Giuseppe Sanmartino: differenze tra le versioni

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|AnnoNascita = 1720
|LuogoMorte = Napoli
|GiornoMeseMorte = 12 dicembre<ref name="ReferenceA">Libro XIII dei defunti (1784-1799), fol. 181 v., Parrocchia Santa Maria dell'Avvocata</ref>
|AnnoMorte = 1793
|Epoca = 1700
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=== Gli anni '40 del '700 ===
Scarse sono pure le notizie sull'opera scultorea del Sanmartino negli anni '40 del '700 e le sculture a lui attribuite, benché non poche, non sono garantite come effettivamente di sua mano giacché non risultano dati cronologici attendibili, né caratteri stilistici evidenti<ref name="Elio Catello 2004, p. 22">Elio Catello (2004), p. 22.</ref>. Nel 1746, mentre lavorava presso la bottega di Antonio di Lucca, realizzò due ''"bottini"'' (ovvero "puttini")<ref> name="Elio Catello (2004), p. 22.<"/ref> forse destinati ad un altare<ref>Archivio Storico del Banco di napoli, Banco del Salvatore, giornale m 1160 del 5 novembre 1746.</ref><ref group="N">Tale attribuzione si deve al fatto che la bottega del Di Lucca era specializzata in tali ornamenti d'altare normalmente realizzati dal Sanmartino a meno che il committente non richiedesse altrimenti.</ref><ref> name="Elio Catello (2004), p. 22.<"/ref>.
 
Dal 1747 il Sanmartino risulta lavorare, unitamente a Giovanni Cimafonte, presso la Cattedrale di Monopoli presso cui sono documentate<ref>Notaio Onofrio Arnese, scheda 291, prot. 9, foll. 2v-5, quale copia dell'atti di Notar Mario d'Alessio del 25 gennaio 1750.</ref> le sculture a grandezza naturale del ''San Giuseppe'' e di ''San Michele Arcangelo''<ref group="N">Per il San Michele Arcangelo, esiste diatriba di attribuzione per lo stile più aderente a quello di Matteo Bottigliero, maestro del Sanmartino. Il fatto, tuttavia, che avesse da poco lasciato quella scuola, fa propendere per una maturità artistica ancora non raggiunta, che ancora si rifà agli stili del maestro.</ref><ref> name="Elio Catello (2004), p. 22.<"/ref>.
 
=== Gli anni '50 del '700: il ''Cristo velato'' ===
[[File:Cristo Velato Volto.jpg|thumb|Il volto del ''Cristo velato'']]
Il decollo artistico del Sanmartino, in ogni caso, si data nella seconda metà del Settecento (molto verosimilmente nel 1751<ref name="Elio Catello 2004, p. 17">Elio Catello (2004), p. 17.</ref>, chiamato da [[Antonio Corradini]]), quando Napoli serbava tracce di un notevole fervore artistico che vi accentrò i nuovi orientamenti della scultura settecentesca italiana, rappresentati dal genovese [[Francesco Queirolo]] e dal veneziano [[Antonio Corradini]], riuniti attorno al cantiere della [[cappella Sansevero]], diretto da [[Raimondo di Sangro]], settimo principe di Sansevero<ref name=dbi>{{Cita libro|autore = [[Luisa Becherucci]]|titolo = SAMMARTINO, Giuseppe|anno = 1936|editore = Istituto dell'Enciclopedia Italiana|città = Roma|url = http://www.treccani.it/enciclopedia/giuseppe-sammartino_(Enciclopedia-Italiana)/|accesso = 30 settembre 2016}}</ref>.
 
