Editto bulgaro

Dichiarazione di Silvio Berlusconi su Biagi, Santoro e Luttazzi

La locuzione editto bulgaro (chiamato anche editto di Sofia, diktat bulgaro o ukase bulgaro) è utilizzata nel dibattito politico italiano per indicare una dichiarazione rilasciata il 18 aprile 2002 dall'allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, durante una conferenza stampa in occasione di una visita ufficiale a Sofia, dichiarazione ribattezzata poi, dal giornalista Simone Collini de l'Unità, "diktat bulgaro".

Silvio Berlusconi

Nella dichiarazione, Berlusconi denunciò quello che, a suo dire, era stato un «uso criminoso» della TV pubblica da parte dei giornalisti Enzo Biagi e Michele Santoro e dal comico Daniele Luttazzi, affermando successivamente che sarebbe stato «un preciso dovere della nuova dirigenza» Rai non permettere più il ripetersi di tali eventi.

L'affermazione venne interpretata dall'opposizione e da una parte dell'opinione pubblica come un auspicio per l'allontanamento dei tre dalla Rai. Effettivamente i tre, dopo poco, furono estromessi dal palinsesto della Rai, alla quale solo Santoro e Biagi hanno fatto ritorno a diversi anni di distanza e dopo sentenze giudiziarie a loro favore. Luttazzi invece non è tornato a condurre un suo programma in Rai, come prima dell'editto. In due brevi occasioni è stato intervistato come ospite, entrambe le volte su Rai 3: nel 2003 fu intervistato da Pippo Baudo nella sua trasmissione Cinquanta, mentre nel 2007 fu invitato da Enzo Biagi nel suo ultimo programma televisivo RT.

La dichiarazione modifica

La fortuna di tale formula espressiva ("editto" o "diktat bulgaro"), che l'ha resa così atta alla comunicazione politico giornalistica fino a consolidarla come una frase idiomatica di largo uso nella discussione politica, è certamente legata alla sua innegabile potenza espressiva: i sostantivi "editto" e diktat sono utilizzati con l'intento di evocare l'idea di un'imposizione dall'alto o, per il riferimento a un sistema dittatoriale, di instaurare un parallelismo tra la vicenda e le azioni di controllo e censura della stampa compiute dalla dittatura bulgara durante il socialismo reale, così da rafforzare le critiche mosse al governo Berlusconi di attuare politiche di regime. Ciò in quanto, fra l'altro, Silvio Berlusconi era già detentore dell'unico polo televisivo privato di rilievo in Italia.

Secondo l'Enciclopedia Treccani[1] la fortuna dell'espressione è derivata anche dal fatto che nel linguaggio giornalistico l'aggettivo "bulgaro", oltre a riferirsi al luogo dove il "discorso" sarebbe stato tenuto, ha anche un valore semantico rievocativo dei tempi più cupi della mancanza di democrazia della Bulgaria dei tempi della cortina di ferro.[1]

La dichiarazione originale fu:

«L'uso che Biagi... Come si chiama quell'altro? Santoro... Ma l'altro? Luttazzi, hanno fatto della televisione pubblica, pagata coi soldi di tutti, è un uso criminoso. E io credo che sia un preciso dovere da parte della nuova dirigenza di non permettere più che questo avvenga.»

La dichiarazione venne immediatamente accolta dall'opposizione come un'intrusione dell'esecutivo nelle decisioni del neoeletto CdA della Rai, allo scopo di allontanare dalla televisione pubblica i giornalisti Enzo Biagi e Michele Santoro e il comico Daniele Luttazzi. Biagi, Santoro e Luttazzi infatti erano già stati accusati più volte in precedenza dallo stesso Berlusconi di "manifesta partigianeria" e di aver portato avanti una campagna di attacchi personali verso di lui attraverso un uso indebito del canale pubblico, perfino in campagna elettorale a ridosso delle elezioni del 2001. Secondo tale corrente di pensiero è difficile non leggere le dichiarazioni di Berlusconi e i conseguenti avvenimenti come un attacco alla libertà di stampa e una subordinazione della Rai al governo, con compromissione della sua funzione di TV di pubblico servizio.

