Lodo Rete 4: differenze tra le versioni

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{{torna a|Rete 4}}
Per '''lodoLodo Retequattro''' si intendeè comunemente l'insieme delle sentenze pronunciate e leggi emanate riguardanti [[Rete 4]], per le quali l'emittente televisiva avrebbe dovuto lasciare libere le frequenze analogiche in favore delle altre modalità di trasmissione. Nessuna di esse è stata rispettata.
 
==''Vacatio legis'' e «decreti Berlusconi»==
{{vedi anche|Occupazione dell'etere}}
All'inizio degli anni '80 tutte le frequenze tvtelevisione disponibili per gli operatori privati eranosono già state occupate. In Italia infatti, a differenza deglidel altriresto paesi europeidell'Europa, era avvenutaavviene una rapida proliferazione di centinaia di emittenti locali, alcune delle quali avevano iniziatoiniziano a trasmettere anche su scala extraregionale. La legge d'altronde non prevedevaprevede, ma nemmeno escludeva, la possibilità per i privati di interconnettere i propri ripetitori situati in regioni diverse in modo da poter trasmettere lo stesso programma in tutto il territorio nazionale. La sentenza 202 della Corte Costituzionale (1976)<ref>{{cita pronuncia costituzionale|tipo=sentenza|numero=202|anno=1976}}</ref> avevaha cancellato il monopolio pubblico, ma solo in ambito locale mentree nullaniente eraè stato deciso dal Parlamento in ambito nazionale.
 
Sfruttando la mancanza di un divieto esplicito, [[Telemilano 58]]<ref>Dal settembre 1980 assumerà il nuovo nome di «Canale 5».</ref>, lal'emittente tvtelevisiva privata della [[Fininvest]], diffonde dai suoi ripetitori, sparsi su tutto il territorio nazionale, uno stesso programma preregistrato su videocassetta. I ripetitori locali dell'emittente trasmettono con minime differenze di orario gli uni dagli altri, quindi la legge è rispettata sul piano formale, ma appare chiaro come la programmazione diventi di fatto a carattere nazionale.
 
Nell'estate del [[1981]] in attesa di una nuova sentenza della Corte costituzionale, [[Silvio Berlusconi]], presidente della Fininvest, dichiara che non si può fare televisione se non si è collegati con tutto il paese e con l'estero; la Corte si pronuncia ribadendo il limite per le televisioni locali a trasmettere solo in ambito locale. Forte di questa sentenza la Rai si rivolge alla magistratura denunciando Canale 5 ed altri circuiti per "la contemporaneità delle trasmissioni, non via etere, ma a mezzo videocassette preduplicate su varie emittenti, intaccando così il privilegio monopolistico".<br />
Anche l'ANTI (Associazione nazionale teleradiodiffusione indipendenti), nata nel 1974, si rivolge alla magistratura accusando il network di «avere realizzato la diffusione su scala nazionale di uno stesso programma».<br />
Da parte sua, il Parlamento non interviene. Nel giro di pochi mesi si formano altri network che utilizzano il metodo della «cassettizzazione», con programmi registrati su videocassetta che contengono già le interruzioni pubblicitarie.<br />
Nel 1982 tre network privati, cioè [[Canale 5]] della [[Fininvest]], [[ReteItalia 41]] delladi [[ArnoldoEdilio Mondadori EditoreRusconi]] e [[ItaliaRete 14]] di [[EdilioArnoldo RusconiMondadori Editore|Mondadori]], hanno già interconnesso i propri ripetitori e trasmettono su tutto il territorio nazionale.
 
NelNell'estate lugliodel [[1984]] la Fininvest, dopo l'acquisto sia di Italia 1 che di Rete 4, divennediventa l'unico operatore privato televisivo nazionale, costituendo un [[monopolio]] di fatto. In assenza di una legislazione in materia, intervennero alcuni pretori di città capoluogo ([[Torino]], [[Roma]] e [[Pescara]]) che, sfruttando le norme del [[codice postale]], ingiunseroingiungono alla [[Fininvest]] di interrompere l'interconnessione tra i suoi ripetitori. La Fininvest reagìreagisce oscurando di propria iniziativa i ripetitori in Piemonte, Lazio e Abruzzo, e creando un caso mediatico.
 
