Assedio di Roma (537-538): differenze tra le versioni

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Poco tempo dopo, i Goti fecero un ultimo tentativo di espugnare l'Urbe: calarono alcuni soldati in un acquedotto prosciugato all'inizio della guerra, i quali con lumi e fiaccole in mano procedettero lungo l'acquedotto alla ricerca di un'entrata nell'Urbe.<ref name=ProcII9>{{Cita|Procopio|[[s:Istoria delle guerre gottiche/Libro secondo/Capo IX|II, 9]]}}</ref> Tuttavia, per tale apertura, non distante dalla Porta Pinciana, una delle guardie a presidio della suddetta Porta, insospettitosi al vedere l'insolito chiarore, riferì tutto ai compagni, ma essi congetturarono che si fosse trattato di un lupo. Nel frattempo i Goti non poterono procedere oltre a causa di un ostacolo piazzato da Belisario per precauzione all'inizio dell'assedio; essi, dunque, dopo aver estratto una pietra, decisero di tornare indietro e di riferire tutto a Vitige, mostrandogli la pietra che mostrava indicazioni precise del luogo dov'essa giaceva. Il giorno successivo, avendo Belisario sentito il discorso tra le guardie riguardante il sospetto del lupo, il condottiero comandò che i guerrieri più coraggiosi dell'esercito, con la sua lancia Diogene, si intrufolassero nell'acquedotto per eseguirvi prontamente diligentissime ricerche. Essi riscontrarono nell'acquedotto le gocciolature delle lucerne, le smoccolature delle fiaccole e anche il luogo dove i Goti avevano estratto la pietra; essi dunque, tornati indietro, riferirono tutto a Belisario, il quale, per tutta risposta, guernì l'acquedotto di valenti guerrieri.<ref name=ProcII9/>
 
I Goti, nel frattempo, avevano deciso di assalire apertamente le mura, e, scelta l'ora del pranzo, si diressero verso la porta Pinciana cogliendo di sprovvista gli assediati. Muniti di scale e fuoco, tutti ricolmi di speranza che avrebbero espugnato l'Urbe già al primo assalto, assalirono le mura, venendo tuttavia respinti da Ildigero e dai suoi uomini. I Romani, informati dell'attacco, accorsero da ogni parte a respingere gli assalitori, e i Goti retrocedettero nei loro accampamenti. Vitige tentò allora di sfruttare il fatto che gli antichi Romani, fidandosi delle difese naturali già fornite dal Tevere, avevano fabbricato con tanta negligenza le mura che esse erano molto basse e del tutto prive di torri. Vitige allora istigò con denaro due Romani domiciliati nei pressi della chiesa dell'apostolo Pietro a visitare di notte, portando un' otre piena di vino, i custodi là di stanza, simulando amicizia; essi avrebbero dovuto versare nel bicchiere di vino dei custodi del sonnifero. Non appena le guardie fossero vinte dal sonno, dall'opposta riva del Tevere i Goti avrebbero dovuto oltrepassare il Tevere per poi, muniti di scale, scalare le mura.<ref name=ProcII9/> Tuttavia, uno dei romani corrotti da Vitige con denaro avvisò della trama ordita Belisario, che dunque fece torturare l'altro romano corrotto, il quale confessò e tirò fuori il narcotico avuto da Vitige. Belisario, per punire il tradimento, gli fece tagliare il naso e le orecchie, e lo mandò in groppa a un asino presso l'accampamento nemico per informare i Goti del fallimento del loro piano.<ref name=ProcII9/>
 
Nel frattempo Belisario aveva scritto a Giovanni comandandogli di devastare il Piceno e di ridurre in schiavitù la prole e le mogli dei Goti con i suoi duemila cavalieri. Giovanni eseguì prontamente gli ordini ricevuti, devastando con successo il Piceno e annientando un esercito goto condotto da Uliteo, zio del re Vitige.<ref name=ProcII10>{{Cita|Procopio|[[s:Istoria delle guerre gottiche/Libro secondo/Capo X|II, 10]]}}</ref> Tuttavia, non rispettò l'ordine ricevuto da Belisario di espugnare tutte le città fortificate lungo il cammino (in modo da non lasciarsi eserciti ostili alle spalle). Evitò di assediare e di espugnare i centri fortificati di Osimo e Urbino, puntando direttamente su Rimini, distante da Ravenna un giorno di viaggio. La guarnigione di Rimini, alla notizia della marcia di Giovanni, fuggì celermente a Ravenna, permettendo così a Giovanni di occupare la città senza nemmeno combattere. A Rimini Giovanni ricevette un messaggero inviatogli in segreto da [[Matasunta]], moglie del re Vitige, che gli chiese di sposarla.<ref name=ProcII10/>