Raimondo di Sangro, infatti, che intendeva rendere la cappella un mausoleo degno della grandezza del proprio casato, ingaggiò pittori e scultori rinomati in grado di arricchirla con sculture di grandissimo pregio. Già per le statue della ''[[Cappella Sansevero#11. Pudicizia|Pudicizia]]'' e del ''[[Cappella Sansevero#3. Decoro|Decoro]]'' si ritiene che il Corradini si sia avvalso della collaborazione del Sanmartino riconoscendone le capacità artistiche<ref> name="Elio Catello (2004), p. 17.<"/ref>; alla sua morte, nel 1752, il Sanmartino si offrì di scolpire il ''Cristo Velato'', opera già commissionata al Corradini, e nel 1753 Raimondo commissionò allo scultore<ref group="N">In una lettera all'abate e fisico [[Jean Antoine Nollet]] il Sansevero decanta le capacità del Sanmartino:''un Jeune Homme Napolitain, qui promet de rendre son nome célebre dans l'art de la sculpture'' (trad: "un giovane uomo napoletano, che promette di rendere il suo nome celebre nell'arte della scultura")</ref><ref>Elio Catello (2004), p. 18.</ref>, che all'epoca aveva circa trentatré anni<ref group="N">L'età dello scultore, trentatré anni, deve essere considerata abbastanza avanzata se non anagraficamente, sotto il profilo dell'affermazione personale. Resta il fatto che solo dopo la realizzazione del Cristo Velato, e quindi dopo il 1753, si comincerà a parlare di lui, come dello ''"scultore di Sansevero"''. A riprova ulteriore del fatto che il Sanmartino era ancora pressoché sconosciuto, si consideri che alla morte del Corradini il suo posto, quale responsabile dei lavori presso la Cappella, sarà assegnato dal Principe di Sansevero a Francesco Queirolo.</ref><ref> name="Elio Catello (2004), p. 22.<"/ref> l'esecuzione di ''«una statua di marmo scolpita a grandezza naturale, rappresentante Nostro Signore Gesù Cristo morto, coperto da un sudario trasparente realizzato dallo stesso blocco della statua»''<ref>{{cita web|url=http://www.museosansevero.it/it/cristo-velato/la-statua|titolo=Cristo velato: la statua|editore=Museo della Cappella Sansevero|accesso=30 settembre 2016}}.</ref>.
 
Sanmartino, tenendo poco conto dei precedenti bozzetti del Corradini<ref group="N">Per convincenti riferimenti stilistici, si ritiene che un bozzetto del Cristo Velato, oggi al Museo Nazionale di San Martino, sia da accreditarsi al Corradini; tuttavia tale assegnazione, per una passionalità generale che traspare dal bozzetto stesso e che viene ritenuta normalmente estranea allo scultore veneto, più attento a esigenze decorative e illusionistiche, non è accettata appieno dal mondo della critica che ugualmente lo vuole di mano del Sanmartino.</ref><ref>Elio Catello (2004), pp. 18 e 21.</ref> (primo destinatario della commissione, poi morto prematuramente), realizzò quindi il ''[[Cristo velato]]''<ref group="N">Opera per la quale ricevette un compenso di 500 ducati, cifra di certo irrisoria se si conwdeira che anni dopo, per la realizzazione di alcune statue delle Virtù di Carlo III, per l'abbellimento del Foro Carolino, otterrà circa 200 ducati per ognuna.</ref>, opera in cui la figura del Cristo morto è mirabilmente velata da un tessuto finissimo, talmente ben reso da non sembrare scolpito nel marmo ma reale. La magistrale trasparenza del velo, ''«fatto con tanta arte da lasciare stupiti i più abili osservatori»'' (come riferì lo stesso Raimondo di Sangro) ha nel corso dei secoli dato adito a una leggenda secondo cui lo stesso Principe, noto per le sue sensazionali invenzioni e per i suoi studi di alchimia, avrebbe insegnato allo scultore una procedura di calcificazione di cristalli di marmo nel tessuto. Come già accennato, tuttavia, il ''Cristo velato'' è ricavato da due blocchi di marmo<ref>Elio Catello (2004), p. 21</ref>, uno per il corpo del Cristo, con ciò intendendo anche il velo che lo ricopre e gli strumenti del supplizio, in marmo di Carrara, e l'altro in marmo colorato per la coltre su cui poggia il materasso che, di fatto, sostiene il corpo del Cristo<ref group="N">L'idea originaria di posizionare il Cristo Velato nella Cavea sotterranea della Cappella, già allora raggiungibile attraverso una angusta scala, potrebbe aver suggerito la lavorazione in due blocchi distinti.</ref><ref>Elio Catello (2004), p. 21.</ref>, e pertanto ascrivibile all'ispirato scalpello del Sanmartino, che nel realizzarlo non si è servito di alcuna escogitazione alchemica<ref name="CRISTOb">{{cita web|url=http://www.museosansevero.it/it/cristo-velato/la-leggenda-del-velo|titolo=Cristo velato: la leggenda del velo|editore=Museo della Cappella Sansevero|accesso=30 settembre 2016}}</ref>.
 
