Normativa sulla radiotelevisione terrestre italiana: differenze tra le versioni

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I primi interventi legislativi si possono ravvisare nel periodo prerepubblicano, in materia di [[Radio (mass media)|radiofonia]]; per la [[televisione]], infatti, si dovrà aspettare ancora qualche decina d'anni.
 
Già allAll'inizio del [[XX secolo]] una norma dello [[Stato]] (legge 30 giugno 1910 n. 395)<ref>Pubblicata nella [[Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia]] n. 159 dell'8 luglio 1910</ref> stabilivastabilisce la riserva statale per l'esercizio dell'attività radiotelegrafica e radioelettrica.
 
Durante il ventennio fascista, tale principio venneviene confermato dapprima dal [[regio decreto]] dell'8 febbraio 1923 n. 1067, col quale viene quindi già affermato di fatto la riserva allo stato del diritto di trasmissione. Il regio decreto 2191 del 14 dicembre [[1924]], in concomitanza con la nascita del [[Ministero delle Comunicazioni]], tramite [[concessione]] venivaviene demandata all'[[Unione Radiofonica Italiana]] (URI) per il periodo di sei anni il [[monopolio]] delle trasmissioni [[radiofonia|radiofoniche]]. In base a tale norma eraè previsto un forte controllo del [[Governo]] sui programmi e sull'assetto societario. Inoltre l'Uri eraè obbligatacostretta a mettere a disposizione del Governo gli impianti per la diffusione di notizie di interesse pubblico che quest'ultimo avesse volutovoglia diramare.
 
Tuttavia, un nuovo decreto del [[1927]], il n. 2207, ristabilìristabilisce gli estremi della concessione, affidandola al giovane all'[[EIAR|Ente italiano per le audizioni radiofoniche]] (EIAR), poi gestito dall'[[IRI]]. L'Eiar è un [[ente pubblico]], il cui controllo azionario è nelle mani del [[Governo]]. VenneViene rafforzato il controllo statale, prescrivendo la presenza di quattro membri di nomina governativa nel [[Consiglio di amministrazione]], oltre l'approvazione governativa del piano annuale delle trasmissioni.
L'[[EIAR|Ente italiano per le audizioni radiofoniche]] è sottoposta al controllo del Comitato superiore di vigilanza del Ministero delle comunicazioni.
 
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===Periodo repubblicano===
La transizione alla [[democrazia]] non produsseproduce un cambiamento immediato della normativa in vigore, anche se almeno a livello teorico il [[legislatore]] dimostra di avere la cognizione dell'importanza dei [[Comunicazione|media]] nella democrazia. Il primo coinvolgimento del [[Parlamento]] nel settore radiotelevisivo si può riscontrare col D. Lgs. CPS n. 428 del [[1947]]. L'entrata in vigore nel 1948 della [[Costituzione]], muta radicalmente in senso garantista l'impostazione della stampa e più in generale della [[libertà di pensiero|libertà di manifestazione del pensiero]].
 
{{Citazione|''Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.''| ''Art 21 Costituzione''}}
 
Proprio la formula ''e ogni altro mezzo di diffusione'' tutelavatutela non solo la stampa, ma qualsiasi altra forma di manifestazione del pensiero (teatro, musica, cinema, arte). FuSi dunquetratta di una clausola aperta che consentìconsente di far rientrare all'interno dei mezzi di comunicazione (modalità di manifestazione del pensiero) tutelabili dall'[[articolo 21]] anche media chenon esistenti nel '48 ancora non esistevano1948: come la [[televisione via cavo]], e successivamente [[Internet]].
 
Va tuttavia ricordato che la nostraLa Costituzione, pur dedicando grande importanza alla tematica della [[libertà di stampa]] (art.21), tuttavia prevedevaprevede che ''a fini di utilità generale, la legge può riservare allo Stato determinate imprese che si riferiscono a servizi pubblici essenziali ed abbiano carattere di preminente interesse generale'' (art. 43).
 
