Teoria marxiana del valore: differenze tra le versioni

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In tale ottica il valore non è più una proprietà "naturale", ma risulta connesso alle determinazioni specifiche, storiche di tale modo di produzione.
 
==La merceteoria classica del valore==
Nel pensiero degli [[economisti classici]] convivevano due concezioni del valore, quella oggettiva del [[valore (economia)#valore d'uso|valore d'uso]] e quella soggettiva del [[valore (economia)#valore commerciale|valore di scambio]].
I diversi esponenti di tale scuola cercarono di elaborare una [[teoria del valore]] che spiegasse il rapporto fra i due aspetti del valore<ref name=Firpo>Luigi Firpo, Introduzione a Carlo Marx, ''Il capitale'', Torino, UTET, 1963, pag. XXIV</ref>.
===Adamo Smith===
La risposta di Smith si fondava sul principio, fondamentale nella costruzione dell'economista scozzese, della [[divisione del lavoro]].
Se ogni soggetto (persona o impresa) si specializza nel produrre un solo tipo di beni, ed offre i propri beni in cambio di quelli prodotti dagli altri soggetti, diceva Smith, apparentemente vi è uno scambio di merci, ma in effetti vi è uno scambio di lavoro. Conseguentemente le merci e il denaro sono solamente lavoro accumulato<ref name=Firpo/>.
 
===David Ricardo===
David Ricardo dedicò il primo capitolo della sua opera più estesa ed organica, i ''Principi di economia politica e della tassazione'', proprio alla teoria del valore. Qui egli sviluppò la teoria del valore smithiana, precisando ad esempio che bisogna considerare non solo il lavoro direttamente applicato al prodotto finito, ma anche quello applicato ai macchinari utilizzati per produrlo<ref>David Ricardo, ''Sui principi dell'economia politica e della tassazione'', Milano, Oscar Mondadori, 1979</ref>.
==La teoria di Marx==
 
===La merce===
Nella sua opera matura, [[Il Capitale]] ([[1867]]), Marx inizia così la sua analisi:
 
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Parliamo di valore di scambio quando mettiamo in relazione tra di loro più merci, mentre ogni merce possiede una caratteristica immanente che si manifesta esteriormente nel valore d'uso. La caratteristica, comune a tutte le merci, è quella di essere prodotto del [[Lavoro (economia)|lavoro]].
 
===Lavoro concreto e lavoro astratto===
Secondo Marx anche il lavoro possiede il duplice carattere della merce. Può essere infatti visto come:
*''lavoro concreto'', qualitativamente definito, volto a produrre questo o quel [[valore d'uso]]; oppure come
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Per Marx già dall'analisi della merce è possibile riscontrare alcune caratteristiche universali ed altre proprie del modo di produzione capitalistico. Così, è universale il valore d'uso dei beni, la loro caratteristica di essere utili; come pure è universale il fatto che il lavoro umano venga impiegato per produrre oggetti utili. Ad esempio anche nella comunità familiare o nell'antica comunità tribale i beni disponibili per il consumo assumono tale caratteristica. Al contrario, il lavoro diviene astratto solo con un tipo di produzione storicamente determinato, con la produzione di merci, e ancor di più con la produzione capitalistica sviluppata, che generalizza la forma di merce del prodotto.
 
===Il feticismo della merce===
{{Citazione|A prima vista, una merce sembra una cosa triviale, ovvia. Dalla sua analisi, risulta che è una cosa imbrogliatissima, piena di sottigliezza metafisica e di capricci teologici. Finché è valore d'uso, non c'è nulla di misterioso in essa, sia che la si consideri dal punto di vista che soddisfa, con le sue qualità, bisogni umani, sia che riceva tali qualità soltanto come prodotto di lavoro umano. È chiaro come la luce del sole che l'uomo con la sua attività cambia in maniera utile a se stesso le forme dei materiali naturali. P. es. quando se ne fa un tavolo, la forma del legno viene trasformata. Ciò non di meno, il tavolo rimane legno, cosa sensibile e ordinaria. Ma appena si presenta come merce, il tavolo si trasforma in una cosa sensibilmente sovrasensibile. Non solo sta coi piedi per terra, ma, di fronte a tutte le altre merci, si mette a testa in giù, e sgomitola dalla sua testa di legno dei grilli molto più mirabili che se cominciasse spontaneamente a ballare.|[[Carlo Marx|K. Marx]], ''[[Il Capitale]]'', Libro I, 1}}
Marx osserva che la legge del valore si dispiega nel modo di produzione capitalista, in cui il lavoro è lavoro "alienato".
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Marx nota come la produzione sviluppata di merci presenti anche un altro aspetto. Infatti, nel modo di produzione schiavistico o feudale i rapporti sociali che si instauravano tra i soggetti erano trasparenti e apparivano immediatamente come rapporti personali. Così, ad esempio, la ''corvée'', al pari del lavoro salariato delle società capitalistiche, si misurava col tempo, ma ogni servo della gleba sapeva bene che egli alienava al servizio del suo padrone una quantità determinata del suo tempo di lavoro. Al contrario, nel modo di produzione capitalistico questi rapporti personali appaiono come travestiti in rapporti fra le cose, assumendo forme fenomeniche che celano sempre più le loro forme essenziali. Ciò in qualche modo nasconde l'intima essenza della relazione, e questo perché gli agenti sociali hanno conoscenza immediata solo delle apparenze (ad esempio il [[prezzo]] delle merci o il [[salario]] quale non meglio identificato equivalente delle prestazioni lavorative), e non riescono a percepire la realtà che si cela dietro le apparenze. Il prodotto della mano dell'uomo, la merce, assume in apparenza un'esistenza indipendente che cela i rapporti sociali esistenti tra gli uomini; si comporta cioè come i "feticci ideologici" cui si attribuisce una vita indipendente. Così, le merci, da pure e semplici cose, prodotto del lavoro umano, assurgono al ruolo di rapporto sociale, e, nello stesso modo, anche i rapporti sociali fra gli uomini assumono l'aspetto, nello scambio, di rapporti tra cose.
 
