Diritto bellico

regolamentazioni internazionali di condotta in guerra

Il diritto bellico, in diritto, identifica l'insieme delle norme giuridiche (sia a livello nazionale sia internazionale) che disciplinano la condotta delle parti in una guerra.

Consiste in regole che limitano e regolamentano i cosiddetti "mezzi e metodi di guerra", cioè le armi e le procedure per il loro impiego. I militari e le persone che infrangono le leggi di guerra perdono le protezioni accordate dalle norme stesse.

Storia modifica

Nel diritto romano, la dichiarazione di guerra avveniva secondo il rito officiato dai Feziali. L'investitura sacra del bellum conferiva il diritto del vincitore a depredare i beni del nemico (praeda bellica), a ridurre i superstiti in schiavitù e a uccidere in caso di necessità (iure caesus).[1] Quest'ultimo diritto fu ufficializzato nelle Leggi delle XII tavole, che disponevano anche l'obbligo di saldare un debito fra privati entro il termine perentorio di trenta giorni. In alcuni conflitti, l'applicazione di tale norma fu estesa anche al pagamento dei debiti di guerra fra Stati sovrani.[senza fonte]

  Lo stesso argomento in dettaglio: Diritto internazionale umanitario.

Dopo la Seconda guerra mondiale l'attenzione del diritto internazionale si è spostato dal comportamento dei combattenti ai diritti delle cosiddette vittime di guerra. Si è così formata una nuova partizione del diritto internazionale: il Diritto internazionale umanitario, per il quale hanno particolare rilevanza le convenzioni di Ginevra. Quest'ultimo consiste nell'enunciazione dei diritti di chi non è combattente: feriti, malati e naufraghi, prigionieri, popolazione civile[2].

Ambito di applicazione modifica

Spie e terroristi non sono protetti né dalle leggi di guerra né dal diritto umanitario; essi sono soggetti, per le loro azioni, alle leggi ordinarie (se ne esistono). Ricadendo al di fuori del loro ambito, le leggi di guerra non approvano né condannano atti di tortura o condanne a morte nei confronti di spie e terroristi, che nella pratica risultano un'eventualità tutt'altro che rara. Gli Stati che hanno firmato la Convenzione internazionale sulla tortura si sono impegnati, tra l'altro, a non torturare i terroristi catturati.

La linea di confine quindi si sposta sulla qualificazione della situazione di conflitto armato, che non è sempre coincidente con la guerra (tanto che si parla sempre meno di diritto bellico e sempre più di diritto dei conflitti armati): l'equiparazione contenuta nelle più recenti convenzioni internazionali di diritto umanitario applicabili ai conflitti armati, infatti, riceve conferma nella tipologia dei crimini di guerra prevista dall'articolo 8[3] dello Statuto di Roma istitutivo della Corte penale internazionale, la quale enuncia assai puntualmente il seguente ambito dei fenomeni che costituiscono conflitti armati: “i conflitti armati internazionali; i conflitti interni tra gruppi di persone organizzate, che si svolgano con le armi all'interno del territorio dello Stato, e raggiungano la soglia di una guerra civile o di insurrezione armata; i conflitti interni prolungati tra le Forze armate dello Stato e gruppi armati organizzati o tra tali gruppi”.

Sono escluse comunque dai conflitti interni “le situazioni interne di disordine o di tensione, quali sommosse o atti di violenza isolati e sporadici e altri atti analoghi”, che ricadono sotto il diritto penale interno degli Stati[4]: significativo è – per tale qualificazione – il comportamento degli stessi Stati, che se riconoscono qualifica di combattenti legittimi ai loro antagonisti implicitamente[5] o esplicitamente[6] considerando loro esplicitamente soggetti di diritto nella veste di insorti.

Caratteristiche generali modifica

Le fonti sono oggi rappresentate, oltre che dalle normative nazionali dei vari stati anche e soprattutto dalle convenzioni internazionali: fondamentali sono al riguardo le Convenzioni dell'Aja del 1899 e del 1907, che peraltro costituiscono prevalentemente codificazione del preesistente Diritto consuetudinario, e la Terza convenzione di Ginevra sul trattamento dei prigionieri di guerra.

Secondo tali convenzioni i prigionieri di guerra sono in potere del governo nemico, ma non degli individui o dei corpi che li hanno catturati, e devono essere trattati con umanità[7]. Lo status di prigioniero di guerra e le tutele che ne derivano si acquisiscono dal momento stesso in cui si cade in potere del nemico, e sino alla liberazione e al rimpatrio definitivi[8].

