Domenico Berti: differenze tra le versioni

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A lui è intitolato l'Istituto Magistrale più antico d'Italia, attivo dal 1848.<ref>[http://www.museotorino.it/view/s/57e46b42b8d44bc59ace0ade279b3522 Istituto Magistrale Domenico Berti]</ref>
 
== Biografia ==
== La formazione ==
Domenico Berti nacque il [[17 dicembre]] [[1820]] a [[Cumiana]], presso [[Torino]], da Francesco Berti e Margherita Fontana. Studiò a nel collegio di [[Carmagnola]], dove fu allievo del sacerdote Giovanni Antonio Rayneri ([[1810]]-[[1867]]), seguace delle idee del filosofo [[Antonio Rosmini]], per poi iscriversi alla facoltà di filosofia e filologia dell'[[Università di Torino]]; nella capitale piemontese Berti seguì con vivo interesse gli insegnamenti di [[Ferrante Aporti]], sacerdote e pedagogista lombardo, autore nel [[Regno Lombardo-Veneto]] di un rinnovamento delle strutture delle scuole dell'infanzia. Inoltre, a Torino Berti affinò anche il suo pensiero politico, collaborando con le riviste di [[Lorenzo Valerio]] (''Letture Popolari'' e ''Letture di famiglia'') e stringendo amicizia esponenti del moderatismo piemontese, come [[Cesare Alfieri]], [[Carlo Boncompagni]], [[Luigi Cibrario]].
 
Dopo aver conseguito la laurea, Domenico Berti si batté per il rinnovamento delle istituzioni scolastiche piemontesi sul modello aportiano, tanto che, quando nel [[1844]] venne istituita nell'ateneo torinese la prima scuola di metodo diretta da Aporti, Berti ne fu il primo allievo, conseguendovi il diploma due anni dopo. Nel settembre del [[1847]] divenne maestro della scuola di metodo a [[Novara]], mentre nel [[luglio]] del [[1847]] fu trasferito a [[Casale Monferrato]], per poi passare in [[ottobre]] a [[Torino]], dove rimase due anni. Il frutto di questi anni di insegnamento venne pubblicato nel [[1849]], con il titolo ''Del metodo applicato all'insegnamento elementare'', dove si esprime l'idea che la coscienza nazionale deve essere fondamento della conquista di un sapere personale da parte dell'alunno.
 
== Carriera politica ==
Alla vigilia della concessione dello [[Statuto Albertino]], Berti partecipò alla discussione politica del tempo, accostandosi al gruppo più radicale e democratico di Valerio, collaborando al suo giornale la ''Concordia'', respingendo l'offerta di [[Cavour]] di partecipare alla redazione del proprio quotidiano, il ''Risorgimento''. Dopo la concessione della costituzione e la costituzione del primo ministero liberale, presieduto da [[Cesare Balbo]], Berti fece parte della commissione ministeriale incaricata di riorganizzare i collegi e le università nazionali dopo la cacciata dei [[gesuiti]]. Frattanto, il politico piemontese si distaccò progressivamente da Valerio per le sue posizioni sempre più radicali, lasciando la redazione della ''Concordia'' e fondando una testata giornalistica di ispirazione giobertiana, ''Democrazia italiana'', che ebbe vita breve. Nel [[1849]], dopo il disastro di [[Novara]] e il fallimento della politica neoguelfa di [[Vincenzo Gioberti]], si accostò ai gruppi liberali moderati, collaborando ai giornali ''Opinione'' e ''Risorgimento'', in difesa delle libertà statutarie contro gli eccessi demagogici democratici. Nell'[[ottobre]] dello stesso anno, Berti divenne professore di Filosofia morale all'Università di Torino: da questa posizione iniziò una serie di ricerche sui i maggiori pensatori italiani del XVII e XVIII secolo, con l'obiettivo di tracciare una storia del pensiero filosofico italiano da [[San Tommaso d'Aquino]] fino ai tempi moderni. Risultati di questi studi saranno due biografie su [[Giordano Bruno]] (Torino, [[1858]]), e [[Pico della Mirandola]] (Torino, [[1859]]), mentre non trascurava il suo lavoro sull'istruzione scolastica, con le opere ''Delle scuole primarie in Piemonte'' (Torino, [[1852]]), e ''Alcune notizie intorno alla pubblica istruzione negli Stati Sardi'', pubblicato nel ''Manuale del cittadino'' nello stesso anno. Inoltre, fondò con Alfieri, [[Terenzio Mamiani]] e [[Pasquale Stanislao Mancini]] la ''Libreria metodica per l'istruzione ed educazione gratuita del popolo''.
 