===Dalla merce al denaro===
Per Marx la "forma cellulare" della società contemporanea, la merce, contiene già in potenza alcune contraddizioni che si possono sviluppare e trasferire ad un livello più generale. Per il produttore o per chi la possiede temporaneamente per venderla essa non ha valore d'uso immediato, "altrimenti non la porterebbe al mercato", e la sua utilità consiste solo nell'essere mezzo di scambio, nel poter essere realizzata attraverso lo scambio con un equivalente. Tuttavia la merce, per potersi realizzare come valore, deve essere desiderata da altri, "dar prova di sé come valore d'uso"; e solo lo scambio può sancire l'esistenza di tale condizione. Questa opposizione latente all'interno della natura stessa della merce, tra valore d'uso e valore di scambio, si dispiega con l'estensione dello scambio e soprattutto con la produzione capitalistica, il cui fine ultimo non è il valore d'uso, ma l'appropriazione e l'accumulazione di ricchezza astratta in forma monetaria.
 
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Nello scambio le merci sono socialmente commensurabili e si presentano come quantità diverse, desumibili dal loro prezzo, di una stessa merce speciale: il denaro. Quest'ultimo è la "forma fenomenica necessaria" della "misura immanente" del valore delle merci, del tempo di lavoro, e si contrappone alle altre merci, ai valori d'uso, come unica esistenza adeguata del valore di scambio. Lo sdoppiamento interno tra valore di scambio e valore d'uso di una merce si sviluppa quindi, per Marx, nello sdoppiamento esterno tra merce e denaro, in cui l'una conta sempre come valore d'uso, l'altro come valore di scambio.
 
===La metamorfosi della merce===
Marx osserva come la circolazione delle merci non sia altro che una infinita serie di cambiamenti di mano fra merce e denaro. Il potenziale venditore, per il quale la merce è immediatamente solo depositaria di valore, e non valore d'uso, la dovrà scambiare contro denaro, sola forma di equivalente socialmente valida. Dopo di che potrà appropriarsi di un'altra merce che sia finalmente per lui oggetto d'uso.
 
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È da notare per inciso che Marx, partendo da questa forma astratta della metamorfosi della merce, formula una critica rigorosa alla ''legge degli sbocchi'' (o [[legge di Say]]), secondo la quale non può esserci crisi generalizzata di realizzo perché ognuno vende per acquistare, si procura cioè con la vendita il denaro che gli è utile per futuri acquisti, e quindi ogni offerta dà luogo ad una domanda di pari importo. Marx osserva invece che lo spezzarsi in due fasi della metamorfosi, il fatto che il venditore può differire il suo successivo acquisto, o [[tesaurizzazione|tesaurizzare]] il denaro, determina la possibilità della crisi, in ciò anticipando un'importante intuizione di [[John Maynard Keynes]].
 
===La metamorfosi del capitale===
Ma per Marx anche la "metamorfosi della merce" deve necessariamente svilupparsi in altro: nella "metamorfosi del capitale".
 
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Il generalizzarsi dello scambio, attraverso l'introduzione del capitale, il farsi merce della forza-lavoro, lo scambio tra capitale e lavoro, determina il diritto dei capitalisti di appropriarsi del lavoro altrui, rovesciando il presupposto della circolazione semplice, in cui ognuno è proprietario del prodotto del proprio lavoro.
 
===Processo lavorativo e processo di valorizzazione===
Il capitalista consuma la forza lavoro acquistata secondo il suo valore d'uso, cioè facendola lavorare. Visto che il lavoro deve rappresentarsi in merci, questo deve essere speso in forma utile, per la produzione di valori d'uso. Infatti "''nessuna cosa può essere valore senza essere oggetto d'uso. Se è inutile, anche il lavoro contenuto in essa è inutile, non conta come lavoro e non costituisce quindi valore''" (Capitale I pag. 73).
 