Il diritto bellico regola tra l'altro le modalità di sospensione o cessazione dei combattimenti, e cioè resa, armistizio, cessate il fuoco (detta comunemente tregua), la scelta degli obiettivi militari, la proibizione delle armi in grado di produrre inutili sofferenze, il divieto di porre in essere atti di perfidia, cioè i comportamenti atti a trarre in inganno l'avversario sfruttando la protezione fornita dal Diritto internazionale, come ad esempio la violazione della bandiera bianca, l'accettazione della resa e il trattamento dei prigionieri di guerra, il divieto di aggredire intenzionalmente i civili, la disciplina dei crimini di guerra e la proibizione a usare armi di distruzione di massa.

Poiché le convenzioni di diritto umanitario contengono anche norme comportamentali, si è così creata una convergenza tra il diritto bellico e il diritto umanitario.

Giurisdizione modifica

Le accuse di violazione delle Convenzioni di Ginevra da parte delle nazioni firmatarie sono portate di fronte alla Corte internazionale di giustizia a L'Aia, la più alta giurisdizione tra Stati esistente nell'attuale sistema del diritto internazionale.

Per gli Stati parte dello Statuto di Roma, comunque, vi è anche la possibilità di perseguire gli autori materiali della violazione del diritto bellico, quando essa costituisce un crimine di guerra: lo Statuto, in questo caso, incardina la giurisdizione complementare della Corte penale internazionale (anch'essa con sede all'Aja), che subentra laddove lo Stato territoriale non voglia perseguire i responsabili o si dimostri incapace di farlo.

Si tratta di una giurisdizione che supera l'accusa, secondo cui i tribunali di guerra sono stati talvolta accusati di favoritismi verso i vincitori. Contro l'accusa di reato di tale tipologia, non era infrequente - da parte delle difese - l'eccezione di competenza, in quanto, oltre al possibile contrasto con norme costituzionali del paese cui appartengono i rei (ad esempio sulla riserva giurisdizionale), si riteneva violata la comune obbligazione al rispetto di una comune trattatistica specifica (non potendosi applicare l'irretroattiva della legge penale né deduttivamente, né tantomeno analogicamente, occorre la predeterminata specifica previsione di fattispecie). In passato, non di rado si patì l'applicazione di norme del paese di provenienza del fronte militare vittorioso (o di una coalizione di paesi vincenti), mediante un tentativo di estensione giurisdizionale giustificata da mere circostanze di fatto e non di diritto. Le riserve espresse dalle difese degli imputati del "Processo di Norimberga" erano, effettivamente, in un'ottica puramente dottrinale, le stesse riserve espresse nella maggior parte dei casi in cui si siano celebrati riti (fossero essi ad personam o meno) per l'esame di tale tipo di imputazione, e costituivano un significativo corpus di tematiche difensive in rito, oggi definitivamente sbaragliate dall'esistenza di una previa codificazione del diritto penale internazionale compiuta dallo Statuto di Roma.

Nel mondo modifica

Lo Statuto delle Nazioni Unite vieta l'uso della forza, inteso in senso lato, per la risoluzione individuale delle controversie internazionali. Nel tempo hanno assunto importanza - con frequenti richiami nella giurisprudenza nazionale[9] ed in quella della Corte internazionale di giustizia[10] - alcune raccomandazioni adottate in forma solenne: la Risoluzione n. 2625 (XXV) sulle relazioni amichevoli (1970)[11], n. 3314 (XXIX) sulla definizione di aggressione (1974), n. 39/11 del 12 novembre 1984 (Dichiarazione sul diritto dei popoli alla pace) e n. 42/22 del 18 novembre 1987 sul rafforzamento dell'efficacia del principio del non ricorso alla forza nelle relazioni internazionali.

Italia modifica

In Italia il diritto bellico è essenzialmente disciplinato dalla legge di guerra e di neutralità, emanata con regio decreto n. 1415 dell'8 luglio 1938, dal codice penale militare di guerra e dal codice penale militare di pace, questi ultimi due approvati con il R.D. 20 febbraio 1941, n. 303.

