Conquista della Gallia: differenze tra le versioni

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[[File:Battaglia di Alesia fortificazioni png.png|thumb|upright=1.5|Le fortificazioni costruite da Cesare ad Alesia, nell'ipotesi della locazione della battaglia presso Alise-sainte-Reine (52 a.C.).]]
 
Cesare piombò su Alesia e la cinse d'assedio: fece costruire un anello di fortificazioni lungo sedici chilometri tutto intorno all<nowiki>'</nowiki>''oppidum'' nemico ed, all'esterno di questo, un altro di ventun chilometri circa, in previsione di un possibile attacco alle spalle. Le opere d'assedio di Cesare comprendevano così due valli (uno interno ed uno esterno), fossati pieni d'acqua, trappole, palizzate, quasi un migliaio di torri di guardia a tre piani (a 25 metri circa, l'una dall'altra), ventitré fortini (occupati ciascuno da una coorte legionaria, nei quali di giorno erano posti dei corpi di guardia perché i nemici non facessero improvvise sortite, mentre di notte erano tenuti da sentinelle e da solidi presidi), quattro grandi campi per le legioni (due per ciascun ''castrum'') e quattro campi per la cavalleria (legionaria, [[truppe ausiliarie dell'esercito romano|ausiliaria]] e germanica), posti in luoghi idonei.<ref>Peter Connolly, ''L'esercito romano'', Milano 1976, pp.32-33; {{cita|Cesare, ''De bello Gallicogallico'', |VII, 69-74}}.</ref>
 
Dopo circa un mese di lungo e logorante assedio, giunse lungo il fronte esterno delle fortificazioni romane un potente esercito gallico di circa 240.000 armati ed 8.000 cavalieri, giunto in aiuto degli assediati.
 
[[File:Battaglia di Alesia battaglia png.png|thumb|left|upright=1.5|I momenti salienti della fase finale della battaglia di Alesia.]]
{{Citazione|Ordinano agli Edui ed alle loro tribù clienti, Segusiavi, [[Ambivareti]], Aulerci Brannovici, [[Blannovi]] 35.000 armati; egual numero agli Arverni insieme agli [[Eleuteti]], Cadurci, Gabali e [[Vellavi]] che a quel tempo erano sotto il dominio degli Arverni; ai Sequani, Senoni, Biturigi, Santoni, Ruteni e Carnuti 12.000 ciascuno; ai Bellovaci 10.000 ''(ne forniranno solo 2.000)''; ai Lemovici 10.000; 8.000 ciascuno a Pittoni e Turoni, a Parisi ed a Elvezi; ai Suessoni, Ambiani, [[Mediomatrici]], [[Petrocori]], Nervi, Morini, [[Nitiobrogi]] ed agli Aulerci Cenomani, 5.000 ciascuno; agli Atrebati 4.000; ai [[Veliocassi]], [[Viromandui]], Andi ed Aulerci Eburovici 3.000 ciascuno; ai [[Raurici]] e Boi 2.000 ciascuno; 10.000 a tutti i popoli che si affacciano sull'Oceano e per consuetudine si chiamano genti [[Armorica|Aremoriche]], tra cui appartengono i [[Coriosoliti]], i [[Redoni]], gli [[Ambibari]], i [[Caleti]], gli [[Osismi]], i Veneti, Lessovi e gli Unelli...|{{cita|Cesare, ''De bello Gallicogallico'', |VII, 75}}.}}
Al comando di questo immenso esercito di soccorso furono posti: l'atrebate Commio, gli Edui Viridomaro ed Eporedorige, e l'arverno [[Vercassivellauno]], cugino di Vercingetorige.<ref>{{cita|Cesare, ''De bello Gallicogallico'', |VII, 76}}.</ref>
 
[[File:siege-alesia-vercingetorix-jules-cesar.jpg|thumb|upright=1.5|La resa di Vercingetorige secondo Lionel-Noël Roynner (1899).]]
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[[File:Vercingetorix stater n2 CdM.jpg|thumb|left|upright|Moneta raffigurante Vercingetorige.]]
 
Dopo la vittoria, il Senato decretò venti giorni di festa in onore del proconsole,<ref>{{cita|Cesare, ''De bello Gallicogallico'', |VII, 69-89}}.</ref> mentre Vercingetorige fu mantenuto in vita nei sei anni successivi, in attesa di essere esibito nella sfilata di trionfo di Cesare. E, come era tradizione per i comandanti nemici catturati, alla fine della processione trionfale fu rinchiuso nel [[Carcere Mamertino]] e strangolato.<ref>Le esatte circostanze non sono precisate dalle fonti disponibili; è per analogia con la morte di Bar-Giora, descritta da [[Flavio Giuseppe]], (''Guerre giudaiche'', VII, 154) che si deduce in generale una morte per strangolamento (cfr. Luciano Canfora, ''Cesare, il dittatore democratico'', Roma-Bari 1999. ISBN 88-420-5739-8).</ref>
 
