Secondo dopoguerra in Italia: differenze tra le versioni

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La [[locuzione]] '''secondo dopoguerra italiano''' indica un periodo storico compreso tra la fine della [[seconda guerra mondiale]] e gli anni seguenti in un periodo il cui termine va considerato nel contesto complessivo e che può essere determinato schematicamente da date diverse tra di loro, includendo comunque i primi decenni della [[Prima Repubblica (Italia)|Prima Repubblica]].
 
Secondo un'interpretazione [[storiografia|storiografica]], il deterioramento del governo di [[Centro-sinistra "organico"]], nato come un tentativo di riformare le istituzioni politiche italiane, segnò la fine di quelle speranze di rinnovamento diffuse nel secondo dopoguerra<ref>Antonio Desideri, ''Storia e storiografia'', Vol. III, Ed. D'Anna, Messina-Firenze, 1980, p. 1053.</ref> che in Italia andrebbe quindi collocato in un periodo che va approssimativamente dal [[1945]] agli [[anni 1960|anni sessanta]], anni che segnarono la crisi definitiva dei partiti e della società civile che avevano fondato la [[Repubblica Italiana|Repubblica]] nata dopo la guerra.<ref>Anna D'Andrea, ''Il secondo dopoguerra in Italia, 1945-1960'', ed. Pellegrini, 1977, p.231</ref>
 
==Storia==
{{Citazione|L'aria pareva più pura, persino la natura più bella; quanta fiducia negli uomini, quanta speranza che fosse sorta l'era degli uomini di buona volontà, disinteressati, senza ambizioni, per cui gli alti uffici fossero soltanto un dovere e una missione [...] Fu lo spazio d'un mattino.|[[Arturo Carlo Jemolo]] in ''[[La Stampa]]'', 2 giugno 1974.}}
 
===La riunificazione del Paese diviso===
[[File:Ferruccio Parri 2.jpg|thumb|upright=0.7|[[Ferruccio Parri]]: il [[governo Parri]] fu in carica dal 21 giugno al 10 dicembre 1945]]
[[File:Pietro Nenni.jpg|thumb|[[Pietro Nenni]]]]
 
Dopo la lacerazione causata dalla divisione tra il Centro-Nord, presidiato dai [[Germania nazista|tedeschi]], e il Sud, occupato dagli [[Alleati della seconda guerra mondiale|Alleati]], alla fine della guerra in Italia si era formata una frantumazione e sovrapposizione dei centri di potere dello Stato: il governo monarchico, il governo d'occupazione degli Alleati, quello dei comandi militari d'occupazione, quello dei [[Comitato di Liberazione Nazionale|Comitati di liberazione nazionale]] si soverchiavano e contrastavano tra loro determinando una crisi dello stato unitario a cui si era spesso sostituito l'intervento del [[Città del Vaticano|Vaticano]] nelle ultime fasi della guerra e dopo l'immediato dopoguerra.<ref>"...i rami dell'Azione Cattolica avevano già allestito nel 1946-47 diverse manifestazioni di piazza, espressioni più vistose della mobilitazione cattolica che segnò il clima politico del dopoguerra, secondo lo stile movimentista impresso da Pio XII al disegno di riconquista cristiana della società." (in Francesco Piva, ''"La gioventù cattolica in cammino": memoria e storia del gruppo dirigente (1946-1954)'', FrancoAngeli, 2003, p. 31).</ref>
{{Citazione|La liberazione di Roma è l'ingresso delle truppe alleate, non come a Genova, Torino, Milano ecc., l'ingresso delle formazioni partigiane. Su tutta la scena, infine, è il Santo Padre, il Vaticano che domina, con tutt'altra forza che il CLN.|[[Federico Chabod]]<ref>''L'Italie contemporaine. Conférences données à l'Institut d'Études Politiques de l'Université de Paris'' (in [[Armando Saitta]], ''Storia e miti del '900'', [[La Nuova Italia]], Firenze, 1974, p. 843).</ref>}}
 
La [[guerra di liberazione italiana|guerra di liberazione]] al Nord aveva alimentato le speranze rivoluzionarie di una parte della [[Resistenza italiana|Resistenza]] che aveva visto nell'assunzione di [[Ferruccio Parri]], espressione del [[Comitato di Liberazione Nazionale|CLN]], al governo ([[1945]]) un primo passo verso un rinnovamento istituzionale e sociale:
{{Citazione|Ecco arrivato il vento del Nord che apporterà il rinnovamento spazzando ogni resistenza.|[[Pietro Nenni]]<ref>Citato in Federico Chabod, ''L'Italia contemporanea (1918-1948)'', ed. G. Einaudi, 1961, p. 139.</ref>}}
Il rinnovamento politico, che era parso configurarsi con la cosiddetta "[[commissione di epurazione|epurazione]]" - l'allontanamento dalle fabbriche e dagli uffici pubblici di coloro che avevano collaborato con il passato regime - e con l'annuncio del [[governo Parri]] di un'imposta sul capitale, si spense invece di fronte ad una forte opposizione interna ed esterna:
[[File:1945 - governo CLN Parri, Morandi.jpg|thumb|left|[[1945]], governo presieduto da [[Ferruccio Parri]].]]
{{Citazione|La destra liberale e i democristiani conservatori consideravano [quei provvedimenti] un attacco alla struttura economica della società italiana... La Sezione economica della Commissione alleata minacciò di fermare le forniture di carbone e di altre materie prime...<ref>Norman Kogan, ''L'Italia del dopoguerra. Storia politica dal 1945 al 1966'', Laterza ed., Bari, 1968 (in Lamberto Mercuri, ''1943-1945: gli alleati e l'Italia'', Edizioni scientifiche italiane, 1975, p. 328).</ref>}}
 
A deludere ogni velleità rivoluzionaria intervenne poi «quella forza enorme che nello stato moderno costituisce la burocrazia, la struttura amministrativa dello Stato... per natura conservatrice: la sua forza propria è nella continuità delle funzioni, non certo nel loro sconvolgimento.»<ref>F. Chabod, ''Op. cit.''</ref>
 
Con [[Alcide De Gasperi]], successo appena due anni dopo al governo Parri, prevalse l'idea di una necessaria continuità<ref>«...De Gasperi era l'artefice della conservazione o meglio della restaurazione...» (in Leo Valiani, ''L'avvento di De Gasperi'', F. de Silva, 1949, p. 27.</ref>: l'amministrazione centrale dello Stato rimase immutata, i codici di leggi, anche quelli vigenti durante il [[fascismo]], furono conservati. L'opposizione di gruppi capitalistici ostili ad ogni intervento dello Stato in economia, sostenuti dalla presenza di uomini politici della scuola [[liberismo|liberista]], fece mancare una visione di [[documento di programmazione economica finanziaria|programmazione economica]] da parte dello Stato su cui basare la ricostruzione.
 
