Accordi di Helsinki

L'atto finale della conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa, noto anche come atto finale di Helsinki, accordi di Helsinki o dichiarazione di Helsinki, è stato l'atto finale della conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa, svoltasi a Helsinki nel luglio e agosto del 1975. La dichiarazione venne firmata da trentacinque Stati, tra cui gli USA, l'URSS, il Canada e tutti gli Stati europei tranne Albania ed Andorra, e costituì un tentativo di miglioramento delle relazioni tra il blocco comunista ed il blocco occidentale.

Accordi di Helsinki
La firma degli accordi
ContestoConferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa
Firma1975
LuogoHelsinki
Partitrentacinque Stati
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Gli accordi di Helsinki costituirono la base per la successiva creazione dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE).

I principi affermati modifica

La "Dichiarazione sui principi che guidano le relazioni tra gli stati partecipanti" inserita nell'Atto finale (nota anche come "il decalogo") elencava i dieci punti seguenti:

  1. Eguaglianza sovrana, rispetto dei diritti inerenti alla sovranità
  2. Non ricorso alla minaccia o all'uso della forza
  3. Inviolabilità delle frontiere
  4. Integrità territoriale degli stati
  5. Risoluzione pacifica delle controversie
  6. Non intervento negli affari interni
  7. Rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, inclusa la libertà di pensiero, coscienza, religione o credo
  8. Eguaglianza dei diritti ed autodeterminazione dei popoli
  9. Cooperazione fra gli stati
  10. Adempimento in buona fede degli obblighi di diritto internazionale

Ricezione e impatto modifica

Gli accordi di Helsinki vennero visti come un passo significativo per la riduzione delle tensioni della guerra fredda.

Il riconoscimento dell'inviolabilità dei confini nazionali ed il rispetto dell'integrità territoriale fu visto come un notevole successo diplomatico dell'URSS, desiderosa di affermare le sue acquisizioni territoriali nell'Europa orientale dopo la fine della seconda guerra mondiale e di impedire agli Stati Uniti di intervenire negli affari interni come successo in Corea e Vietnam. Tuttavia l’atto finale ammetteva la possibilità di cambiamenti pacifici dei confini, a causa dell'insistenza di Canada, Spagna ed Irlanda su questo punto[1]. Inoltre, gli USA e i governi di altri stati membri della NATO ribadirono la loro politica di non-riconoscimento dell'inclusione forzata di Lituania, Lettonia ed Estonia all'interno dell'URSS.

La sezione degli accordi relativa ai diritti umani costituì la base per il lavoro del Gruppo di Helsinki, un'organizzazione non governativa indipendente creata per monitorare l'osservanza degli accordi, evolutasi poi in vari comitati regionali. Tale Gruppo fu all'origine della Federazione internazionale di Helsinki e di Human Rights Watch. Anche se le disposizioni relative ai diritti umani riguardavano tutti gli stati firmatari, l'attenzione si concentrò sulla loro osservanza in URSS e nei Paesi del Patto di Varsavia. L'amministrazione statunitense di Jimmy Carter, inoltre, contribuì a dare centralità alle norme relative ai diritti umani nelle relazioni tra Est ed Ovest.[2] Tale attenzione aumentò progressivamente, e le disposizioni degli accordi di Helsinki riguardanti i diritti umani divennero sempre più fortemente un punto di riferimento e l'oggetto delle rivendicazioni dei dissidenti attivi all'interno del blocco sovietico, così come dei loro sostenitori in Occidente.[3]

Paesi firmatari modifica

Note modifica

  1. ^ John Hiden, Vahur Made, David J. Smith, The Baltic question during the Cold War, Routledge, 2008, pp. 209, ISBN 0-415-37100-7.
  2. ^ Umberto Tulli, Tra diritti umani e distensione. L'Amministrazione Carter e il dissenso in Urss, Milano, Franco Angeli, 2013.
  3. ^ ibidem.

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