Ghazan Khan

Ilkhan mongolo

Ghāzān Khān, (in arabo محمود غازان?, Maḥmūd Ghāzān; in mongolo Газан хаан; in cinese 合贊), chiamato in Occidente anche Casanus[1] (5 novembre 127111 maggio 1304), è stato il settimo sovrano dell'Ilkhanato mongolo (nel moderno Iran) dal 1295 al 1304.

Ghāzān
Ghāzān (al centro) nacque e fu educato come cristiano, studiò il buddismo e si convertì all'Islam dopo la sua salita al trono
Ilkhan
In carica1295 –
1304
PredecessoreBāydū
SuccessoreOljeitu
Nome completoMaḥmūd Ghāzān
Nascita5 novembre 1271
Morte11 maggio 1304 (32 anni)
PadreArghun
MadreQūtlūq Khātūn
ConsorteKokechin
Religionecristianesimo, poi islam

Ghāzān Khān era figlio di Arghun e di Qūtlūq Khātūn, discendente quindi della linea dinastica creata da Gengis Khan. Considerato il più importante Ilkhān, è maggiormente famoso per essersi convertito all'islam nel 1295, al momento di salire al trono. Atto questo estremamente significativo per le sorti dell'Islam in Asia centrale, che fino ad allora aveva sofferto i durissimi colpi infertigli dai Mongoli, per lo più animisti o cristiani nestoriani.

La moglie di maggior rilievo fu Kokecin (in persiano كوكجين‎, Kūkjīn), una principessa mongola inviatagli dal Gran Khān Kublai Khan, scortata per l'occasione fino in Persia, dalla capitale mongola, da Marco Polo.

I conflitti militari durante il regno di Ghāzān includono la guerra contro i Mamelucchi egiziani per il controllo della Siria, e le battaglie contro il Khanato mongolo Chagatai. Ghāzān intrattenne anche contatti diplomatici con l'Europa cristiana, proseguendo nei tentativi (allora infruttuosi) dei suoi predecessori che miravano a costruire un'alleanza franco-mongola.

Uomo di grande cultura, Ghāzān parlava diverse lingue - tra cui l'arabo, il persiano, l'hindostano, il tibetano, il cinese, il greco e forse il latino[2] - e coltivava numerosi passatempi. Riformò diversi aspetti della vita dell'Ilkhanato, specialmente in materia di standardizzazione della valuta e di politica fiscale.

Biografia modifica

Gioventù modifica

Al momento della sua nascita, il responsabile dell'Ilkhanato era Abaqa Khan, che era suo nonno. Il padre di Ghāzān, Arghun, era suo vice (principe ereditario) nel Grande Khorasan per conto di Abaqa. Ghāzān era il primogenito di Arghun, e di Qūtlūq Khātūn, del clan Dorben, sebbene fosse stato allevato nell'Ordo (palazzo-tenda dei nomadi) della moglie favorita di suo nonno Abaqa, Buluqhan Khatun, anch'ella senza figli.[3]

 
Ghazan da bimbo, nelle braccia del padre Arghun, a sua volta accanto al padre Abaqa, montato su un cavallo

Ghāzān fu battezzato e crebbe da cristiano,[4] al pari di suo fratello Oljeitu. I Mongoli erano tradizionalmente tolleranti nei confronti delle varie religioni e durante la sua gioventù Ghazan fu educato da un monaco cinese, che gli spiegò il Buddismo, come pure le scritture mongole e uigure.[5]

Dopo la morte di Abaqa nel 1282, il padre di Ghāzān, Arghun, fu incoronato Ilkhan e l'undicenne Ghāzān divenne viceré, trasferendosi nella capitale del Grande Khorasan col resto dell'Ordo di Buluqhan.

Viceré modifica

Il giovane Ghāzān partecipò alle tradizionali attività mongole della caccia e della corsa dei cavalli. Suoi amici erano Quṭlūh Shāh dei Manghud, Nūrīn Āghā, dei Jurkhin e Saʿd al-Dīn Savajī.