===I reduci===
Nel corso del conflitto circa la metà dei combattenti italiani è stata catturata sui vari fronti. Si tratta di un totale di circa 1.300.000 uomini, di cui 600.000 catturati dagli [[Alleati della seconda guerra mondiale|Alleati]], 50.000 dai sovietici e, dopo il [[Proclama Badoglio dell'8 settembre 1943]], 650.000 dai tedeschi.<ref name=lanaro17>Lanaro, cit., p. 17.</ref> Di ritorno in Italia da tutto il mondo, non di rado da campi di concentramento, spesso mutilati o invalidi, i soldati italiani reduci della Seconda guerra mondiale ricevono in patria un trattamento freddo.<ref>Lanaro, cit., p. 14.</ref> Come scrive [[Giorgio Rochat]]:
{{citazione|[...] i reduci vennero interrogati sulle circostanze della resa e non sulle vicende della prigionia, e le loro magre spettanze furono decurtate da quote per il «vitto e alloggio» di cui avevano fruito in terra nemica.<ref>Rochat, «I prigionieri di guerra, un problema rimosso», in ''Italia contemporanea'', 171, giugno 1988, p. 7, citato in Lanaro, cit., p. 14.</ref>}}
Di tale accoglienza imbarazzata e infastidita è testimone anche la letteratura dell'epoca: le vicende del protagonista di ''Un I.M.I. ritorna'' di [[Giovanni Guareschi]] mostrano che le incomprensioni verso le sofferenze dei reduci spesso si riflettono anche in ambito privato e persino familiare<ref>Lanaro, cit., pp. 14-15.</ref>. Qualcosa di analogo in ''[[Napoli milionaria!]]'' di [[Eduardo De Filippo]], in cui Gennaro Jovine viene travolto dall'indifferenza nei confronti del suo passato:
{{citazione|Io so' turnato e me credevo 'è truvà 'a famiglia mia o distrutta o a posto, onestamente. Ma pecché?... Pecché io turnavo d' 'a guerra... Invece, ccà nisciuno ne vo' sèntere parlà. Quann'io turnaie 'a ll'ata guerra, chi me chiammava 'a ccà, chi me chiammava a' llà. Pe' sapé, pe' sèntere 'e fattarielle, gli atti eroici... [...] Ma mo pecché nun ne vonno sèntere parlà?<ref name=lanarocit15>Citato in Lanaro, cit., p. 15.</ref>}}
E così, ancora, è anche per il giovane ingegnere di ''Tutta la verità'' (1950) di [[Silvio Micheli]], nonché per lo zio Alvaro di un romanzo più tardo, ''[[L'oro del mondo (romanzo)|L'oro del mondo]]'' (1987), di [[Sebastiano Vassalli]], il quale, ogniqualvolta gli scappa di di riferire qualche episodio della sua vita di soldato, viene investito dalla insofferenza dei familiari.
{{citazione|Tutti insorgevano. La nonna e il nonno, i fratelli, i cognati, i parenti, il mondo. "Tu e la tua guerra, - gridavano - Se n'ha abbastanza, noialtri, di queste storie di guerra!" "Non interessa a nessuno, la tua guerra!"<ref name=lanarocit15/>}}
 
Il 3 dicembre 1945 il [[Ministero per l'assistenza postbellica]] (retto allora dall'azionista [[Emilio Lussu]]) emanò una circolare tesa ad evitare la distinzione tra combattenti e non combattenti, proprio per la natura della guerra che aveva investito il territorio italiano. In tale circolare si rende chiaro che gli sforzi tesi al reinserimento dei reduci non dovevano basarsi "sui meriti acquisiti sui campi di battaglia ma sul danno che i militari hanno ricevuto a causa della lunga permanenza sotto le armi"<ref>[[Claudio Pavone]], «Appunti sul problema dei reduci», in ''L'altro dopoguerra. Roma e il sud 1943-45'', a cura di [[Nicola Gallerano]], Milano, 1985, p. 95, citato in Lanaro, cit., p. 16.</ref>. Tale previsione, schiacciata su una prospettiva astrattamente illuministica, determina inevitabilmente il malcontento dei reduci, i quali si vedono misconosciute le sofferenze patite in guerra (tra cui spesso la schiavitù nei lager). Agli inizi del 1946 tale malcontento si traduce in aperte manifestazioni di protesta (in gennaio a Firenze e Milano)<ref name=lanaro17/>: ad esempio, a Bari i reduci chiedono l'allontanamento delle donne dai posti di lavoro per ottenere loro l'impiego<ref>Flavio Giovanni Conti, ''I prigionieri di guerra italiani (1940-1945)'', Bologna, 1986, pp. 144-145, citato in Lanaro, cit., p. 17.</ref>.
 
Il rimpatrio degli internati è inoltre lento: il [[Governo Badoglio I|governo Badoglio]], alla firma dell'[[armistizio di Cassibile]] (3 settembre 1943), non aveva ritenuto di occuparsene. Nel febbraio del 1946 50.000 soldati italiani sono ancora negli [[Stati Uniti d'America|USA]] e solo faticose trattative hanno in precedenza ottenuto la liberazione di piccoli scaglioni. Circa un milione di internati all'estero rientra in patria tra il 1945 e il 1947.<ref name=lanaro17/>
 
I partiti antifascisti, timorosi che il permanere di una tradizione militare lasci campo a rigurgiti di fascismo, cercano in tutti i modi di ostacolare il sorgere di associazioni di ex combattenti. Come scrive [[Silvio Lanaro]]:
{{citazione|Il risultato è un generale disorientamento di folte schiere di cittadini adulti, ignari o poco informati di ciò che è avvenuto nel paese dopo l'8 settembre, rinchiusi nel loro silenzio e nella loro rabbia, mal disposti verso la classe di governo [...].<ref>Lanaro, cit., p. 18.</ref>}}
 
=== Gli ultimi governi del regno d'Italia ===
Tecnicamente, tutti i governi dall'armistizio dell'8 settembre 1943 al referendum istituzionale del 2 giugno 1946 sono ancora governi del [[Regno d'Italia (1861-1946)|Regno d'Italia]] che esercitano il potere ''in nome del Re''. Il Governo De Gasperi I è, ''[[de facto]]'', sia l'ultimo governo regio che il primo governo repubblicano; mentre il primo governo repubblicano ''[[de jure]]'' sarà il [[Governo De Gasperi II]].
 
{{Cronologia dei governi italiani (1943-1946)}}
===Il ritorno alla vita politica===
[[File:Corriere repubblica 1946.jpg|thumb|upright=1.8|La prima pagina del ''[[Corriere della Sera]]'' dell'11 giugno 1946 dichiara la vittoria della Repubblica, annunciata il giorno precedente ma che sarà proclamata solo il 18, al Referendum istituzionale del 2 e 3 giugno.]]
[[File:Palmiro Togliatti.jpg|left|thumb|[[Palmiro Togliatti]]]]
Il fallimento del rinnovamento auspicato dal [[governo Parri]] fu aggravato dal deterioramento dell'ordine pubblico messo in crisi dai conflitti nelle fabbriche del Nord e dalle occupazione delle terre al Sud. Parri, per l'opposizione dei [[partito Liberale Italiano|liberali]] e anche per il mancato appoggio dei partiti della sinistra, fu costretto nel dicembre 1945 alle dimissioni<ref>Gabriella Fanello Marcucci, ''Il primo governo De Gasperi (dicembre 1945-giugno 1946): sei mesi decisivi per la democrazia in Italia'', Rubbettino Editore, 2004 p.24 e sgg.</ref> in favore di Alcide De Gasperi, appoggiato da una coalizione comprendente i partiti del CLN, con l'esclusione del [[Partito d'Azione]], con [[Palmiro Togliatti]] ministro della Giustizia e Pietro Nenni ministro degli Esteri. De Gasperi rimase ininterrottamente capo del governo sino al [[1953]] caratterizzando la storia italiana di quel periodo decisivo per il suo immediato futuro.
 
