Orfismo: differenze tra le versioni

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{{Nota disambigua|descrizione=il movimento pittorico|titolo=Cubismo orfico}}
{{Torna a|Religione dell'antica Grecia}}
{{Approfondimento|larghezza = 250px|contenuto=[[File:8- NA.enf. bac. cruche D 2300.69054.jpg|center|80px]]<center>'''Il dio smembrato e l'origine dell'uomo'''</center><br>{{citazione|[...] e Orfeo ha tramandato che [[Dioniso]], nelle cerimonie iniziatiche, fu smembrato dai Titani.|Diodoro Siculo, V, 75,4}} Se conveniamo con [[Pausania il Periegeta|Pausania]]<ref>{{citazione|Il primo a introdurre i [[Titani]] in un poema fu [[Omero]], il quale affermò che essi sono dei e risiedono nel [[Tartaro (mitologia)|Tartaro]]. [...] Appreso da Omero il nome dei Titani, [[Onomacrito]] ordinò i "Sacri Misteri" di Dioniso e scrisse nel suo poema che Dioniso patì le sue pene per le mani dei Titani|Pausania, ''Viaggio in Grecia'' (Libro VII), VII, 37, 5. Traduzione di Salvatore Rizzo, Milano, Rizzoli, 2001, p.335}} Su Onomacrito cfr. Erodoto, ''Historìai'', VII, 6,3.</ref> il mito dello smembramento di Dioniso risale all'epoca di [[Pisistrato]], quindi al VI secolo a.C. assumendo nel corso del tempo numerose varianti che possono essere riassunte nel seguente racconto: Dioniso (anche Zagreus) nasce dalla relazione tra [[Zeus]] e [[Rea (mitologia)|Rea]]/[[Demetra]]/[[Persefone]]; la legittima sposa del re degli dèi, [[Era (mitologia)|Era)]], decide quindi di ucciderlo e allo scopo invia i Titani<ref>OF, 210 [7], dove vi è anche l'alternativa dei soli Titani resi invidiosi.</ref> che coperti il volto di gesso (γύψος)<ref>Marcel Detiene (''Dioniso e la pantera profumata'') evidenzia come il gesso sia sovente sovrapposto alla calce viva che è indicata con il termine ''títanos'' (τίτανος) ovvero quel genere di cenere (τέφρα) bianca frutto della combustione di qualsiasi calcare. Dal che «in tutte queste tradizioni incontriamo esseri nati dalla terra, e più precisamente formati da quell'elemento terroso mescolato al fuoco indicato, dal loro nome, come ''títanos'', calce viva.»</ref>, aggirano la guardia dei ''kuretes'', e ingannando il dio infante con giochi<ref>Una trottola, un rombo, delle bambole articolate, le mele delle esperidi e dei dadi (astragali); OF 34</ref> e uno specchio, lo uccidono, con la ''Tartária mácharia'' (il coltello infero), smembrandolo<ref>[[Clemente Alessandrino]], ''Protrettico'' II, 17 (OF 34 [1]); anche [[Arnobio]] ''Adv. nation.'' V, 19 (OF 34 [2]).</ref> e quindi cuocendo dapprima le carni<ref>La prima attestazione della cottura delle carni del dio è in Eufurione di Calchide, framm. 14 Powell; anche [[Callimaco]] framm. 643 Pfeiffer.</ref> e poi arrostendole allo spiedo<ref>Clemente Alessandrino, ''Protrettico'' II, 18 (OF 35).</ref><ref>Qui inserire il rovesciamento del procedere sacrificale Vernant ma anche Burkert et alii; anche il sacrificio alle Ὥραι descritto da Filocoro cfr. Ateneo XIV 656a in Ke 235: «Quando gli ateniesi sacrificano alle Ὥραι non arrostiscono la carne ma la fanno bollire. A queste dee chiedono di allontanare il caldo e la siccità»</ref>, ma il dio rinasce dopo che Rea ne raccolse le membra dilaniate ricongiungendole<ref>Filodemo di Gadara, ''Sulla pietà'' 44; anche Diodoro Siculo (ma qui è Demetra non Rea a raccogliere le membra, sempre che le due divinità non siano identificate) III, 62, 2-8; in Proclo e Olimpiodoro}} (OF 211 [1-2]) è Apollo a ricongiungere le membra; in [[Proclo]] ''Plat. Tim.'' 35a (OF 210 [1]) e Clemente Alessandrino, ''Protrettico'' II, 18 (OF 35) è Atena che ne raccoglie il cuore.