IntervenneInterviene il [[Governo Craxi I]] con un primo [[decreto legge]] il 20 ottobre [[1984]]<ref>[http://www.infoleges.it/service1/scheda.aspx?service=1&id=117780 D.L. 694 del 20 ottobre 1994]</ref>. FuronoVengono sollevate eccezioni di costituzionalità ed il 28 novembre il decreto vennevengono bocciato alla Camera<ref>[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1984/11/29/cade-al-primo-ostacolo-il-decreto-tv.html Repubblica, 29.02.1984]</ref>. Il 6 dicembre 1984 ne venneviene ripresentato un secondo, che passòpassa l'esame delle Camere nel 1985, venendo poi convertito in legge. Per entrambi i decreti legge (come per il terzo, che verrà emanato il 1º giugno [[1985]]), si parlòparla comunemente di «'''[[Decreti Berlusconi]]'''». Scopo dei decreti fuè autorizzare in via temporanea le reti nazionali private nazionali a trasmettere. Il sistema necessitavanecessita sempre più di una normativa, ma il Parlamento non si mossemuove e la ''[[vacatio legis]]'' continuòcontinua.
 
La [[Corte costituzionale della Repubblica Italiana|Corte Costituzionale]], con la sentenza n. 826 del 14 luglio [[1988]]
tornòtorna ad occuparsi del sistema radiotelevisivo.<br />
ConfermòConferma innanzitutto quanto già espresso più volte in precedenza: fino a quando il Parlamento non avrebbe approvatoapproverà una legge di regolamentazione dell'etere pubblico, solo la tv di StatoRai potevapuò trasmettere a livello nazionale. E la legge di regolamentazione del settore - precisano i giudici della Consulta - deve prevedere «quel sistema di garanzie efficace al fine di ostacolare in modo effettivo il realizzarsi di concentrazioni monopolistiche».<br />
Entrando nel giudizio di merito, la Corte constatavaconstata che, con i «decreti Berlusconi», il legislatore avevaha acconsentito alla Fininvest di continuare a trasmettere i suoi programmi a diffusione nazionale. In tal modo la disciplina in questione «non ha seguito le indicazioni contenute nella sentenza n. 148 del 1981».<br />
Ma la Corte, al contempo, riconoscevariconosce che i decreti avevanohanno carattere temporaneo ede eranosono destinati ad essere superati da una nuova normativa a carattere generale. Solo a questa condizione «si può ammettere che una legge siffatta possa trovare una base giustificativa».<br />
La Consulta rigettòrigetta quindi le eccezioni di incostituzionalità sollevate dalle preture sui decreti Berlusconi, consentendo a Rete4Rete 4 di continuare a trasmettere. Al contempo lanciòlancia un monito al Parlamento: «se l'approvazione della nuova legge [di regolamentazione del settore] dovesse tardare '''oltre ogni ragionevole limite temporale'''», avrebbe sentenziato l'incostituzionalità dei decreti Berlusconi, «con le relative conseguenze»<ref>{{cita pronuncia costituzionale|tipo=sentenza|numero=826|anno=1988}}</ref>.
 
==Dalla «Legge Mammì» alla «Legge Maccanico»==
{{vedi anche|Legge Mammì|Legge Maccanico}}
Nell'agostoestate del 1990, a distanza di due anni dalla sentenza della Consulta, il Parlamento emanòemana la nuova «Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato».<br />
La Legge 6 agosto 1990 n. 223<ref>{{cita web|http://www.camera.it/_bicamerali/rai/norme/l223-90.htm|Legge 6 agosto 1990, n. 223|autore=Camera dei deputati|wkautore=Camera dei deputati}}</ref>, soprannominata «Legge Mammì», dal nome dell'alloradel [[Ministri delle comunicazioni della Repubblica Italiana|Ministro delle poste e delle telecomunicazioni]], il [[Partito Repubblicano Italiano|repubblicano]] [[Oscar Mammì]], fuviene concepita come una sanatoria della situazione che si eraè creata di fatto nell'etere. Inoltre la legge consentivaconsente ai privati l'interconnessione, lungamente desiderata dalla Fininvest. L'articolo 15, comma quarto, della norma vietavavieta a un privato di controllare più del «25 per cento del numero di reti nazionali previste» e comunque non più di tre reti radiotelevisive. Canale 5, Italia 1 e RetequattroRete potevano4 possono rimanere di proprietà dello stesso soggetto., Ilma Parlamentoil peròParlamento rinunciòrinuncia ad assegnare le frequenze tramite una regolare gara; le imprese emittenti eranosono autorizzate a trasmettere fino all'agostoestate del 1996.
 