Tale interpretazione della dichiarazione quale ingerenza venne successivamente rafforzata nell'opinione pubblica dopo l'effettiva sospensione dei programmi Sciuscià, Il Fatto e Satyricon, che realizzava di fatto l'allontanamento dei tre personaggi dal video entro pochi mesi dalla dichiarazione incriminata. L'allontanamento suscitò immediatamente accese critiche in quanto i tre, pur non avendo mai nascosto la loro posizione critica nei confronti del governo Berlusconi, riscuotevano ugualmente una notevole popolarità e i loro programmi ottenevano ottimi risultati in termini di share. Inoltre quanto affermato durante le loro trasmissioni non è mai stato contestato nella sostanza: in tutte le cause intentate contro di loro, i diversi giudici hanno riconosciuto che le loro affermazioni erano pertinenti e tutte basate su fatti veri.[2]

In realtà, pur essendo questa la prima volta che una ingerenza politica veniva così apertamente denunciata,[3] in RAI si sono più volte verificati allontanamenti e interruzioni di trasmissioni per motivi politici, a partire dall'allontanamento di Ugo Tognazzi e Raimondo Vianello nel 1959 dopo il celebre sketch che parodiava la caduta dell'allora Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi.[4]

Ad anni di distanza, nel corso della trasmissione Porta a Porta condotta da Bruno Vespa, Berlusconi asserì che «Quando, a Sofia, ho parlato di Biagi, Santoro e Luttazzi, non pensavo che fossero presenti giornalisti. Altrimenti mi sarei attenuto a un linguaggio ufficiale». In realtà la frase era stata pronunciata in una conferenza stampa davanti a duecento giornalisti internazionali al termine di una visita ufficiale alle autorità bulgare, ma né il conduttore Vespa né i tre direttori di giornale presenti intervennero per ricordarlo.[5]

Il caso Santoro modifica

 
Michele Santoro

La decisione di sospendere il programma Sciuscià e di non impiegare Michele Santoro nel palinsesto autunnale venne adottata dopo la seduta del CdA Rai del 30 ottobre 2002, conseguentemente a un procedimento disciplinare interno aperto nei confronti del giornalista per i contenuti di due puntate delle sue trasmissioni, Sciuscià Edizione Straordinaria (24 maggio 2002) e un reportage di Sciuscià del 5 agosto 2002.

Dal settembre 2002 la collaborazione di Santoro con la Rai fu sospesa e non più ripresa e il programma venne sostituito da Excalibur, condotto da Antonio Socci, accusato a sua volta di tenere una condotta faziosa di sostegno a Berlusconi e ostile nei confronti dell'opposizione; tale programma fu caratterizzato, per tutta la sua durata, da ascolti molto più bassi rispetto a quelli di Sciuscià.

Nel giugno 2003, relativamente alla causa di lavoro intentata dal giornalista, il tribunale di Roma emanò un'ordinanza in cui impose alla Rai un risarcimento a beneficio di Santoro e riaffidò a quest'ultimo la conduzione di un programma «di approfondimento giornalistico a puntate collocato in prima o in seconda serata con dotazione delle risorse umane, materiali e tecniche, idonee ad assicurare la buona riuscita di esso, in misura equivalente a quella praticata per i programmi precedenti», ordinanza mai recepita, neppure successivamente a un richiamo dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che invitava la Rai «al rispetto dei principi di pluralismo, obiettività, completezza ed imparzialità». La disputa tra la televisione pubblica italiana e Santoro si è protratta fino al 26 gennaio 2005.

Oltre a un'estemporanea apparizione nella prima puntata del programma televisivo Rockpolitik, condotto da Adriano Celentano, Santoro ha poi ripreso l'attività di conduttore sulla Rai con il programma Annozero, andato in onda su Rai 2 a partire dal 14 settembre 2006, quando ormai il governo Berlusconi era terminato. Al ritorno di Berlusconi al governo le polemiche verso Michele Santoro e la sua trasmissione Annozero (soprattutto nei confronti del giornalista Marco Travaglio) ripresero.[6] Il 20 gennaio 2011, con l'intervista a Nadia Macrì, una delle poche ragazze disposte a parlare pubblicamente in merito alle feste di Silvio Berlusconi, la puntata ha venti milioni di telespettatori. Nel 2011 la RAI non rinnovò il contratto a Santoro, Travaglio e Ruotolo, i quali furono costretti ad abbandonare la tv pubblica.

