Colonna infame (Milano): differenze tra le versioni

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== Contesto storico ==
{{vedi anche|Untore}}
Milano, allora amministrata dagli spagnoli, fu duramente colpita nel [[1630]] da una [[peste del 1630|terribile peste]], nota anche come ''peste manzoniana'', che uccise quasi la metà della popolazione provocando la morte di circa {{formatnum:60000}} milanesi<ref>{{cita libro|autore=C.M.Cipolla|wkautore=Carlo Maria Cipolla|titolo=Storia economica dell'Europa pre-industriale|anno=2005|p=191}}</ref>: in un clima che vedeva la popolazione allo stremo, aggravato dalla ampia diffusione di superstizioni popolari, una donna del quartiere denunciò [[Guglielmo Piazza]] accusandolo di essere un ''untore'' intento a diffondere il morbo mediante particolari unguenti procuratigli dal barbiere [[Gian Giacomo Mora]] e che egli avrebbe applicato alle porte di alcune case. Venne quindi imbastito un processo in cui i due malcapitati vennero accusati di essere [[untore|untori]]: il procedimento, condizionato da un uso disinvolto della tortura secondo gli usi dell'epoca, terminò con la condanna a morte dei due che confessarono la propria inesistente colpevolezza pur di porre fine alle atroci sofferenze a loro causate dalle torture, peraltro contraddicendo più volte le loro stesse dichiarazioni.
 
La sentenza, oltre ad una condanna a morte da eseguirsi dopo vari supplizi da infliggere sfilando per le contrade della città, prevedeva l'abbattimento della casa-bottega di Gian Giacomo Mora; lo spazio vuoto venne occupato dalla colonna infame a memoria perpetua delle punizioni che sarebbero toccate a chi si fosse macchiato della colpa di essere un ''untore'' e come marchio di infamia indelebile per lo sventurato Mora.