</ref>. Proclo <ref>OF 210 [1-6].</ref>, che lo riferisce a Orfeo, ripreso da Károly Kerényi<ref>Cfr. ''Dioniso. Archetipo della vita indistruttibile'', 2.IV.</ref>, per il quale il mitologema è direttamente attribuibile a Onomacrito<ref>al poema τελεταί</ref>, descrive misticamente la suddivisione delle membra del dio in sette parti, con il cuore indiviso (in quanto "essenza indivisibile dell'intelletto"); segue la [[mmanducazione|manducazione]]<ref>La manducazione delle membra è attestata in [[Firmico Materno]]. ''De errore profanarum religionum'' 6 (OF 214 [2]). </ref> e dopo che i Titani hanno mangiato Dioniso interviene Zeus che con la folgore li incenerisce. Dall'αἰθάλη (non quindi dalle ceneri, σποδός, ma dai vapori, quindi dalla fuliggine e poi materia) prodotta dalla carbonizzazione dei Titani, che nel frattempo rientrano nel Tartaro, nasce l'uomo: mescolanza dei Titani e del dio Dioniso frutto del loro banchetto<ref>Cfr.D-K 220.</ref>. {{q|Fra le donne dionisiache, le serventi di Dioniso, ma non solo tra loro, si nasconde anche una nemica del dio che si svela e diventa la sua assassina! Tutti gli esseri umani sono così, perché tutti fatti della medesima sostanza dei primi nemici del dio; eppure tutti hanno in sé qualcosa che viene proprio da quel dio, la vita divina indistruttibile.|Károly Kerényi, ''Dioniso...'' p. 228 }} Il motivo del rifiuto della dieta carnea<ref>Il primo collegamento tra la dieta carnea degli uomini e lo sbranamento di Dioniso da parte dei Titani è in [[Plutarco]], ''De esu carnium'', 996 C anche OF 210.</ref>, proprio della "vita orfica", risiede quindi anche nel fatto che solo tale rifiuto impedisce a Persefone, giudice dei trapassati, di rivivere il dramma del figlio sbranato dai Titani di cui gli uomini sono eredi<ref>Cfr. Reynal Sorel ''Orfeo...'' p.92.</ref>, e quindi consente a questi di ottenere dalla dea un giudizio benevolo ovvero l'uscita dalla condizione della rinascita e l'ingresso nella vita beata.<ref>Pindaro, fr. 133,1 Maehler, dice che Persefone deve ottenere dai trapassati una "riparazione per un antico lutto", questo per potergli consegnare una "vita beata"; cfr. Walter Burkert ''La religione greca'', p. 532.</ref>}}
 
[[File:Ermes, Euridice, Orfeo.jpg|thumb|Bassorilievo in marmo di epoca romana, copia di originale greco del 410 a.C., che rappresenta Ermes, Euridice e Orfeo. L'opera originale, probabilmente di Alcamene, è andata perduta. Questo bassorilievo, conservato presso il [[Museo nazionale archeologico di Napoli]], è tra le testimonianze che attesterebbero l'esito negativo della [[catabasi]] di Orfeo già a partire dal V secolo a.C. Qui Orfeo voltatosi verso Euridice, le alza il velo, forse per verificare l'identità della donna e quindi la perde. Secondo l'opinione di Cristopher Riedweg<ref>Cfr. Cristopher Riedweg, ''Orfeo'', in ''Storia Einaudi dei Greci e dei Romani'', vol.4. Torino, Einaudi-Il Sole 24 Ore, 2008, p. 1259</ref> sarebbe infatti evidente che Ermes a questo punto trattenga per un braccio la sposa di Orfeo, che volge quindi il piede destro per tornare indietro.]]