Il caso Luttazzi modifica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Intervista a Marco Travaglio a Satyricon.
 
Daniele Luttazzi

Il programma Satyricon condotto da Daniele Luttazzi, nonostante una stagione di successo con ascolti record (punte di sette milioni e mezzo di telespettatori[7]), non venne riconfermato dalla dirigenza Rai dopo la vittoria di Berlusconi alle elezioni politiche del 2001. Il talk-show si attirò da subito le critiche della destra, che accusò Luttazzi di "volgarità"[8][9][10][11], ma le polemiche si fecero roventi dopo che Luttazzi aveva intervistato, in una puntata andata in onda poco prima dell'inizio della campagna elettorale per le elezioni politiche del 2001, il giornalista Marco Travaglio, che presentò il suo libro sull'origine ignota dei capitali con i quali Berlusconi cominciò la sua attività imprenditoriale[12]. Da allora Luttazzi non ha più lavorato in Rai.[13]

Il 25 marzo 2010 Luttazzi partecipò all'evento "Raiperunanotte",[14] una puntata speciale di Annozero, contro il blocco applicato dalla Rai ai programmi di discussione politica in periodo di campagna elettorale[15]. Il suo monologo faceva satira su fatti di stretta attualità, come lo scandalo del Trani-gate, intercettazioni in cui il presidente del consiglio Berlusconi, Mauro Masi (direttore generale della Rai), Giancarlo Innocenzi (commissario AGCOM) e Augusto Minzolini (direttore del TG1) concertavano la censura della trasmissione Annozero sgradita a Berlusconi.[16] Alludendo dunque al Trani-gate, Luttazzi affermò:

«L'uso che Minzolini... Come si chiama quell'altro? Masi... No, ma quell'altro... Berlusconi... hanno fatto della televisione pubblica, pagata coi soldi di tutti, è un uso criminoso»

echeggiando il famoso ukase bulgaro di Berlusconi.

Il caso Biagi modifica

Biagi decise di replicare la sera stessa dell'"editto" nella puntata de Il Fatto, dichiarando[17]

«Il presidente del Consiglio non trova niente di meglio che segnalare tre biechi individui: Santoro, Luttazzi e il sottoscritto. Quale sarebbe il reato? [...] Poi il presidente Berlusconi, siccome non intravede nei tre biechi personaggi pentimento e redenzione, lascerebbe intendere che dovrebbero togliere il disturbo. Signor presidente, dia disposizioni di procedere perché la mia età e il senso di rispetto che ho verso me stesso mi vietano di adeguarmi ai suoi desideri [...]. Sono ancora convinto che perfino in questa azienda (che come giustamente ricorda è di tutti, e quindi vorrà sentire tutte le opinioni) ci sia ancora spazio per la libertà di stampa; sta scritto - dia un'occhiata - nella Costituzione. Lavoro qui in Rai dal 1961, ed è la prima volta che un Presidente del Consiglio decide il palinsesto [...]. Cari telespettatori, questa potrebbe essere l'ultima puntata del Fatto. Dopo 814 trasmissioni, non è il caso di commemorarci. Eventualmente è meglio essere cacciati per aver detto qualche verità, che restare a prezzo di certi patteggiamenti.»

Le trasmissioni de Il Fatto proseguirono regolarmente fino alla prima settimana di giugno quando terminò la stagione. La dirigenza Rai decise di cancellare il programma, dopo un lungo tira e molla cominciato già a gennaio, cioè prima dell'"editto bulgaro", quando il direttore generale della Rai, Agostino Saccà, si recò alla commissione parlamentare di vigilanza. Egli dichiarò che l'azienda doveva controbattere Striscia la notizia e non poteva permetterselo con una trasmissione di cinque minuti che aveva conosciuto nell'ultimo periodo un calo di 3-4 punti di share. La dichiarazione fu contestata dai commissari del centro-sinistra, durante l'audizione, perché i dati Auditel dichiaravano che il Fatto aveva uno share del 27,92% di media, quasi otto milioni di telespettatori, addirittura superiore alla quota dell'anno prima, che aveva una media del 26,22%.

