Galeazzo Caracciolo

nobile italiano e membro del Consiglio dei duecento di Ginevra

Galeazzo Caracciolo (Napoli, gennaio 1517Ginevra, 7 maggio 1586) è stato un nobile italiano. Convertito al calvinismo, lasciò l'Italia stabilendosi a Ginevra.

Galeazzo Caracciolo
Signore di Torrecuso
Stemma
Stemma
Altri titoliSignore di Telese, Finocchio, Torrepalazzo, Castelpoto, Pollosa, San Martino e Solopaca
NascitaNapoli, gennaio 1517
MorteGinevra, 7 maggio 1586
PadreColantonio Caracciolo, I marchese di Vico
MadreGiulia della Leonessa
Consorte
  • Vittoria Carafa (1537-1548)
  • Anna Framery (1560-1586)
Figli (dal primo matrimonio)
  • Giulia
  • Dianora
  • Colantonio, II marchese di Vico
  • Lelio, I marchese di Torrecuso
  • Carlo
  • Lucio
  • Lucrezia
ReligioneCattolicesimo, poi Calvinismo

Biografia modifica

Galeazzo Caracciolo, marchese di Vico, nipote dell'omonimo Galeazzo Caracciolo (1460-1517), il condottiero aragonese che partecipò all'impresa di liberazione della città di Otranto dai Turchi Ottomani, nacque da Nicola Antonio detto Colantonio (?-1562) e Giulia della Leonessa, che era nipote per parte materna di papa Paolo IV. Per i servizi resi, prima come maggiordomo di settimana, poi nel 1536 al seguito dell'armata in Provenza, l'imperatore Carlo V lo insignì del Toson d'Oro[1]. Nel 1537 sposò Vittoria Carafa dei duchi di Nocera, da cui ebbe sette figli.

Frequentando gli ambienti della corte imperiale, Caracciolo entrò in rapporto con il circolo di Juan de Valdés, subendo particolarmente l'influsso di Pietro Martire Vermigli e di Bernardino Ochino. Maturò la scelta della conversione alla Riforma, recandosi più volte in Germania, dove si dedicò alla lettura delle opere di Lutero.

Il rischio di esser fatto arrestare da Carlo V, che aveva saputo di suoi compromettenti discorsi in materia di religione, tenuti con il cortigiano Cesare Carafa, suo cognato e nipote del cardinale Gian Pietro Carafa, lo spinsero, nella primavera del 1551, all'esilio volontario a Ginevra dove divenne calvinista. Alla fine dell'anno fu tra gli organizzatori di una Chiesa riformata italiana nella città, a capo della quale fu eletto Lattanzio Ragnone, cui successe l'anno dopo il bresciano Celso Martinengo e nel 1561 Niccolò Balbani. Caracciolo ottenne la cittadinanza ginevrina nel 1555 e nel 1559 fu eletto al Consiglio dei duecento.[2]

 
Balbani: Vita di Galeazzo Caracciolo, tr. inglese, 1608

Mantenne i contatti con la famiglia, incontrando a Ginevra, nel 1551, il cugino Ferrante Caracciolo. A Verona, nel 1553, incontrò il padre Colantonio che era in viaggio per Bruxelles a incontrarvi Carlo V: l'imperatore stabilì l'esclusione di Galeazzo dalla linea di successione familiare, a favore del figlio Colantonio, che peraltro aiutò finanziariamente il padre esule. Galeazzo Caracciolo incontrò nuovamente il padre a Mantova, nel 1555, il quale gli riferì che il papa Paolo IV gli avrebbe permesso di stabilirsi nella Repubblica di Venezia senza dover subire persecuzioni, ma Galeazzo rifiutò l'offerta, non fidandosi della parola del pontefice. Infine, nel 1558, incontrò nell'isola di Lesina due suoi figli e successivamente nel suo stesso castello di Vico l'intera famiglia, per cercare di convincere moglie e figli a seguirlo a Ginevra. Non essendosi accordati, il Caracciolo fece ritorno in Svizzera, e chiese il divorzio alle autorità ginevrine sostenendo che la moglie lo aveva abbandonato.

Si trattava di accertare la veridicità delle affermazioni del Caracciolo, che presentò testimoni a suo favore. Le autorità scrissero anche una lettera a Vittoria Carafa, per ottenere conferma della tesi avanzata dal marito. Non avendo avuto risposta, nell'agosto del 1559 il divorzio fu concesso e l'anno dopo Caracciolo si risposò con la francese Anna Framery, da cui non ebbe figli. Collaborò attivamente con Giovanni Calvino, tanto che questi gli dedicò il commento alla Prima lettera ai Corinzi di Paolo e la traduzione italiana della sua Istituzione.[3]

Tranne alcuni anni passati a Nyon e a Losanna, Caracciolo visse sempre a Ginevra e morì nella sua casa, vicino alla cattedrale, il 7 maggio 1586. Fu sepolto, come già Calvino, in una tomba anonima del cimitero della città.

Prima dell'interesse di Croce, che ha contribuito a correggere molte imprecisioni sulla vita del marchese di Vico, un altro celebre volume, scritto nel 1587 dal predicatore e ministro calvinista Niccolò Balbani, nativo di Lucca, di cui proprio Galeazzo era stato padrino, riscosse tra il XVI e il XIX secolo non indifferente fortuna, essendo più volte ristampato e pubblicato, oltre che in italiano, anche in inglese, francese e spagnolo.[4]

Onorificenze modifica

Note modifica

  1. ^ P. Giannone, Istoria civile del Regno di Napoli, t. XI, Tip. Elvetica, Capolago 1841, pp. 236-246.
  2. ^ B. Croce, Galéas Caracciolo marquis de Vico, prefazione di Olivier Reverdin, Droz, Ginevra 1965, pp. 63-82.
  3. ^ G. Calvino, Istituzione della religion christiana. In volgare Italiano tradotta per Giulio Cesare Paschali, Ginevra 1557.
  4. ^ N. Balbani, Historia delle vita di Galeazzo Caracciolo, chiamato il Signor Marcheze, nella quale si contiene un raro e singolare essempio di costanza e di perseveranza nella pietà, e nella vera religione, Ginevra 1587.

Bibliografia modifica

  • Benedetto Croce, Il marchese di Vico Galeazzo Caracciolo, estratto da «La Critica», vol. XXI, Bari, Laterza, 1933.
  • Benedetto Croce, Galéas Caracciolo marquis de Vico, prefazione di Olivier Reverdin, Droz, Ginevra 1965.
  • Benedetto Croce, Vite di avventure, di fede e di passione, Milano, Adelphi, 1989, ISBN 978-88-459-0682-4.

Collegamenti esterni modifica

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