Geremia Dressellio

gesuita, predicatore e scrittore tedesco

Geremia Dressellio, noto anche come Dresselio, Dreselio, Jeremias Drexelius, Drexelio, Drexel, Drechsel (Augusta, 15 agosto 1581Monaco di Baviera, 19 aprile 1638), è stato un gesuita, predicatore e scrittore tedesco.

Geremia Dressellio

Biografia modifica

Il padre era un sarto e un musico luterano e lo lasciò orfano a soli tre anni (morì nel 1584). Geremia diventò presto cattolico ed entrò a far parte della Compagnia di Gesù il 27 luglio 1598 dopo aver completato i suoi studi presso il ginnasio gesuita della città natale del padre, Landsberg. Studiò quindi filosofia e teologia a Ingolstadt, fu ordinato sacerdote nel 1610 a Eichstätt. Fu insegnante di umanità e retorica nei collegi di Augusta, Dillingen e Monaco.

Attività modifica

Per 23 anni, dal 1615 fino alla morte, fu il predicatore di corte del Principe elettore Massimiliano I di Wittelsbach (1597-1651) Duca di Baviera e di sua moglie Elisabetta di Lorena (15741636), a Monaco. Gli succedette il gesuita Jacob Balde (1604-1668).

Scrisse anche una biografia del Principe elettore Massimiliano I, che fu l'unica sua opera scritta in tedesco. I suoi libri, a cominciare dal titolo, sono ricchi di simboli e di raffigurazioni simboliche che danno una sintesi significativa del testo. Sono libri pregni del fervore barocco della sua predicazione, che ebbero una immensa popolarità e furono tradotti dal latino in molte lingue europee.

Fu lo scrittore ascetico più significativo del suo tempo. Le sue opere ebbero una vastissima diffusione e anche nei circoli evangelici esse trovarono approvazione e buon accoglimento.

Morì a Monaco di Baviera il 19 aprile 1638.

Opere modifica

  • Heliotropio o Conformare la volontà umana a quella Divina, cinque volumi edito nel 1627
  • Noè il fabbricator dell'arca e governator in quella nel tempo del diluvio, per il Mascardi. In Roma 1644
  • Della retta intentione ch'è la regola di tutte l'attioni humane. Volgarizzata dal P. Lodovico Flori. In Roma 1645 - altre edizioni: Monaco 1626, 1636, Colonia 1629, 1631
  • Considerationes de aeternitate Monaco 1620, di cui ci furono nove edizioni; in aggiunta a queste, Leyser stampò 3200 copie in latino e 4200 in tedesco. Fu anche tradotto in inglese (Cambridge 1632; Oxford, 1661; Londra, 1710 e 1844) e in polacco, francese e italiano
  • Zodiacus Christianus o I dodici segni della Predestinazione Monaco 1622 illustrato dal Sadeler, altra edizione 1632 Londra 1647 nel 1642 otto edizioni furono già stampate e fu tradotto in diverse lingue europee
  • The Christian Zodiac, John Coustourier, Rouen 1633, 2ª ediz. 1647
  • L'orologio dell'Angelo custode fu edito la prima volta a Monaco, 1622, e raggiunse le sette edizioni in venti anni; fu anche tradotto estensivamente
  • Nicetas seu Triumphata conscientia (Monaco 1624, Colonia 1628) fu dedicato al sodalizio di una dozzina o più di città che egli richiamò nel titolo. Apud Ioannem Bogardvm, 1624
  • Nicetas or the Triumph over Incontinencie, 1633 Rouen
  • Trismegistus, 1624 Monaco
  • Death the Messenger of Eternity, 1627
  • Orbis Phaëton, hoc est de universis vitiis Linguae, tre volumi illustrata dal Sadeler. Colonia 1629 - Colonia 1634 C. da Egmond
  • Tugendtspregel oder Klainodtschatz" Monaco 1636 la sola opera che scrisse in tedesco
  • Certamen Poeticum
  • Rosae selectissimarum virtutum
  • Rhetorica Coelestis
  • Gazophylacium[1] Christi
  • Res bellicæ expeditionis Maximiliani, 1620, e odi e sermoni simili
  • Deliciae gentis humanae, 1638
  • Amussis
  • The Considerations of Drexelius upon Eternitie. Edizioni Nicholas Alsop 1632, 1636, 1658, 1661, 1672, 1694