Altra opera attribuita al Sanmartino, nella Cappella Sansevero, sarebbe il rilievo del ''Cristo che dona la vista al cieco'', sul piedistallo del ''[[Cappella Sansevero#14. Disinganno|Disinganno]]'', opera di Francesco Queirolo. <ref group="N">In realtà, anche in questo caso l'attribuzione al Sanmartino quale autore della scultura è dubbia; in una sua lettera all'abate Nollet, il Principe di Sansevero riferisce che l'opera è stata assegnata ad ''"uno dei suoi scultori"''. Il bozzetto o il disegno tuttavia, che evidenzia una struttura presepiale specie nella figura del cieco, viene normalmente attribuito al Sanmartino.</ref><ref> name="Elio Catello (2004), p. 22.<"/ref>.
 
=== Dopo la Cappella Sansevero: Napoli ===
[[File:Altare Nunziatella - Napoli.JPG|thumb|Altare maggiore della Chiesa della Nunziatella]]
Dopo l'esperienza con Raimondo di Sangro, Sanmartino ebbe una lunga e feconda carriera. Risale al 1756-57 la realizzazione del modello del ''San Francesco Ferreri'' che doveva poi essere tradotto in argento per i frati domenicani di [[Pietro da Verona|San Pietro Martire]]<ref group="N">''Dichiarazione di fede di verità'' di [[Giuseppe Bonito]] dell'11 gennaio 1759, con cui si asseriva che ''"anni addietro"'' lo scultore aveva realizzato il modello e dichiarazione dello stesso tipo del Sanmartino, in pari data, con cui riferisce che ''"un anno e mezzo addietro"'' aveva eseguito l'opera. Il modello si trova oggi al [[Metropolitan Museum of Art|Metropolitan Museum]] di New York ove è indicato come ''J'm (sic) no angel: a terracotta model of Saint Vincent Ferrer by Giuseppe Sanmartino''. Così indicato in ''Metropolitan Museum Journal", 2002, vol. 37.</ref>. Nel 1758 la sua fama è ormai consolidata se lo scultore bolognese Agostino Corsini<ref>Agostino Corsini (Bologna 1688-Napoli 1778), scultore.</ref> lo nomina suo perito per la valutazione di due statue marmoree della ''Fama''<ref group="N">Le cosiddette ''Fame alate'', così indicate nella lunga vicenda giudiziaria ad esse connessa.</ref> che, sulla porta della cappella della reggia di Portici, reggevano lo stemma reale<ref group="N">Le opere erano state fortemente criticate da [[Luigi Vanvitelli]] che definiva il Corsini (8 novembre 1753) ''"scultoraccio bolognese"'' e ''"l'infelice bolognese che ... fa cose da chiodi a Portici"''. Per tale motivo il pagamento veniva continuamente ritardato e lo scultore aveva adito le vie legali nominando il Sanmartino proprio perito. Il pagamento delle opere, realizzate nel 1756 e dopo alterne vicende giudiziarie, avvenne nel 1758, ma al Corsini vennero sospesi altri lavori tra cui due puttini e due angeli per l'altare della Cappella regia. A onore del Vanvitelli, questi rivalutò, ed anzi elogiò, l'opera del Corsini nel 1768 per due statue della ''Previdenza'' e della ''Giustizia'' da posizionare sullo scalone della reggia di Portici.</ref>.
 