 
Ghāzān e sua moglie a corte

Nel 1289, conflitti con altri Mongoli seguirono alla rivolta capitanata contro Arghūn dall'Emiro Nawrūz, un giovane nobile del clan degli Oirati, il cui padre era stato governatore di Persia prima dell'arrivo di Hulagu (bisnonno di Ghāzān). Quando Nawruz fu sconfitto, questi fuggì dall'Ilkhanato e si unì a Kaidu, un altro discendente di Gengis Khan che era stato a capo del Casato di Ögedei e del confinante Khanato Chagatai. Ghāzān passò i successivi dieci anni a difendere le frontiere dell'Ilkhanato contro le incursioni dei mongoli Chagatai dell'Asia centrale.

Quando suo padre Arghūn morì nel 1291, Ghāzān non poté reclamare il comando della capitale in quanto impegnato dai raid di Nawruz e a fronteggiare rivolte e carestie in Khorāsān e a Nishapur. Taghachar, un comandante militare che aveva servito nelle tre precedenti generazioni di Īlkhān, fu probabilmente dietro la morte di Arghun e sostenne lo zio di Ghāzān, Gaykhātū, come nuovo Īlkhān.[3] Ghāzān fu leale nei confronti dello zio, sebbene rifiutasse di seguire la decisione di Gaykhātū che intendeva introdurre la cartamoneta nei domini ilkhanidi, con la scusa che il tempo del Khorāsān era troppo umido per poter maneggiare convenientemente quel tipo di carta.[6] Nel 1294/1295, Ghāzān obbligò Nawrūz ad arrendersi a Nishapur,[7] e Nawruz divenne allora uno dei luogotenenti di Ghāzān.

Durante il regno di Gaykhātū, la principale moglie di Ghāzān nel corso della sua intera esistenza divenne Kokechin/Kūkjīn|Kokčìn, appartenente alla Dinastia Yuan. Originariamente era stata destinata a diventare consorte del padre di Ghāzān, l'Īlkhān Arghūn e per accompagnarla dal promesso sposo, il Gran Khan Kublai incaricò Marco Polo di assolvere a un ultimo incarico, di scortare cioè Kokechin dalla capitale imperiale di Khanbaliq ("Città del Khan", oggi Pechino) al luogo di destinazione. Il gruppo viaggiò per mare, partendo dal porto meridionale di Quanzhou nella primavera del 1291. Le navi erano complessivamente 14, ciascuna tanto grande da esigere 4 alberi con 12 vele complessive. Da Quanzhou si fece vela verso Sumatra e poi in Persia, via Sri Lanka e India (toccando Mylapore, Madurai e Alleppey, chiamata "la Venezia dell'est"). Il gruppo giunse a destinazione, dopo vari mesi, verso il 1293. Nel frattempo Arghūn era però deceduto e la promessa sposa finì con lo sposare Ghāzān.[8]

Regno modifica

Conversione all'Islam modifica

 
Ghazan a cavallo
 
Ghazan mentre studia il Corano

Nel 1295, Taghachar e chi aveva cospirato con lui per uccidere Arghun, uccise anche il suo successore Gaykhatu. Costoro posero allora sul trono il docile Baydu, un cugino di Ghazan. Baydu fu essenzialmente un "uomo di paglia" che consentiva ai cospiratori di seguitare a svolgere la loro politica di suddivisione tra loro dell'Ilkhanato. Nel giro di pochi mesi Ghazan scalzò Baydu dal trono, mandandolo a morte il 5 ottobre del 1295. Ghazan fu assistito in questo dal suo iniziale nemico Nawrūz. Ghazan abbracciò ufficialmente l'Islam il 16 giugno 1295,[9] di fronte a Ibrāhīm ibn Muḥammad ibn al-Muʿayyid ibn Hamweyh al-Khurāsānī al-Jawinī[10] assolvendo alla condizione postagli da Nawruz per poter contare sul suo sostegno militare.[11] Un altro sostegno gli venne offerto da Taghachar, ma Ghazan lo giudicò inaffidabile, esiliandolo in Anatolia e, più tardi, eliminandolo con discrezione.

