Gaio Giulio Vero Massimo

Gaio Giulio Vero Massimo (latino: Gaius Iulius Verus Maximus; 217[1]Aquileia, 10 maggio 238) è stato un politico romano, cesare dell'Impero romano dal 236 alla sua morte, sotto il padre Massimino Trace.

Massimo
Busto di Massimo; si noti la vandalizzazione che colpì l’opera, dopo che lui e suo padre Massimino Trace furono dichiarati hostes publici nel 238 Custodito presso la Ny Carlsberg Glyptotek.
Cesare dell'Impero romano
In carica236 circa - 10 maggio 238
Nome completoGaius Iulius Verus Maximus
Altri titoliprinceps iuventutis
Nascita217[1]
MorteAquileia, 10 maggio 238
PadreMassimino Trace
MadreCecilia Paolina

«[...] egli era di una tale bellezza che ovunque le donne particolarmente lascive si innamoravano di lui, ed alcune aspiravano ad avere un figlio da lui. Pareva poter raggiungere un tale sviluppo fisico, da equagliare il padre (Massimino Trace), ma morì a vent'anni, nel pieno della gioventù, o come sostengono altri a diciassette anni.»

Biografia modifica

Origini famigliari modifica

Massimo era figlio di Massimino Trace e di Cecilia Paolina. Di bell'aspetto fisico,[2] ricevette un'adeguata istruzione sia nelle lettere latine che in quelle greche, oltreché in oratoria, grammatica e retorica.[3] Gli era stata promessa in sposa una certa Giunia Fadilla, che poi si maritò, però, con un senatore di nome Tossozio.[4] Sembra che quando era ancora in vita, Alessandro Severo avesse pensato di dargli in sposa la sorella, Teoclia, considerando la sua bellezza, cultura ed educazione alle raffinatezze greche, ma le origini barbare del suocero, Massimino Trace, gli impedirono di concretizzare quest'unione.[5] Si aggiunga che Alessandro per lui aveva evidentemente una sincera simpatia:

«Il giovane [Massimino] essendo stato invitato a cena da Alessandro Severo, in omaggio al padre, poiché non aveva l'abito adeguato per la cena, ricevette quello stesso da Alessandro.»

Di lui la Historia Augusta aggiunge:

«Il giovane Massimino era di una superbia insolente, al punto che, mentre il padre, pur nella sua brutalità, si alzava in segno di deferenza di fronte a molti personaggi di un certo rango, lui al contrario se ne stava seduto. Amava molto la vita spensiarata; era sobrio nel bere vino, avido di cibo e soprattutto di cacciagione, tanto da non mangiare altro che cinghiale, anatre gru e ogni specie di selvaggina.»

«[Il giovane Massimino] poneva una tale cura nel vestire, che nessuna donna la mondo era più elegante di lui.»

Nel 236, un anno dopo la sua ascesa al trono, il padre lo nominò princeps iuventutis e Cesare dell'Impero romano.[6] Massimino padre, disse di lui, riguardo al fatto di averlo fatto imperatore:

«[...] perché Roma potesse vedere come stava Massimino giovane, con la porpora indosso, [...] così che il popolo romano e quell'importante Senato potessero giurare di non aver mai avuto un imperatore tanto bello.»

«Il giovane [Massimino] indossava sull'esempio dei Tolomei, una corazza d'oro o d'argento, ed uno scudo tempestato di gemme e dorato, oltre ad un'asta pure dorata. Si fece fare anche delle spade d'argento e d'oro, per far risaltare la sua bellezza. Si fece fare anche elmi pieni di gemme con visiere.»

Cesare sotto il padre (236-238) modifica

Si trovava assieme al padre alla frontiera danubiana quando, nel 238, il Senato romano dichiarò Massimino nemico dello Stato, nominando imperatori Pupieno e Balbino. Massimino e Massimo si mossero allora verso l'Italia, ma Aquileia gli chiuse le porte,[7] costringendolo ad un sanguinoso quanto inutile assedio.[8] Le sue truppe, sofferenti per la fame e le malattie, invischiate in un inatteso assedio, gli divennero ostili.

I soldati della Legio II Parthica (solitamente di stanza nei castra Albana), presi dal timore, verso mezzogiorno, durante un momento di pausa del combattimento, strapparono le sue immagini dalle insegne militari, per segnalarne la deposizione, poi lo assassinarono nel suo accampamento, assieme al figlio Massimo, mentre i due erano coricati sotto la tenda (10 maggio 238).[9][10][11] Poi infilate le loro teste in cima a delle picche, ne fecero mostra agli Aquileiensi.[12]

A Roma allora vennero subito abbattute le sue statue ed i suoi busti, mentre il suo prefetto del pretorio fu assassinato assieme ad altri suoi amici. Poi le teste dei due ex-sovrani, padre e figlio, furono inviate nell'Urbe,[13] mentre i loro corpi furono mutilati e dati in pasto ai cani, una poena post mortem.[14] Il Senato elesse imperatore il tredicenne Gordiano III[15] e ordinò la damnatio memoriae per Massimino.[16]

«Questa fu la fine dei Massimini, degna della crudeltà del padre, ma ingiusta nei confronti della bontà del figlio. La loro morte suscitò grande gioia tra i provinciali, e profondo dolore tra i barbari.»

Note modifica

  1. ^ a b Historia Augusta - I due Massimini, 30.6-7.
  2. ^ Historia Augusta - I due Massimini, 27.1.
  3. ^ Historia Augusta - I due Massimini, 27.2-5.
  4. ^ Historia Augusta - I due Massimini, 27.6.
  5. ^ Historia Augusta - I due Massimini, 29.1-5.
  6. ^ Historia Augusta - I due Massimini, 22.6.
  7. ^ Historia Augusta - I due Massimini, 21.6.
  8. ^ Historia Augusta - I due Massimini, 22.1-7.
  9. ^ Eutropio, Breviarium ab Urbe condita, IX, 1.
  10. ^ Aurelio Vittore, Epitome de Caesaribus, 25.2.
  11. ^ Bowman, p. 33.
  12. ^ Historia Augusta - I due Massimini, 23.6.
  13. ^ Historia Augusta - I due Massimini, 23.7.
  14. ^ Erodiano, VIII, 5.9
  15. ^ Aurelio Vittore, De Caesaribus, 27.6.
  16. ^ Per l'iconografia e le mutilazioni dei ritratti di Massimino Trace e di suo figlio Massimo si veda Varner, Eric, Mutilation and Transformation, BRILL, 2004, ISBN 90-04-13577-4, pp. 200-203.

Bibliografia modifica

Fonti primarie
Fonti secondarie
  • Varner, Eric, Mutilation and Transformation, BRILL, 2004, ISBN 9004135774, pp. 200–203.

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Collegamenti esterni modifica