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[[File:Orpheus death Louvre G416.jpg|thumb|Orfeo ucciso dalle menadi, in uno ''stamnos'' a figure rosse, risalente al V secolo a.C., oggi conservato al Museo del Louvre di Parigi. Questo dipinto racconta la morte di Orfeo secondo il mito che lo vuole ucciso dalle seguaci di Dioniso, da questo dio a lui inviate in quanto mosso dalla gelosia per l'ardore religioso che il poeta conservava nei confronti di Apollo, da lui invocato sul monte Pangaio (anche Pangeo) quando il sole, immagine di Apollo, sorgeva<ref>{{citazione|Non onorò (il soggetto sottinteso è Orfeo, reduce dalla catabasi) più Dioniso, mentre considerò più grande Elio, che egli chiamo anche Apollo; e svegliandosi la notte sul far del mattino, per prima cosa aspettava il sorgere del sole sul monte chiamato Pangeo per vedere Elio; perciò Dioniso, adirato, gli inviò contro le Bassaridi, come racconta il poeta tragico Eschilo: esse lo dilaniarono e ne gettarono via le membra, ciascuna separatamente; le Muse poi riunitele, le seppelirono nel luogo chiamato Libetra.| fr. 113 in ''Testimonianze e frammenti nell'edizione di Otto Kern''; traduzione di Elena Verzura. Milano, Bompiani, 2011, p.99}}</ref>.]]
[[File:Derveni-papyrus.jpg|thumb|Alcuni frammenti (relativi al ''Column XXI''<ref>Cfr. ''Plates'' in ''The Derveni Papyrus'' (a cura di Theokritos Koueremenos, George M. Parássoglou, Kyriakos Tsantsanoglou) in "Studi e testi per il corpus dei papiri filosofici greci e latini" 13. Firenze, Leo S. Olschki Editore, 2006, pp.309 e sgg.</ref>) del ''Papiro di Derveni'', risalente al IV secolo a.C., rinvenuto semicombusto in una necropoli scavata nei pressi della località di Derveni (Macedonia, a circa 10 km da Salonicco), probabile necropoli dell'antica località di Lete, e oggi conservato presso il Museo archeologico di Salonicco. Da evidenziare anche la vicinanza con Pella, centro dove, intorno al 400 a.C., Archelao aveva trasferito la capitale macedone, precedentemente collocata ad Aigai (oggi Vergina). Il ''Papiro'' è stato rinvenuto in una tomba appartenente ad un gruppo di due tombe di notevole rilevanza, affrescate e con corredo sontuoso, probabilmente appartenenti all'alta aristocrazia. Le tombe accoglievano i vasi dove erano state raccolte le ceneri dei defunti dopo la loro cremazione, in accordo con la credenza orfica del corpo inteso come "tomba" dell'anima. Il ''Papiro'', rinvenuto nella tomba A quella tra le due relativamente meno sontuosa, non faceva parte del corredo, anzi risulta semicombusto, rinvenuto insieme ad altri oggetti semicombusti prima dell'apertura della cassa: esso faceva quindi parte dei residui del rogo funerario. In origine, il ''Papiro'' doveva essere lungo più di tre metri, scritto su numerose colonne disposte verticalmente, ogni colonna conteneva tra le undici e le sedici righe, composte a loro volta da una decina di parole. Ciò che è stato rinvenuto è probabilmente quindi solo un decimo dello scritto originale. La lingua del testo è in dialetto ionico con elementi in attico. La sua datazione è confermata dalla presenza di una moneta di Filippo II rinvenuta nella tomba B. L'origine orfica del testo è confermata dalla presenza del nome di Orfeo (nella colonna 14 citato per ben due volte)<ref>Cfr. Angelo Bottini. ''Archeologia della salvezza. L'escatologia greca nelle testimonianze archeologiche''. Milano, Longanesi, 1992.</ref>.]]