Il personale militare è inoltre vincolato:

La sottrazione di tali soggetti dal diritto bellico apre l'assai dibattuta questione del confine tra terrorismo e guerriglia dei partiti insurrezionali, sulla quale a livello nazionale la Corte di cassazione italiana (dando torto al giudice milanese Clementina Forleo) ha statuito che:

«il riferimento alle situazioni di conflitto armato (...) rivela la duplicità della disciplina delle condotte terroristiche e la necessità di differenziarne il regime giuridico in relazione all'identità dei soggetti attivi e delle vittime, nel senso che deve applicarsi la normativa del diritto internazionale umanitario ovvero quella comune a seconda che i fatti siano compiuti da soggetti muniti della qualità di “combattenti”‘ e siano destinati contro civili o contro persone non impegnate attivamente nelle ostilità. Ne segue che, mutando tali requisiti soggettivi, gli atti di terrorismo risultano inquadrabili nella categoria dei crimini di guerra ovvero in quella dei crimini contro l'umanità.[12]»

Note modifica

  1. ^ Maria Varvaro, La Giustizia, la spada e la bilancia, in ὅρµος - Ricerche di Storia Antica, n. 9, 2017, p. 598.
  2. ^ Così il sistema è ricostruito dal paragrafo 6 della sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea (Grande Sezione) 14 marzo 2017: L’articolo 2, comune alle quattro Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949, ossia, rispettivamente, la Convenzione per migliorare la sorte dei feriti e dei malati delle forze armate in campagna (Recueil des traités des Nations unies, vol. 75, pag. 31; in prosieguo: la «prima Convenzione di Ginevra»), la Convenzione per migliorare la sorte dei feriti, dei malati e dei naufraghi delle forze armate di mare (Recueil des traités des Nations unies, vol. 75, pag. 85; in prosieguo: la «seconda Convenzione di Ginevra»), la Convenzione relativa al trattamento dei prigionieri di guerra (Recueil des traités des Nations unies, vol. 75, pag. 135; in prosieguo: la «terza Convenzione di Ginevra») e la Convenzione per la protezione delle persone civili in tempo di guerra (Recueil des traités des Nations unies, vol. 75, pag. 287; in prosieguo: la «quarta Convenzione di Ginevra») (in prosieguo, congiuntamente: le «quattro Convenzioni di Ginevra»), così dispone: «Oltre alle disposizioni che devono entrare in vigore in tempo di pace, la presente Convenzione si applica in caso di guerra dichiarata o di qualsiasi altro conflitto armato che scoppiasse tra due o più delle Alte Parti contraenti, anche se lo stato di guerra non fosse riconosciuto da una di esse. La Convenzione è parimenti applicabile in tutti i casi di occupazione totale o parziale del territorio di un’Alta Parte contraente, anche se questa occupazione non incontrasse resistenza militare alcuna. (...)».
  3. ^ L'articolo 8 dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale è stato modificato durante la Conferenza di Kampala, con l'articolo 8bis, per ulteriori approfondimenti si rimanda alla voce wiki sul crimine di aggressione
  4. ^ Senato - Legislatura 14ª - Disegno di legge N. 2493, articolo 4, comma 1, lettera i), n. 2.
  5. ^ Vi si riconduce una peculiarità della lotta di De Gaulle all'OAS: nella repressione ad opera di una Corte marziale dei tre componenti del cosiddetto "commando Delta" dell'OAS diretto da Roger Degueldre, furono condannati a morte e fucilati non soltanto due ufficiali dell'esercito francese, ma anche un cittadino civile appartenente alla medesima organizzazione (e resosi autore con i correi di efferati delitti in Algeria), Claude Piegts, che a rigore avrebbe dovuto meritare la ghigliottina come un qualsiasi omicida in borghese, e che invece fu fucilato il 7 giugno 1962 al forte di Trou-d'Enfer (Marly-le-Roi).
  6. ^ Come fatto dalla Colombia nel 2003, quando aderì al trattato istitutivo della Corte penale internazionale valendosi della riserva che le consentiva di escludere dall'ambito della sua giurisdizione i comportamenti del suo esercito nella lotta alla guerriglia delle FARC, con ciò definita espressamente non di rango meramente internista ma di rilievo internazionalistico (come conflitto con un partito insurrezionale dotato di controllo territoriale).
  7. ^ Capitolo II: Dei prigionieri di guerra - Art. 4 - "I prigionieri di guerra sono in potere del Governo nemico, ma non degli individui o dei corpi che li hanno catturati. Essi devono essere trattati con umanità. ..." - Pag. 5 - IV Convenzione dell'Aja 1907 concernente le leggi e gli usi della guerra per terra
  8. ^ ARTICOLO 5 - "La presente Convenzione si applicherà alle persone indicate nell'art. 4 non appena cadessero in potere del nemico e sino alla loro liberazione e al loro rimpatrio definitivi. ..." - Trattamento dei prigionieri di guerra - Convenzione (III), Ginevra, 12 agosto 1949
