Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?: differenze tra le versioni

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L'opera, che pone i massimi quesiti esistenziali dell'uomo, fu dipinta dall'artista a Tahiti in un momento assai delicato della sua vita: prima di un tentativo non riuscito di un suicidio (l'artista era malato, aveva seri problemi al cuore ed era sifilitico, in lotta con le autorità locali ed isolato sia fisicamente che artisticamente). Ad aggravare le cose, giunse a Gauguin la notizia della morte della figlia prediletta Aline, avvenuta pochi mesi prima. Il dolore per la perdita spinse l'artista a creare un'opera di grandi dimensioni (la più grande del suo opus) che fosse una riflessione sull'esistenza, un testamento spirituale e quindi una summa di tutte le sue ricerche cromatiche e formali degli ultimi otto anni.
 
In questa pirotecnia di luttuosi eventi Gauguin volle mettere mano ad un quadro che, agendo come un vero e proprio «testamento spirituale», riuscisse a condensare la sua visione sull'arte. Egli descrisse per la prima volta ''Da dove veniamo? Che siamo? Dove andiamo?'' in una lettera indirizzata all'amico Daniel de Monfreid; dopo alcuni schizzi preparatori, il pittore vi lavorò notte e giorno per circa un mese, imponendosi un ritmo di lavoro frenetico che finì col prostrarlo. Fu così che, ritenendosi incapace di finire il dipinto, Gauguin tentò di suicidarsi ingerendo arsenico, ma la dose troppo forte e presa di getto determinò un forte vomito che annullò l'effetto del veleno. In un paradiso tropicale che si era lentamente tramutato in inferno Gauguin ebbe la forza di infondere in questo quadro tutta la carica grezza e veemente delle sue pennellate e, ovviamente, del suo temperamento. «Prima di morire» osservò «ho trasmesso in questo quadro tutta la mia energia, una così dolorosa passione in circostanze così tremende, una visione così chiara e precisa che non c'è traccia di precocità e la vita ne sgorga fuori direttamente». Gauguin, detto in altre parole, voleva che questo quadro potesse «essere paragonabile al Vangelo», calandosi dunque nel mistico ruolo di Cristo, vittima e redentore al tempo stesso, in ciclica fuga dal labirinto della civilizzazione occidentale. E che nasoo
 
Il dipinto, che come precisò lo stesso Gauguin fu realizzata ''au premier coup'', «sulla punta del pennello, su una tela da sacchi piena di nodi e di rugosità» fu poi arrotolato e spedito a Parigi al mercante d'arte Ambroise Vollard insieme ad altre opere coeve recanti un tema analogo. Vollard, uomo animato da uno spiccato fiuto per gli affari e dal coraggio di proporre novità pittoriche al pubblico (rimarchevole la sua vicinanza alle sperimentazioni formali dei cubisti), stipulò così un contratto redditizio col Gauguin, assicurandosi l'esclusiva della sua opera. Quando l'opera fu esposta a Parigi, tuttavia, furono molti i critici a restare spiazzati dall'arcana enigmaticità del dipinto, che suscitò timidi apprezzamenti solo per la sua veste cromatica e compositiva. Si legga il commento di André Fontainas sul ''Mercure de France'':