Il [[1952]] fuè un anno di svolta (le trasmissioni televisive inizieranno solo il 3 gennaio 1954): un [[decreto del Presidente della Repubblica]] rinnovòrinnova la [[concessione]] (radiofonica e dal 1954 anche televisiva) all'EIAR per la durata di 20 anni, che intanto diventòdiventa '''[[RAI]] - Radiotelevisione Italiana''', una [[società per azioni]]. Il decreto prevedevaprevede: il passaggio del pacchetto azionario di maggioranza della Rai all'[[IRI]] (ente pubblico); il passaggio da quattro a sei membri del CdA nominati dal Governo; l'obbligo di sottoporre il piano triennale dei programmi ad autorizzazione ministeriale; il sistema di finanziamento misto (canone e pubblicità).
 
===Il caso "IL TEMPO TV" e il primo pronunciamento della corte costituzionale===
Con istanza 19 dicembre 1956 la Societàsocietà "II Tempo-T.V." chiedevachiede al [[Ministero delle poste e delle telecomunicazioni]] "l'assenso di massima" per la realizzazione di un servizio di radiodiffusione televisiva, basato economicamente sui proventi della [[pubblicità]], da attuare nelle Regioni del Lazio, della Campania e della Toscana, con eventuale successiva estensione ad altre regioni. DichiaravaDichiara la Societàsocietà di voler realizzare tale programma provvedendo alla costruzione di impianti trasmittenti, studi di ripresa e ponti-radio mobili per trasmissioni esterne; di volersi conformare alle vigenti norme sulla stampa e sulla materia oggetto di pubblici spettacoli; di voler evitare ogni disturbo alle trasmissioni di altri servizi, "assumendo l'obbligo di rispettare tutte le disposizioni nazionali ed internazionali, legislative e regolamentari, riguardanti le radiocomunicazioni". Al fine di "evitare interferenze con le preesistenti stazioni TV italiane" (le quali, come è noto, si avvalgono attualmente di frequenze della gamma [[VHF]]), dichiaravadichiara inoltre di intendere utilizzare frequenze della gamma [[Ultra high frequency|UHF]].
 
Viene sollevata la questione di legittimità costituzionale del [[monopolio]] televisivo, invocando l'[[articolo 21]], 41 e 43 della [[costituzione]].
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{{Citazione|''A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale.''| ''[[Art 43 Costituzione]]''}}
 
===Le tvtelevisioni via cavo e la sentenza della Corte Costituzionale===
A metà degli anni sessanta, cominciano nei sottoscala e nelle soffitte di alcuni appassionati i primissimi tentativi di dare vita a televisioni private.
Tuttavia gli ostacoli sono grossissimi: di fatto le telecamere e i trasmettitori non sono oggetti liberamente in commercio.
Non si registrano quindi esperienze significative in questa fase, ma solo timidi tentativi di appassionati tra cui i due fratelli [[Torino|torinesi]] Judica-Covilla.
Ma anche nel caso torinese, non si può parlareparla di una vera e propria emittente televisiva, in quanto la "cablatura" dell'impianto via cavo eraè limitata ad un solo palazzo.
Intanto, mentre si trova a [[Bellinzona]] per collaborare con la [[televisione svizzera di lingua italiana]], il regista della Rai [[Peppo Sacchi]], viene a conoscenza della tvtelevisione via cavo.
Qualche anno dopo, lo stesso Sacchi, sarà il fondatore difonderà [[Telebiella]], di fatto prima emittente libera italiana.
Grazie a Telebiella, esplode il fenomeno delle tvtelevisioni libere via cavo.
 
