Filantropia: differenze tra le versioni

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La '''filantropia''' ({{lang-grc|φιλία|philía|amicizia|testo2=ἄνθρωπος|traslitterazione2=ànthrōpos|traduzione2=uomo, essere umano|da=si|parentesi=si}}) è un [[sentimento]] e un conseguente [[atteggiamento]] di [[benevolenza]] <ref>Benevolenza nella cultura antica romana viene definita come «''voluntate benefica benevolentia movetur''» (''la benevolenza è messa in moto da una volontà che mira al bene'') intendendo che vi sia una voluntas, un atteggiamento spirituale volontario che genera il desiderio di fare del bene nei confronti degli esseri umani .</ref> alla base di in un comportamento diretto a realizzare il benessere degli altri. <ref>''Enciclopedia Treccani'' alla voce corrispondente</ref>
 
==Filantropia greca e ''humanitas'' romana==
In un frammento dell'originale greco di [[Menandro]] (342 a.C.-291 a.C.)l<nowiki>'</nowiki>''[[Heautontimorumenos]]'' non si ritrova un verso che nella traduzione latina di [[Terenzio]] (185 a.C.-159 a.C.) è stato reso in «''Homo sum: humani nihil a me alienum puto''» <ref>Nell'opera menandrea il personaggio Cremete si accorge che un altro protagonista della commedia, Menedemo, sta attraversando un periodo della vita travagliato e che al tentativo di Cremete di conoscere i motivi del suo disagio lo invita a non occuparsi di fatti che non lo riguardano. Cremete allora obietta che è suo dovere e diritto di uomo di interessarsi degli altri uomini e di cercare di sollevarli dal dolore: «Sono un essere umano, non ritengo a me estraneo nulla di umano» </ref>; quindi non si può affermare se quel verso si rifaccia al valore romano della ''[[humanitas]]'' o a quei principi etici tipici del teatro di Menandro espressi nel concetto di φιλαντρωπία (filantropia) che nel significato greco si rapporta a un sentimento di [[solidarietà]] nei confronti di altri che condividono la stessa situazione di crisi e che cercano nel sostegno reciproco un'ancora di salvezza dalle miserie morali e materiali del loro tempo.
{{Citazione|Humanitas, per Terenzio, significa anzitutto volontà di comprendere le ragioni dell'altro, di sentire la sua pena come pena di tutti: l'uomo non è più un nemico, un avversario da ingannare con mille ingegnose astuzie, ma un altro uomo da comprendere e aiutare <ref>Giancarlo Pontiggia e Maria Cristina Grandi, ''Letteratura latina. Storia e testi'', vol. 1, Milano, Principato, 1996, p.308</ref>}}
Ma per i Romani del II sec. a.C. che si avviano a un progressivo sviluppo della loro storia, humanitas significava riconoscere la nuova complessità di modi di pensare e di vivere che aveva ormai messo da parte la semplicità dei principi e delle istituzioni politiche sociali e culturali del passato. <ref>[[Dario Del Corno]], ''Introduzione a Menandro'', Commedie, BUR, Milano 1981, pp. 13-14</ref>
Il valore della ''humanitas'' s'incarna nel [[Circolo degli Scipioni]] costituito da vari personaggi appartenenti alla nobiltà romana che verso la metà del II secolo a.C. diffondono in Roma i valori della [[ellenismo|cultura ellenistica]]. Si realizza così una necessità di ampliamento del mondo spirituale romano tramite la cultura greca, aprendolo ai valori di altre civiltà. Dall'incontro dello spirito romano con la filosofia ellenica nasce qull'humanitas, ripresa dalla [[stoicismo|filosofia stoica]], che consiste nella concezione dell'uomo considerato in ogni suo aspetto e la conseguente idea di una missione morale e politica assegnata al dominio universale di Roma. Si esalta, inoltre, la virtus romana in grado di trasformare un popolo in un insieme di uomini coraggiosi, austeri, capaci di sacrificio.
 
==Compassione e filantropia==