Il 7 dicembre [[1994]] la Corte Costituzionale (sentenza n. 420) bocciòboccia la legge Mammì definendola «incoerente, irragionevole» e inidonea a garantire il pluralismo in materia televisiva.
L'articolo 15, comma quarto della legge fuviene dichiarato incostituzionale per violazione dell'articolo 3 della Costituzione; la Consulta sollecitòsollecita quindi il legislatore a trovare una soluzione definitiva entro l'agostoestate del 1996, rispettando l'auspicio di aumentare il pluralismo informativo (art. 21 Cost.)<ref name="ReferenceA">{{cita pronuncia costituzionale|tipo=sentenza|numero=420|anno=1994}}</ref>. Secondo il pronunciamento, la legge del 1990 non risolvevarisolve i problemi di concentrazione che la Corte avevaha evidenziato nella sua sentenza del 1988, in quanto le 3 reti possibili, su un massimo di 12, di cui 9 date in concessione ai privati, avrebbero continuatocontueranno a permettere ad un unico soggetto (la cui situazione eraè già stata definita incostituzionale precedentemente) di controllare un terzo delle reti (superando il tetto del 25% fissato dalla legge Mammì), ma anzi li aggravavaaggrava, perché, in una situazione in cui vi è già una "''posizione dominante"'', fissando a 9 le reti in concessione ai privati, rispetto all'assenza di limiti precedenti alla legge del 1990, si tiene "fuori dalla categoria dei soggetti privati concessionari [...] ogni ulteriore emittente nazionale non utilmente collocata in graduatoria", impedendo quindi l'accesso a possibili nuovi concorrenti che porterebbero un maggiore pluralismo.
 
{{citazione|''L'inadeguatezza del limite alle concentrazioni emerge poi anche dal raffronto non soltanto con la normativa degli altri paesi, e soprattutto con quelli della Comunità europea (che hanno in larga prevalenza una disciplina più rigorosa e restrittiva), ma anche con la parallela disciplina nazionale dell'editoria. L'art. 3, lett. a), legge 25 febbraio 1985 n.67 considera come posizione dominante quella di chi editi (o controlli società che editino) testate quotidiane la cui tiratura nell'anno solare precedente abbia superato il 20% della tiratura complessiva dei giornali quotidiani in Italia; limite questo che si giustifica - al pari del limite dell'art.15, comma 4, per le emittenti televisive - con l'esigenza di salvaguardare il pluralismo delle voci. Però con questa rilevante differenza: che nel settore della stampa non c'è alcuna barriera all'accesso, mentre nel settore televisivo la non illimitatezza delle frequenze, insieme alla considerazione della particolare forza penetrativa di tale specifico strumento di comunicazione (sent. 148/81, paragr. 2 e amplius paragr. 3; già sent. 225/74, paragr. 4, e poi sent. 826/88, paragr. 9 e 16), impone il ricorso al regime concessorio.''
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''Peraltro, come già si è osservato, la dichiarazione di incostituzionalità non determina un vuoto di disciplina, vuoto che significherebbe un arretramento verso la mancanza di alcun limite alla titolarità di plurime concessioni. Rimane infatti pienamente efficace il decreto legge 323/93, e quindi resta ferma nel periodo di transizione - e limitatamente a tale periodo - la provvisoria legittimazione dei concessionari già assentiti con d.m. 13 agosto 1992 a proseguire nell'attività di trasmissione con gli impianti censiti.''|sentenza della Corte Costituzionale n. 420, anno 1994}}
 
Ma nelNel 1995 l'esito di un [[Referendum abrogativi del 1995|referendum popolare]] mantennemantiene la situazione inalterata.
 
