Andragora (Andragoras; ... – 238 a.C.) fu satrapo della Parthavia, satrapia dell'Impero seleucide, e poi sovrano autonomo della regione dopo essersi ribellato ai seleucidi.

Andragora
Moneta con l'effigie di Andragora
Signore della Partia
In carica247 a.C. circa. –
238 a.C.
Predecessorenessuno
SuccessoreArsace I
Morte238 a.C.

Biografia modifica

 
La Partia, in giallo, e l'Impero seleucide, in blu. Ad oriente della Partia, il Regno greco-battriano.

Andragora era satrapo della satrapia di Partahia, una delle suddivisioni dell'Impero seleucide, sotto i sovrani Antioco I Sotere e Antioco II Teo,[1][2].

Tra il 246 e il 241 a.C., il sovrano seleucide Seleuco II Callinico fu impegnato in Occidente nella terza guerra siriaca contro Tolomeo III Evergete; approfittando della sua debolezza e della sua lontananza, due governatori seleucidi di province orientali secedettero in rapida successione e forse in accordo tra loro: Andragora, che divenne re dei Parti, e Diodoto I, che fondò il Regno greco-battriano.[1] Andragora coniò monete recanti il suo nome e la sua effigie recante il diadema reale.[3]

Andragora governò per pochi anni; nel 238 a.C. i Parni, una tribù nomade proveniente dalle steppe, sconfissero e uccisero Andragora sotto la guida di Arsace I, conquistando la regione che avrebbe dato il nome al loro futuro impero: l'impero partico.[1]

(LA)

«Hic solitus latrociniis et rapto uiuere accepta opinione Seleucum a Gallis in Asia uictum, solutus regis metu, cum praedonum manu Parthos ingressus praefectum eorum Andragoran oppressit sublatoque eo imperium gentis inuasit.»

(IT)

«Egli [Arsace] era uso ad una vita di saccheggi e furti, quando venne a sapere della sconfitta di Seleuco contro i Galli. Sollevato dalla sua paura del re, attaccò i Parti con una banda di ladri, sconfisse il loro prefetto Andragora, e, dopo averlo ucciso, gli prese il potere sulla nazione.»

Note modifica

  1. ^ a b c Shadows in the desert: ancient Persia at war Kaveh Farrokh p.119ff Archiviato il 25 ottobre 2012 in Internet Archive.
  2. ^ Marco Giuniano Giustino, Epitome di Pompeo Trogo, xli. 4
  3. ^ Will: I, 1966

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