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Tale processo coincide col "processo di valorizzazione del capitale".
 
=== Il plusvalore ===
Quest'ultimo risultato è per Marx possibile perché il lavoro necessario alla reintegrazione del valore della forza-lavoro assorbe solo una frazione dell'intera giornata lavorativa. Così, ad esempio, mentre la giornata lavorativa è di otto ore, nell'equivalente pagato per l'uso giornaliero della forza lavoro, nel salario, sono oggettivate solo cinque ore. Il lavoro svolto nelle rimanenti tre ore (''pluslavoro'') determina il ''plusvalore'' di cui si appropria il capitale e rappresenta l'entità della sua valorizzazione.
 
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#'''Plusvalore relativo'''. Sono questi i metodi che consentono di ridurre le ore di lavoro necessario o, che è lo stesso, del capitale variabile. Infatti, ponendo costante la durata della giornata lavorativa, al diminuire delle ore di lavoro necessario il pluslavoro aumenta. Poiché il salario non può scendere al di sotto del livello di sussistenza, il modo tipico di ridurre il tempo di lavoro necessario è l'aumento della [[produttività]] del lavoro: se occorrono meno ore di lavoro per produrre i beni di consumo dei lavoratori, si riduce il lavoro necessario anche senza diminuire i consumi dei lavoratori, cioè i [[salario reale|salari reali]].
 
===Capitale costante e capitale variabile===
Per Marx l'altra condizione per la valorizzazione del capitale è che il valore dei mezzi di produzione si trasferisca completamente nel prodotto, che il lavoro speso nel processo abbia la duplice proprietà di creare nuovo valore e di trasferire nel valore del prodotto – parallelamente alla creazione di nuovo valore, senza nessun lavoro supplementare – il "lavoro morto" contenuto nei mezzi di produzione. Questo duplice effetto scaturisce dalla duplice proprietà del lavoro di essere lavoro astratto e lavoro utile.
 
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Si noti poi che tutto il capitale anticipato è dapprima in forma di denaro, e solo dopo l'acquisto dei mezzi di produzione e l'uso della [[forza-lavoro]] esso si materializza in altro. Il valore del capitale costante e del capitale variabile non può che essere quindi dato dal lavoro astratto rappresentato dal denaro che è stato speso per l'acquisizione di tali fattori, che poi è anche il lavoro speso e socialmente validato dal mercato per la produzione dei mezzi di produzione e per la riproduzione della forza lavoro.
 
===Funzione della teoria del valore in Marx===
La teoria del valore, nell'analisi di Marx, è pertanto uno strumento per indagare i rapporti sociali e le caratteristiche specifiche delle società contemporanee. Essa è inoltre uno strumento per indagarne le "leggi di movimento".
 
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Dall'altro lato, essendo il lavoro l'unica fonte del plusvalore, limitata dal numero di lavoratori impiegati e dalla durata della giornata lavorativa e contrapposta al valore incessantemente crescente già oggettivato nel capitale impiegato, viene a determinarsi un'altra causa di crisi nella tendenza alla diminuzione del saggio del profitto che è il rapporto tra queste due grandezze (il plusvalore e il valore del capitale impiegato). Questa seconda causa viene denominata [[Caduta tendenziale del saggio del profitto|legge della caduta tendenziale del saggio del profitto]].
 
===La determinazione del valore nel Libro I del Capitale===
Nel Libro I de [[Il Capitale]], l'unico giunto a pubblicazione vivo l'autore - in cui si tratta l'immediato processo di produzione e valorizzazione astraendo dalla mediazione operata dalla competizione tra capitali - Marx non prende in considerazione l'operare della tendenza all'uguaglianza del saggio di [[profitto]] nei diversi settori produttivi, risultato della concorrenza esterna dei capitali alla ricerca della migliore allocazione, e ipotizza di conseguenza che le merci si scambino in proporzione alla quantità di lavoro astratto sociale in esse contenuto, o meglio che i rapporti di scambio effettivi nel mercato oscillino attorno a questo "centro di gravità". Assume in pratica l'uguaglianza tra ''prezzi di produzione'' e ''valori di produzione''.
 
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Quest'ultima relazione ci dice che a parità di ''saggio di sfruttamento della forza lavoro'' (<math>Pv/V</math>) il saggio del profitto è una funzione decrescente della composizione organica del capitale (<math>C/V</math>). Infatti, quando aumenta questa seconda espressione, si accresce il denominatore dell'ultima equazione.
 
===Il problema della trasformazione dei valori in prezzi di produzione===
 
{{vedi anche|Problema della trasformazione dei valori in prezzi di produzione|Controversia sul problema della trasformazione dei valori in prezzi di produzione}}