[[File:Nascita di Elena dall'uovo (Paestum).jpg|thumb|«L'uovo, per gli orfici, è all'origine della vita, ne è la pienezza stessa: una vita però che degrada progressivamente sino al non-essere dell'esistenza individuale.»<ref>Marcel Detienne, cit. in Paolo Scarpi, ''Le religioni dei misteri'', vol.1 nota 695. Milano, Mondadori/FondazioneLorenzo Valla, p.629.</ref>. L'uovo, quindi, rappresenta per gli Orfici la compiutezza delle origini, ma in ambito greco può inerire anche ad altri miti come quello che riguarda la nascita di Elena. In questo particolare di un'anfora, dipinta da Python (IV secolo a.C.), rinvenuta nella Tomba 24 di Andriuolo ed esposta presso il Museo archeologico nazionale di Paestum, viene raccontata per mezzo di una scena teatrale uno dei mitomiti riguardanti la nascita di Elena (Ἑλένη). Zeus intende unirsi con Nemesi, la dea che indica la potenza della "giusta ira" nei confronti di coloro che violano l'ordine naturale delle cose. Ma Nemesi, piena di pudore, fugge il re degli dèi, dapprima lungo la terra, poi in mare e infine in cielo dove assunto il corpo di un'oca viene raggiunta da Zeus che prende la forma di un cigno unendosi in questo modo alla dea. Ermes raccoglie l'uovo, frutto dell'unione divina, e lo consegna a Leda (Λήδα), moglie del re di Sparta Tindareo (Τυνδάρεως). Compito della coppia regale è ora quello di eseguire la volontà divina di Zeus, ovvero di porre l'uovo divino su un altare ancora caldo delle ceneri di un sacrificio, provocandone in questo modo la schiusa. [[File:Elena nasce dall'uovo.jpg|right|100px]] Qui viene raffigurata la ''ekkolapsis'' (ἐκκόλαψις, la schiusa dell'uovo) da dove emerge la divina e bellissima Elena, circondata da Leda e da Tindareo. Alcuni studiosi hanno ritenuto di scorgere delle connessioni tra queste raffigurazioni del mito di Elena e le teologie orfiche diffuse lungo le colonie greche in Italia<ref>Cfr. Angelo Bottini, ''Archeologia della salvezza. L'escatologia greca nelle testimonianza archeologiche''. pp. 64 e sgg.</ref>.]]
[[File:Dioniso Niño Museo de Málaga.jpg|thumb|Dioniso bambino munito di corna in una scultura romana del II secolo d.C. Il primo Dioniso (anche Zagreo (Ζαγρεύς, ''Zagreus'')<ref>Sulla figura di Dioniso/Zagreus cfr. ''Il nucleo cretese del mito di Dioniso-Zagreus'' in Károly Kerényi, ''Dioniso''. Milano, Adelphi, 2011, pp.94 e sgg.</ref> verrà divorato dai Titani la cui folgorazione da parte di Zeus darà, secondo l'antropogonia orfica, origine all'umanità.{{citazione|il ventre di Persefone si gonfia di un frutto fecondo <br>e genera Zagreo, bambino munito di corna, che sale, lui solo, <br>sul trono celeste di Zeus; con la sua piccola mano <br>vibra il fulmine, è nelle sue mani puerili <br>di un neonato che si librano le saette. <br>Ma non occupa per molto il trono di Zeus, perché i Titani, <br>astuti, cosparso il volto con del gesso ingannatore, <br>spinti dalla rabbia profonda e spietata di Era, <br>lo uccidono con un pugnale venuto dal Tartaro, <br>mentre guardava la sua falsa immagine riflessa nello specchio.|Nonno di Panopoli, ''Dionisiache'' VI, 165-172. Traduzione di Daria Gigli Piccardi, Milano, Rizzoli, 2006, pp.483-485}}]]
 
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Un frammento, che richiama Eudemo da Rodi (IV secolo a.C.) riprende la Notte come origine di tutte le cose:
{{citazione|La teologia esposta nell'opera del peripatetico Eudemo come se fosse di Orfeo ha taciuto tutto ciò che è intellegibile, in quanto totalmente indicibile e inconoscibile [...] ha posto come principio la Notte, dalla quale inizia pure Omero, anche se non ha reso continua la genalogia. Infatti non si deve accogliere l'affermazione di Eudemo che inizi da Oceano e Teti: infatti egli sembra essere consapevole che pure la Notte è una divinità grandissima, a tal punto che anche Zeus la venera: "Infatti egli temeva di compiere azioni sgradite alla Notte veloce". Ma Omero stesso deve cominciare dalla Notte; invece mi pare di capire che sia stato Esiodo per la prima volta, narrando