Colonna infame (Milano): differenze tra le versioni

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{{citazione|La casa del Mora si spiani, et in quel largo si drizzi una Colonna, la quale si chiami Infame et in essa si scrivi il successo, né ad alcuno sia permesso mai più riedificare detta casa|da ''[[s:La sentenza data a Guglielmo Piazza e Gio Giacomo Mora|La sentenza data a Gugliemo Mora e Gio. Giacomo Mora]]'', 1631.}}
 
La '''colonna infame''' era un [[monumento]] eretto a memoria del processo all'[[untore]] [[Gian Giacomo Mora]] e posto all'angolo tra le attuali via Gian Giacomo Mora e corso di Porta Ticinese a [[Milano]], eretta nel [[1630]] dal governo milanese durante la dominzione spagnola e demolita nel [[1778]] durante l'amministrazione austriaca di [[Maria Teresa d'Austria]]. Intesa in origine come marchio d'infamia nei confronti dei due presunti [[untore|untori]], grazie al celebre saggio di [[Alessandro Manzoni]] la ''[[Storia della colonna infame]]'', passò alla storia come simbolo della superstizione e dell'iniquità del sistema giudiziario spagnolo dell'epoca.
 
== Contesto storico ==
{{vedi anche|Untore}}
Milano, allora amministrata dagli spagnoli, fu duramente colpita nel [[1630]] da una [[peste del 1630|terribile peste]], nota anche come ''peste manzoniana'', che uccise quasi la metà della popolazione provocando la morte di circa {{formatnum:60000}} milanesi<ref>{{cita libro|autore=C.M.Cipolla|wkautore=Carlo Maria Cipolla|titolo=Storia economica dell'Europa pre-industriale|anno=2005|p=191}}</ref>: in un clima che vedeva la popolazione allo stremo, aggravato dalla ampia diffusione di superstizioni popolari, una donna del quartiere denunciò [[Guglielmo Piazza]] accusandolo di essere un ''untore'' intento a diffondere il morbo mediante particolari unguenti procuratigli dal barbiere [[Gian Giacomo Mora]] e che egli avrebbe applicato alle porte di alcune case. Venne quindi imbastito un processo in cui i due malcapitati vennero accusati di essere [[untore|untori]]: il procedimento, condizionato da un uso disinvolto della tortura secondo gli usi dell'epoca, terminò con la condanna a morte dei due che confessarono la propria inesistente colpevolezza pur di porre fine alle atroci sofferenze a loro causate dalle torture, peraltro contraddicendo più volte le loro stesse dichiarazioni.
 
La sentenza, oltre ad una condanna a morte da eseguirsi dopo vari supplizi da infliggere sfilando per le contrade della città, prevedeva l'abbattimento della casa-bottega di Gian Giacomo Mora; lo spazio vuoto venne occupato dalla colonna infame a memoria perpetua delle punizioni che sarebbero toccate a chi si fosse macchiato della colpa di essere un ''untore'' e come marchio di infamia indelebile per lo sventurato Mora.
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* Nel [[1804]] ci fu la pubblicazione postuma delle ''Osservazioni sulla tortura'' (1777) di [[Pietro Verri]],<ref>{{cita libro|autore=P. Verri|capitolo=Osservazioni sulla tortura|titolo=Scrittori classici italiani di economia politica|volume=XVII|città=Milano|anno=1804|pp=191-312|url=https://books.google.it/books?id=zgQoAAAAYAAJ&pg=PA191}}</ref> saggio incentrato sull'uso della tortura nel processo agli untori e realizzato negli anni precedenti all'abbattimento della colonna infame.
 
* Nell'edizione del [[1840]] de ''[[I promessi sposi]]'' [[Alessandro Manzoni]] inserì come appendice il saggio storico ''[[Storia della colonna infame]]'', con una descrizione del processo agli [[untore|untori]].
 
* Nel [[1841]] [[Francesco Cusani]] pubblicò la traduzione della cronaca di [[Giuseppe Ripamonti]] sulla [[peste del 1630]] (edita in latino nel [[1640]]), con l'aggiunta di informazioni storiche anche sulla colonna infame.