Racconto fantastico: differenze tra le versioni

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Ricca di testimonianze nella direzione del fantastico appare nel Novecento anche la cultura italiana, (mentre sono scarsi i testi del genere nell’Ottocento), ed il panorama si presenta variegato: dal cosiddetto realismo magico di [[Massimo Bontempelli|Bontempelli]] all’opera di [[Dino Buzzati|Buzzati]], in cui ricorrono atmosfere angosciose, o al lucido gioco razionale di [[Italo Calvino|Calvino]], fino al recupero di motivi del fantastico classico, ma con nuova novecentesca disperazione, in [[Luigi Pirandello|Pirandello]].
 
È possibile vedere queste caratteristiche nell'opera ''[[Il buon vento]]'' (1923) di [[Massimo Bontempelli|M. Bontempell]]<nowiki/>i (1878-1960), un’opera che non ha a che fare con il fantastico classico: la possibilità che le metafore, prese alla lettera, diventino realtà è una sorta di estremizzazione delle potenzialità creative del linguaggio.
 
Il racconto si apre con una premessa (la scoperta della polverina magica) che serve da pretesto per introdurre una serie di situazioni fantastiche; manca una conclusione che risolva le situazioni anomale create e ristabilisca l’equilibrio iniziale tra i personaggi: al contrario, l’autore li lascia prigionieri di un gioco paradossale e senza fine. L’autore, nella sua produzione letteraria, mira ad un’arte in cui la descrizione realistica delle cose non precluda una loro interpretazione fantastica, allo scopo di far percepire al lettore la duplice dimensione (reale e magica) dell’esistenza, e in questo racconto, caratterizzato da uno stile semplice e lineare che contrasta con l’atmosfera paradossale, il tono è umoristico; solo nel finale il lessico ed il livello ritmico-fonico diventano più letterari.