del Caos ad aver chiamato il Caos la natura inconoscibile dell'intellegibile e compiutamente indifferenziata e a far derivare da lì la Terra come il principio primo, come il principio primo, se così si può dire, dell'intera generazione degli dei; a meno che il Caos non sia il secondo dei due principi, mentre la Terra, il Tartaro e Eros i tre oggetti dell'intuizione ed Eros è al terzo posto, in quanto contemplato secondo un ritorno. Questa espressione è impiegata pure da Orfeo nelle rapsodie: la Terra è al primo posto, in quanto per prima si è solidificata in una massa solida e stabile, il Tartaro a quello intermedio, perché già mosso verso una differenziazione.|Eudemo da Rodi. ''Frammento 150'', in ''Orfici. Testimonianze e frammenti nell'edizione di Otto Kern'', 28 [1]; traduzione di Elena Verzura. Milano, Bompiani, 2011, p.227}}
 
Un'altra teogonia di stampo orfico è quella attribuita a Ieronimo e a Ellanico di datazione incerta<ref>{{citazione|Tale teogonia [...] è di cronologia assai incerta: contro l'opinione precedente (cf. per es. Zeller I I, 128-129) che la riteneva più tarda della teogonia rapsodica, si è poi affermata la tesi che vada datata tra la teogonia secondo Eudemo (Kern, Ziegler). E se realmente anche questo frammento si può accettare come sua testimonianza, si potrebbe collocarne la data fra il terzo secolo a.C. e il primo secolo d.C.|Giorgio Colli. ''La sapienza greca'', vol.1, p. 413}}</ref> e che viene riportata nel modo più esauriente da Damascio<ref>''De principis'' 123 bis</ref> nel VI secolo d.C.:
* all'inizio vi è l'acqua (''hýdōr'', ὕδωρ) e la materia (''hýlē'', ὕλη); da questi si condensa la terra (''gē'', γῆ);
* prima di questi non c'è nulla, osserva Damascio, forse perché il "prima" è di natura "indicibile" quindi tramandato segretamente;
* dall'acqua e dalla terra prese origine un serpente (''drákōn'', δράκων) avente la testa di un toro e quella di un leone e in mezzo tra queste il volto di un dio, aveva anche le ali poste dietro le spalle, il suo nome era Tempo (Χρόνος, Chronos<ref>Da non confondersi con il titano esiodeo Κρόνος, Kronos.</ref>) privo di vecchiaia (''agèratos'', ἀγήρατος), e ma ebbe anche il nome di Eracle (Hēraklēs, Ἡρακλῆς);
* a questo serpente era congiunta Ananke (Ἀνάγκη, Necessità) incorporea, per natura identica ad Adrastea (Ἀδράστεια), con le braccia aperte a contenere ("ne raggiunge i limiti", ''peráton'') tutto il mondo (''kosmoi'');
* Tempo, il serpente, è padre di Etere umido, di Chaos senza limiti e di Erebo nebbioso; in questa triade Tempo genera l'uovo;
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{{citazione|Presso Orfeo sono tramandati quattro regni: primo quello di Urano, che ricevette Crono<ref>Si tratta del titano Kronos (Κρόνος).</ref>, una volta che ebbe evirato i genitali del padre; dopo Crono regnò Zeus, che scaraventò nel Tartaro il genitore; in seguito, a Zeus successe Dioniso che, dicono, i Titani gravitanti intorno a lui dilaniarono, per una macchinazione di Era, e si cibarono delle sue carni. E Zeus, colto dallo sdegno, li folgorò e, generatasi la materia dalla cenere fumante da essi prodotta nacquero gli uomini; dunque, non bisogna che facciamo morire noi stessi, non solo come sembra dire il mito, perché siamo in un carcere, il corpo (questo infatti è chiaro), e non lo avrebbe detto affinché restasse segreto, ma non bisogna far morire noi stessi, anche perché il nostro corpo è dionisiaco: infatti noi siamo parte di lui, se è vero che siamo formati dalla cenere dei Titani, che ne mangiarono le carni.|Olimpiodoro. ''Commento al Fedone di Platone''; fr. 220 ''Orfici. Testimonianze e frammenti nell'edizione di Otto Kern'', p.509}}
 