Opere stampate da Hermann Scheus all'insegna della Regina in Roma modifica

 
Scola della Patienza
volgarizzata dal p. Lodovico Flori
in Roma per Hermann Scheus 1643
  • Faetonte del mondo cioè Le universali rovine della lingua parte prima - Roma 1644-1646
  • Il foriero dell'eternità, messaggiero della morte. Il quale vien messo innanzi a i sani, infermi, e moribondi. Tradotto di latino in italiano dal p. Lodovico Flori - Roma 1642
  • Il tribunale di Christo, ovvero Il segreto, e particolar giuditio, che si fa nella morte di ciascun'huomo. Tradotto di latino in italiano. Dal p. Lodovico Flori della medesima compagnia. Parte quarta dell'Eternità. - Roma 1643
  • Il Trismegisto christiano ovvero Tre sorti di culto della conscienza de santi del corpo. Volgarizzata dal sig. Giovanni Spada nobile lucchese. - Roma 1643
  • Gymnasium Patientae volgarizzata come Scola della Patienza dal P. Lodovico Flori. Edita da Hermanno Scheus Roma 1643 con imprimatur di Urbano VIII del 26 aprile 1641[2][3]
  • Noe il fabricator dell'arca e governator in quella nel tempo del diluvio descritto, e moralizzato. Volgarizzato dal p. Lodovico Flori. - Roma 1644
  • Il cielo città de beati parte 3. dell'Eternità. Volgarizzata dal P. Vincenzo Finochiari. - Roma 1645
  • Il Daniello prencipe de profeti descritto e arrichito con moralità. Volgarizzato dal P. Domenico Magri maltese [4] - Roma 1645
  • Della retta intentione ch'è la regola di tutte l'attioni humane. Tradotta di latino in italiano dal p. Lodovico Flori - Roma 1645
  • Il Niceta ovvero il Trionfo della castità. Volgarizzata dal P. Vincenzo Finochiari della medesima Comp.a. - Roma 1645