 
Enzo Biagi

In seguito, il 17 aprile, furono diffuse le nuove nomine della Rai. Rai 1 venne affidata a Fabrizio Del Noce, in quota Forza Italia, che dichiarò che stava studiando «una soluzione idonea per il Fatto e per Enzo Biagi»[senza fonte]. Del Noce non confermò alla stampa la presenza de Il Fatto nei palinsesti, non ancora definitivi per la nuova stagione 2002-2003 e diffusi a maggio. Biagi scrisse al nuovo presidente della Rai, Antonio Baldassarre, già membro della Corte Costituzionale, chiedendo spiegazioni sul suo futuro e se la Rai intendesse rinnovare il suo contratto in scadenza a dicembre.[18] Baldassarre, ospite a Il fatto, ha dichiarato che «la Rai si identifica in lui quanto lui si identifica con l'azienda» [19], e rassicurando, in varie occasioni, che la Rai difenderà la propria autonomia e indipendenza.[20][21]

Un mese dopo, durante la tradizionale presentazione a Cannes dei palinsesti autunnali della Rai, Il Fatto era assente. Alle domande dei giornalisti, la Rai rispose che «Biagi aveva perso appeal»[senza fonte]. Il 2 luglio si tenne un incontro fra Enzo Biagi, il regista de Il Fatto Loris Mazzetti, Fabrizio Del Noce e Agostino Saccà, che era diventato nel frattempo direttore generale della Rai. In questo vertice si decise di sopprimere Il Fatto e di affidare a Biagi una trasmissione in seconda serata che avrebbe fatto anche qualche prima serata, con inchieste e temi d'attualità. Inoltre si decise di rinnovare il contratto che legava Biagi alla Rai.

La bozza del contratto arrivò a Biagi solo il 18 settembre, dopo ripetute sollecitazioni da parte di quest'ultimo. Intanto Il Fatto era stato sostituito da un programma comico, con Tullio Solenghi e Massimo Lopez, Max & Tux. Il nuovo programma precipitò ben presto dal 27 al 18% di share. Del Noce imputò a Biagi il crollo degli ascolti perché «col suo vittimismo ha scatenato verso Rai 1 un accanimento senza precedenti»[22]. Biagi decise di lasciare Rai 1 e, con la mediazione sempre di Loris Mazzetti, intavolò trattative con il direttore di Rai 3, Paolo Ruffini, per riprodurre Il Fatto sulla rete da lui diretta alle 19:50, dopo il TG3 e i telegiornali regionali. Alla diffusione della notizia, il presidente Rai Baldassarre dichiarò: «È una bella notizia, ma troppo costosa per Rai 3».[senza fonte] e Agostino Saccà disse che lo spazio che poteva essere destinato a Il Fatto era destinato a una rubrica del TGR e che la soluzione era di collocare il Fatto alle ore 18:50 prima del TG3, cosa che Biagi non gradì portandolo a far causa alla Rai.

Il 20 settembre Biagi, in una lettera al direttore generale Saccà, scrisse che se la Rai aveva ancora bisogno di lui (come dichiarato dallo stesso Saccà) e se questo ostacolo era rappresentato da problemi economici, egli si dichiarava pronto a rinunciare al suo stipendio, accettando quello dell'ultimo giornalista della Rai, purché detto stipendio venisse inviato al parroco di Vidiciatico, un paesino sperduto nelle montagne bolognesi, che gestiva un ospizio per anziani rimasti soli.[23]

Saccà replicò, con una lettera al quotidiano la Repubblica (che stava dando grande risalto alla vicenda), che il programma non poteva essere trasmesso per esigenze pubblicitarie[24]. Il 26 settembre Saccà inviò a Enzo Biagi una raccomandata con ricevuta di ritorno in cui gli spiegava, con toni formali, che Il Fatto era sospeso, così come le trattative fra lui e la Rai; si sarebbe trovato il tempo più in là per fare un nuovo programma, magari dai temi più leggeri.

«Il direttore generale Saccà mi ha mandato la disdetta del contratto con ricevuta di ritorno, che è la cosa che mi offende di più. Io sono stato licenziato con ricevuta di ritorno, perché magari potevo dire "non lo sapevo... ma guarda, mi hanno cacciato via e non me n'ero neanche accorto!". E dalla dirigenza della Rai non ho mai più sentito nessuno.»

