Ezzelino III da Romano: differenze tra le versioni

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Arti sottili di governo e una continua maschera imposta al suo volto fecero credere che volesse regnare con equità e con giustizia. Unito alla sorte dell'imperatore [[Federico II di Svevia|Federico II]] e del casato svevo, egli trasse sempre da questa sua posizione nuove ragioni di dominio tirannico, vigilando affinché la sua potenza non venisse attaccata dall'esterno.
Requisì ai padovani da lui banditi i castelli di [[Agna]] e di Brenta, mandando a morte tutti coloro che li custodivano. Incamerò diversi castelli del marchese d'[[Este]] e del conte di San Bonifacio e, estendendo le sue conquiste alla [[provincia di Treviso]], aveva a suo tempo assoggettato [[Feltre]] e [[Belluno]], spargendo sangue a piene mani e mantenendo nell'obbedienza i suoi sudditi antichi e nuovi, costruendo prigioni tanto sudicie quanto pestilenziali, nelle quali rinchiudeva alla rinfusa uomini, donne e fanciulli. A questi ultimi, per una sua particolare voluttà, sembra facesse cavare gli occhi.
Ezzelino III rappresentò di fatto le fortune sconfitte dell'Impero e della parte ghibellina e non è dato fissare con precisione e affidabilità storica rigidi confini fra la sua indubbia mancanza di scrupolscrupoli, la sua ferocia e la sua forte (ma soccombente) visione politica, nonché le sue notevoli peculiarità politico-militari che ne decreteranno fatalmente l'impopolarità della successiva storiografia, tutt'altro che filo-imperiale.
 
[[Rolandino da Padova]], storico e giurista padovano di [[Università di Bologna|formazione bolognese]], figlio di notaio, egli stesso notaio, scrisse una [[cronaca (genere letterario)|cronaca]] degli anni di Ezzelino a Padova, approvata dall'[[Università di Padova|Università]] e presentata con una cerimonia nel [[1262]], presso il chiostro della chiesa di Sant'Urbano.