Le forze progressiste tornarono in primo piano con la vittoria al [[nascita della Repubblica Italiana|referendum istituzionale]], a cui furono ammesse al voto per la prima volta in Italia anche le donne, del 2 giugno [[1946]] per la scelta tra monarchia e repubblica. Invano [[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III]], nel tentativo di salvare l'istituto monarchico, un mese prima del referendum aveva abdicato in favore del figlio Umberto che il 16 marzo 1946 decretò, come previsto dall'accordo del 1944,<ref>[http://www.anpialpignano.it/assemblea_costituente.htm#L%27ASSEMBLEA Patto di Salerno del 1944] {{webarchive|url=https://web.archive.org/web/20120630001059/http://www.anpialpignano.it/assemblea_costituente.htm |data=30 giugno 2012 }}</ref> che la forma istituzionale dello Stato sarebbe stata decisa mediante referendum da indirsi contemporaneamente alle elezioni per l'[[Assemblea Costituente della Repubblica Italiana|Assemblea Costituente]]. Il decreto per l'indizione del referendum recitava, in una sua parte: «... qualora la maggioranza degli elettori votanti si pronunci...»<ref name="RD98/46">[http://www.parlalex.it/pagina.asp?id=2823 Decreto legislativo luogotenenziale nº 98 del 16 marzo 1946]</ref>, frase che poteva lasciar intendere che esisteva anche la possibilità che nessuna delle due forme istituzionali proposte (monarchia o repubblica) raggiungesse la "maggioranza degli elettori votanti".<ref>L'ambiguità di questa espressione sarà causa di accesi dibattiti e contestazioni postreferendarie, comunque ininfluenti per la proclamazione del risultato referendario, in quanto i voti favorevoli alla repubblica saranno numericamente superiori alla somma complessiva delle schede bianche, nulle e favorevoli alla monarchia. I voti favorevoli alla repubblica superarono di circa due milioni quelli favorevoli alla monarchia, mentre le schede nulle furono solo 1&nbsp;498&nbsp;136</ref> Lo scrutinio assegnò 12.718.641 voti per la repubblica contro i 10.718.502 voti per la monarchia. Con il referendum si votò anche per la scelta dei componenti dell'Assemblea Costituente per l'elaborazione di una nuova carta costituzionale in sostituzione dello [[Statuto Albertino]].
 
La maggioranza dei voti andò ai grandi partiti di massa mentre quasi scompariva dalla scena politica il Partito d'Azione, espressione delle élites borghesi che avevano combattuto il fascismo. Tuttavia sussisteva ancora un equilibrio fra progressisti e moderati poiché comunisti e socialisti rappresentavano il 40% dei votanti. Un'affermazione particolare ebbe il movimento dell'[[Fronte dell'Uomo Qualunque|Uomo Qualunque]] fondato dal giornalista [[Guglielmo Giannini]].
 
Capo provvisorio della Repubblica fu un liberale indipendente [[Enrico De Nicola]] che dal 1º gennaio [[1948]], a norma della prima disposizione transitoria della Costituzione, assunse titolo ed attribuzioni di [[Presidente della repubblica|Presidente della Repubblica]].
 
===L'Italia nel sistema politico internazionale===
[[File:Alcide De Gasperi.jpg|thumb|[[Alcide De Gasperi]]]]
Alla fine della seconda guerra mondiale l'Italia si trovò in una particolare situazione internazionale: sino all'[[Armistizio di Cassibile|armistizio]] dell'8 settembre [[1943]] l'Italia aveva combattuto come alleata con la Germania nazista dalla quale si era inizialmente dissociata fino successivamente a dichiararle guerra come nemica. Nel frattempo si era sviluppato un movimento di liberazione nazionale contro l'occupazione tedesca e i loro collaboratori della [[Repubblica Sociale Italiana|Repubblica sociale]] che aveva contribuito alla vittoria delle forze alleate. Per gli Alleati l'Italia però era considerata una nazione sconfitta alla quale veniva riconosciuta solo la condizione di cobelligeranza. Questo fece sì che l'Italia nella [[trattati di Parigi (1947)|conferenza di pace di Parigi (1946)]] venisse considerata alla stessa stregua delle altre nazioni europee alleate della Germania e sconfitte per cui le condizioni di pace impostele furono molto gravose.
{{Citazione|Ebbene, permettete che vi dica con la franchezza che un alto senso di responsabilità impone in quest'ora storica a ciascuno di noi: questo Trattato è, nei confronti dell'Italia, estremamente duro...<ref>[[Alcide De Gasperi]], in ''Il nuovo Corriere della Sera'', 11 agosto 1946.</ref>}}
Nei precedenti accordi tra gli Alleati infine l'Italia era stata assegnata all'area politica occidentale contrapposta per la sua posizione strategica nel Mediterraneo, alla progressiva costituzione del blocco comunista nei Balcani.
 
Rivendicando questa importanza strategica italiana e la sua partecipazione effettiva alla guerra contro i tedeschi, il rappresentante del governo italiano, il presidente del consiglio Alcide De Gasperi chiedeva «di dare respiro e credito alla Repubblica d'Italia» rivendicando che «il rovesciamento del regime fascista ...non sarebbe stato così profondo se non fosse stato preceduto dalla lunga cospirazione dei patrioti che in patria e fuori agirono a prezzo di immensi sacrifici, senza l'intervento degli scioperi politici delle industrie del Nord, senza l'abile azione clandestina degli uomini dell'opposizione parlamentare e antifascista...»<ref>Alcide De Gasperi, cit.</ref> L'Assemblea dei vincitori non tenne in nessun conto le richieste di De Gasperi, che il 10 febbraio [[1947]] firmò il Trattato di pace.<ref>Francesco Malgeri, ''La stagione del centrismo: politica e società nell'Italia del secondo dopoguerra (1945-1960)'', Rubbettino Editore, 2002, p.182 e sgg.</ref>
 
L'Italia dovette subire rettifiche di frontiera in favore della Francia e della Jugoslavia, restituire alla Grecia le terre occupate e rinunciare a tutte le colonie, sia quelle fasciste che quelle prefasciste. Come risarcimenti l'Italia dovette pagare milioni di dollari, ricevuti in prestito dagli Stati Uniti, all'URSS, all'Albania, all'Etiopia, alla Grecia e alla Jugoslavia. La flotta navale fu quasi interamente consegnata ai vincitori. Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia rinunciarono a chiedere le riparazioni di guerra.<ref>''Trattato di pace con l'Italia'', art. 74, in Bendiscioli-Gallia, ''Documenti di storia contemporanea'', ed. Mursia, Milano, 1971.</ref>
 
La perdita delle colonie non fu sentita in Italia come una diminuzione importante sia per lo scarso valore attribuito a quelle terre sia per il processo di [[decolonizzazione]] ormai avanzato in Europa.
{{Citazione|A differenza di quella di Trieste, la questione delle colonie non era sentita profondamente dalle grandi masse dei contadini e degli operai, dagli abitanti delle campagne e della provincia italiana. Il clamore sollevato in Italia fu dovuto soprattutto allo sfruttamento della questione da parte di vecchi ufficiali delle truppe coloniali, di politici opportunisti e di nostalgici.<ref name="N. Kogan, cit">N. Kogan, cit.</ref>}}
 
===L'esclusione dei partiti comunisti e socialisti dal governo===
[[File:Giuseppe Saragat.jpg|upright|thumb|Giuseppe Saragat]]
Un particolare dibattito [[storiografia|storiografico]] si è aperto a proposito della svolta politica del maggio 1947 in Italia vista come un riflesso della "[[guerra fredda]]" con la contrapposizione che venne a crearsi alla fine della [[seconda guerra mondiale]] tra due blocchi internazionali, generalmente categorizzati come ''Occidente'' (gli [[Stati Uniti d'America]], gli alleati della [[Organizzazione del Trattato dell'Atlantico del Nord|NATO]] e i Paesi amici) e ''Oriente'', o più spesso ''blocco comunista'' (l'[[Unione Sovietica]], gli alleati del [[Patto di Varsavia]] e i Paesi amici).
 