Biagi, esausto per quel tira e molla e offeso per i contenuti della raccomandata, su consiglio delle figlie e di alcuni colleghi, decise di non rinnovare il contratto e di chiudere il legame con la Rai con una transazione curata dall'avvocato Salvatore Trifirò. La Rai riconobbe il lungo lavoro di Biagi «al servizio dell'azienda»[senza fonte] e pretese che in cambio non lavorasse per nessun'altra rete nazionale per almeno due anni.

 
Enzo Biagi e Silvio Berlusconi nel 1986

L'annuncio della chiusura del contratto provocò polemiche su tutti i giornali e attacchi durissimi ai dirigenti Rai, già sotto assedio per il crollo degli ascolti (che avevano provocato le dimissioni di tre dei cinque membri del CdA). Saccà e Baldassare dichiararono ai giornali che «Biagi non era stato mandato via»[25], che quella era solo un'invenzione dei giornalisti, che Enzo Biagi era il presente, il passato e il futuro della Rai, che «la presenza di voci discordanti dall'attuale maggioranza, com'è appunto quella di Biagi, era fondamentale»[senza fonte]. Di fronte a queste levate di scudo, Biagi commentò con: «Ma, se allora tutti mi volevano, chi mi ha mandato via?».[senza fonte]

Poco dopo, il consigliere d'amministrazione Rai Marcello Veneziani, vicino ad Alleanza Nazionale, dichiarò che Biagi con «quella chiusura del contratto, aveva svenato l'azienda e quindi la smettesse di piagnucolare a destra e a sinistra»[26]. Biagi allora rese pubblico il suo contratto di chiusura. La sua liquidazione di 1,5 milioni di euro, è la stessa cifra che, successivamente, un giudice stabilirà come risarcimento per Michele Santoro[26].

Il Fatto fu sostituito inizialmente con Max & Tux, una serie di sketch comici muti interpretati da Massimo Lopez e Tullio Solenghi per la regia di Giuseppe Moccia (il Pipolo del duo Castellano e Pipolo) e Carlo Corbucci: il programma, in onda per alcune settimane, ebbe ascolti ben inferiori a quello di Biagi il che portò, contrariamente agli asseriti obiettivi che avevano portato alla chiusura del programma di Biagi da parte dell'ente radiotelevisivo pubblico, a un conseguente record di ascolti per Striscia la notizia. In un'intervista relativa allo scarso successo del programma (che comunque raggiungeva picchi di 6/7 milioni di ascoltatori) e alle critiche che ne erano seguite, lo stesso Solenghi ammise che "Striscia viaggia sui nove [milioni di ascoltatori]. Ma Striscia è una corazzata, nessuno di noi aveva l'ambizione di porsi alla pari".[27] Dopo l'esordio del programma Biagi dichiarò che

«Per ora la situazione è piuttosto incerta e ferma: la Rai può proporre e anche comandare ma non è detto che uno debba accettare ... Mi hanno proposto il venerdì in seconda serata cioè quando tutti sono già partiti per il week end. Mi chiedo perché dovrei accettare dopo tutte le prime serate di successo che abbiamo fatto. D'altra parte quello che non andava è stato già detto in Bulgaria: e infatti né io né Santoro siamo in onda. Personalmente non sono un uomo per tutte le stagioni, non è obbligatorio andare in onda»

In seguito quella fascia oraria fu occupata per un breve periodo da La zingara, quiz condotto da Cloris Brosca[29], poi dal dicembre 2002 da Il Castello condotto alternativamente da Pippo Baudo, Carlo Conti e Mara Venier[30][31] e, infine, nell'autunno del 2003, da Affari tuoi, programma che registrò un notevole successo tanto da divenire poi uno dei programmi di punta della rete, in grado di battere anche la concorrenza.