Nel complesso queste teogonie presentano un inizio caratterizzato da ununa sfera perfetta nella Notte cosmica, quindi, successivamente, ancora una totalità rappresentata da Phanes (Luce, "vengo alla Luce") androgino e con le ali dorate, completo in sé stesso, tuttavia dai lineamenti irregolari, e, infine, da questa unità ancora perfetta un insieme di accadimenti conducono a dei processi di differenziazione. Quindi emerge Zeus in cui tutto viene riassorbito e rigenerato nuovamente per una seconda processione, dalla quale emerge Dioniso il quale, tuttavia, per una macchinazione di Era, sposa di Zeus, verrà divorato dai Titani. Zeus irato scaglia contro costoro il fulmine: dalla fuliggine provocata dalla combustione dei Titani sorgono gli uomini composti dalla materia di questa, mischiata con la parte dionisiaca frutto del loro banchetto<ref>Un testo riportante il mito di Dioniso/Zagreus dilaniato dai Titani è, per André-Jean Festugière, in circolazione a partire dal III secolo a.C., cfr. Giovanni Pugliese Carratelli, ''Tra Cadmo e Orfeo'', p.395 </ref>.
 
Nota Jean-Pierre Vernant:
{{citazione|In Esiodo, l'universo divino si organizza secondo un progresso lineare che porta dal disordine all'ordine, da uno stato originario di confusione indistinta fino a un mondo differenziato<ref>Rendiamo qui secondo il testo francese che correttamente riporta «un mondé differencié» (Cfr. Jean-Pierre Vernant. ''Mythe et religion en Gréce ancienne''. Parigi, Édition du Seuil, 1990 p.105); così come nell'originale in lingua inglese pubblicato nel 6° volume della ''Encyclopedia of Religion'' nel 1987 per la Macmillan di New York sotto la voce ''Greek Religion'' dove per l'appunto viene riportato come «a differentiated world»; questa edizione italiana (Donzelli, 2009) commette invece un refuso di traduzione riportando «mondo indifferenziato».</ref> e gerarchizzato sotto l'immutabile autorità di Zeus. Negli orfici è l'inverso: all'origine, il Principio, Uovo primordiale o Notte, esprime l'unità perfetta, la pienezza di una totalità chiusa. Ma l'Essere disi degrada a mano a mano che l'unità si divide e si disloca per far apparire forme distinte, individui separati. A tale ciclo di dispersione deve far seguito un ciclo di reintegrazione delle parti nell'unità del Tutto. Sarà, alla sesta generazione<ref>Qui Vernant segue la lezione del frammento 107 (Proclo. ''Commento al Timeo di Platone'', III, 168) che recita: «Orfeo tramandò secondo il numero perfetto come sovrani degli dei, preposti al governo dell'universo, Fanes, Notte, Urano, Crono, Zeus e Dioniso: infatti Fanes si procura per primo lo scettro; e per primo regno il celebre Erichepeo; per secondo la Notte, che lo ricevette dal padre; per terzo Urano, che lo ricevette dalla Notte; e per quarto Crono, che come dicono soggiogò suo padre con la violenza, per quinto Zeus vinto il padre, e dopo costui per sesto Dioniso» in ''Orfici. Testimonianze e frammenti nell'edizione di Otto Kern'', p.375</ref>, l'avvento del Dioniso orfico, il cui regno rappresenta il ritorno all'Uno, la riconquista della Pienezza perduta. Ma Dioniso non gioca soltanto la sua parte in una teogonia che sostituisce all'emergenza progressiva di un ordine differenziato una caduta nella divisione [...]. Nel racconto del suo smembramento da parte di Titani che lo divorano, della sua ricorstruzione a partire dal cuore conservato intatto, [...] della nascita , a partire dalle loro ceneri, della razza umana [...] lo stesso Dioniso assume nella sua persona di dio, il doppio ciclo di dispersione e di riunificazione, nel corso di una "passione" che impegna direttamente la vita degli uomini perché fonda miticamente l'infelicità della condizione umana al tempo stesso in cui apre ai mortali, la prospettiva della salvezza.|Jean-Pierre Vernant. ''Mito e religione in Grecia antica''. Roma, Donzelli, 2009, p. 49-50}}
 
Giorgio Colli non recepisce nella ''Teogonia orfica'' un atteggiamento pessimistico nei confronti del mondo:
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Tale liberazione poteva essere conseguita, secondo gli orfici, seguendo una "vita pura", la "vita orfica" (''bios orphikos'' Ὀρφικὸς βίος) dettata da una serie di regole non derogabili, la principale delle quali consiste nell'astinenza dalle uccisioni (Φόνου απέχου) da cui consegue il rifiuto del culto sacrificale e quindi un'alimentazione vegetariana.