In Italia all'interno del partito socialista (congresso del gennaio 1947) vi fu una scissione tra la corrente minoritaria degli "autonomisti" con a capo [[Giuseppe Saragat]], sostenitori di una politica filoccidentale, e i "fusionisti" di Pietro Nenni, orientati ad una collaborazione di governo con i comunisti.<ref>Alessandro De Felice, ''La socialdemocrazia e la scelta occidentale dell'Italia (1947-1949): Saragat, il Psli e la politica internazionale da Palazzo Barberini al Patto Atlantico'', Boemi 1998, p.96 e sgg.</ref>
 
Nacque così il PSDI ([[Partito Socialista Democratico Italiano]]) di Saragat disposto a collaborare con la Democrazia cristiana e a schierarsi per una politica atlantica. De Gasperi poté allora formare per più di cinque anni una serie di gabinetti [[centrismo|centristi]] quadripartito formati da democristiani, repubblicani, socialdemocratici e, più tardi, liberali.
 
L'esclusione dei partiti della sinistra è stata vista da una parte della storiografia come il risultato di un accordo politico di De Gasperi con gli americani per ottenere dagli Stati Uniti un prestito di 100 milioni di dollari.
 
Lo storico cattolico [[Pietro Scoppola]], che ebbe modo di consultare i documenti presenti nelle carte di De Gasperi, dichiara invece: «Non ho trovato nulla negli appunti di De Gasperi che autorizzi l'ipotesi di un'intesa pregiudiziale al prestito per l'esclusione dei comunisti dal governo.»<ref>[[Pietro Scoppola]], ''La proposta politica di De Gasperi'', Il Mulino, Bologna, 1977.</ref>
Tuttavia, vi furono certamente delle pressioni dal Dipartimento di Stato americano per l'esclusione dei comunisti e la formazione di un governo di centro che «opportunamente aiutato sul piano economico» avrebbe potuto raccogliere nuovi consensi elettorali. Secondo lo storico la rottura con i comunisti fu per De Gasperi più che una scelta, una necessità «un prendere atto di una situazione di fatto già esistente per il progressivo e ulteriore irrigidirsi della politica rispettiva degli Stati Uniti e dell'Unione Sovietica».<ref>Pietro Scoppola, cit.</ref>
 
Di parere diverso lo storico [[Giampiero Carocci]], che attribuisce a De Gasperi la subordinazione della politica italiana alle direttive degli Stati Uniti e di aver fatto confluire nella Democrazia Cristiana gli interessi «dei conservatori e delle forze tradizionalmente dominanti» anche se ebbe il merito di essersi opposto «alle spinte più rozzamente clericali e a quelle reazionarie del Vaticano» di [[papa Pio XII]].<ref>[[Giampiero Carocci]], ''Storia d'Italia dall'Unità ad oggi'', Feltrinelli, Milano, 1975.</ref>
 
===Dalle elezioni del 18 aprile 1948 a quelle del 7 giugno 1953===
{{Citazione|La forza di rottura, potenzialmente contenuta nel testo costituzionale radicalmente innovatore rispetto non solo alla ideologia fascista ma anche a quella liberale, non ha trovato energie sufficienti a metterla in opera, sicché la costituzione materiale, quale si è di fatto realizzata, ha privato di efficacia non solo e non tanto singoli precetti costituzionali, quanto la sua più profonda essenza.<ref>Costantino Mortati, ''Istituzioni di diritto pubblico'', ed. Cedam, 1975 in Erik Gobetti, ''1943-1945, la lunga liberazione'', ed. Franco Angeli, 2007, p. 248</ref>}}
[[File:Giuseppe Di Vittorio 1950.jpg|upright=0.7|thumb|[[Giuseppe Di Vittorio]] segretario della CGIL dal 1945 al 1957]]
I principi politici della nuova [[Costituzione|Carta Costituzionale]], entrata in vigore il 1º gennaio [[1948]] vennero messi alla prova dalle elezioni del 18 aprile [[1948]].
 
La situazione economica con l'applicazione della "linea [[Luigi Einaudi|Einaudi]]" nel frattempo andava migliorando: la diminuzione dell'[[inflazione]], anche a prezzo di un aumento della [[disoccupazione]], riportava lo sviluppo economico nell'alveo del tradizionale sistema capitalistico. L'appoggio della [[Confederazione generale dell'industria italiana|Confindustria]], soddisfatta dall'allontanamento dal governo di socialisti e comunisti, e l'arrivo di investimenti dall'estero, fecero sì che la produzione del 1948 tornasse ai livelli del 1938. Il movimento sindacale unito in un'unica confederazione ([[Confederazione Generale Italiana del Lavoro|CGIL]]), non soddisfatto della condizione dei lavoratori, manifestava nelle piazze il suo dissenso, represso dai duri interventi della polizia al comando del ministro degli interni [[Mario Scelba]].<ref>A. Costanzo, ''L'economia italiana nel 1948'', in ''Cronache sociali'', 3, (1949) pp.13-19</ref>
 
Le elezioni del 1948 videro il trionfo della Democrazia Cristiana che rispetto alle elezioni del 1946 guadagnò cinque milioni di voti (48,51 % dei voti)<ref>{{cita web|url=http://elezionistorico.interno.it/index.php?tpel=C&dtel=18/04/1948&tpa=I&tpe=A&lev0=0&levsut0=0&es0=S&ms=S|titolo=Elezioni 1948 risultati Camera dei Deputati|editore=[[Ministero dell'interno|Ministero dell'Interno]]|accesso=16 aprile 2013}}</ref> mentre il "[[Fronte Democratico Popolare]]", formato da PCI e PSI uniti, ne perse un milione. Questa schiacciante vittoria era dovuta ad una serie di cause:
*l'enunciazione, un mese prima delle elezioni, della "[[dottrina Truman]]" :
{{Citazione|Se il popolo italiano voterà per affidare il governo a un potere nel quale l'influenza dominante spetti ad un partito la cui ostilità al programma di assistenza americano è stata ripetutamente e clamorosamente espressa, dovremmo concludere che il popolo italiano desidera dissociarsi da tale programma.<ref>Dichiarazione del segretario di Stato statunitense George Marshall in Camillo Daneo ''La politica economica della ricostruzione, 1945-1949'', Einaudi, 1975, p.249</ref>}}
*il [[colpo di Stato|colpo di stato]] comunista a [[Praga]] (febbraio 1948) che accrebbe la paura che i comunisti volessero fare altrettanto in Italia;
*l'appoggio dato alla DC dal Vaticano e dal clero che predicò il voto al partito cattolico come un dovere per i credenti.
 