In questo periodo, Giuseppe Sanmartino abita "''dirimpetto alla Porta piccola di San Giuseppe vestire li Nudi''"<ref>Elio Catello (2004), p. 26.</ref>, ed ha bottega fuori della Porta di Costantinopoli, "''sotto le mura di Sant'aniello''", in un "''basso e contrabbasso''" di proprietà degli Eletti della Città<ref>Archivio Storico del Banco di Napoli, Banco del Salvatore, Giornale m. 1497, 26 gennaio 1763 per l'abitazione; stesso Archivio, Banco del Popolo, volume di bancali, 11 dicembre 1789, per la bottega. Citati da Catello (2004), p.29.</ref><ref group="N">In questo periodo lo scultore si approvvigiona di marmi di Carrara da Giacomo Chiappari, Antonio Baratta e dal Conte del Medico, commercianti di marmi con magazzini nella zona dell'attuale Via Pessina.</ref><ref>Archivio Storico del Banco di Napoli, Banco del Salvatore, Giornale m. 1505, 27 agosto e 12 settembre 1763; Banco del Popolo, Giornale m. 1997, del 22 agosto 1772.</ref>.
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Nel 1757, ormai assurto a notorietà, viene chiamato da Giustino Nervini, rettore della Certosa di San Martino, per la decorazione delle due cappelle dell'Assunta e di San Martino<ref>Elio Catello (2004), p. 55.</ref> con la commissione di: ''quattro statue di tutto rilievo e panneggiate a tutta proprietà'' e sedici puttini raggruppatia due a due da collocare al di sopra delle porte ''reali o finte''<ref>Elio Catello (1988), ''Sanmartino'', Napoli, pag. 159, doc. III.</ref>. Quanto alle quattro statue, dapprima queste dovevano rappresentare l<nowiki>'</nowiki>''Amor di Dio'' e il ''Premio'', per la Cappella dell'Assunta, e la ''Costanza'' e la ''Carità'', per quella di San Martino; successivamente l<nowiki>'</nowiki>''Amor di Dio'' e la ''Costanza'' vennero sostituite, rispettivamente, con la ''Verginità'' e la ''Fortezza''.
 
Nello stesso 1757, unitamente ad altri 13 scultori, partecipò ad un concorso, indetto da [[Luigi Vanvitelli]] "regio architetto" di Corte, per la realizzazione della statua equestre di re Carlo, ma il suo lavoro, come quello di altri, venne stroncato dall'architetto, noto per il suo carattere molto forte e difficile da gestire<ref name="Elio Catello 2004, p. 23">Elio Catello (2004), p. 23.</ref><ref group="N">È noto che il Vanvitelli esigesse dagli artisti che lavoravano per lui la rigorosa e attenta esecuzione dei suoi disegni, dei bozzetti e dei modelli. La scultura è, secondo l'architetto, solo il corollario ai pensieri architettonici cui deve assolutamente sottostare.</ref>. A proposito della gara per la statua equestre, il Vanvitelli, in una sua lettera al fratello Urbano, giudicò positivamente solo la figura del re modellata dal Queirolo e il cavallo del bozzetto presentato da [[Joseph Canart]], ritenendo "cattivi" i modelli di [[Agostino Cornacchini]] e dei "napoletani" tra cui [[Francesco Celebrano]]<ref group="N">Francesco Celebrano aveva largamente prodotto proprie opere per la [[Cappella Sansevero]]; a lui sono infatti ascrivibili il Monumento a Cecco de' Sangro; la Deposizione dell'Altare maggiore; il Dominio di se Stessi; il Monumento a Giovan Francesco de' Sangro, quinto Principe di Sansevero, e il pavimento originale, in tarsie marmoree, della Cappella.</ref> e, appunto, il Sanmartino. La scelta del Vanvitelli, tuttavia, non convinse il re e la statua non si fece<ref>F. Strazzullo (1976), ''Lettere di Luigi Vanvitelli della biblioteca palatina di Caserta'', Galatina, lettera 496, p. 115.</ref>. Dopo ulteriori alterne vicende, durante le quali la statua equestre non venne realizzata nonostante molteplici tentativi nel senso, nel 1760 l'incarico venne assegnato al Queirolo e, alla morte di costui nel 1762, a Tommaso Solari<ref>Tommaso Solari, omonimo dello scultore ottocentesco, nacque a Genova in data non nota, e morì a Caserta nel 1779.</ref>. A valutare il bozzetto del Solari venne chiamata una commissione, composta da [[Corrado Giaquinto]], [[Giuseppe Bonito]], [[Francesco De Mura]] e dallo stesso Sanmartino<ref> name="Elio Catello (2004), p. 23.<"/ref>, che propose alcuni emendamenti; anche in questo caso l'indecisione perdurante non fece realizzare la statua finché, nel 1766, su insistenza dell'allora Ministro delle Finanze, Giovan Battista Albertini, II principe di Sanseverino e Cimitile, venne incaricato Giuseppe Sanmartino. Anche in questo caso, tuttavia, la statua non venne eseguita per varie vicende politiche<ref group="N">La statua equestre verrà successivamente realizzata, da [[Antonio Canova]], in Largo di Palazzo, oggi [[Piazza del Plebiscito]].</ref><ref>Elio Catello (2004), p. 23 e 29.</ref>.
 