Con la sua apostasia e la conversione all'Islam, Ghazan cambiò il suo nome nell'arabo Maḥmūd e la religione del loro capo fece guadagnare insperati spazi all'Islam, all'interno dei territori mongoli. Privatamente tuttavia Ghazan praticò ancora lo Sciamanesimo e venerava Tengri, onorando le divinità dei suoi antenati.[12] Dimostrò la medesima tolleranza paterna e del nonno nei confronti delle più diverse religioni, incoraggiando l'arcaica cultura mongola delle origini, esprimendo benevolenza verso lo sciismo e rispettando le religioni dei sovrani a lui legati da rapporto di vassallaggio, tanto georgiani quanto armeni. Quando Ghazan venne a sapere che alcuni monaci buddisti fingevano di convertirsi all'Islam in quanto i loro templi erano stati inizialmente distrutti, garantì a tutti costoro di tornare in Tibet dove avrebbero potuto praticare liberamente la loro fede.[13] Il codice mongolo Yassa[14] seguitò a operare e gli sciamani mongoli mantennero la loro influenza politica nel suo regno e in quello di suo fratello e successore Oljeitu, ma le antiche tradizioni mongole ineluttabilmente declinarono dopo la morte di Oljeitu.[15] Altri sconvolgimenti religiosi nell'Ilkhanato durante il regno di Ghazan furono prodotti da Nawruz, che emanò un editto ostile alle religioni diverse da quella islamica, perseguitando buddisti e cristiani con un accanimento mai conosciuto dai buddisti persiani.[16] La cattedrale cristiana nella capitale mongola di Maragha fu saccheggiata e le chiese di Tabriz e Hamadan furono distrutte. Ghazan mise fine a simili angherie, emanando un suo editto che esentava i cristiani dal pagamento delle jizya (tassa che gravava sui non-musulmani),[17] e reintegrò il Patriarca cristiano Mar Yaballaha III nelle sue funzioni nel 1296. Nel maggio del 1297 Ghazan fece arrestare i partigiani di Nawrūz per tradimento, e un anno dopo marciò contro lo stesso Nawrūz, che a quel tempo era il comandante delle forze militari nel Khorasan. Le forze di Ghazan uscirono vittoriose dalla battaglia svoltasi vicino Nishapur. Nawrūz cercò rifugio presso la corte del Malik (re) di Herat, nell'Afghanistan settentrionale, ma il sovrano lo tradì e lo consegnò a Ghazan, che immediatamente, il 13 agosto, fece passare Nawruz per le armi.[18] Ghazan cercò allora di riprendere il controllo della situazione,[19] e nel 1298 nominò Rashid al-Din Hamadani, un convertito ebreo, suo principale Visir: un posto che Rashid al-Din conservò nei successivi 20 anni, fino al 1318.[18]

Ghāzān commissionò anche a Rashīd al-Dīn un'opera storica sui Mongoli e le loro dinastie, il famoso Jami' al-tawarikh "Compendio delle Cronache" o Storia Universale. Dopo numerosi anni il lavoro si ampliò, fino a coinvolgere l'intera storia del mondo, dai tempi di Adamo, e fu completato ai tempi del successore di Ghāzān, Oljeitu. Furono approntate numerose copie manoscritte, poche delle quali soltanto sono però sopravvissute fino ai nostri tempi.

Relazioni con gli altri Khanati mongoli modifica

 
Sigillo di Mahmud Ghazan in calce alla sua lettera del 1302 a Papa Bonifacio VIII. Il sigillo era stato concesso a Ghazan dal sesto Gran Khan (l'Imperatore ChengZong degli Yuan). La scritta cinese "王府定国理民之宝", significa "Sigillo attestante l'autorità di Sua Altezza Reale nell'istituzione del Paese e nel governo del suo popolo". Archivio della Biblioteca Apostolica Vaticana[20]

Ghazan risolse abbastanza facilmente i problemi derivanti dalle ostilità dell'Orda d'Oro, ma gli Ögodeidi e i Ciagataidi in Asia centrale seguitarono a costituire una seria minaccia all'Ilkhanato e al suo signore e alleato, il Gran Khan in Cina. Allorché Ghazan fu incoronato, il Khan ciagataide Duwa invase il Khorasan nel 1295. Ghazan inviò due suoi parenti contro l'esercito ciagataide ma essi disertarono. Quando i traditori furono catturati e messi a morte, alcuni altri importanti nobili mongoli cominciarono ad abbandonarlo. Baltu dei Jalayiridi e Sulemish degli Oirati si ribellarono al dominio dell'Ilkhan in Turchia nel 1296 e nel 1299. Sulemish fu accolto affabilmente dai Mamelucchi egiziani in Anatolia, cosa che obbligò Ghazan a rinviare i suoi piani d'invasione della Siria, anche se due ribelli mongoli furono sgominati da Ghazan. Un grande gruppo di Oirati entrò in Siria, sconfiggendo il contingente inviato da Ghazan nel 1296. Oltre a queste ribellioni, invasioni dei Qara'una del Khanato ciagataide provocarono intralci e difficoltà alle operazioni militari di Ghazan in Siria.