Da caso mediatico a caso giudiziario il passo è breve. Il governo reagìreagisce con il D.P.R n. 156 del 29/3/1973<ref>[http://www.aeranti.it/altrepag/normativa/legisl_pubb_priv/decreto290373.htm D.P.R n. 156 del 29/3/1973]</ref> che unificavaunifica tutti i mezzi di comunicazione a distanza in una sola categoria, rendendo così illegali ile canaliemittenti privatiprivate, e disponendone la disattivazione con un successivo decreto del maggio dello stesso anno. Tutte le emittenti eseguironoeseguono l'ordine tranne Telebiella, che continuòcontinua ostinatamente le trasmissioni. [[Peppo Sacchi]] e i suoi collaboratori cominciano un duro braccio di ferro. Il 1º giugno 1973 il [[Governo Andreotti II|Governo Andreotti]] fecefa oscurare dall'escopost l'emittente. La questione divennediventa di rilevanza politica nazionale perché i repubblicani ritirarono, proprio sul tema della riforma della televisione, l'appoggio esterno al Governo Andreotti che fu costretto a dimettersi. La battuta fuè che "[[Giulio Andreotti|Andreotti]], inciampòinciampa nel cavo di [[Telebiella]] e cadde"
 
Telebiella conduce quindi una battaglia legale: un cittadino biellese, denuncia infatti alla pretura di Biella [[Peppo Sacchi]], per violazione delle norme in materia di comunicazioni postali.
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===Dopo la riforma televisiva del 1975 e la legge 10/1985===
La disciplina giuridica del settore radiotelevisivo rimaseè rimasta immutata dagli anni cinquanta, nonostante l'inizio delle trasmissioni televisive, dapprima in maniera sperimentale e poi sempre su più larga scala, fino alla metà degli [[anni 1970|anni settanta]], con la legge 103/1975<ref>[http://www.agcom.it/L_naz/l103_75.htm Legge 14 aprile 1975, n. 103 "''Nuove norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva'']</ref> (cosiddetta ''riforma televisiva''), che pur riaffermando il principio del monopolio statale per le trasmissioni su scala nazionale, giustificandolo con il carattere di servizio pubblico essenziale, di fatto aprivaapre timidamente il settore al [[Concorrenza (diritto commerciale)|mercato concorrenziale]]. Vera novità della legge di riforma è che il controllo della radiotelevisione passa dal [[governo]] al [[parlamento]]; viene infatti istituita un'apposita [[Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi|commissione parlamentare di vigilanza sui servizi radiotelevisivi]].
Sempre la legge 103/1975 aveva stabilito che nell'esercizio del servizio radiotelevisivo doveva essere assicurata l'indipendenza, la completezza, e l'obiettività dell'informazione. VenneroVengono stabilite modalità specifiche per la comunicazione politica, con l'istituzione di apposite tribune politiche
 
Per vedere la nascita di un vero e proprio polo privato su scala nazionale, alternativo a quello pubblico bisogna attendere gli [[Anni 1980|anni ottanta]], con la progressiva acquisizione di tre reti (network) nazionali da parte del gruppo [[Fininvest]].
Durante il decennio la legge 4 febbraio [[1985]] n. 10 - pur riservando l'attività di trasmissione pubblica a copertura nazionale allo Stato - affermo la legittimità dell'attività di radiodiffusione sonora e televisiva dell'emittenza privata.<ref>art. 1 legge 10/1985</ref>
 
Gli [[Anni 1990|anni novanta]] sono stati molto importanti per la produzione legislativa in materia televisiva: in particolare si fa riferimento alla [[Legge Mammì]] del [[1990]] e alla [[Legge Maccanico]] del [[1997]], nonché a diverse e mai applicate sentenze della [[Corte costituzionale della Repubblica Italiana|Corte Costituzionale]].
 
Il [[2004]] ha infine visto l'approvazione, dopo un ''[[iter legis|iter]]'' tormentato, della [[Legge Gasparri]], e del [[Testo unico della radiotelevisione]], emanato ai sensi dell'art. 16 della Gasparri, nel [[2005]].