Al termine di questo settimo anno di guerra, Cesare, dopo aver raccolto la resa della nazione degli Edui, dispone per l'inverno del 52-51 a.C. le undici legioni come segue: le legioni VII, [[legio XV (Cesare)|XV]] e la [[cavalleria (storia romana)|cavalleria]] con Tito Labieno ed il suo luogotenente, Marco Sempronio Rutilo, tra i Sequani a Vesontio; la legione VIII con il legato Gaio Fabio e la VIIII con il legato [[Lucio Minucio Basilo]] presso i Remi (probabilmente nei pressi di [[Reims|Durocortorum]] e [[Saint-Thomas (Aisne)|Bibrax]]), per proteggerli dai vicini Bellovaci ancora in rivolta; la legione XI con Gaio Antistio Regino tra gli Ambivareti; la legione XIII con Tito Sestio tra i Biturigi (probabilmente a Cenabum); la legione [[Legio I (Pompeo)|I]] con [[Gaio Caninio Rebilo]] tra i Ruteni; la legione [[Legio VI Gemella|VI]] con Quinto Tullio Cicerone a [[Mâcon|Matisco]] e la XIIII con il legato [[Servio Sulpicio Galba (pretore 54 a.C.)|Publio Sulpicio]] a [[Chalon|Cabillonum]] presso gli Edui. Egli stesso fissò il suo quartier generale a Bibracte e vi si recò con le legioni X e XII<ref>{{cita|Cesare, ''De bello Gallicogallico'', |VII, 90}};<br />Theodore Ayrault Dodge, ''Caesar'', New York 1989-1997, pp. 306-307;<br />Cesare, ''La guerra gallica'', traduzione di Adriano Pennacini, note storico-critiche di Albino Garzetti, Torino 1996, Note VII, 90, pp. 619-620.</ref>.
 
=== Anni 51-50 a.C.: ultime rivolte in Gallia ===
==== Campagne contro i Biturigi e i Bellovaci ====
[[File:Gallia Cesare 51 aC.png|thumb|upright=1.5|La campagna finale di Cesare del 51 a.C., e la definitiva sottomissione dell'intera Gallia.]]
Sconfitto definitivamente Vercingetorige, Cesare sperava di poter far finalmente riposare le truppe, che avevano combattuto incessantemente per sette anni. Invece venne a sapere che diversi popoli stavano rinnovando i piani di guerra e stringendo alleanze tra di loro, con l'intento di attaccare contemporaneamente e da più parti i Romani. L'obiettivo era quello di costringere il proconsole a dividere le sue forze, nella speranza di poterlo finalmente battere. Il generale romano decise, però, di muovere con grande tempestività, anticipando i piani dei rivoltosi, contro i Biturigi. Questi, sorpresi dalla rapidità con cui era stata condotta questa nuova campagna, furono fatti prigionieri a migliaia. Cesare ottenne così la loro definitiva sottomissione, costringendo anche molte delle popolazioni limitrofe a desistere dai loro piani di ribellione.<ref name="ReferenceA">Irzio{{cita|Cesare, ''De bello Gallicogallico'', |VIII, 1-5}}.</ref>
 
I Biturigi, ormai sottomessi al dominio romano, chiesero aiuto a Cesare contro i vicini Carnuti, lamentandone continui attacchi da parte loro. Il proconsole mosse con altrettanta rapidità contro questo popolo, che alla notizia dell'arrivo dei Romani si diede alla fuga.<ref name="ReferenceA"/>
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Cesare richiamò dal campo invernale l'undicesima legione; inviò quindi una lettera a Gaio Fabio, affinché conducesse nei territori dei Suessioni le due legioni che aveva ai suoi ordini. A Labieno, infine, richiese una delle due legioni di cui disponeva. Puntò quindi sui Bellovaci, stabilendo il campo nei loro territori e compiendo rastrellamenti con squadroni di cavalleria in tutta la zona, al fine di catturare prigionieri che lo mettessero al corrente dei piani nemici. Cesare venne così a sapere che tutti i Bellovaci in grado di portare armi si erano radunati in un solo luogo, insieme anche agli Ambiani, agli Aulerci, ai Caleti, ai Veliocassi e agli Atrebati. I rivoltosi avevano scelto per accamparsi una località d'altura, in una selva circondata da una palude, e avevano ammassato tutti i bagagli nei boschi alle spalle. Tra i capi dei ribelli, il più ascoltato era Correo, noto per il suo odio mortale verso Roma.
 