Cinque anni dopo i fatti, nel 2007, Biagi tornò in Rai con il programma RT Rotocalco Televisivo andato in onda su Rai 3 e non su Rai 1 perché i dirigenti che lo avevano cacciato erano ancora al loro posto. Biagi aprì la prima puntata del programma con queste parole:

«Buonasera, scusate se sono un po' commosso, e magari si vede. C'è stato qualche inconveniente tecnico e l'intervallo è durato cinque anni. C'eravamo persi di vista, c'era attorno a me la nebbia della politica e qualcuno ci soffiava dentro. Vi confesso che sono molto felice di ritrovarvi. Dall'ultima volta che ci siamo visti sono accadute molte cose e per fortuna qualcuna è anche finita. Ci sono momenti in cui si ha il dovere di non piacere a qualcuno, e noi non siamo piaciuti. [...]»

A sorpresa Berlusconi in un'intervista del 23 aprile[32] elogiò il nuovo programma augurando una lunga permanenza in Rai. Fece parziale marcia indietro su quanto accaduto anni prima dichiarando:

«Io non ho mai detto che Biagi e gli altri non dovessero continuare in Rai. Io ho detto che non dovevano utilizzare la Rai per fare trasmissioni faziose. Forse ho calcato la mano ma il servizio pubblico è pagato da tutti, anche da chi non la pensa come Biagi o gli altri.»

All'indomani della morte di Enzo Biagi, avvenuta nel novembre del 2007, Berlusconi ha inoltre dichiarato di aver solo voluto esercitare un diritto di critica sull'utilizzo della TV pubblica e che «Non c'era nessuna intenzione di far uscire dalla televisione e neppure di porre veti alla permanenza in tv di chicchessia».[33] Non si è fatta attendere la replica di Bice Biagi, figlia del giornalista scomparso, la quale ha tenuto a precisare che: «L'editto bulgaro? Certo che c'è stato, c'è qualcuno che ogni tanto ha delle botte di amnesia, mentre mio padre è stato lucido fino alla fine. Il ritorno in RAI è stato l'ultimo regalo che gli ha fatto qualcun altro che si è mosso».[34][35]

In seguito nel 2008 Berlusconi è tornato sull'argomento, dichiarando:

«Mi sono battuto perché Enzo Biagi non lasciasse la televisione, ma alla fine prevalse in Biagi il desiderio di poter essere liquidato con un compenso molto elevato.»

La frase scatenò la reazione durissima delle figlie di Biagi che accusarono Berlusconi di voler gettare fango sul giornalista, anche se morto da diversi mesi.[36]

Curiosità modifica

Il 25 aprile 2022, durante un evento sul ventennale dell'editto bulgaro, Loris Mazzetti ha rivelato che l'editto bulgaro fu preceduto da un editto bolognese: al congresso di AN (5 aprile 2002) Berlusconi disse:

«Non ci sarà un Luttazzi, un Biagi, un Santoro di centrodestra che attaccherà la sinistra. Noi non useremo in modo criminoso la televisione pubblica pagata coi soldi di tutti!»

