Carmine Crocco: differenze tra le versioni

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Crocco, nel periodo di [[Pasqua]] del [[1861]], occupò la zona del [[Vulture]] nel giro di dieci giorni. In ogni territorio conquistato, dichiarava decaduta l'autorità sabauda, istituiva una giunta provvisoria, ordinava che fossero esposti nuovamente gli stemmi e i fregi di [[Francesco II delle Due Sicilie|Francesco II]] e faceva intonare il ''[[Te Deum]]''. Secondo le cronache dell'epoca, gli assedi dell'armata di Crocco furono sanguinari e disumani: persone appartenenti, prevalentemente, alla classe borghese e liberale venivano ricattate, rapite o uccise da Crocco in persona o dai suoi uomini e le loro proprietà venivano depredate. Nella maggior parte dei casi, però, egli e le sue bande venivano accolti positivamente e supportati dal ceto popolare.<ref>{{cita|Montanelli|p. 88}}.</ref> Lo stesso Del Zio ammise che il brigante «aveva proseliti in ogni comune, era il terrore dei commercianti» e dei «grandi proprietari, o coloni di vaste ed estese masserie, ai quali un semplice biglietto di Crocco per aver denari, vitto ed armi, era più che sufficiente a gettarli nel terrore».<ref>{{cita|Del Zio|p. 137}}</ref>
 
Il 7 aprile occupò [[Lagopesole]] (rendendo il [[castello di Lagopesole|castello]] una roccaforte) e il giorno successivo [[Ripacandida]], dove sconfisse la guarnigione locale della [[Guardia Nazionale Italiana]] e lo stesso Anastasia, che aveva denunciato Crocco per il suo rapimento, venne trucidato.<ref>{{cita|Cinnella|p. 95}}</ref> Il 10 aprile i briganti entrarono a [[Venosa]] e la saccheggiarono, mettendo in fuga i militi della Guardia Nazionale e la cittadinanza borghese che si rifugiarono nel [[Castello Aragonese (Venosa)|castello]]. Il popolo, accorso entusiasta incontro ai briganti, indicò loro le case dei galantuomini. Durante l'occupazione di Venosa, venne assassinato Francesco Saverio Nitti, medico ex [[carbonaro]], nonno dell'[[Francesco Saverio Nitti|omonimo statista]], e la sua abitazione fu razziata.<ref>{{cita|Del Zio|p. 129}}</ref> Fu poi la volta di [[Lavello (Italia)|Lavello]], in cui Crocco fece istituire un tribunale che giudicò 27 liberali; le casse comunali furono svuotate di 7.000 ducati ma, davanti alla supplica del cassiere comunale di lasciare il denaro per i poveri, Crocco ne prese solamente 500.<ref>{{cita|Bourelly|p. 135}}.</ref> Dopo Lavello toccò a [[Melfi]] (15 aprile), dove Crocco fu accolto trionfalmente (anche se alcuni ricordano mestamente l'entrata dei suoi uomini nella città melfitana per via della macabra uccisione e mutilazione del [[parroco]] Pasquale Ruggiero).<ref>{{cita web|url=http://www.cittadimelfi.it/origini-e-storia.html|titolo= Città di Melfi, storia e origini|accesso=27 gennaio 2008}}</ref> L'occupazione di Melfi destò particolare preoccupazione da parte del regno Italiano, tant'è che lo stesso Garibaldi venne informato dai patrioti meridionali del «governo provvisorio a Melfi» e ne fece menzione durante un'interpellanza parlamentare.<ref>''Atti parlamentari dello Senato'', Tip. E. Botta, 1861, p. 628</ref>
 
Con l'arrivo di rinforzi piemontesi da [[Potenza (Italia)|Potenza]], [[Bari]] e [[Foggia]], Crocco fu costretto ad abbandonare [[Melfi]] e, con i suoi fedeli, si spostò verso l'avellinese, occupando, qualche giorno dopo, comuni come [[Monteverde (Italia)|Monteverde]], [[Aquilonia]] (a quel tempo chiamata "Carbonara"), [[Calitri]], [[Conza della Campania|Conza]] e [[Sant'Angelo dei Lombardi]].<ref>A. Maffei count, Marc Monnier, ''Brigand life in Italy, vol.2'', Hurst and Blackett, 1865, p.39</ref><ref>{{cita|Del Zio|p. 23}}.</ref> Il 16 aprile tentò di prendere Rionero, il suo paese natale, ma venne respinto dalla resistenza degli abitanti locali del partito democratico, guidati dalle famiglie Brienza, Grieco e D'Andrea che riunirono contro le forze di Crocco i piccoli proprietari e i professionisti, e subito dopo, con una petizione in cui raccolsero circa 300 firme, denunciarono alle autorità come manutengoli<ref>Ossia protettori e complici</ref>, i componenti della famiglia Fortunato, fra cui [[Giustino Fortunato (1777-1862)|Giustino]], capo del governo Borbonico dopo la repressione dei moti del [[1848]].<ref>{{cita|Slupo|p. 112-113}}.</ref> Dopo un'altra sconfitta nei pressi di [[San Fele]], il 10 agosto riottenne una vittoria a [[Ruvo del Monte]] con il supporto popolare, trucidando una decina di notabili, e abbandonò il paese incalzato dai regolari, comandati dal maggiore Guardi.