Parco nazionale del Gran Paradiso: differenze tra le versioni
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[[File:Ceresole Carducci.jpg|thumb|upright=1.4|Altopiano del Nivolet]]
Il '''Parco nazionale del [[Gran Paradiso]]''' (in [[Lingua francese|francese]], '''''Parc national du Grand-Paradis'''''), istituito il 3 dicembre del [[1922]], è il più antico [[Parco nazionale]] italiano<ref>Il Parco Nazionale Gran Paradiso è stato istituito ufficialmente con il [http://www.minambiente.it/sites/default/files/archivio/normativa/rdl_03_12_1922_1584_pn_granparadiso.pdf Regio decreto-legge 3 dicembre 1922, n. 1584 (G.U. 13 dicembre 1922, n.291)]. Il secondo Parco Nazionale italiano, di poco posteriore, è quello d'Abruzzo, istituito ufficialmente con [http://www.minambiente.it/sites/default/files/rdl_11_01_1923_257_pn_abruzzo.pdf Regio decreto-legge dell'11 gennaio 1923, n. 257 (G.U. 22 febbraio 1923, n.44)]</ref>. Si trova a cavallo delle regioni [[Valle d'Aosta]] e [[Piemonte]] ed è gestito dall'Ente Parco Nazionale Gran Paradiso, con sede a [[Torino]]. Dal lato [[francia|francese]], confina con il [[Parco nazionale della Vanoise]]. Si estende per una superficie di 71.043,79 [[ettaro|ettari]]<ref>Di cui 33.862 ha in territorio piemontese, cfr. "Parco nazionale del Gran Paradiso", ''I parchi del Piemonte. Ambiente e itinerari'', a cura della Regione Piemonte, Cuneo: L'Arciere, 1999, p.213.</ref>, su un terreno prevalentemente montuoso.<ref name=minamb/>
== Storia ==
La storia del
Il 21 settembre [[1821]], il [[re di Sardegna]] [[Carlo Felice]]
Nel [[1850]], il giovane re [[Vittorio Emanuele II]], incuriosito dai racconti del fratello Fernando, che durante una visita
Furono necessari alcuni anni affinché i funzionari di [[Casa Savoia]] riuscissero a stipulare centinaia di contratti in cui i valligiani e i comuni cedevano al sovrano l'utilizzo esclusivo dei diritti venatori (relativi alla caccia al [[camoscio]] ed ai volatili, poiché la caccia allo [[stambecco]] era vietata ai valligiani già da un trentennio) ed in alcuni casi persino dei diritti di pesca e di pascolo (vale a dire che i montanari non potevano più portare ovini, bovini e caprini sui pascoli d'alta quota riservati d'ora in poi alla selvaggina).▼
▲Furono necessari alcuni anni affinché i funzionari di [[Casa Savoia]] riuscissero a stipulare centinaia di contratti
Nasceva così ufficialmente, nel 1856, la Riserva Reale di Caccia del [[Gran Paradiso]] il cui territorio era più ampio dell'attuale parco nazionale; infatti comprendeva anche alcuni comuni [[Valle d'Aosta|valdostani]] ([[Champorcher]], [[Champdepraz]], [[Fénis]], [[Valgrisenche]], [[Brissogne]]) che in seguito non furono inseriti entro i confini dell'area protetta. I valligiani, dopo i primi malumori, cedettero volentieri i loro diritti al sovrano, comprendendo che la presenza dei sovrani in quelle valli fino ad allora quasi al di fuori del mondo avrebbe portato benessere per la popolazione locale. Re Vittorio promise che avrebbe fatto "''trottare i quattrini sui sentieri del [[Gran Paradiso]]''".▼