Cesare marciò contro i nemici. Dopo alcuni giorni di attesa e scaramucce, i due eserciti vennero allo scontro (nei pressi dell'attuale [[Compiègne]] lungo il fiume Axona)<ref>Dodge, Caesar, p.314.</ref> e i Romani misero in rotta il nemico, facendone strage: lo stesso Correo morì in battaglia. I pochi superstiti vennero accolti dai Bellovaci e da altri popoli, che decisero di consegnare ostaggi al proconsole. Cesare accettò la resa di nemici. Di fronte a ciò, l'atrebate Commio riparò presso le genti germaniche dalle quali aveva ricevuto rinforzi: la paura gli impediva infatti di mettere la propria vita nelle mani di altri. L'anno precedente, infatti, mentre Cesare si trovava nella Gallia Cisalpina per amministrare la giustizia, Tito Labieno, avendo saputo che Commio sobillava i popoli e promuoveva una coalizione anti-romana, aveva cercato di assassinare il gallo, attirandolo con il pretesto di un abboccamento. L'agguato però fallì e Commio, sebbene ferito gravemente, era riuscito a salvarsi. Da allora, aveva deciso che mai si sarebbe incontrato con un romano.<ref>Irzio{{cita|Cesare, ''De bello Gallicogallico'', |VIII, 6-23}}.</ref>
 
==== Campagna contro i Pictoni ====
A questo punto le truppe romane condussero varie operazioni di “pulizia”; Cesare puntò verso la regione che era appartenuta ad Ambiorige, per devastarla e far razzie.<ref>Irzio{{cita|Cesare, ''De bello Gallicogallico'', |VIII, 24-25}}.</ref>
 
[[File:Gaul Soldiers.JPG|thumb|upright=1.3|Soldati galli in un'illustrazione del ''[[Grande dizionario universale del XIX secolo|Grand dictionnaire universel du XIXe siècle]]'', [[1898]].]]
Nel frattempo, grazie al pictone Durazio (rimasto sempre fedele all'alleanza con i Romani mentre una parte del suo popolo aveva defezionato), il legato [[Gaio Caninio Rebilo]], avvertito che un gran numero di nemici si era raccolto proprio nelle terre dei Pictoni, si diresse verso la città di Lemono (l'attuale [[Poitiers]]). Mentre stava per raggiungerla, venne a sapere che Dumnaco, capo degli Andi, stava assediando con molte migliaia di uomini le truppe di Durazio, asserragliate a Lemono. Pose allora il campo in una zona ben munita, mentre Dumnaco, avendo saputo dell'arrivo di Caninio, volse tutte le truppe contro le legioni e assaltò il campo romano. Dopo aver speso diversi giorni nell'attacco, a prezzo di gravi perdite e senza riuscire a far breccia nelle fortificazioni, Dumnaco desistette e tornò ad assediare Lemono. Intanto Gaio Fabio, dopo aver accettato la resa di parecchi popoli, mosse in soccorso di Durazio.
 
Dumnaco ripiegò allora con tutte le truppe, nel tentativo di attraversare un ponte sulla Loira. Tuttavia Fabio, essendo venuto a conoscenza della natura del luogo, mosse verso lo stesso ponte e ordinò alla cavalleria di precedere l'esercito. I cavalieri romani piombarono sui nemici in marcia, ne uccisero molti e si impadronirono di un ricco bottino. Eseguita con successo la missione, rientrarono al campo. La notte successiva Fabio mandò in avanscoperta la cavalieria, pronta allo scontro e a ritardare la marcia di tutto l'esercito nemico fino all'arrivo di Fabio stesso. Il prefetto della cavalleria, [[Quinto Azio Varo]], inseguì i nemici e si scontrò duramente con loro. Mentre infuriava la battaglia, arrivarono le legioni a ranghi serrati, portando lo scompiglio tra i Galli che ruppero le righe e vennero massacrati e catturati in gran numero.<ref>Irzio{{cita|Cesare, ''De bello Gallicogallico'', |VIII, 26-31}}.</ref>
 