Ghazan conservò stretti legami col Gran Khan degli Yuan e con l'Orda d'Oro. Nel 1296 Temür Khan, il successore di Kublai Khan, inviò ad esempio un suo comandante militare, Baiju, nella Persia mongola.[21] Cinque anni più tardi Ghazan spedì suoi uomini mongoli e persiani a raccogliere gli introiti provenienti da proprietà di Hulagu in Cina. Mentre si trovavano lì, essi versarono il tributo a Temür e furono coinvolti in scambi culturali nell'Eurasia mongola.[22]

Medici cinesi erano presenti nella corte di Ghazan.[23]

Guerra mamelucco-ilkhanide modifica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Invasioni mongole della Siria.
 
Operazioni mongole in Levante, 1299–1300

Ghazan fece parte del lungo elenco di esponenti mongoli coinvolti in relazioni diplomatiche con Europei e Crociati nell'intento di stringere un'alleanza franco[24]-mongola contro il comune nemico, principalmente i Mamelucchi d'Egitto. Poteva contare per questo sugli Stati vassalli quali il Regno armeno di Cilicia e il Regno di Georgia, che avrebbero dovuto coordinare le proprie azioni con le forze di Ghazan, degli Ordini militari cristiani e con l'aristocrazia di Cipro per sconfiggere gli Egiziani, dopo di che Gerusalemme sarebbe tornata in mano ai Crociati europei.[25] Si sa che numerosi cristiani europei hanno operato per Ghazan, come Isol Pisano (detto anche Ciolo Bofeti di Anastasio) o il genovese Buscarello di Gisolfo, spesso occupando posti di rilievo. Centinaia di avventurieri occidentali entrarono al servizio dei signori mongoli.[26] Secondo lo storico Peter Jackson, il XIV secolo vide l'affermazione di una moda relativa a cose mongole, tanto che non pochi nati in Italia furono chiamati con nomi di governanti mongoli, incluso il nome di Ghazan: Cangrande ("Gran Khān"), Alaone (Hulagu, il bisnonno di Ghazan), Argone (Arghun, nonno di Ghazan) o Cassano (Ghazan).[27]

Nell'ottobre del 1299, Ghazan marciò con le sue forze contro la Siria e invitò i cristiani a unirsi a lui.[28] Il suo esercito conquistò la città di Aleppo e fu raggiunto dal suo vassallo, il re Hethum II del Regno armeno di Cilicia, le cui forze includevano Cavalieri Templari e cavalieri Ospitalieri, che parteciparono al prosieguo dell'offensiva.[29] I Mongoli e i loro alleati sconfissero i Mamelucchi nella battaglia di Wadi al-Khazandar, il 23 o 24 dicembre 1299.[29] Un gruppo di Mongoli, distaccatosi dall'esercito di Ghazan tallonò le truppe mamelucche in ritirata fino a Gaza, respingendoli fino in Egitto.[29] Il grosso delle forze di Ghazan proseguì su Damasco, che si arrese tra il 20-30 dicembre 1299, e il 6 gennaio 1300, sebbene la cittadella riuscisse a resistere.[29][30] Lo storico al-Dhahabi annotò che le forze mongole si ritirarono verso febbraio, probabilmente a causa del foraggio carente per le loro cavalcature. Ghazan promise di tornare nell'inverno del 1300–1301 per aggredire l'Egitto.[31][32] Circa 10.000 cavalieri agli ordini del generale mongolo Mulay furono lasciati per un breve periodo in Siria prima che anche loro si ritirassero.[31]

Era temuto e odiato dai Mamelucchi, che inviarono una delegazione di studiosi di spicco e di Imam, compreso Ibn Taymiyya, a Maragheh per convincere Ghazan Khan, il Khan dell'Ilkhanato mongolo, a metter fine ai suoi attacchi ai musulmani. Si disse che nessuno di essi riuscisse a parlare a Ghazan, salvo Ibn Taymiyya che disse:

«Pretendi di essere musulmano e di avere con te muʾadhdhin, Muftī, Imam e Shaykh ma ci invadi e conquisti il nostro Paese. Per quale motivo? Sebbene tuo padre e tuo nonno Hulagu fossero non credenti, essi non ci hanno aggredito e hanno mantenuto la loro parola. Tu invece prometti e violi la tua promessa.»