Nonostante la maggioranza conseguita De Gasperi non volle fondare la sua politica sul solo partito cattolico e chiamò al governo esponenti dei partiti laici minori, anche per tenere a freno le spinte integraliste all'interno della DC.
[[File:Pio XII in preghiera.jpg|left|thumb|[[Papa Pio XII]]]]
L'Italia, che in politica estera aveva già aderito dal 1948 agli organismi europeistici dell'[[Organizzazione per la cooperazione economica europea|OECE]] e del [[Consiglio d'Europa]], rese definitivo il suo schieramento dalla parte occidentale con l'adesione alla [[Organizzazione del Trattato dell'Atlantico del Nord|NATO]] nell'aprile del 1949. L'integrazione nel sistema economico di mercato dell'Europa occidentale continuò con l'adesione alla [[Comunità europea del carbone e dell'acciaio|CECA]] e nel 1957 alla ''Comunità economica europea'' [[Comunità europea|CEE]], vista dagli imprenditori italiani come una garanzia della prevalenza del liberismo economico sugli interventi e controlli statali.
 
L'adesione allo schieramento filoccidentale del governo uscito dalle elezioni del 1948 fece aumentare le tensioni sociali, che si espressero nell'attentato a Palmiro Togliatti (14 luglio [[1948]]) e nella scissione all'interno della CGIL, con la formazione nel [[1950]] della [[Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori|CISL]], di orientamento cattolico e della [[Unione Italiana del Lavoro (1950)|UIL]] di ispirazione [[Partito Repubblicano Italiano|repubblicana]] e socialdemocratica, il che indebolì la forza contrattuale del sindacato.
 
Le elezioni politiche del [[1953]], le seconde del dopoguerra, segnarono la crisi della DC, che aveva tentato di garantire il mantenimento della sua egemonia, con l'introduzione di una nuova legge elettorale che assegnasse un premio di maggioranza alla coalizione che conseguisse il 50% + 1 dei voti validi. La "[[legge elettorale italiana del 1953|legge truffa]]", come la chiamarono le sinistre che furono assolutamente contrarie, fu promulgata il 31 marzo 1953 (n.148/1953) ed entrò in vigore, senza che desse gli effetti previsti, per le elezioni politiche del 3 giugno di quello stesso anno<ref>Il meccanismo previsto dalla legge non scattò. Secondo [[Bruno Vespa]] (''L'Italia spezzata-Un paese a metà tra Prodi e Berlusconi'', Mondadori, 2006) «i voti non validi furono una valanga: 1.317.583, il 4,6% dei votanti, il doppio delle elezioni del 1948», in particolare c'erano «436.534 bianche e 881.049 nulle». Vespa citò poi una dichiarazione che Vincenzo Longi, ai tempi funzionario della Camera, avrebbe reso nel [[1995]] a Giancarlo Loquenzi: «Se fossi interrogato nel tribunale della Storia, direi in piena coscienza che delle circa 800.000 schede contestate, moltissime erano più che valide e che, quindi, il quorum del 50% più uno si sarebbe abbondantemente superato». «Sia De Gasperi sia Scelba decisero di non attendere il riesame delle schede contestate prima di far proclamare i risultati», scrive Vespa. «Essi sapevano di aver vinto, ma temettero che, se l'avessero dichiarato, l'Italia avrebbe corso il rischio di una guerra civile». (in ''Andreotti con il cestino della carta straccia in testa'', Corriere della Sera, 2 novembre 2006).</ref> e venne poi abrogata con la legge 615 del 31 luglio [[1954]]. La perdita di quasi un milione di voti rispetto alle elezioni del 1948 contrassegnò la crisi della formula politica del centrismo, evidenziata dalle dimissioni dal governo di De Gasperi e dal susseguirsi di una serie di governi politicamente instabili.
 
I governi centristi avviarono una parziale [[riforma agraria]] nelle zone più depresse del Paese, già avviata con il progetto De Gasperi-Segni nell'aprile del [[1949]] per l'espropriazione e il frazionamento delle grandi proprietà agricole. La legge che alla fine venne approvata assegnava ai contadini «solo un terzo o metà delle terre originariamente destinate alla redistribuzione»<ref name="N. Kogan, cit">N. Kogan, cit.</ref>
 
La riforma divenne strumento di [[clientelismo]] elettorale e non riuscì a formare l'auspicata classe di piccoli proprietari contadini, ma piuttosto piccole aziende a carattere familiare e perciò scarsamente produttive che ben presto, dopo il [[1959]], abbandonarono la coltivazione della terra con un massiccio esodo verso le città, in occasione del [[miracolo economico italiano|boom economico]] dell'industria e dell'attività edilizia.
 
Vi fu un massiccio trasferimento di lavoratori, poi seguiti dalle loro famiglie, dal Sud dell'Italia verso i centri industriali del Nord (Torino, Milano, Brescia), mentre proseguiva l'emigrazione verso la Svizzera, la Germania Ovest, la Francia e il Belgio.
 
Gli stessi governi centristi approvarono l'istituzione della [[Cassa del Mezzogiorno]] che con un'azione di sovvenzioni statali ai privati cercò di avviare una politica di costruzione di grandi [[infrastruttura|infrastrutture]], al fine di favorire l'unificazione sociale ed economica del Meridione al resto d'Italia. Con il potenziamento dell'[[IRI]], per lo sviluppo delle imprese statali, e la creazione dell'[[Eni|ENI]] ([[1953]]) per la ricerca e l'approvigionamento degli idrocarburi, lo Stato diveniva poi imprenditore, allo scopo di calmierare l'iniziativa privata, impedendo manovre speculative sul mercato petrolifero.
 
===I problemi della ricostruzione===
{{vedi anche|Ricostruzione (Italia)}}
L'entità dei danni di guerra fu oggetto di diversi studi, anche in vista di un progetto di ricostruzione. Esistono, così, i numeri offerti dall'economista [[Pasquale Saraceno]] in ''La ricostruzione industriale italiana'' (1947)<ref>Il testo fu inizialmente pubblicato in ''Critica economica'', n. 6., e poi ripubblicato in ''Ricostruzione e pianificazione'', a cura di [[Piero Barucci]] (Bari, 1969, p. 258).</ref>, che restituiscono il seguente quadro<ref>Lanaro, cit., p. 11.</ref>:
*il danno globale è calcolabile in 3.200 miliardi di lire (somma pari a tre volte il reddito del 1938);
*l'apparato industriale risulta modestamente danneggiato, anche per l'intervento [[Resistenza italiana|partigiano]];
*significativamente danneggiato il comparto siderurgico (in particolare gli impianti costieri di [[Bagnoli (Napoli)|Bagnoli]], [[Piombino]] e [[Cornigliano]]);
*gravi danni alla produzione agricola, specie nell'Italia centrale;
*duramente colpite ferrovie, porti, flotta, parco automobilistico.
 