Nel 1763, intanto, dovendo dare attuazione alla realizzazione del [[Piazza Dante (Napoli)|Foro Carolino]] per la quale aveva ricevuto incarico nel 1758, Vanvitelli aveva previsto fossero realizzate ventisei statue delle Virtù di re [[Carlo III di Spagna|Carlo III]]<ref group="N">In origine il progetto prevedeva un edificio emiciclo su tre piani, ma per le proteste delle monache di San Sebastiano, che vedevano così compromessa la propria visuale, l'architetto per ordine del re si limitò a due.</ref>. Dodici di queste vennero commissionate, nel febbraio 1763, al Conte Antonio del Medico, già fornitore di marmi del Samartino e proprietario di cave a Carrara e di magazzini "ricchissimi di busti e statue" alle c.d. Fosse del Grano, ove oggi sorge la [[Galleria Principe di Napoli]]. Le restanti quattordici, nel giugno dello stesso anno, vennero commissionate, tra gli altri al Sanmartino che le realizzò in diciotto mesi<ref name="Elio Catello 2004, p. 25">Elio Catello (2004), p. 25.</ref>.
 
Nonostante il rapporto apparentemente conflittuale tra il Sanmartino ed il Vanvitelli, quest'ultimo mostrerà verso il primo una notevole considerazione, trapelata dalla mancanza di aperte e violente critiche nei suoi confronti, non risparmiate invece ad altri scultori nelle lettere scambiate con il fratello Urbano<ref group="N">Se si esclude la generica critica rivolta ai "napoletani" nel caso della statua equestre.</ref>, la sua nomina quale perito in varie occasioni, la sua proposta di nomina a membro dell'Accademia di Belle Arti<ref>Elio Catello (2004), p. 24.</ref>.
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Nello stesso 1763 il Sanmartino lasciò l'abitazione "dirimpetto alla Porta piccola di San Giuseppe" e si trasferì in una casa proprietà di Francesco Cereo<ref>Nicolò Toppi (1678), ''Biblioteca napoletana et apparato a gli Huomini Illustri in Lettere, di Napoli e del Regno'', Napoli, Antonio Bulifon all'insegna della Sirena, p. 89.</ref> in strada Costigliola de' Carafa.<ref>Archivio Storico del Banco di Napoli, Giornale m. 1506, 14 novembre 1763, fol. 368 v.</ref><ref>Elio Catello (2004), p. 29.</ref> nei pressi di Largo di Mercatello e delle Fosse del Grano, ove si trovavano i suoi principali fornitori di marmo, e qui ampliò la propria bottega accogliendo allievi tra cui Giacomo Viva<ref>Archivio Storico del Banco di Napoli, Giornale m. 2135, 22 marzo 1777, fol. 238.</ref> e Giuseppe Gori<ref>Vincenzo Rizzo (2000), ''Documenti inediti su Sanmartino e i suoi allievi'', in Presepe Napoletano, p. 215 e ss.</ref>, quest'ultimo particolarmente attivo nella realizzazione di pastori presepiali.
 