Nel luglio del 1300, i Crociati crearono una piccola flotta di sedici galere, con alcuni vascelli più piccoli per razziare le coste, e l'ambasciatore di Ghazan viaggiò con essi.[33][34] Le forze crociate tentarono anche di stabilire una base sull'isoletta di Arados (Arwād), da cui lanciare le loro incursioni su Tartus, mentre attendevano le forze di Ghazan. Tuttavia le forze mongole furono sbaragliate e quelle crociate si ritirarono a Cipro, lasciando una guarnigione ad Arados che fu assediata e distrutta dai Mamelucchi nel 1303 (si veda assedio di Arados).

 
Ghazan ordina al re di Cilicia Hethum II di accompagnare Kutlushka all'attacco del 1303 contro Damasco

Nel febbraio 1301, i Mongoli avanzarono ancora una volta in Siria in forze, con 60.000 uomini, ma non riuscirono a realizzare altro che incursioni di poca rilevanza. Il generale di Ghazan, Kutlushah, stazionò con 20.000 cavalieri nella Valle del Giordano per proteggere Damasco, dove era stato lasciato un governatore mongolo.[35] Ancora una volta, tuttavia, essi furono costretti presto ad abbandonare quella posizione.

Furono stilati ancora una volta piani con i Crociati per un'offensiva che avrebbe dovuto aver luogo nell'inverno successivo e, alla fine del 1301, Ghazan chiese a papa Bonifacio VIII di inviare truppe, sacerdoti e agricoltori, per far tornare ancora una volta la Terra santa uno Stato franco.[35] Di nuovo, però, Ghazan non si presentò in quei luoghi con le sue temibili truppe. Scrisse ancora al papa nel 1302, e suoi ambasciatori si recarono in visita presso la corte di Carlo II d'Angiò, che il 27 aprile 1303 spedì Gualterius de Lavendel come suo rappresentante alla corte di Ghazan.[36]

Nel 1303, Ghazan inviò un'altra missiva a Edoardo I, per il tramite di Buscarello de Ghizolfi, reiterando la promessa del suo bisnonno Hulagu Khan secondo cui i Mongoli avrebbero dato Gerusalemme ai Franchi in cambio del loro aiuto contro i Mamelucchi.[37] I Mongoli, unitamente ai loro vassalli del Regno armeno di Cilicia, avevano radunato una forza di circa 80.000 uomini per respingere le incursioni del Khanato Chagatai, che era sotto la guida di Qutlugh Khwaja.[38] Dopo aver conseguito buoni risultati contro di esso, i Mongoli di Ghazan ripresero ad avanzare verso la Siria ma essi furono sconfitti dai Mamelucchi proprio a sud di Damasco nella decisiva battaglia di Marj al-Saffar nell'aprile del 1303.[38] Fu questo l'ultimo grande sforzo mongolo d'invadere la Siria.[39]

 
Moneta d'oro riportante il nome di Ghāzān Maḥmūd (Shiraz, Iran, 1301)

Riforme modifica

Ghazan era un uomo di profonda cultura, con vari passatempi che coltivava, inclusa la linguistica, le tecniche agricole, la pittura e l'alchimia, nei suoi aspetti più legati alla chimica che all'esoterismo. Durante il suo mandato furono presenti a corte intellettuali del suo tempo del calibro dello storico e poeta Abu Sulayman Banakati. Secondo lo storico bizantino Giorgio Pachimere, in greco Γεώργιος Παχυμέρης, (1242–1310): «Nessuno lo superava nel fare selle, finimenti, speroni, schinieri ed elmetti; sapeva maneggiare il martello, ago e cesello, e in ogni sua occupazione impiegava le ore del suo tempo lasciategli libere dalle cure della guerra».[40]