Secondo i calcoli della [[Banca d'Italia]], i danni di guerra patiti dal comparto industriale, nel complesso rappresentavano l'8% del valore degli impianti, mentre ''[[The Economist]]'' riferiva che il 62% della rete ferroviaria risultava indenne e così il 50% del materiale rotabile. In queste condizioni, l'industria meccanica era in grado di recuperare rapidamente i numeri della situazione prebellica.<ref>[[Marcello De Cecco]], ''La politica economica durante la ricostruzione'', in [[Stuart Joseph Woolf]] (a cura di) ''Italia 1943-1950. La ricostruzione'', Bari, 1974, pp. 285-286, citato in Lanaro, cit., p. 11.</ref>
Sebbene la struttura industriale del Paese non fosse stata gravemente danneggiata, anche per l'intervento di salvaguardia degli operai<ref>[[Antonio Gambino]], cit., p. 33.</ref>, sussistevano grandi difficoltà per la riconversione industriale alla produzione di pace e per i rifornimenti di materie prime.<ref>Luigi De Rosa, ''Lo sviluppo economico dell'Italia dal dopoguerra a oggi'', Laterza, 1997.</ref> Disastrose le condizioni invece delle maggiori città italiane distrutte dai bombardamenti, delle strutture stradali, dell'agricoltura, non tanto per la produzione di grano che nel [[1945]] era al 75% di quella di prima della guerra, quanto per quella dello zucchero e della carne scesa al 10% e al 25% di quella anteguerra.<ref>Antonio Gambino, cit., p. 71.</ref>
Manifestazioni, come quella di Milano del [[1945]], si susseguirono in tutta Italia per il razionamento dei generi alimentari che favoriva il mercato illegale della "[[mercato nero|borsa nera]]". Mentre la disoccupazione cresceva, aumentava la perdita di valore della lira tanto che il costo della vita era di 20 volte maggiore rispetto al [[1938]] e nel [[1946]], nel giro di un anno, i prezzi raddoppiarono. Il reddito nazionale del 1945 era pari al 51,9% di quello del 1938. La massa monetaria circolante era quattordici volte quella del 1939 (e cioè di 451 miliardi di lire).<ref name=lanaro12>Lanaro, cit., p. 12.</ref>
Ma la guerra aveva provocato anche disastri morali con la lotta armata ai nazifascisti che in alcuni casi si era trasformata da guerra patriottica di liberazione in una vera e propria guerra civile<ref>[[Norberto Bobbio]], ''Dal fascismo alla democrazia: i regimi, le ideologie, le figure e le culture politiche'', ed. Baldini Castoldi Dalai, 2008, p. 141 e sgg.</ref> coi suoi strascichi di odi e vendette private.<ref>[[Claudio Pavone]], ''[[Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza]]'', Editore Bollati Boringhieri, 2006 ''passim''</ref>
L'ordine pubblico era fortemente compromesso dalla delinquenza per bande organizzata in molte regioni e dal [[indipendentismo siciliano|movimento separatista siciliano]], per le sue complicità [[mafia|mafiose]], anche se "naturalmente, il separatismo non fu tutto mafia né tutti i mafiosi furono separatisti. Moltissimi seguaci del movimento non ebbero nulla a che vedere con la mafia..."<ref>Salvatore Nicolosi, ''Sicilia contro Italia: il separatismo siciliano'', ed. C. Tringale, 1981, p. VII.</ref>.
La ripresa fu comunque rapida: nel settembre del 1946, l'attività industriale era pari al 70% di quella del 1938.<ref name=lanaro12/>.
 
Le nuove logiche geopolitiche della [[Guerra Fredda]] contribuirono, tuttavia, a far sì che l'[[Italia]], paese cerniera fra l'Europa Occidentale, la [[Penisola Balcanica]], l'Europa Centrale e l'[[Africa]] Settentrionale, vedesse del tutto dimenticato il suo antico ruolo di potenza nemica e potesse così godere, a partire dal [[1947]], di consistenti aiuti da parte del [[Piano Marshall]], valutabili in circa 1.2 miliardi di dollari dell'epoca.{{citazione necessaria}}.
 
=== Il Piano Marshall ===
{{vedi anche|Piano Marshall}}
Istituito il 3 giugno 1948,ufficialmente chiamato piano per la ripresa europea (''European Recovery Plan'') a seguito della sua attuazione, fu uno dei piani politico-economici statunitensi per la ricostruzione dell'[[Europa]] dopo la seconda guerra mondiale. Il piano riuscì almeno in parte a risollevare le sorti economiche di alcuni Paesi europei, tra cui l'Italia, consentendo di intraprendere per contro proprio politiche industriali volte alla ricostruzione e crescita economica.
 
=== L'attività dell'IRI ===
{{vedi anche|Istituto per la ricostruzione industriale}}
 
Nato in [[epoca fascista]] per iniziativa dell'allora capo del Governo [[Benito Mussolini]] al fine di evitare il [[fallimento (diritto)|fallimento]] delle principali [[Banca|banche]] italiane ([[Banca Commerciale Italiana|Commerciale]], [[Credito Italiano]] e [[Banco di Roma]]) e con esse il crollo dell'[[economia]], già provata dalla [[Grande depressione|crisi economica mondiale iniziata nel 1929]], nel secondo dopoguerra allargò progressivamente i suoi settori di intervento e fu l'ente che modernizzò e rilanciò l'[[Economia d'Italia|economia italiana]] soprattutto negli [[Anni 1950|anni cinquanta]] e [[Anni 1960|sessanta]] durante le fasi della ricostruzione post-bellica e l'inizio del [[Boom economico italiano|boom economico]]; nel 1980 l'IRI era un gruppo di circa {{formatnum:1000}} società con più di {{formatnum:500000}} dipendenti.
 
===Il miracolo economico===
{{Vedi anche|Miracolo economico italiano}}
Il [[piano Marshall]], operativo sin al [[1951]], aveva dato una prima spinta alla ricostruzione del paese che iniziò a procedere rapidamente e con le sue forze verso lo sviluppo economico a partire dal [[1954]] sino all'entrata nel Mercato comune nel [[1957]]. Nel giro di pochi anni l'Italia divenne uno stato prevalentemente urbano e industriale sino a posizionarsi al settimo posto tra i paesi più industrializzati. Un rilevante progresso si ebbe nell'industria tessile, siderurgica, meccanica, chimica, petrolchimica e dell'edilizia.<ref>Alberto Cova, ''Economia, lavoro e istituzioni nell'Italia del Novecento: scritti di storia economica'', Vita e Pensiero, 2002 p.579 e sgg.</ref>
 
Questa grande espansione economica fu determinata da una serie di elementi concomitanti:
*una favorevole congiuntura internazionale caratterizzata da un incremento vertiginoso del commercio internazionale. Anche la fine del tradizionale [[protezionismo]] economico italiano incentivò il sistema produttivo italiano costringendolo ad ammodernarsi e a confrontarsi con la [[concorrenza (economia)|concorrenza]].
*la disponibilità di nuove fonti di energia e la trasformazione dell'industria dell'acciaio furono gli altri fattori decisivi. La scoperta del metano e degli idrocarburi in Val Padana, la realizzazione di una moderna industria siderurgica sotto l'egida dell'IRI, permisero di fornire alla rinata industria italiana acciaio a prezzi sempre più bassi.
*il basso costo del lavoro, senza il quale il «miracolo economico» non avrebbe potuto aver luogo. Gli alti livelli di disoccupazione negli anni cinquanta furono la condizione perché la domanda di lavoro eccedesse abbondantemente l'offerta, con le prevedibili conseguenze in termini di andamento dei salari.<ref>Dal 1953 al 1959 la produttività aumentò del 53%, i salari solo del 7%. Cfr. Guido Crainz, ''Storia del miracolo italiano: culture, identità, trasformazioni fra anni cinquanta e sessanta'', Donzelli Editore, 2005, p.195 e segg.</ref>
 
Lo sviluppo, quindi, non fu omogeneo ed anzi aggravò lo squilibrio tra Nord e Sud:
{{Citazione|Il ''boom'' aveva fatto entrare nel mondo moderno del benessere un numero di Italiani molto maggiore che in precedenza, ma sempre una minoranza. Circa il 25 per cento della popolazione aveva raggiunto un livello di vita decente, secondo i modelli di vita dell'Europa occidentale, ma la maggioranza rimaneva di gran lunga al di sotto di questo livello e una parte notevole viveva ancora ai limiti della sopravvivenza.<ref>N. Kogan, ''Op. cit.''</ref> }}
 
Tra gli effetti negativi del boom vanno alla fine annoverati:
*l'abbandono imponente delle campagne;
*la brusca trasformazione dei costumi;
*il [[consumismo]];
*uno sregolato sviluppo edilizio.
 