Il 22 maggio [[1997]] il Parlamento approvòapprova la «Legge Maccanico»<ref name=legge1997>[http://www.camera.it/parlam/leggi/97249l02.htm#legge legge 31 luglio 1997, n. 249]</ref>. Recependo il dettato della Corte, la legge vietavavieta ad uno stesso soggetto di essere titolare di concessioni o autorizzazioni che consentisseroconsentano di irradiare '''più del 20 per cento''' delle reti televisive analogiche in ambito nazionale.
La norma istituiva l'[[Autorità per le garanzie nelle comunicazioni]] e, colmando una lacuna decennale, prevedevaprevede l'approvazione di un «Piano nazionale delle frequenze». Nell'attesa dell'approvazione del Piano, il termine ultimo del regime di ''prorogatio'', fissato dalla legge Mammì all'agostoestate del 1996, eraè posticipato all'aprilealla primavera del 1998.<br />
La legge stabilivastabilisce inoltre che le "reti eccedenti", ovvero Rete 4 e [[TELE+NERO]], avrebbero potutopotranno continuare a trasmettere anche dopo il nuovo limite dell'apriledel 1998, a patto che affiancasseroaffianchino alle trasmissioni analogiche quelle digitali (intese allora come cavo e satellite), per permettere un passaggio graduale a queste ultime., Mama ciò sarebbe avvenutoavviene solo quando la stessa Autorità avesse accertatoaccerta che in Italia la diffusione di antenne paraboliche fossesia ''congrua''. Termine, quest'ultimo che, non esprimendo una quantità, eraè lasciato alla discrezione dell'Autorità Garante.
 
==Il ricorso di Di Stefano==
{{Vedi anche|Europa 7}}
Il Piano nazionale delle frequenze fuè approvato dall'[[Autorità per le garanzie nelle comunicazioni]] nel [[1998]]. L'Autorità individuòindividua 11 reti televisive a copertura nazionale,
da assegnare ad emittenti private nazionali. Su tale numero eraè calcolato il 20 per cento - limite antitrust della Legge Maccanico - pari a due reti. Delle 11 reti, tre eranosono assegnate per legge al servizio pubblico (la [[Rai]]); le restanti otto reti a copertura nazionale sarebbero statesaranno assegnate con una gara pubblica<ref>[http://www.agcom.it/sintesi/del_68_98.htm Piano nazionale di assegnazione delle frequenze per la radiodiffusione televisiva], sintesi della delibera n. 68/98 dell'AGCOM</ref>. I tempi del «Far west dell'etere» erano finalmentesono terminati.<br />
All'esito della gara, in data 28 luglio 1999, sulla base della graduatoria approvata dalla Commissione, furonovengono rilasciate sette [[Concessioni televisive|concessioni nazionali]].
L'ottava concessione fuviene sospesa e successivamente negata sia a [[Rete Mia]] che a [[Rete A]].
Con la sentenza del 12 giugno 2001, il Consiglio di Stato assegnòassegna definitivamente l'ottava concessione a 7 Plus.
<ref>[http://archivio.agi.it/articolo/2b52b4c2b82924e8450b0ff1f7df3415_20010629_tv-europa-7-da-consiglio-di-stato-via-a-2-concessione/ Tv: europa 7, da consiglio Di stato via a 2* concessione]</ref>):
 
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# [[Telemarket (rete televisiva)|Elefante Telemarket]].
 
Rete 4 e TELE+NERO perseroperdono così il diritto di trasmettere.<br />
Nel luglio [[1999]], l'imprenditore [[Francesco Di Stefano]], che avevaha chiesto due concessioni, per [[Europa 7]] e [[7 plus]], vincendone una per Europa 7, presentòpresenta ricorso al [[Consiglio di Stato]], il quale, accogliendo la sua istanza, ordinòordina al ministero di dare anche una seconda concessione. Al contrario dei vincitori di concessione che già trasmettevanotrasmettono (come la RAI o Canale 5 e Italia 1), e che in base alle norme potevanopossono continuare ad impiegare le loro attuali frequenze e considerare quelle come assegnate dalla concessione, Europa 7 eraè un soggetto nuovo, e quindi dovevadeve attendere il Piano di assegnazione delle frequenze per poter iniziare le trasmissioni sulle bande che gli sarebbero statesaranno assegnate. Il ministero stesso, in una nota del 22 dicembre [[1999]], si impegnavaimpegna con Centro Europa 7 (titolare dei marchi Europa 7 e 7 plus) perché in breve tempo si arrivassearrivi "''di concerto con l'Autorità, alla definizione del programma di adeguamento al piano d'assegnazione delle frequenze''"
 