Note modifica

  1. ^ "Gazophilacium" letteralmente "custodia" e "tesoro", nel Nuovo Testamento il luogo in cui, nel Tempio di Gerusalemme, si conservavano il tesoro e le offerte fatte a Dio. (Nuovo Zingarelli Zanichelli)
  2. ^ Nel capitolo dedicato all'Astinenza della Scola della Patienza Geremia Dressellio racconta la storia di Pecchio Cisalpino (pp. 359-368), che ripropone in forma di parabola, mescolandoli e trasponendoli in un tempo precedente, tutti i fatti salienti della vicenda che vide protagonista suor Virginia de Leyva (1575-1650) così come risultano dagli atti del suo processo e conseguente condanna. La stessa storia viene citata da Jacob Balde nel suo Solatium podagricorum del 1661 che invece mette l'accento sui fatti d'arme e la gotta del bisnonno di suor Virginia, Antonio de Leyva (1480-1536), creando in tal modo una relazione diretta tra i fatti. Ciò testimonia l'eco suscitata nella pubblicistica dei contemporanei di suor Virginia de Leyva, lei ancor vivente, della sua tragica vicenda umana poi romanzata dal Manzoni nei Promessi Sposi.
  3. ^ Scola della Patienza, Parte seconda, Capitolo II, p. 359 - §.3.Della Astinenza. Oltre della Compassione nella Scuola della Pazienza impariamo ancora l'Astinenza e la Temperanza. Vi son molte cose che mentre le possediamo ci pare di non potere starne senza, ma quando ci sono levate, noi stessi ci maravigliamo della facilità che sentiamo in non haverle. Si trova talvolta un mercante ricco e splendido che non sa uscire di casa se non è accompagnato da una buona comitiva di servitori, ma se questo a sorte cade in povertà, allora prova quanto sia facil cosa l'andar solo e senza compagnia. Si trova uno per viaggio, che per essergli subito fatto notte, non potendo per l'oscurità arrivare al destinato alloggiamento, è forzato a starsene in campagna e starsene la notte sotto un albero, e perché ha portato seco poca provisione è sforzato finalmente confessare e dire: io non sapevo di poter cenare con due denari. Vi è un artigiano che un tempo fu ricco e teneva buona tavola, ma perché non volle affaticarsi e non attese alle sue faccende, consumò ogni cosa e ridotto in povertà, si riduce alla fine a mangiare la mattina un poco di insalata senza oglio e la sera a passarsela così a digiuno, o pure con una scodella di brodo senz'occhi e con un poco d'acqua fresca, onde poi va dicendo a se stesso: io non sapevo di poter vivere così parcamente. Vi sarà ancora qualcheduno di questi Postiglioni, o procacci, che haverà seppellito tutto il suo [avere] nelle hostarie e nelle taverne, e da cavallo restando a piedi: sia ringraziato Dio, dice, che di nuovo m'ha fatto levare in piedi. Io non sapevo prima quando me ne andavo a cavallo di poter così bene camminare. Così fa Dio con molti che con una salutifera penuria gli riduce alla mediocrità e alla temperanza. Vi sono molti che stanno così ostinati nel loro proprio giudizio, che dicono, uno: io non posso stare senza una buona tavola, l'inedia non fa per il mio stomaco. Un altro poi dice: io non posso far la vita mia senza compagnia. Quell'altro dice: ed io se non bevo molto bene sono come un pesce in secco. Ma quando la povertà o qualche altra calamità levano loro il cibo, i compagni, e il sonno e gli mutano il vino in acqua, allora sperimentano benissimo infatti quanto sia facile il vegliare, il mangiare poco, il digiunare, l'esser privo del vino e dei compagni. La calamità è maestra della Temperanza. Nelle scarsezze impariamo la sobrietà e la parsimonia. E spesse volte non giova niente l'esser parco al fine. Quanti huomini grandi e nobili che noi habbiamo conosciuto, hanno imparato in una prigione a mangiare con pochissima spesa, che prima la lor tavola a pena era bastante a sostener tante vivande? Sentite, di grazia, una cosa maravigliosa che vi farà trasecolare, ed è cosa che fa molto al proposito nostro.
    Pecchio Cisalpino, huomo assai industrioso e di grande animo, venne in odio a un Signore assai ricco e potente e facendo egli una volta un viaggio, dette negli agguati del suo nemico e così fu preso e come un gatto rinchiuso in un sacco fu portato in un castello. Quivi il povero Pecchio fu messo in una oscura e profonda prigione, e senza che alcuno di quei di casa sapesse mai che cosa passasse, fu dal Signore del Castello dato in cura ad un suo più fidato servitore, con ordine severissimo che senza far di ciò parola con nessuno l'andasse mantenendo di questa maniera: che non gli desse altro ogni giorno che un pezzetto di pane molto scarso e un pochetto d'acqua , con che quel meschino potesse non tanto lungamente vivere, quanto sentirsi continuamente e lentamente morire. Far questo mentre