigi Marino, Carla Pietramellara (a cura di), ''[http://books.google.it/books?id=Yt4yQQtA5iQC Tecniche edili tradizionali: contributi per la conoscenza e la conservazione del patrimonio archeologico]'', Volume 5 di ''Restauro archeologico'', Alinea Editrice, 1999, p. 176.</ref>; quattro grandi avancorpi emergevano dalla facciata curvilinea dell'edificio e vi erano ricavate altrettante nicchie, probabilmente ospitanti statue di divinità<ref>La tradizione vuole che in una di esse, l'unica che era visibile anche prima degli sgomberi, vi fosse ospitata una statua di [[Venere (divinità)|Venere]]; vedi ad es. {{Cita|M. T. di Blasi}}</ref>.
 
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