Disoccupazione tecnologica: differenze tra le versioni

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La '''disoccupazione tecnologica''' è la [[disoccupazione|perdita di lavoro]] dovuta al [[innovazione|cambiamento tecnologico]]. Questo cambiamento solitamente riguarda l'introduzione di tecnologie che permettono di ridurre il carico di lavoro eseguito dagli operatori e l'introduzione dell'[[automazione]].
 
Proprio come i cavalli, usati come primo mezzo di locomozione, vennero gradualmente resi obsoleti dall'automobile, anche i lavori degli esseri umani sono stati toccati dal cambiamento tecnologico, ne è un esempio quello dei tessitori ridotti in povertà dall'introduzione del telaio meccanico nella [[prima rivoluzione industriale]]. Durante la [[seconda guerra mondiale]], il [[bomba (calcolatore)|calcolatore ''bomba'']], inventato da [[Alan Turing]], compresse in poche ore processi di decodificazione che altrimenti avrebbero occupatotenuto occupati gli esseri umani per anni. Alcuni esempi contemporanei di disoccupazione tecnologica sono la sostituzione delle casse manuali con le casse automatiche, la riscossione automatica dei pedaggi stradali e i passaggi a livello automatici, che hanno reso obsoleta la figura del casellante.
 
Che il cambiamento tecnologico possa causare la perdita di posti di lavoro nel breve termine è un fatto comunemente accettato, mentre sugli effetti sul lungo termine si è aperto un lungo dibattito non ancora giunto ad una conclusione. Le due scuole di pensiero si possono sommariamente dividere in ottimisti e pessimisti. Gli ottimisti sono convinti che la perdita di lavoro dovuta all'innovazione verrà compensata da altri fattori che renderanno l'impatto nullo nel lungo termine. I pessimisti invece sostengono che almeno in alcuni casi le nuove tecnologie possono portate ad un costante declino nel numero di posti di lavoro. L'espressione “disoccupazione tecnologica” è stata resa popolare da [[John Maynard Keynes]] negli anni ‘30’30, ma la questione è discussa fin dai tempi di [[Aristotele]].
 
In genere, prima del [[XVIII secolo]], sia le ''elites'' che i ''[[roturier]]'' avevano una visione pessimista della disoccupazione tecnologica, almeno nei casi in cui la questione sorse. Dato che i livelli di disoccupazione nella storia pre-moderna sono quasi sempre stati bassi, non era un argomento molto discusso. Nel XVIII secolo le paure dell'impatto delle macchine sull'occupazione si intensificarono con la crescita della disoccupazione di massa, specialmente in [[Inghilterra]], all'avanguardia nella [[rivoluzione industriale in Inghilterra|rivoluzione industriale]]. Nonostante ciò alcuni pensatori misero in dubbio queste paure, sostenendo che in generale l'innovazione non avrebbe avuto effetti negativi sui posti di lavoro nel lungo termine. Queste argomentazioni vennero formalizzate nel [[XIX secolo]] dagli [[economisti classici]]. Durante la seconda metà dello stesso secolo divenne sempre più palese che il progresso tecnologico beneficiasse tutti i settori della società, inclusa la [[classe operaia]]. Le preoccupazioni sull'impatto negativo dell'innovazione diminuirono, e venne coniato il termine “fallacia [[luddismo|luddista]]” per descrivere l'idea della perdita di lavoro dovuta all'innovazione.
 
L'idea che la tecnologia difficilmente porterà ad una disoccupazione nel lungo termine è stata ripetutamente messa in discussione da una minoranza di economisti, tra i quali, nel primo 1800, [[David Ricardo]]. Molti economisti hanno messo in guardia dalla disoccupazione tecnologica in alcuni particolari frangenti, come negli [[anni trenta]] e [[anni sessanta|sessanta]], in cui il dibattito sulla questione si intensificò. Nelle ultime due decadi del [[XX secolo]], soprattutto in [[Europa]], vari cronisti hanno notato un graduale aumento della disoccupazione nei paesi industrializzati a partire dagli [[anni settanta]]; nonostante ciò la maggior parte degli economisti e dell'[[opinione pubblica]] ha mantenuto una visione ottimista sull'innovazione nel XX secolo.
 
Nella seconda decade del [[XXI secolo]] sono stati pubblicati un certo numero di studi che suggeriscono la possibilità di una crescita della disoccupazione tecnologica a livello globale. Mentre molti economisti e commentatori ancora sostengono l'infondatezza di questi timori, le preoccupazioni riguardanti la disoccupazione tecnologica hanno ricominciato a crescere.<ref>{{Cita web|url=http://www.acting-man.com/?p=32134|titolo=In the Future, Will Everyone Be Unemployed?|data=4 agosto 2014}}</ref><ref>http://money.cnn.com/2012/05/15/news/economy/zero-unemployment/ What 0% unemployment looks like</ref><ref>https://www.theatlantic.com/magazine/archive/2015/07/world-without-work/395294/</ref> Un servizio pubblicato dalla rivista ''[[Wired]]'' nel 2017 cita esperti come l'economista [[Gene Sperling]] e il professore di management [[Andrew McAfee]] a sostegno della tesi per cui la disoccupazione tecnologica è «una questione importante».<ref name="Dreyfuss_2017-03-24">{{Cita pubblicazione|cognome=Dreyfuss |nome=Emily |data=24 marzo 2017 |titolo=Hate to break it to Steve Mnuchin, but AI’s already taking jobs |rivista=Wired |url=https://www.wired.com/2017/03/hate-break-steve-mnuchin-ais-already-taking-jobs/ |postscript=.}}</ref> Per quanto riguarda l'idea per cui l'automazione «non avrà alcun grosso effetti sull'economia per i prossimi cinquanta o cento anni», McAfee dice: «Nessuno del mestiere con cui mi capita di parlarci ci crede».<ref name="Dreyfuss_2017-03-24"/> Innovazioni come [[Watson (intelligenza artificiale)|Watson]] hanno il potenziale di rendere obsoleti gli esseri umani in vari campi, dagli impiegati, ai lavoratori poco qualificati, ai creativi ed altri lavori intellettuali.<ref>{{Cita web|url=https://www.nytimes.com/2016/03/09/business/economy/a-future-without-jobs-two-views-of-the-changing-work-force.html|titolo=A Future Without Jobs? Two Views of the Changing Work Force|data=9 marzo 2016|sito=The New York Times}}</ref><ref>{{Cita web|url=https://www.theatlantic.com/magazine/archive/2015/07/world-without-work/395294/|titolo=A World Without Work|nome=Derek|cognome=Thompson}}</ref>