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Fu istituito un corpo di vigilanza composto di circa cinquanta addetti denominati Reali Cacciatori Guardie, furono restaurate chiese, argini e case comunali, costruiti casotti per i guardaparco e case di caccia più grandi utilizzando manovalanza locale. Tuttavia, l'opera più importante che cambiò il volto delle [[Valle d'Aosta|valli valdostane]] e [[canavese|canavesane]] fu la fittissima rete di [[mulattiere reali|mulattiere]] selciate fatte costruire per collegare i paesi con le case di caccia e queste ultime tra di loro (coprivano una distanza di oltre 300 km). Queste strade furono progettate per permettere al re ed al suo seguito di spostarsi comodamente a cavallo all'interno della riserva. La maggior parte di esse è ancor oggi percorribile. Superano dei ripidi versanti con innumerevoli, ampissimi tornanti mantenendo sempre una lieve e costante pendenza. Si snodano in buona parte oltre i duemila metri ed in taluni casi superano i tremila ([[Colle del Lauson]] 3296 m e [[Colle della Porta]] 3002 m). I punti più impervi sono stati superati scavando il tracciato nella roccia. La carreggiata è lastricata di pietre, sostenuta da muri a secco costruiti con notevole perizia e presenta una larghezza variabile da un metro ad un metro e mezzo.▼
▲Fu istituito un corpo di vigilanza composto di circa cinquanta addetti denominati Reali Cacciatori Guardie, furono restaurate chiese, argini e case comunali, costruiti casotti per i guardaparco e case di caccia più grandi utilizzando manovalanza locale. Tuttavia, l'opera più importante che cambiò il volto delle
Il tratto meglio conservato si trova in [[Valle dell'Orco|Valle Orco]]; dal [[Colle del Nivolet]], dopo un primo tratto a mezzacosta, la mulattiera reale scavalca i colli della Terra e della Porta, tocca la casa di caccia del Gran Piano (recuperata di recente come rifugio) per poi scendere al paese di [[Noasca]].<ref>[http://www.pngp.it/visita-il-parco/architettura-e-paesaggio/case-di-caccia-e-mulattiere-reali Case di caccia e mulattiere reali] sul sito del Parco nazionale del Gran Paradiso.</ref>▼
▲Il tratto meglio conservato si trova in [[
=== Le battute di caccia del re ===
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Re Vittorio si recava nella riserva del Gran Paradiso di solito nel mese di agosto e vi si fermava da due a quattro settimane. I giornali e le pubblicazioni dell'epoca erano esaltate per il carattere bonario del re, che conversa e discute con grande affabilità, in [[lingua piemontese]], con la popolazione locale e lo descrivono come un baldo cavaliere ed un fucile infallibile. In realtà le campagne di caccia erano organizzate in modo che il re potesse fare il tiro a segno sulle prede stando comodamente ad aspettare in una delle poste di avvistamento costruite lungo i sentieri.
Il seguito del re era composto da circa 250 uomini, ingaggiati tra gli abitanti delle valli, che svolgevano le mansioni di battitori e portatori. Per questi ultimi, la caccia cominciava già nella notte. Si recavano nei luoghi frequentati dalla selvaggina, formavano un enorme cerchio attorno agli animali e poi con urla e spari li spaventavano in modo da spingerli verso la conca dove il re era in attesa dietro una vedetta semicircolare di pietre. Soltanto il sovrano poteva sparare agli ungulati; alle sue spalle stava il "grand veneur" che aveva l'ordine di dare il colpo di grazia agli esemplari feriti o sfuggiti al tiro del re. Oggetto della caccia erano i maschi di stambecco e camoscio adulti. Ne venivano abbattuti diverse decine al giorno. La scelta di risparmiare le femmine ed i cuccioli favorì l'aumento del numero degli ungulati e le cacce reali divennero di anno in anno più abbondanti.
Il giorno dopo la caccia, il re ed il suo seguito si trasferivano alla successiva casa di caccia
Anche i successori di [[Vittorio Emanuele II|Re Vittorio]], [[Umberto I]] e [[Vittorio Emanuele III]], intrapresero lunghe campagne venatorie nella riserva. L'ultima caccia reale si svolse nel 1913.
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