  9. ^ https://scholarship.law.duke.edu/cgi/viewcontent.cgi?referer=https://www.google.it/&httpsredir=1&article=2852&context=dlj
  10. ^ Pax, Th. J. (1985). Nicaragua v. United States in the International Court of Justice: Compulsory Jurisdiction or Just Compulsion?, Boston College International & Comparative Law Review, Volume 8, Issue 2.
  11. ^ Arangio-Ruiz G. (1972b), The normative role of the General Assembly of the United Nations and the declaration of principles of friendly relations (with an Appendix on the concept of international law and the theory of international organisation), in: Recueil des Cours de l’Académie de Droit International de La Haye, den Haag, 137, 419-742.
  12. ^ Cassazione – Sezione prima penale (up) – sentenza 11 ottobre 2006-17 gennaio 2007, n. 1072, il cui ragionamento partiva dalla seguente disamina della normativa internazionale: «In mancanza di una convenzione globale in materia di terrorismo, la cui approvazione è da decenni ostacolata dal dissenso tra gli Stati aderenti all'ONU in merito ai fatti di terrorismo compiuti nel corso di guerre di liberazione e di lotte armate per l'attuazione del principio di autodeterminazione dei popoli, va rilevato che la formulazione della Convenzione del 1999, resa esecutiva con legge 7/2003, ha una portata così ampia da assumere il valore di una definizione generale, applicabile sia in tempo di pace che in tempo di guerra e comprensiva di qualsiasi condotta diretta contro la vita o l'incolumità di civili o, in contesti bellici, contro “ogni altra persona che non prenda parte attiva alle ostilità in una situazione di conflitto armato”, al fine di diffondere il terrore fra la popolazione o di costringere uno Stato o un'organizzazione internazionale a compiere o ad omettere un atto. Oltre ad essere connotata da tali elementi oggettivi e soggettivi, nonché dalla identità delle vittime (civili o persone non impegnate nelle operazioni belliche), è opinione comune che per essere qualificata terroristica la condotta deve presentare, sul piano psicologico, l'ulteriore requisito della motivazione politica, religiosa o ideologica, conformemente ad una norma consuetudinaria internazionale accolta in varie risoluzioni dell'Assemblea Generale e del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, nonché nella Convenzione del 1997 contro gli attentati terroristici commessi con l'uso di esplosivi. La definizione degli atti terroristici contenuta nell'art. 1 della Decisione quadro dell'Unione Europea è basata, invece, sull'elencazione di una serie determinata di reati, considerati tali dal diritto nazionale, che possono arrecare grave danno ad un Paese o ad un'organizzazione internazionale e sono commessi al fine di intimidire gravemente la popolazione o di costringere indebitamente i poteri pubblici o un'organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto, ovvero di destabilizzare gravemente o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche o sociali di un Paese o di un'organizzazione internazionale. La formula definitoria tracciata dalla Decisione quadro del 2002 si differenzia da quella della Convenzione ONU del 1999, della quale pure ricalca in gran parte le linee, per i due seguenti aspetti. Per un verso, l'area applicativa dei reati terroristici risulta più limitata, riguardando soltanto fatti commessi in tempo di pace, come risulta esplicitamente dall'undicesimo “considerando” introduttivo che esclude dalla disciplina le attività delle forze armate in tempo di conflitto armato”‘, secondo le definizioni date a questi termini dal diritto internazionale umanitario: di talché la definizione in esame fa salve le attività poste in essere in tempo di guerra, regolate dal diritto internazionale umanitario e, in primo luogo, dalle Convenzioni di Ginevra e dai relativi Protocolli aggiuntivi. Per altro verso, la Decisione quadro ha ampliato la nozione delle attività terroristiche prevedendo che queste siano connotate anche dalla finalità eversiva, vale a dire dallo scopo di “destabilizzare gravemente o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche o sociali di un Paese o di un'organizzazione internazionale”, assente nel testo della Convenzione del 1999. In entrambe le definizioni è comunque presente la connotazione tipica degli atti di terrorismo individuata dalla più autorevole dottrina nella “depersonalizzazione della vittima” in ragione del normale anonimato delle persone colpite dalle azioni violente, il cui vero obiettivo è costituito dal fine di seminare indiscriminata paura nella collettività e di costringere un governo o un'organizzazione internazionale a compiere o ad astenersi dal compiere un determinato atto».

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