Oltre al profondo impatto religioso comportato sulla Persia, Ghazan unificò pesi, misure e conio nell'Ilkhanato. Dispose un nuovo censimento in Persia per una miglior definizione della politica fiscale della sua dinastia. Cominciò a combattere la desertificazione di alcune aree del regno e l'abbandono delle terre, agevolandone la messa a coltura, sostenendo fortemente l'introduzione di nuove culture agricole dell'Asia orientale in Persia, migliorando la cultura dell'igname. Costruì alloggi per viaggiatori, ospedali, scuole e stazioni di posta. I suoi inviati ricevevano un compenso giornalieri e i membri della nobiltà che s'impegnavano in viaggi venivano spesati appositamente. I viaggiatori erano in cambio tenuti a compiere opera d'intelligence, potendo impiegare a tal fine gli strumenti che lo Stato assegnava al barīd. Ai soldati mongoli veniva assegnato un iqṭāʿ (feudo non ereditabile).

 
Doppio dirham argenteo di Ghazan. La legenda in arabo dice sul recto (sinistra): لاإله إلا الله محمد رسول الله صلى الله عليه وسلم/ ضرب تبريز/ في سنة سبع ...ر , ossia Lā ilāha illā Allāh Muḥammad rasūl Allāh. Ṣallā [Allāh] ʿalayhi. Ḍuriba Tabrīz fī sanat sabʿa xxx: "Non c'è divinità se non Dio, Muḥammad è il profeta di Dio. Dio lo salvi. / È stato coniato a Tabriz nell'anno sette xxx"
Sul verso si legge in lingua mongola (salvo la scritta "Ghāzān Maḥmūd" in arabo): Tengri-yin Küchündür. Ghazan Mahmud. Ghasanu Deledkegülügsen: "Per potere celeste/ Ghāzān Maḥmūd/ Moneta coniata per Ghāzān".

Ghazan riformò la pratica dei jarliq (editti), creando moduli prestabiliti e sigilli diversificati, ordinando che tutti i jarliq fossero conservati a corte, in una sorta di Archivio Centrale. I jarliq più vecchi di 30 anni erano distrutti, con gli antichi paiza (sigilli delle autorità mongole). Fece forgiare nuovi paiza di due tipi, che riportavano i nomi dei loro detentori, per evitare che essi venissero usati illecitamente o inappropriatamente. I vecchi paiza dovevano poi essere restituiti alla fine del mandato concesso ai loro utilizzatori.

In politica fiscale, Ghāzān provvide a introdurre una moneta unificata bimetallica, compresi i dīnār Ghāzānī (di Ghāzān), e riformò le procedure di acquisto e cambio. Altre riforme concessero la libera vendita di armi nei mercati.

Sulle monete, Ghāzān omise il nome del Gran Khan, scrivendo invece il proprio nome sulle monete battute in Iran e Anatolia. In Georgia, coniò monete con la tradizionale formula mongola "Battuta dall'Īlkhān Ghāzān in nome del Khagan" perché voleva mantenere le sue pretese sul Caucaso grazie all'aiuto del Gran Khān della dinastia Yuan.[41] Continuò anche a usare il sigillo del Gran Khān cinese che lo aveva riconosciuto wang (principe) sottomesso al Gran Khān.[42]

Le sue riforme toccarono anche il comparto militare, e furono create numerose nuove unità della Guardia, in massima parte mongola, destinata a presidiare il centro dello schieramento in battaglia. Tuttavia ne limitò la rilevanza politica, ritenendo che la riduzione in schiavitù dei figli da parte dei Mongoli fosse un danno per la manodopera e per il prestigio dell'esercito mongolo, Ghazan stanziò a tal fine fondi per riscattare i giovani schiavi mongoli dalla schiavitù e promuovendo il suo vizir Bolad (l'ambasciatore del Gran Khān Kubilai) comandante di un'unità militare costituita da giovani mongoli riscattati.

Ghazan morì il 10 maggio 1304. Nella parte terminale della sua malattia, non avendo più figli che gli fossero sopravvissuti, nominò suo fratello Oljeitu suo successore.