Alla morte di Luigi nel 1773 gli subentrò, quale architetto regio, il figlio [[Carlo Vanvitelli]] che superò l'ormai consolidato orientamento di scegliere artisti "stranieri" in luogo di quelli locali, a tal punto che il Sanmartino risultò conteso dalle principali famiglie napoletane<ref name="Elio Catello 2004, p. 25"/><ref>[[Ruffo di Calabria]], [[Carafa]] della Roccella, Carducci Agustini, l'arcivescovo [[Giuseppe Capecelatro]], concordano nell'indicarlo come il maggiore scultore del Regno e ''il più celebre scultore di marmi che oggi sia''.</ref><ref>Elio Catello (2004), p. 25.</ref>; molte sono, inoltre, le commesse che gli pervennero dalla Corte borbonica<ref group="N">Dalla ''Gazzetta Universale'' del 25 febbraio 1775: ''Per la particolare devozione che la Maestà Sua porta a S. Francesco di Paola, ha ordinato che si faccia un bambino d'argento della grandezza del neonato Regio Principe...per rilevarne l'effige è stato chiamato il primo scultore di questa Capitale Don Giuseppe Sanmartino, il quale ha egregiamente adempita la sua commissione''.</ref> per la quale realizza anche molteplici lavori in stucco, oggi non ancora identificati, nell'appartamento della regina del [[Palazzo Reale (Napoli)|Palazzo reale di Napoli]]. Sempre a lui viene affidato inoltre, nel 1787, il restauro del ''Gigante'' di Palazzo<ref group="N">Si trattava di una statua colossale, forse un busto di Giove, originariamente priva di gambe e braccia, rinvenuta in scavi archeologici nell'area di Cuma. Nel 1688, in occasione dell'inaugurazione di una nuova daresena del porto di Napoli voluta dal viceré Antonio d'Aragona, venne collocata alla sommità della strada che collegava il porto con Largo di Palazzo, l'attuale Piazza del Plebiscito, e perciò stessa denominata ''"Gigante di Palazzo"'' così come ''"salita del Gigante"'' divenne la strada sopra detta e ''"[[fontana del Gigante]]"'' oggi a poca distanza da [[Castel dell'Ovo]]. Restaurata già in epoca vicereale, venne dotata di gambe e braccia mentre nelle mani vennero posti gli stemmi del viceré e della città di Napoli. La statua divenne ben presto "parlante" ospitando testi satirici specialmente contro il potere costituito; re Giuseppe Bonaparte la fece rimuovere ed ospitare nel [[Museo archeologico nazionale di Napoli]] nei cui giardini è ancora oggi visibile, privata delle superfetazioni di restauro, con l'indicazione ''Giove da Cuma''. L'ultimo testo satirico apparso sulla statua, proprio in occasione della sua rimozione, fu: ''lascio la testa al consiglio di stato, le braccia ai ministri, lo stomaco ai ciambellani, le gambe ai generali e tutto il resto a re Giuseppe''.</ref>.
 
Tra le sue opere napoletane si ricordano inoltre le figure dei Santi Pietro e Paolo e di Mosè ed Aronne (1792) sulla facciata della [[chiesa dei Girolamini]], i due [[Angeli reggi fiaccola (Giuseppe Sanmartino)|Angeli reggifiaccola]] (1787) all'interno della stessa chiesa<ref group="N">I due angeli vennero trasferiti al [[Museo nazionale di Capodimonte]] nel 1979 per una mostra sul settecento napoletano e vennero ricollocati nella loro sede originaria solo nel 2013 grazie all'impegno dell'allora rettore del complesso Umberto Bile.</ref>, gli stucchi nell'androne del palazzo di Sangro, le figure allegoriche in stucco presso i pilastri della crociera dell'Annunziata (intorno al 1780-81)<ref name=dbi/> ed il gruppo di ''Tobia e l'angelo'' nella [[Reale cappella del Tesoro di san Gennaro|cappella del Tesoro di san Gennaro]].<ref>{{cita web|accesso=30 settembre 2016|url=http://cir.campania.beniculturali.it/sangennaro/itinerari-tematici/nel-museo/T_OA10|titolo=Settecento napoletano|editore=Soprintendenza per i beni architettonici ed il paesaggio e per il patrimonio artistico e etnoantropologico di Napoli e provincia}}</ref>.
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Un posto di rilievo della produzione presepiale sanmartiniana occupa il gruppo della ''Natività'' a lui assegnata e oggi al [[Museo nazionale bavarese|Bayerisches Nationalmuseum]] di Monaco<ref>Elio Catello (2004), p. 168.</ref>.
 
Giuseppe Sanmartino morì a Napoli, nella casa di strada Costigliola de' Carafa, il 12 dicembre 1793<ref name="ReferenceA">Libro XIII dei defunti (1784-1799), fol. 181 v., Parrocchia Santa Maria dell'Avvocata</ref>, all'età di settantatré anni. Suo desiderio fu quello di essere sepolto nella vicina Chiesa della Concezione de' Cappuccini, o Sant'Efremo Nuovo, ubicata in strada della Salute<ref group="N">La chiesa venne distrutta da un incendio nel 1840; unica opera che se ne salvò fu il ''San Francesco d'Assisi'' scolpito dal Sanmartino per la sua tomba, oggi al [[Museo nazionale di San Martino]].</ref>.
 
== Repertorio delle opere di Giuseppe Sanmartino<ref>Elio Catello (2004), pp. 203 e sgg.</ref> ==
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=== Fonti ===
<references/>
{{References}}
 
== Altri progetti ==
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{{Controllo di autorità}}
{{Portale|biografie|Due Sicilie|scultura}}
 
[[Categoria:Scultori legati a Napoli]]