===I socialisti nel governo===
[[File:Moro.jpg|upright=0.7|thumb|[[Aldo Moro]]]]
Dopo una serie di tentativi da parte delle correnti più conservatrici della DC di spostare l'asse del governo verso la destra dello schieramento politico italiano, con le conseguenti vicende del [[governo Tambroni]], anche a seguito del mutamento del clima politico internazionale nella [[coesistenza pacifica]] tra Occidente e Oriente, il [[Partito Socialista Italiano]] cominciò a collaborare con il governo prima con un appoggio parlamentare esterno al governo di [[Amintore Fanfani]] ([[1962]]) ed infine con la partecipazione diretta al governo di [[Aldo Moro]] ([[1963]]).
 
Il leader del PSI [[Pietro Nenni]], dopo la denunzia dei crimini di [[Iosif Stalin|Stalin]] fatta da [[Nikita Sergeevič Chruščёv|Kruscev]] al [[XX Congresso del Partito Comunista dell'Unione Sovietica|XX Congresso del PCUS]] (febbraio [[1956]]), e soprattutto dopo la repressione armata da parte dell'URSS della [[rivoluzione ungherese del 1956|rivolta ungherese]] (ottobre 1956), restituì il Premio Stalin conseguito cinque anni prima e devolse la somma ricevuta alla [[Croce Rossa Internazionale]] in favore delle vittime della rivoluzione ungherese e della [[crisi di Suez]] e fondò all'interno del PSI la corrente "[[Socialisti autonomisti|autonomia socialista]]", tendente a creare le condizioni per un governo che fosse espressione di un accordo tra i socialisti ed il [[Centro (politica)|centro]]. Ad essa si contrappose la corrente dei "[[Socialisti carristi|carristi]]", così chiamati perché favorevoli all'intervento militare, con i "carri armati", delle truppe [[URSS|sovietiche]] in [[Ungheria]], i cui componenti, in gran parte, uscirono dal Partito nel [[1964]] per dal vita al nuovo [[PSIUP]].
 
L'ingresso dei socialisti al governo trovò una forte opposizione da parte della Confindustria, mentre alcuni imprenditori erano favorevoli alla corresponsabilizzazione dei lavoratori come giovevole per la produzione, se non altro per la diminuzione degli scioperi, non sottovalutando poi i vantaggi di una maggiore stabilità politica che avrebbe permesso la realizzazione di una [[documento di programmazione economica finanziaria|programmazione economica]] più accurata.
 
I socialisti in cambio del loro appoggio al governo chiesero l'istituzione delle regioni a statuto ordinario, una riforma agraria tendente alla soppressione della [[mezzadria]], la riforma della scuola con l'estensione della durata della scuola dell'obbligo e soprattutto la [[Produzione di energia elettrica in Italia#La nazionalizzazione e la crisi petrolifera|nazionalizzazione della produzione dell'energia elettrica]]. Quest'ultima fu attuata nel [[1962]] con il governo Fanfani con la creazione dell'ente statale [[Enel|ENEL]]. Venne attuata anche la [[Scuola secondaria di primo grado in Italia|scuola media unica]] con l'obbligo scolastico fino al 14º anno d'età. Fu invece bloccata la riforma agraria e l'istituzione delle regioni, in quanto la corrente conservatrice della DC temeva il costituirsi delle "regioni rosse".<ref>[http://win.storiain.net/arret/num143/artic4.asp Michele Strazza, ''La nascita delle regioni ordinarie'']</ref>
 
I comunisti e una parte della sinistra interna al PSI (che poi darà vita alla scissione del PSIUP) giudicarono l'apertura a sinistra della DC come un'operazione di [[trasformismo (politica)|trasformismo]]:
{{Citazione|Il centro-sinistra degli anni Sessanta non fa eccezione a questa regola; anche in quella occasione la classe dirigente tradizionale si comportò in conformità all'esperienza di sempre e accettò l'ingresso dei socialisti nella maggioranza obbedendo alla legge di cooptare nel governo una parte dell'opposizione. Alla medesima regola si attennero i socialisti, spinti verso il governo dalla profonda convinzione che dal di fuori poco o nulla poteva farsi per rinnovare il paese.<ref>[[Eugenio Scalfari]], ''L'autunno della Repubblica'', Etas Kompas, Milano, 1968.</ref>}}
Controprova di questo giudizio fu la scissione all'interno del PSI dei cosiddetti [[massimalismo (politica)|"carristi"]], che fondarono il nuovo partito del [[Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria|PSIUP]], rifiutandosi, come dicevano, di dare sostegno alle forze conservatrici. Sullo stesso piano fu l'opposizione del PCI al governo di centro-sinistra, premiata, assieme al PSIUP, nelle elezioni del 28 aprile [[1963]] da un aumentato consenso elettorale.
 
Il nuovo governo Moro (agosto 1963-dicembre 1964) si trovò così in gravi difficoltà, anche per la fase di [[recessione]] che attraversava in quel momento l'economia italiana, ma riuscì a portare a termine importanti riforme, nonostante l'opposizione o l'astensione dei comunisti, come nel caso dello "[[Statuto dei lavoratori]]" e dell'[[Regioni d'Italia|ordinamento regionale]].
 
===La svolta del PCI e il deterioramento del centro-sinistra===
Il 21 agosto [[1964]] Palmiro Togliatti era morto a [[Jalta|Yalta]] lasciando un [[il memoriale di Yalta|testamento politico]] dove auspicava una nuova via italiana al socialismo:
{{Citazione|Una più profonda riflessione sul tema della possibilità di una via pacifica di accesso al socialismo ci porta a precisare che cosa intendiamo per democrazia in uno Stato borghese [...] Sorge così la questione della possibilità di conquista di posizioni di potere da parte delle classi lavoratrici, nell'ambito di uno Stato che non ha cambiato la sua natura di Stato borghese e quindi se sia possibile la lotta per una progressiva trasformazione, dall'interno, di questa natura.|Palmiro Togliatti, ''Memoriale di Yalta'', Palermo, Sellerio, 1988.p.40}}
 
Contro la cosiddetta "apertura a sinistra" della Democrazia Cristiana di Fanfani e di Moro e l'ingresso dei socialisti al governo, che avrebbe potuto costituire, secondo le forze reazionarie, una sorta di "cavallo di Troia" in vista di una futura eventuale partecipazione comunista all'esecutivo, nel [[1964]] venne organizzato un colpo di Stato (''[[piano Solo]]'') che fallì per la sua stessa inefficienza. Si trattava di quello che venne scoperto più tardi nel [[1967]] come lo "scandalo del [[Servizio informazioni forze armate|SIFAR]]".
 
Le elezioni del [[1968]] rafforzarono sia la DC che il PCI, mentre subì un tracollo, effetto della delusione degli elettori della sua politica al governo, il nuovo partito [[PSI-PSDI Unificati|PSU]] nato dalla unificazione dei due partiti socialisti.
 
Intorno agli anni 1967-1968 incominciò una parziale ripresa dell'economia, ma nel [[1969]] il rinnovo dei contratti di lavoro generò nel Paese un'ondata di proteste e manifestazioni di piazza. La Destra vedeva in questi sconvolgimenti dell'ordine pubblico una minaccia di sovversione e invocava l'intervento dello Stato forte.
 
