Duopolio: differenze tra le versioni

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Il "decreto [[Berlusconi]]" creò il duopolio: esso fu varato da [[Craxi]] che ottenne dal Governo da lui presieduto il varo di un decreto-legge ristabilire le frequenze dei canali [[Fininvest]] di [[Silvio Berlusconi]] chiusi dall'ordinanza del pretore. La misura fu preceduta da un'accorta regia mediatica di [[Berlusconi]], facendo inondare di telefonate furenti il centralino di Palazzo Chigi e gli apparecchi dei tre pretori "colpevoli", da parte di telespettatori desiderosi "di godersi in santa pace le proprie serate televisive: Dynasty, Dallas, i Puffi... Quando infine Berlusconi piomba a Roma, i giornali raccontano già ampiamente questa levata di scudi dei telespettatori"<ref>"Inchiesta sul signor TV", di Giovanni Ruggeri e Mario Guarino, Kaos ed. 1994.</ref>.
 
In buona parte dell'[[opinione pubblica]] si diffuse l'idea che Craxi proteggesse politicamente Berlusconi e quest'ultimo gli concedesse ampio spazio nelle sue [[televisione|televisioni]]; Craxi e Berlusconi tra l'altro erano legati da una lunga e stretta [[amicizia]]. Altri invece ribadiscono che il decreto rientrava in un progetto a largo raggio di Craxi per scardinare il [[monopolio]] della [[Rai]] e aprire alla concorrenza il [[mercato]] televisivo<ref>"Craxi voleva rompere gli schemi del monopolio dell'informazione": così [[Rino Formica]] nell'intervista a Claudio Sabelli Fioretti per “La Stampa” del 10 dicembre 2008.</ref>.
 
La conversione del decreto in legge fu abbastanza travagliata, essendosi arenata sullo scoglio della decadenza per mancato riconoscimento dei presupposti costituzionali di necessità ed urgenza. In base alla prassi dell'epoca, il decreto fu reiterato e, trascorsi i sessanta giorni prescritti dall'art. 77 della [[Costituzione della Repubblica Italiana]], il provvedimento fu convertito dal Parlamento solo grazie ad una precisa iniziativa politica di Craxi, che minacciò la crisi di governo e le elezioni anticipate. A poche ore dal termine ultimo per la conversione, i parlamentari del [[Partito Comunista Italiano]] garantirono il numero legale con la loro presenza, senza porre in essere alcuno ostruzionismo, consentendo così la conversione del decreto. L'apporto del [[Partito Comunista Italiano]] fu determinante: come contropartita, i comunisti avrebbero ricevuto il placet di Craxi per ottenere il controllo di [[Raitre]]<ref>Michele De Lucia “Il baratto. Il Pci e le televisioni. Le intese e gli scambi tra il comunista Veltroni e l'affarista Berlusconi negli anni Ottanta” (Kaos edizioni)</ref>; secondo altri, invece, l'errore politico del PCI fu di temere una sconfitta elettorale oppure di preferire che la legislatura avesse seguito nell'erronea convinzione che lo svolgimento del referendum sulla scala mobile avrebbe visto la prevalenza dei sì all'abolizione del decreto di San Valentino.
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Il duopolio fu poi consacrato nel 1990 dalla "[[Legge Mammì]]".
 
L'anomalia di tale situazione è stata più volte rilevata dalla [[Corte costituzionale della Repubblica Italiana|Corte Costituzionale]]<ref>[http://www.uonna.it/466-2002-sentenza-corte-costituzionale.htm Sentenza del 2002]</ref> e dal [[Parlamento della Repubblica Italiana|Parlamento]] <ref>[http://new.camera.it/_dati/leg14/lavori/bollet/200301/0123/html/0709//comunic.htm Atti parlamentari]</ref>. Gli interventi legislativi che si sono succeduti sull'argomento non hanno di fatto portato alcun concreto temperamento al problema, che ha spinto il legislatore a puntare sull'anticipazione dei tempi dell'introduzione della [[televisione digitale]].
 
== Note ==