Gaykhātū (in mongolo Gaihatu; mongolo in alfabeto cirillico Гайхату; in persiano گیخاتو خان‎, Gaykhātū Khān; ... – 1295) fu il quinto Ilkhan dell'Iran. Regnò dal 1291 al 1295, anno della sua morte.

Gaykhatu
Gaykhatu ascende al trono, miniatura del XV secolo
Ilkhan
In carica1291 –
1295
Incoronazione23 luglio 1291
Ahlat
PredecessoreArghun
SuccessoreBaydu
viceré dell'Anatolia
In carica1284[1] –
1291
PredecessoreQonqurtai
SuccessoreSamagar
Nascita1259 circa
Morte21 marzo 1395
DinastiaBorjigin
PadreAbaqa Khan
MadreMartai khatun
ConsortePadishah Khatun
Religionebuddhismo

Durante il suo regno Gaykhātū fu additato dai suoi detrattori come un dissoluto che - secondo le accuse tipiche del tempo - avrebbe amato il vino (vietato dalla religione islamica), le donne e praticato la sodomia (anch'essa considerata un peccato dalla cultura islamica), a dar retta a Mirkhond.[2] Il suo baghshi buddista gli dette il nome tibetano di Rinchindorj.

Il suo nome mongolo, derivante dal verbo "gaykhākh", vuol dire "meraviglioso/sorprendente".

Regno modifica

Figlio di Abaqa, fu inizialmente Governatore dell'Anatolia selgiuchide prima di salire al trono con il sostegno dell'influente comandante mongolo Taghachar (o Ta'achar), che aveva ucciso il fratello di Gaykhātū, Arghun. Taghachar aveva in realtà intenzione di facilitare la presa del potere di Baydu ma dovette fare buon viso alla scelta del quriltai, che si espresse in favore di Gaykhātū.[3] La moglie di Gaykhātū, Padshāh Khātūn, era figlia di Kitlugh Turkan (Turkan Khātūn) e di Kirmān. Padshāh assunse il titolo di Safwād al-dunyā wa al-din (lett. "Purezza del mondo e della fede) dopo che Jalāl al-Dīn Abū l-Muzaffar fu deposto dalla sua carica di capo della tribù mongola che regnava sull'Iran del sud-est. Padshāh era nota per aver ucciso il fratellastro Suyurghatamish, ma uno dei componenti della sua tribù, Khurdudjīn cercò di vendicarlo facendola mettere a morte col permesso di Baydu, quando questi era Ilkhan.

Nel 1292, Gaykhātū inviò un messaggio al Sultano mamelucco egiziano al-Ashraf Khalil minacciandolo, se non gli avesse permesso di avere Aleppo, egli avrebbe allora conquistato l'intero Levante. Al-Ashraf replicò dicendo: "Il Khan ha le mie stesse idee. Anch'io ho in animo di riportare Baghdad in seno all'Islam, come in precedenza. Vedremo chi di noi due riuscirà a essere più rapido nel conseguire il suo intento".[4]

"Stravaganza" reale modifica

Gaykhātū è noto anche per aver dilapidato soldi pubblici in modo che i suoi avversari definirono "stravagante". Tra i beneficati figuravano i cristiani nestoriani, che lo lodarono grandemente per i suoi doni alla loro Chiesa, come si può evidenziare nella storia di Mar Yahballaha III.[5]

Introduzione della cartamoneta modifica

Nel 1294, Gaykhātū volle rimpolpare il suo tesoro reale, svuotato dalla sua politica economica "stravagante" e da una grande epidemia che aveva falcidiato il bestiame ovino. Come risposta, il suo vizir Ahmed al-Khalidi propose l'introduzione de una recente invenzione cinese, chiamata Chao (cartamoneta). Gaykhātū si disse d'accordo e convocò l'ambasciatore di Kublai Khan, Bolad, a Tabriz. Dopo che questi gli ebbe mostrato come avrebbe funzionato il nuovo sistema, Gaykhātū fece stampare banconote che imitavano quelle cinesi in modo tale che vennero riprodotti gli stessi ideogrammi di quella lingua. La confessione di fede islamica (shahāda) fu riprodotta sulle banconote per placare l'opinione pubblica dei suoi sudditi.

 
Gaykhātū interroga Shingtūr Noyan, alleato e cugino di Arghun.

Il piano era d'imporre ai suoi sudditi l'esclusivo impiego di quella cartamoneta, consentendo così a Gaykhātū di controllare a suo piacimento le risorse finanziarie dell'Ilkhanato. L'esperimento si rivelò però un totale fallimento, in quanto la popolazione e i commercianti rifiutarono di accettare quelle banconote. Presto, anzi, il bazar fu sconvolto da disordini, le attività economiche si bloccarono e lo storico persiano Rashid ud-din parlò addirittura della "'rovina di Basra' in seguito all'emissione della nuova moneta".[6] A Gaykhātū non restò altra scelta che il ritiro della moneta cartacea.

Gaykhātū fu assassinato poco dopo, strangolato con una corda di arco, così da non lasciare tracce di sangue.[7] Suo cugino Baydu, un altro fantoccio messo sul trono da Taghachar, fu il suo successore, ma solo per pochi mesi, visto che anche lui finì con l'essere assassinato. Un'altra ipotesi circa la sua morte parla invece della guerra mossagli da Baydu a causa dell'introduzione della cartamoneta, e della morte di Gaykhātū in battaglia.[8]

Note modifica

  1. ^ Tra 1284 e 1286 con Hulachu.
  2. ^ John Stevens, The history of Persia. Containing, the lives and memorable actions of its kings from the first erecting of that monarchy to this time; an exact Description of all its Dominions; a curious Account of India, China, Tartary, Kermon, Arabia, Nixabur, and the Islands of Ceylon and Timor; as also of all Cities occasionally mention'd, as Schiras, Samarkand, Bokara, &c. Manners and Customs of those People, Persian Worshippers of Fire; Plants, Beasts, Product, and Trade. With many instructive and pleasant digressions, being remarkable Stories or Passages, occasionally occurring, as Strange Burials; Burning of the Dead; Liquors of several Countries; Hunting; Fishing; Practice of Physick; famous Physicians in the East; Actions of Tamerlan, &c. To which is added, an abridgment of the lives of the kings of Harmuz, or Ormuz. The Persian history written in Arabick, by Mirkond, a famous Eastern Author that of Ormuz, by Torunxa, King of that Island, both of them translated into Spanish, by Antony Teixeira, who liv'd several Years in Persia and India; and now render'd into English.
  3. ^ Atwood, p. 234
  4. ^ Al-Maqrizi, vol. 2, p. 242
  5. ^ Luisetto, p. 146
  6. ^ Ashtor 1976, p. 257
  7. ^ Grousset, p. 377
  8. ^ John Stevens, op. cit.

Bibliografia modifica

  • Christopher P. Atwood, The Encyclopedia of Mongolia and the Mongol Empire, Facts on File, Inc. 2004. ISBN 0-8160-4671-9.
  • René Grousset, Empire of the Steppes: A History of Central Asia, 1939
  • Frédéric Luisetto, Arméniens et autres Chrétiens d'Orient sous la domination Mongole, Parigi, Geuthner, 2007, ISBN 978-2-7053-3791-9

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