{{q|Negli orfici, la condanna radicale del sacrificio, assimilato all'uccisione sacrilega commessa in origine dai Titani, implica un modo del tutto diverso di concepire lo ''status'' dell'uomo e, nello stesso tempo, il rifiuto della religione ufficiale. [...] Fatti della stessa materia bruciata degli esseri da cui sono nati, gli umani portano, in virtù della loro eredità titanica, il peso della colpa criminale che ha segnato la loro origine e che li ha destinati a una vita di espiazione. Ma essi partecipano anche di Dioniso, di cui i loro antenati hanno assimilato la carne divorandone una parte. [...] Accettando di sacrificare agli dèi un animale alla maniera di Prometeo, come vuole il culto ufficiale, gli uomini non fanno altro che ripetere, all'infinito, la colpa dei Titani. Rifiutando invece questa pratica, vietandosi di versare sangue animale, evitando l'alimentazione carnea per consacrarsi a una vita purificata dall'ascesi, e nello stesso tempo estranea alle norme sociali e religiose della città, gli uomini si spoglierebbero di tutto ciò che la loro natura comporta di titanico e reintegrerebbero in Dioniso quella parte di loro stessi che è divina.|Jean-Pierre Vernant, ''La cucina del sacrificio in terra greca'', p. 56}}
{{q|L'omicidio di Dioniso da parte dei Titani viene ad illustrare direttamente il principale insegnamento dispensato da Orfeo: "astenersi dalle uccisioni, dai ''phonói''", con la doppia esortazione di a cessare di mangiare carne e a porre fine all'assassinio di essere umani. Attraverso questo mito, Orfeo insegna agli uomini che bisogna rifiutare qualsiasi sacrificio cruento, dal momento che tale rituale, lungi dal permettere di instaurare delle relazioni con gli dei, riproduce, in forma appena contraffatta, un crimine di cui il genere umano continuerà ad essere partecipe fin quando non avrà riconosciuto definitivamente la sua origine titanica ed avrà iniziato a purificare, grazie al tipo di vita detto orfico, l'elemento divino imprigionato in lui dalla voracità di coloro che, un tempo, hanno sgozzato il giovane Dioniso.|Marcel Detienne, ''Dioniso e la pantera profumata'', p.142-3}}
 
Considerando il rifiuto del sacrificio animale e la conseguente alimentazione vegetariana, l'unico atto di servizio divino per gli orfici, come per i pitagorici, resta l'offerta di incenso <ref>Walter Burkert, ''La religione greca'', p. 540.</ref>; vi è anche il rifiuto di mangiare fave e uova<ref>Plutarco, ''Quaestiones convivales'', 635 e Macrobio ''Saturnali'' VII, 16, 8.</ref>, e di bere vino<ref>Platone, ''Leggi'', 672 b.</ref><ref>Walter Burkert, ''La religione greca'', p. 537.</ref>.
 
==Note==