==== Campagna contro i Cadurci ====
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[[File:Giulio-cesare-enhanced 1-800x1450.jpg|thumb|left|Busto di Giulio Cesare.]]
Drappete e Lucterio, appresa la notizia dell'arrivo di Caninio e delle sue legioni, si convinsero di non poter entrare nella provincia romana senza andar incontro a una sicura disfatta e di non avere più possibilità di spostarsi e di compiere razzie. Si fermarono quindi nei territori dei Cadurci, occupando la città di [[Uxelloduno]] (nei pressi dell'odierna collina di Puy d'Issoluben, all'epoca ben fortificata e difficile da assaltare).<ref>Cesare, ''De bello Gallico'', traduzione di Adriano Pennacini, note storico-critiche di Albino Garzetti, Torino 1996, Note VIII, 32, 2, p. 632.</ref> Raggiunta a sua volta la città, Caninio divise in tre gruppi le sue coorti e pose tre distinti campi in un luogo molto elevato. Da qui, a poco a poco, cominciò a circondare la città con una fortificazione. Lucterio e Drappete si preparaono a sostenere l'assedio compiendo una sortita notturna in cerca di vettovaglie da ammassare; di tanto in tanto attaccavano i Romani, costringendo Caninio a rallentare i lavori di fortificazione tutt'intorno alla città. Dopo essersi procurati grandi scorte di grano, Drappete e Lucterio si attestarono a circa dieci miglia dalla città: Drappete con parte delle truppe rimase al campo per difenderlo, mentre Lucterio cominciò a introdurre il grano in città. Accortisi di ciò, i Romani attaccarono il nemico, mettendolo in fuga e facendone strage. Lucterio cercò scampo con pochi dei suoi, senza neppure rientrare al campo. Caninio marciò poi contro Drappete, lo sconfisse e lo prese prigioniero. A questo punto tornò ad assediare la città. Il giorno dopo arrivò Gaio Fabio con tutte le truppe e assunse il comando delle operazioni d'assedio per un settore della città.<ref>Irzio{{cita|Cesare, ''De bello Gallicogallico'', |VIII, 32-37}}.</ref>
 
Intanto Cesare, lasciato [[Marco Antonio]] tra i Bellovaci con quindici coorti, visitò altri popoli, impose la consegna di nuovi ostaggi e rassicurò quelle genti in preda alla paura. Poi giunse nelle terre dei Carnuti, dove era scoppiata una nuova insurrezione, e pretese la punizione dell'istigatore della rivolta, [[Gutuater|Gutuatro]]; consegnato al proconsole, Gutuatro fu giustiziato.<ref>Irzio{{cita|Cesare, ''De bello Gallicogallico'', |VIII, 38}}.</ref> Cesare raggiunse poi a sua volta Uxelloduno e rafforzò l'assedio, ottenendo alla fine la resa della città. Per impartire una lezione a tutti i Galli, il proconsole fece mozzare le mani a chiunque avesse impugnato le armi.<ref>Irzio{{cita|Cesare, ''De bello Gallicogallico'', |VIII, 39-44}}.</ref> Lucterio venne consegnato ai Romani da Epasnacto, mentre Labieno si scontrò nuovamente con Treveri e Germani, catturando molti capi nemici, tra cui l'eduo Suro.<ref>Irzio{{cita|Cesare, ''De bello Gallicogallico'', |VIII, 45}}.</ref> Il proconsole romano spazzò poi via le residue sacche di resistenza presenti in Aquitania.<ref>{{cita|Cesare, ''De bello Gallicogallico'', |VIII, 46}}.</ref> Dopo che anche Commio si fu arreso,<ref>Irzio{{cita|Cesare, ''De bello Gallicogallico'', |VIII, 47-48}}.</ref> tutta la Gallia poteva dirsi pacificata:
 
{{Citazione|Cesare, mentre svernava in Belgio, mirava ad un unico scopo: tenere legate all'alleanza le varie genti e non fornire a nessuno speranze o motivi di guerra. Infatti, niente gli pareva meno auspicabile, alla vigilia della sua uscita di carica, che trovarsi costretto ad affrontare un conflitto. Altrimenti, al momento della sua partenza con l'esercito, si sarebbe lasciato alle spalle una guerra che tutta la Gallia avrebbe intrapreso con entusiasmo, liberata dal pericolo della sua presenza. Così, distribuendo titoli onorifici ai vari popoli, accordando grandissime ricompense ai loro principi, non imponendo nuovi oneri, la Gallia, prostrata da tante sconfitte, riuscì con facilità a tenerla in pace, rendendo più lieve l'assoggettamento.|Irzio{{cita|Cesare, ''De bello Gallicogallico'', |VIII, 49}}.}}
 
Nel [[49 a.C.]] Cesare ritirò la maggior parte delle sue legioni dalla Gallia.<ref>{{cita|Plutarco, |''Vite parallele'', ''Vita di Cesare'', 25-27}}; {{cita|Cassio Dione Cocceiano, ''Storia romana'', |XL, 33-43}}; {{cita|Floro|I, I,45, .20-26}}; {{cita|Velleio Patercolo, |II, 47,.1}}; Tito Livio, ''Perioche'', 107-108; {{cita|Orosio, |VI, 11,.20-30; VII, 11,.1-11}}.</ref>
 
Presto sarebbe cominciata una nuova era del mondo romano, con la sua trasformazione da repubblica in [[Impero romano|principato]], dopo un ventennio di [[Guerre civili (storia romana)|guerre civili]]. La civiltà di Roma si era imposta all'intero bacino del Mediterraneo, in un'inedita società multietnica. Anche gran parte dell'immenso e potente popolo dei Celti ne era stato infatti inglobato, ed altri avrebbero seguito questo destino nei due secoli successivi.