In ogni caso, fino ad oggi, Europa 7 non è riuscitariesce ancora a trasmettere: il Ministero, contravvenendo al risultato della gara pubblica, non concesseconcede le frequenze, e con un'autorizzazione ministeriale del 1999 (non prevista da nessuna legge) permisepermette la prosecuzione delle trasmissioni analogiche a Rete 4 che, in base alla gara pubblica, non ne avevaha diritto. Così cominciòinizia da parte della societàdi Europa 7 una serie di ricorsi al [[Tribunale Amministrativo Regionale]] (TAR) del [[Lazio]], al [[Consiglio di Stato]] e alla Corte Costituzionale.
 
Nel novembre [[2002]] intervenne la Corte Costituzionale, cui fuè chiesto di valutare la costituzionalità dell'articolo 3, comma 6 e 7, della legge 31 luglio 1997, n. 249<ref name=legge1997 />, che permette a chi ha un numero di reti superiore alle due massime previste dalla norma di prorogare le trasmissioni in analogico, a patto che a queste si inizino ad affiancare le trasmissioni in digitale, fino ad un termine che dovevadeve essere deciso dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
La corte con la sentenza [[Sentenza n. 466/2002 della Corte costituzionale|466/2002]]<ref name="ReferenceB">{{cita pronuncia costituzionale|tipo=sentenza|numero=466|anno=2002}}</ref>, confermò, come già affermato nel [[1994]]<ref name="ReferenceA"/>, che nessun privato può possedere più di 2 frequenze televisive e le reti eccedenti (in questo caso Rete 4 e TELE+ Nero, devono cessare la trasmissione in via analogica terrestre.
 
La Corte specificòspecifica anche che un accentramento di reti è anche ben più grave che nel 1994, essendoci state allora 12 frequenze nazionali disponibili in chiaro, mentre nel 2002 (quando fu emessa la sentenza) ve n'erano solo 11 disponibili, alcune delle quali peraltro assegnate a emittenti che trasmettono in forma criptata. La Corte, tuttavia ritenne non incostituzionale l'art. 3 comma 6 (che ammette le proroghe), ma incostituzionale l'art. 3 comma 7 (per cui la fissazione della proroga al poter usare le frequenze terrestri prima del trasferimento obbligatorio alle trasmissioni digitali non era fissato dalla legge e la sua decisione era demandata all'Autorità per le comunicazioni) e fissò un limite improrogabile entro il 31 dicembre [[2003]] per il passaggio esclusivo al satellite e/o al cavo (basandosi su una valutazione dell'AGCOM che riteneva quella data sufficiente per trasferire tutte le trasmissioni di Rete 4 e TELE+ Nero su altre piattaforme tecnologiche), senza ovviamente entrare nello specifico del caso della ricorrente Europa 7 (che aveva chiesto di considerare incostituzionali entrambi i commi, in quanto "''l'attuale normativa di settore''", ovvero le proroghe per le reti eccedenti regolate dai due commi, "''le impedirebbe di utilizzare concretamente le frequenze che le sono state assegnate nella fase di pianificazione''"), che per le precedenti decisioni (il decreto ministeriale del luglio 1999) rimaneva comunque l'assegnataria delle frequenze che così si fossero liberate.<br />La Corte era chiamata ad esprimersi sulla supposta incostituzionalità dei due commi che permettevano la prosecuzione delle trasmissioni alle "reti eccedenti", non sulla correttezza della vecchia gara di assegnazione delle concessioni nazionali, infatti specificò che:
 
{{citazione|Nel contempo, il collegio rimettente precisa che l'obiettivo della sottoposizione delle questioni all'esame della Corte è quello di impedire la continuazione in modo indefinito — attraverso "una facoltà non delimitata nel tempo" — dell'assetto giudicato incostituzionale dalla sentenza n. 420 del 1994, con conseguenze sulla disponibilità delle frequenze, sul pluralismo informativo e, quindi, sulla legittimità delle impugnate concessioni ed autorizzazioni, nonché delle relative clausole.