Note modifica

  1. ^ Schein, p. 806.
  2. ^ Roux, p. 432.
  3. ^ a b Hamadani, p. I, d. III.
  4. ^ Foltz, p. 128.
  5. ^ (EN) Charles Melville, Padshah-i Islam: the conversion of Sultan Mahmud Ghazan Khan, Cambridge, Middle East Centre, 1990, pp. 159-177.
  6. ^ (EN) René Grousset, The Empire of the Steppes: A History of Central Asia, Rutgers University Press, 1970, p. 377, ISBN 978-08-13-51304-1.
  7. ^ Jackson, p. 170.
  8. ^ Marco Polo, Giovanni Battista Baldelli Boni, Hugh Murray, The Travels of Marco Polo, Société de géographie.
  9. ^ (EN) Aziz S. Atiya, The Crusade in the Later Middle Ages, Kraus, 1965, pp. 256 e ss., ISBN 978-05-27-03700-0.
  10. ^ Tadhkīrat al-ḥuffāẓ di al-Dhahabi.
  11. ^ Foltz, p. 128.
    «L'Emiro Nawruz, musulmano, offrì i suoi guerrieri se Ghazan si fosse impegnato ad abbracciare la religione islamica nel caso di vittoria su Baydu»
    .
  12. ^ (EN) Christopher P. Atwood, Encyclopedia of Mongolia and the Mongol Empire, Facts On File, 2004, p. 199, ISBN 978-08-16-04671-3.
  13. ^ (EN) Sir Thomas Walker Arnold, The preaching of Islam: a history of the propagation of the Muslim faith, A. Constable and Company, 1896, p. 342.
  14. ^ O Yasa, Yasaq, Jazag o Zasag.
  15. ^ Amitai, pp. 9, 34.
  16. ^ Roux, p. 430.
  17. ^ Foltz, p. 129.
  18. ^ a b Roux, p. 432.
  19. ^ Jackson, p. 177.
  20. ^ (EN) Yahia Michaud, cap. XI, in Ibn Taymiyya, Textes Spirituels I-XVI, Oxford Centre for Islamic Studies, 2002.
  21. ^ Yuan Chueh, Chingjung chu-shih chi, p. 22, cap. 34.
  22. ^ (EN) Thomas T. Allsen, Culture and Conquest in Mongol Eurasia, Cambridge University Press, 2004, p. 34, ISBN 978-05-21-60270-9.
  23. ^ (EN) J.A. Boyle, The Cambridge History of Iran, Cambridge University Press, 1968, p. 417, ISBN 0-521-06936-X.
  24. ^ Il termine "franco" non si riferisce, come è ovvio, agli antichi "Franchi", bensì ai cristiani tutti dell'Europa latina (i Bizantini erano invece chiamati Rūm, "Romei"). Il termine Ifranj o Firanj fu attribuito loro dai musulmani nel IX secolo, quando si ebbero i primi rapporti diplomatici diretti tra i Franchi di Carlo Magno e il Califfo abbaside Hārūn al-Rashīd. Tale termine, inizialmente corretto, sopravvisse anche in seguito, quando dei Franchi era rimasta solo la memoria.
  25. ^ Barber, p. 22.
  26. ^ Roux, p. 410.
  27. ^ Jackson, p. 315.
  28. ^ Demurger, p. 143.
  29. ^ a b c d Demurger, p. 142.
  30. ^ Runciman, p. 439.
  31. ^ a b Demurger, p. 146.
  32. ^ Schein, p. 810.
  33. ^ Demurger, p. 147.
  34. ^ Schein, p. 811,
  35. ^ a b Richard, p. 481.
  36. ^ Schein, p. 813.
  37. ^ Encyclopædia Iranica, sub voce.
  38. ^ a b Demurger, p. 158.
  39. ^ Nicolle, p. 80.
  40. ^ (EN) Maḥmūd Ghāzān, su Encyclopædia Britannica. URL consultato il 20 luglio 2022.
  41. ^ (EN) Thomas T. Allsen, Culture and Conquest in Mongol Eurasia, Cambridge University Press, 2004, p. 33, ISBN 978-05-21-60270-9.
  42. ^ (FR) A. Mostaert e F.W. Cleaves, Trois documents mongols des archives secrètes vaticanes, in Harvard Journal of Asiatic Studies, XV, 1952, p. 483.

Bibliografia modifica

Fonti primarie modifica

Fonti secondarie modifica

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