Note modifica

  1. ^ a b Silverio Novelli, Parole bulgare tra Berlusconi e Biagi, Treccani Magazine, 22 luglio 2008, Istituto dell'Enciclopedia italiana.
  2. ^ Travaglio-Luttazzi: nessuno diffamò Mediaset Archiviato il 7 gennaio 2008 in Internet Archive.
  3. ^ Il Fatto di Enzo Biagi dopo l'Editto Bulgaro - Trascrizione
  4. ^ Quando la censura era in bianco e nero articolo su La Repubblica
  5. ^ Marco Travaglio, La scomparsa dei fatti, Milano, il Saggiatore, 2007. p. 175 ISBN 88-428-1395-8
  6. ^ Travaglio, interviene l'Authority "La Rai vuole allontanarmi" - Politica - Repubblica.it
  7. ^ Enzo Biagi intervista Daniele Luttazzi (parte 1) durante la trasmissione "Rotocalco televisivo" del 30/04/07 e Enzo Biagi intervista Daniele Luttazzi (parte 2) durante la trasmissione "Rotocalco televisivo" del 30/04/07
  8. ^ Quella Rai che insulta la maggioranza dei cittadini, articolo su il Giornale del 18 gennaio 2001, p. 6 Rassegna Stampa
  9. ^ Il disgusto di addice alla satira?, articolo di Marcello Veneziani per Il Mattino del 9 febbraio 2001, prima pagina [1]
  10. ^ Se il canone serve a "finanziare" la coprofagia, articolo di Mario Landolfi per il Secolo d'Italia del 9 febbraio 2001, prima pagina [2]
  11. ^ La satira del guitto, articolo di Ruggero Guarini per il Giornale del 13 febbraio 2001, p.10 [3]
  12. ^ Polemiche, dimissioni e nuove regole, in Corriere della Sera, 24 marzo 2001, p. 2. URL consultato il 10 agosto 2011 (archiviato dall'url originale il 29 marzo 2010).
  13. ^ Antonello Tomanelli, Il ‘caso Satyricon’, su difesadellinformazione.com (archiviato dall'url originale il 15 giugno 2016).
  14. ^ Santoro, 13% share e boom web
  15. ^ Tutto esaurito per Santoro. E maxischermo fuori dal PalaDozza
  16. ^ Giusi Fasano Cavaliere indagato, il fascicolo a Roma, corriere.it, 19 marzo 2010
  17. ^ Corriere della Sera - Rutelli: «Siamo governati da un irresponsabile», su www.corriere.it. URL consultato il 6 luglio 2023.
  18. ^ Il Corriere Della Sera, 22 maggio 2002
  19. ^ Baldassarre: Biagi resta qui. Il suo programma è ineccepibile, su archiviolastampa.it.
  20. ^ Baldassarre: ho già detto che siamo autonomi, su archiviolastampa.it.
  21. ^ Baldassarre: la Rai non accetta interferenze, su archiviolastampa.it.
  22. ^ Attraversare la notte, Vittorio Zucconi, la Repubblica, 6 novembre 2007
  23. ^ L'Espresso - "L'editto e Il Fatto" Archiviato il 27 febbraio 2010 in Internet Archive.
  24. ^ Saccà attacca Biagi: "Sposteremo Il Fatto", La Repubblica, 29 gennaio 2002
  25. ^ Saccà: "Biagi non è stato cacciato". Raccomandati? "In Rai e ovunque", la Repubblica, 8 agosto 2008
  26. ^ a b Questa mattina a Milano
    È MORTO ENZO BIAGI, MAESTRO DEL GIORNALISMO ITALIANO - È deceduto questa mattina poco dopo le 8 pres... | Novionline, il quotidiano di Novi Ligure...
    Archiviato il 22 ottobre 2013 in Internet Archive.
  27. ^ "Ma all'inizio ridevano tutti Mimun, Vespa e pure Saccà", articolo su la Repubblica, 2 ottobre 2002.
  28. ^ Parte Max & Tux Continuano le polemiche Archiviato il 12 novembre 2007 in Internet Archive., articolo di Broadcast & Video, Numero 209 del 19 settembre 2002 - Anno VI
  29. ^ Il fu Max e Tux Archiviato il 7 gennaio 2008 in Internet Archive., articolo del sito close-up, del 24 novembre 2002
  30. ^ Agenzia del 18 dicembre 2002 Archiviato il 5 aprile 2006 in Internet Archive., dal sito presspool.it
  31. ^ Scheda de "Il Castello" Archiviato il 14 novembre 2007 in Internet Archive. dal sito di RAI International
  32. ^ Bravo Biagi, con lui forse calcai la mano sul Corriere della Sera, 24 aprile 2007
  33. ^ Berlusconi nega l'editto bulgaro "Soltanto critica alla tv pubblica" su la Repubblica, 7 novembre 2007
  34. ^ Agenzia ANSA Archiviato il 9 novembre 2007 in Internet Archive., 8 novembre 2007
  35. ^ Bice Biagi: «L'editto bulgaro c'è stato», su corriere.it, Corriere della Sera, 8 novembre 2007. URL consultato il 16 maggio 2021 (archiviato dall'url originale il 29 marzo 2008).
  36. ^ Berlusconi: Biagi lasciò per liquidazione Le figlie: «Ignominia. Lasci stare i morti», su Corriere della Sera.it, 16 febbraio 2008. URL consultato il 26 agosto 2021 (archiviato dall'url originale l'11 ottobre 2012).
  37. ^ Loris Mazzetti, Pianaccio: Editto Bulgaro vent’anni dopo, su Articolo 21, 27 aprile 2022. URL consultato il 12 febbraio 2024 (archiviato il 27 aprile 2022).

Bibliografia modifica

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