Il [[15 dicembre]] [[1850]] Domenico Berti fu eletto deputato alla Camera subalpina nel collegio di [[Savigliano]]: come politico appoggiò il [[Connubio]] tra Cavour e [[Urbano Rattazzi]] per poter ricompattare le forze moderate di Destra e Sinistra. Tuttavia, in seguito, criticò fortemente alcune scelte del ministero Cavour riguardo all'istruzione scolastica, come la riforma del [[1856]] proposta dal ministro dell'Istruzione [[Giovanni Lanza]], che prevedeva l'obbligatorietà scolastica e il controllo governativo sulla nomina e il licenziamento dei maestri. Proprio quest'ultima norma Berti criticò, ritenendola un'indebita ingerenza dello Stato nella vita morale del Paese; forse anche per questo motivo si distaccò dal Connubio e aderì ad una formazione di Centro-destra vicina ad Alfieri e appoggiata dal giornale ''L'Indipendente''. Questa forza politica però venne battuta alle elezioni generali del novembre del [[1857]], e pertanto Berti perse il suo seggio di deputato, ma rientrò alla Camera nelle elezioni per la [[VII Legislatura del Regno di Sardegna]] ([[2 aprile]]-[[17 dicembre]] [[1860]]). In questa occasione, si astenne in occasione del voto per la cessione di [[Nizza]] e della [[Savoia]] alla [[Francia]].
 
Nominato membro del [[Consiglio di Stato]], il [[17 novembre]] [[1861]] Domenico Berti rinunciò alla sua cattedra di professore, conservando la qualifica di professore onorario dell'Università di Torino. Successivamente, nel [[Governo Rattazzi I]] divenne segretario generale del Ministero dell'Agricoltura e del Commercio; contrario alla [[Convenzione di settembre]] tra [[Italia]] e [[Francia]], che prevedeva il trasferimento della capitale da Torino a [[Firenze]], Berti aderì all'Associazione Permanente, il raggruppamento parlamentare che riuniva tutti i deputati piemontesi contrari al trasferimento della capitale, a meno che non fosse stata [[Roma]]. Nel [[1865]] Berti divenne ministro dell'istruzione nel [[Governo La Marmora II]], conservando l'incarico anche con il suo successore [[Bettino Ricasoli]], fino al [[17 febbraio]] [[1867]]. In questa carica ministeriale, compì relazioni sull'andamento dei vari settori della Pubblica Istruzione, si adoperò nella lotta contro l'analfabetismo degli adulti ed istituì le prime biblioteche magistrali ad uso degli insegnanti.
 
Dopo la caduta del ministero Ricasoli, Berti collaborò alla [[''Nuova Antologia'']], dove pubblicò a puntate, dal [[febbraio]] al [[dicembre]] del [[1867]], l'opera ''Vita di Giordano Bruno'', poi pubblicata in un unico volume a Torino l'anno seguente. Dopo la [[Breccia di Porta Pia]], nel [[1871]] il deputato italiano appoggiò in Parlamento l'approvazione della [[Legge delle guarentigie]], che doveva ripagare il papa per la perdita del poter temporale, mentre votò a favore, nel [[1873]], la legge per la soppressione delle corporazioni religiose laziali.
 
Nel frattempo, nell'[[ottobre]] del [[1872]], divenne professore di Filosofia e preside della Facoltà di Lettere dell'Università di Roma, carica che tenne fino al [[1875]]: in questa veste organizzò, nel [[1873]], le commemorazioni per i quattrocento anni della nascita di [[Copernico]], per le quali organizzò un ciclo di studi e convegni dal quale raccolse materiale e appunti per la sua opera sull'insigne astronomo, dal titolo '' Copernico e le vicende del sistema copernicano in Italia nella seconda metà del sec. XVI e nella prima del XVII, con doc. inediti intorno a G. Bruno e G. Galilei'', pubblicato poi a Roma nel [[1876]].
 
Non trascurò tuttavia il suo impegno politico: Berti era infatti uno dei capi più influenti della corrente progressista dell Destra, pertanto, nel [[1877, con l'avvento della Sinistra al potere, appoggiò apertamente la politica del suo ''leader'' [[Agostino Depretis]], pronunciando, il [[5 luglio]] [[1880]] un discorso a favore dell'abolizione della [[tassa sul macinato]]. Pertanto, nel [[1881]], dopo la caduta del [[Governo Cairoli II]], Depretis, per conquistarsi l'appoggio della deputazione piemontese, scelse Berti come suo ministro dell'Agricoltura, Industria e Commercio, confermandolo anche nel suo successivo gabinetto. Come ministro diede impulso a numerosi progetti di riforma sociale che da tempo necessitavano di essere approvati: l'istituzione di una Cassa per gli infortuni sul lavoro, di un Cassa sulle pensioni di vecchiaia, , la regolamentazione degli scioperi e il riconoscimetno giuridico delle società di mutuo soccorso. La ferma opposizione che questi provvedimenti suscitarono ala Camera, tuttavia, indusse Depretis, il [[30 marzo]] [[1884]], a sostituire Berti con [[Bernardino Grimaldi]]. Eletto vicepresidente della Camera il [[1° dicembre]] [[1884]], Berti si disinteressò tuttavia gradualmente delle vicende politiche; infine, dopo essere divenuto segretario dell'[[Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro]] e cancelliere dell'[[Ordine della Corona d'Italia]], ottenne il [[18 gennaio]] [[1895]] da re [[Umberto I]] il titolo di [[senatore]]. Morì a [[Roma]], il 22 aprile [[1897]], a 76 anni.
 
== Note ==