Pecchio era cercato per tutte le città e luoghi di quel paese; ne essendosi esso potuto trovare, fu trovato solamente il suo cavallo macchiato un poco di sangue. Laonde sospettandosi che egli fosse stato ucciso, furono fatte grandissime diligenze per trovarne l'autore. Alla fine furono ritrovati due coi quali si sapeva che una volta egli haveva havuto una certa rissa. Questi poveri meschini confessarono a forza di tormenti, se bene ciò non era vero, che essi l'havevano ammazzato. Onde essendo stati perciò condannati, ad uno fu tagliato il capo e l'altro fu impiccato. E così morirono quei meschini senza haver fatto quel delitto. O Signore come son grandi e profondi i vostri giudizi! Intanto quell'altro meschino se ne stava stentando in quell'oscurissima prigione, e con quel modo di vivere, o più tosto di morire, se ne passò lo spazio di [13 anni N.d.r.] diciannove anni. Non si spogliò ne si mutò giammai, ne pigliò mai altro in tutto questo tempo se non quel poco d'acqua e quel poco di pane che scarsissimamente gli era dato ogni giorno. Nondimeno, come egli stesso raccontò poi, ricordandosi sempre della misericordia di Dio e della sua Santissima Madre, havea sempre una gran fiducia e una fermissima speranza d'uscire un giorno di quella spelonca di morte. Fra tanto i suoi figlioli gli fecero fare le esequie come a morto e divisero fra loro l'eredità. Passati dunque tutti li detti diciannove anni in così dura prigione, se ne morì il padrone di quel castello nemico capitale di questo povero imprigionato. E volendo il successore ingrandire un poco e abbellire di nuovo il castello, ordinò che vi si gettassero a terra alcune fabbriche antiche. Arrivati che furono i guastatori a questa sotterranea fossa , che non havea altra entrata che un buco molto stretto, e gettato a terra tutto quello che poteva impedire la nuova fabbrica, trovarono questo povero huomo che a loro parve come un'ombra stigia con tutti i suoi vestimenti rotti con una barba lunga fino alle ginocchia e con i capelli sparsi per le spalle e tutti rabbuffati. Si stupirono quei lavoranti a uno spettacolo tanto inaspettato. E subito si sparse questo caso per tutta quella terra. Vi concorse gran moltitudine di gente come se havessero a vedere un qualche Satiro o qualche Fauno o altro simil mostro delle selve. Alcuni di quelli più pratici che vennero a vederlo furono di parere che questo huomo non fosse così subito esposto all'aria, acciocché con così repentina mutazione non venisse a perdere o la vista o la vita. E così trattenuto per alquanti giorni all'oscuro, gli cominciarono a poco a poco a fargli vedere la luce. Quivi gli furono fatte molte domande come a uno che fosse ritornato in vita dall'altro mondo. Gli fu domandato chi egli fosse, di che casata, di che paese, donde fosse colà venuto, quanto tempo vi fosse stato ecc.. Alle quali cose rispondendo e raccontando ogni cosa per ordine, diede ad intendere a tutti la verità del fatto. Onde non solamente gli fu data la libertà, ma dopo d'esser ritornato alla casa sua gli fu ancor per ordine del Principe restituita la sua robba che i suoi figliuoli s'haveano fra di loro divisa. Ma quello che soprattutto fa a nostro proposito ed è degnissimo d'esser notato, è che questo Pecchio quando fu condotto in questa prigione havea il male della Podagra e grandemente ne pativa, ma col mangiare così parcatamente guadagnò questo, che non solamente non ne patì più mentre se ne stette in quella prigione, ma ne fu ancor sempre libero mentre visse. Quegli che scrisse questo fatto Simon Maiol a memoria dei posteri, egli stesso dice queste parole: noi parlammo con questo medesimo huomo e dalla sua propria bocca udimmo tutte le suddette cose nella Città di Milano l'anno 1566 del mese di Novembre.
    Ecco come Dio conduce e riduce gli huomini dall'inferno. Ecco come una calamitosa povertà, non solo insegna l'Astinenza e la frugalità, ma dà ancora la sanità che per altra strada ne con qualsivoglia medicina si sarebbe giammai potuta riacquistare. Ma noi per il più habbiamo la testa tanto dura che quelle cose che dovremmo imparare di buona voglia non le impariamo se non per forza. Onde alla fine il maestro nella Scuola della Pazienza con gran ragione ci sollecita e ci riprende in questo modo: impara dunque per forza ciò che non volesti imparare di buona voglia. Galeno è di parere che giovino grandemente a qualcuno, quando gli sopravvengono, alcune subite infermità, e noi lo crediamo, come ancora che non sia d'alcun nocumento agli scolari della Pazienza il sentirle.
  4. ^ Padre Domenico Magri, oratoriano (La Valletta 1604 - Viterbo 1672)

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