Settimana rossa: differenze tra le versioni

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[[File:Targa Via Torrioni 1914 05.JPG|thumb|left|[[Ancona]], Via Torrioni - Targa commemorativa dei caduti della Settimana Rossa collocata dagli [[Anarchia|anarchici]] e [[Partito Repubblicano Italiano|repubblicani]] anconitani nel [[1960]]]]
 
Alcuni colpi di pistola vennero esplosi: secondo i dimostranti da una guardia di pubblica sicurezza, mentre i [[Arma dei Carabinieri|carabinieri]] sostennero che fossero partiti dalla folla. A seguito di questo, i carabinieri, comandati dal tenente Opezzi, aprirono il fuoco: spararono circa 70 colpi. Tre dimostranti furono mortalmente colpiti: il commesso Antonio Casaccia, di 28 anni<ref>Erroneamente indicato in molte pubblicazioni e siti web come ventiquattrenne, egli era nato ad Ancona il 18 febbraio [[1886]]. Cfr. Marco Severini (a cura di), ''Dizionario biografico del movimento repubblicano e democratico delle Marche 1849-1948'', Codex, Milano, 2012</ref>, ed il facchino Nello Budini, di 17 anni, entrambi repubblicani, morirono in ospedale, mentre il tappezziere anarchico Attilio C(G)iambrignoni<ref>Nel [[1892]] Desiderio Ciambrignoni, presumibile padre di Attilio, chiese ed ottenne dal Tribunale di Ancona il permesso di cambiare il cognome dei propri figli. Infatti il messo comunale per ben tre volte aveva erroneamente registrato il loro cognome come Giambrignoni, anzichè Ciambrignoni. Il Tribunale emise il provvedimento richiesto nel gennaio 1893; presumibilmente nelle more era nato Attilio, anch'egli registrato all'anagrfe come Giambrignoni, ma non indicato nel decreto dell'Autorità giudiziaria, relativo solo ai tre fratelli Teresa Barbara, Guerrina e Silvio. Cfr. Silvia Bolotti, ''I protagonisti: i caduti di Ancona e Fabriano'', in Marco Severini (a cura di), ''La Settimana rossa'', Aracne, Ariccia, 2014, pagg.332-333</ref>, di 22 anni, affacciato ad una finestra del circolo, morì sul colpo. Vi furono anche cinque feriti tra la folla e diciassette contusi tra i carabinieri<ref>Il ''Lucifero'', edizione straordinaria del 9 giugno 1914, nell'articolo ''Le belve umane'', si scagliò contro la versione della Questura che, a fronte di tre morti fra i manifestanti, aveva parlato di carabinieri feriti, pur «con ferite guaribili da 2 a 12 giorni», stigmatizzando la fantasia di «certi giornalisti» moderati che avevano scritto di carabinieri «stramazzare al suolo, grondanti sangue», mentre poco dopo quegli stessi erano stati visti «bene allineati, soddisfatti, senza un filo di sangue, nel cortile della loro caserma!». Cfr. Marco Severini (a cura di), La Settimana rossa, Aracne, Ariccia, 2014, pag.15</ref>.
 
Pietro Nenni, qualche tempo dopo, disse che a volere l'eccidio a tutti i costi era stata la polizia di Ancona, che lo aveva provocato e premeditato in combutta con le forze reazionarie.