Il 12 dicembre [[1969]] una bomba ad alto potenziale venne fatta esplodere nella [[Strage di piazza Fontana|Banca nazionale dell'agricoltura in Piazza Fontana]] a [[Milano]] che causò sedici morti e sessanta feriti: un episodio di [[terrorismo]] politico di cui furono accusati prima gli [[anarchia|anarchici]] e successivamente i [[neofascismo|neofascisti]]. L'avvenimento aprì la strada a una serie fatti eversivi come il tentativo di [[Golpe Borghese|fallito colpo di Stato]] nel [[1970]] del principe [[Junio Valerio Borghese]], ex comandante della [[Xª Flottiglia MAS (Regno d'Italia)|Xª Flottiglia MAS]] nella [[Repubblica Sociale Italiana|RSI]] e l'azione insurrezionale di vari movimenti clandestini armati. A complicare il clima politico concorse il movimento di [[sessantotto|contestazione studentesca]] che investì l'Italia dal 1969, preludio dell'[[autunno caldo]] e dei successivi [[anni di piombo]].
 
{{Citazione|Il paese stava pagando alla fine degli anni Sessanta, il prezzo delle innumerevoli contraddizioni maturate negli anni del "miracolo": l'incapacità delle forze politiche moderate di realizzare le necessarie riforme, le divisioni della sinistra, l'incapacità del partito comunista, ancora chiuso nel suo "limbo", di condizionare dall'esterno la direzione politica del paese, le velleità dei ceti più reazionari, politicamente impotenti ma tentati a battere ancora la strada del terrorismo e dell'eversione.<ref>Antonio Desideri, cit., p. 1066.</ref>}}
 
==Note==
<references/>
 
== Bibliografia ==
* Eddy Bauer, ''Storia controversa della seconda guerra mondiale'', 7 volumi, De Agostini, 1971.
* [[Giorgio Bocca]], ''Storia d'Italia nella guerra fascista'', Mondadori, 1996.
* [[Giuseppe Boffa]], ''Storia dell'Unione Sovietica, parte II'', Mondadori, 1979.
* [[Winston Churchill]], ''La seconda guerra mondiale'', 6 volumi, Mondadori, Milano, 1948.
* [[Renzo De Felice]], ''Mussolini il Duce'', Einaudi, 1981.
* [[Andreas Hillgruber]], ''La distruzione dell'Europa'', il Mulino, 1991.
* Eric Morris, ''La guerra inutile'', Longanesi, 1993.
* [[William Lawrence Shirer]], ''Storia del Terzo Reich'', Einaudi, 1990.
*{{cita libro| nome=Giorgio| cognome=Candeloro| titolo=Storia dell'Italia moderna. Vol. 10: La seconda guerra mondiale. Il crollo del fascismo. La Resistenza| anno=1984|editore=Feltrinelli | id = ISBN 8807808056|cid=Candeloro 1984}}
* ADSTANS (pseudonimo di Paolo Canali), ''Alcide De Gasperi nella politica estera italiana, 1943-1953 '', Mondadori, Milano, 1953
* Igino Giordani, ''Alcide De Gasperi il ricostruttore'', Roma, Edizioni Cinque Lune, 1955
* Giulio Andreotti, ''De Gasperi e il suo tempo'', Milano, Mondadori, 1956
* [[Gianni Baget Bozzo]], ''Il partito cristiano al potere: la DC di De Gasperi e di Dossetti 1945-1954'', Firenze, Vallecchi, 1974.
* Giuseppe Rossini, ''Alcide De Gasperi. L'età del centrismo 1947-1953'', Roma, Cinque Lune, 1990
* [[Nico Perrone]], ''De Gasperi e l'America'', Palermo, Sellerio, 1995 ISBN 8-83891-110-X
* Andrea Riccardi, ''[[Pio XII e Alcide De Gasperi - Una storia segreta]]'', Roma Bari, Laterza, 2003
* Marialuisa-Lucia Sergio, ''De Gasperi e la «questione socialista». L'anticomunismo democratico e l'alternativa riformista'', Soveria Mannelli, Rubbettino, 2004
* Giovanni Sale, ''De Gasperi gli USA e il Vaticano. All'inizio della guerra fredda'', Milano, Jaca Book, 2005
* Luciano Radi, ''La Dc da De Gasperi a Fanfani'', Soveria Mannelli, Rubbettino, 2005
* Giuseppe Chiarante, ''Tra De Gasperi e Togliatti. Memorie degli anni cinquanta'', Roma, Carocci, 2006
* Diomede Ivone, Marco Santillo, ''De Gasperi e la ricostruzione (1943-1948)'', Roma, Edizioni Studium, 2006
* Elena Aga Rossi e [[Viktor Zaslavskij|Victor Zaslavsky]], ''Togliatti e Stalin. Il PCI e la politica estera staliniana negli archivi di Mosca''. Bologna, Il Mulino 1997 (2007 sec. ed.)
* [[Aldo Agosti]], ''Palmiro Togliatti''. Torino, UTET 1996
* Aldo Agosti, ''Togliatti negli anni del Comintern 1926-1943: documenti inediti dagli archivi russi''. Roma, Carocci 2000
* [[Giorgio Bocca]], ''Palmiro Togliatti''. Milano, Mondadori 1997
*Franco De Felice, ''Serrati, Bordiga, Gramsci e il problema della rivoluzione in Italia. 1919-1920'', Bari, De Donato 1971
* Pietro Di Loreto. ''Togliatti e la doppiezza: il PCI tra democrazia e insurrezione, 1944-49''. Bologna, Il Mulino, 1991
*[[Giuseppe Galasso]], ''Seguendo il P.C.I.: da Togliatti a D'Alema (1955-1996)'', Lungro, C. Marco 1998
*[[Giorgio Galli]], ''Storia del PCI''. Milano, Bompiani, 1976.
*Carlo Maria Lomartire, ''Insurrezione 14 luglio 1948: l'attentato a Togliatti e la tentazione rivoluzionaria'', Milano, Mondadori 2006
*Palmiro Togliatti, ''Memoriale di Yalta'', Palermo, Sellerio 1988
* [[Sergio Zavoli]]. ''[[La notte della Repubblica]]'', Mondadori Oscar Bestsellers, 1995.
*[[Camilla Cederna]], ‘'Nostra Italia del miracolo'’, Longanesi, 1980
* {{cita libro |nome=Silvio|cognome=Lanaro |wkautore=Silvio Lanaro |titolo=Storia dell'Italia repubblicana |editore=Marsilio Editori |città=Venezia |anno=1992 |isbn=88-317-6396-2 |cid=Lanaro}}
*[[Antonio Gambino]], ''Storia del dopoguerra: dalla liberazione al potere DC'', volume 1, ed. Laterza, 1978
 
==Voci correlate==
* [[Seconda guerra mondiale]]
* [[Storia d'Italia (1861-oggi)]]
* [[Storia dell'Italia repubblicana]]
* [[Periodo costituzionale transitorio]]
* [[Governo Badoglio I]]
* [[Governo Badoglio II]]
* [[Governo Bonomi I]]
* [[Governo Bonomi II]]
* [[Governo Parri]]
* [[Governo De Gasperi I]]
* [[Governo De Gasperi II]]
* [[Prima Repubblica (Italia)]]
 
{{portale|italia|Storia d'Italia}}
 
[[Categoria:Storia d'Italia]]