Vjačeslav Michajlovič Molotov: differenze tra le versioni

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Ore dopo l'avvio dell'[[Operazione Barbarossa|invasione tedesca]], il 22 giugno [[1941]], diede un famoso e incoraggiante discorso radiofonico al popolo sovietico, spiegando la situazione ed enfatizzando il fatto che l'URSS non aveva fatto niente per provocare la guerra, ma avrebbe combattuto fino alla vittoria finale, ora che era iniziata<ref>Robert Service, ''History of Modern Russia: From Tsarism to the Twenty-first Century'', Penguin Books Ltd, 2003, p. 261</ref>. Lo scoppio della guerra segnò anche il passaggio di mano della guida dell'esecutivo sovietico da Molotov a Stalin. Molotov divenne vice primo ministro e soprattutto continuò a gestire la politica estera, visitando fra l'altro Londra (1941) e Washington (1942) al fine di concludere il trattato di alleanza anglo-sovietico e convincere gli anglo-americani ad aprire il "secondo fronte" in Europa<ref>AA.VV., ''Germany and the second world war'', vol. VI: the global war, Oxford university press, 2001, p. 31</ref>. Accompagnò Stalin alle conferenze di [[conferenza di Teheran|Teheran]] (1943), [[conferenza di Jalta|Jalta]] (1945) e [[conferenza di Potsdam|Potsdam]] (1945) e rappresentò l'Unione Sovietica alla conferenza di San Francisco che creò l'[[Organizzazione delle Nazioni Unite]]<ref name="archivio">[http://www.archivio900.it/it/nomi/nom.aspx?id=2581 ''Vjaceslav Michajlovic Scrjabin Molotov''], archivio '900</ref>. In tutte queste occasioni confermò la sua fama di duro negoziatore.
 
Molotov servì come commissario agli Esteri fino al [[1949]] (quando venne rimpiazzato da [[Andrej Januar'evič Vyšinskij|Andrej Vyšinskij]]) e quindi ancora dal [[1953]] al [[1956]]<ref name=archivio/>. Negli ultimi anni del regime staliniano la sua posizione si indebolì: ad esempio nel dicembre [[1948]] non fu in grado di evitare l'arresto della moglie [[Polina Žemčužina]] per "tradimento" (era ebrea), dalla quale divorziò e che poté rivedere solo dopo la morte di Stalin<ref>Shimon Redlich, Kirill Michailovich Anderson e I. Altman, ''War, Holocaust and Stalinism'', 1995, ISBN 978-3-7186-5739-1, p. 149</ref>. Nel [[1952]], al 19º congresso del [[Partito Comunista dell'Unione Sovietica]], fu eletto al Presidium ma venne escluso dal comitato permanente di questo, il vero erede del Politburo. Poco prima di morire, Stalin pensava ad una purga per eliminare gli ultimi suoi coetanei, tra i quali appunto Molotov, a favore della generazione successiva. A seguito della morte di Stalin e della esecuzione di Berija, nel [[1953]], la posizione di Molotov sembrò rafforzarsi, tanto da riacquistare il Ministero degli esteri<ref>Simon Sebag-Montefiore, ''Stalin: The Court of the Red Tsar'', Vintage Books, 2005, p. 662</ref>.
 
Tuttavia Molotov si trovò in disaccordo con le politiche riformiste del successore di Stalin, [[Nikita Chruščёv]] e si oppose duramente alle denunce di quest'ultimo contro Stalin al 20º congresso del [[Partito Comunista dell'Unione Sovietica|Partito]] (febbraio [[1956]]), che di fatto attaccavano anche Molotov come vice di Stalin negli anni trenta e quaranta. Rimosso dal ministero degli esteri nel giugno 1956, nel [[1957]]<ref>Archie Brown, ''The Rise & Fall of Communism'', Bodley Head, 2009, p. 245</ref>, assieme ad altri esponenti stalinisti come Kaganovič tentò un colpo interno al partito per estromettere Chruščёv<ref>Simon Sebag-Montefiore, ''Stalin: The Court of the Red Tsar'', Vintage Books, 2005, pp. 666-667</ref>. Il tentativo fu denunciato da Chruščёv in giugno e fallì, e ciò fornì a Chruščёv il pretesto per espellere Molotov dal Presidium e dal Comitato Centrale del Partito, senza giustiziarlo ma affidandogli una serie di incarichi sempre più irrilevanti: prima come ambasciatore in [[Mongolia]] ([[1957]] - [[1960]])<ref>Archie Brown, ''The Rise & Fall of Communism'', Bodley Head, 2009, p. 252</ref> e quindi come delegato permanente dell'URSS all'[[Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica]] di [[Vienna]] ([[1960]] - [[1961]])<ref>Simon Sebag-Montefiore, ''Stalin: The Court of the Red Tsar'', Vintage Books, 2005, pp. 668</ref>.