Hortus conclusus

Simbolo medievale occidentale e attributo della Vergine Maria
Disambiguazione – Se stai cercando l'installazione di Domenico Paladino a Benevento, vedi Hortus Conclusus (Paladino).

L'hortus conclusus (latino, traducibile in italiano come "giardino recintato") è la forma tipica di giardino medievale, legato soprattutto a monasteri e conventi.

Anonimo, Madonna e santi nel giardino del Paradiso (1410 circa)
La Madonna col Bambino su falce di luna nell'hortus conclusus del Maestro del 1456

Descrizione modifica

Come dice il nome stesso, si tratta di una zona verde, in genere di piccole dimensioni, circondata da alte mura, dove i monaci coltivavano essenzialmente piante e alberi per scopi alimentari e medicinali. Pressoché sconosciuta era la funzione decorativa.

Lo sfaldamento dell'impero, le distruzioni e il lungo intervallo di anarchia e di saccheggi barbarici avevano impedito la trasmissione dei modelli delle ville e dei giardini romani e, mancando gli esempi concreti e la letteratura di riferimento, il risveglio dell'interesse per la natura è stato lento. Soprattutto ha dovuto ricominciare con l'ammirazione del paesaggio e il tentativo di riprodurlo in miniatura all'interno di un recinto.

Una notevole influenza è stata esercitata dagli arabi che, oltre alla loro cultura, esportavano nuove varietà di cedri, aranci e limoni e le raffinate tecniche di irrigazione imparate dai babilonesi e dagli egiziani. Il loro gusto nel piantumare e crescere ulivi, melograni, mandorli, albicocchi, peri, e numerose varietà di agrumi si diffonde in tutto il bacino del Mediterraneo tanto che in dialetto siciliano i frutteti vengono ancora chiamati “giardini”, proprio per il loro aspetto ridente.

Fiori, aromi, giochi d'acqua, animali animano i giardini arabi, tesi alla ricerca di una serenità che riproduca il paradiso promesso nell'Aldilà. I cinque sensi vengono finalmente appagati: la vista dai colori, l'olfatto dai profumi delle essenze in fiore, il gusto dai frutti succosi, il tatto dalla freschezza delle foglie mosse dall'alitare del vento e l'udito dal mormorio dell'acqua e dal cinguettio degli uccelli. Il poeta Ibn Básrûn descrive la reggia palermitana di Ruggero II, il primo re di Sicilia: "Ecco i giardini, cui la vegetazione riveste di vaghissimi palii, / Ricoprendo il suolo olezzante con drappi di seta del Sind! / [...] Vedi gli alberi carichi delle frutta più squisite; / Ascolta gli augelli che a lor costume cianciano a gara dall'alba al tramonto!". Un altro poeta, Ibn Hamdiîs, descrive un palazzo nella contrada siciliana di Bugìa dove un canale d'acqua sembrava argento liquefatto e in una vasca vi erano alberi d'oro e d'argento i cui rami erano zampilli e sui cui bordi bocche di giraffe, leoni e uccelli gettavano acqua.

Era inoltre diffuso l'uso di grandi bacini, usati per la raccolta delle acque piovane e trasformati in luoghi di delizia sui quali si affacciavano sontuosi casini, in alcuni casi posti addirittura al centro su un isolotto. Oggi questi fasti vivono solo nelle cronache dei contemporanei e nei sopravvissuti esempi andalusi e nordafricani. Il domenicano Leonardo Alberti che visitò Palermo nel 1526 rimase affascinato dai numerosi giardini arabi che ancora vi sorgevano: "belli et vaghi giardini, pieni con molto ordine di cedri, limoni, naranzi, et altri frutti gentili [...] ruscelletti di chiare acque mormorando soavemente [...] alcune isolette artificiosamente attorniate dalle dette acque coperte sempre di verdi herbette".

L'imperatore Federico II, nipote di Ruggero II, mantenne una erudita corte di artisti e letterati, costruì castelli e conservò la tradizione normanna dei giardini - a sua volta desunta da quella araba che l'aveva preceduta - affidandone la costruzione a tecnici musulmani fatti venire appositamente dall'Oriente. Le forme di questi primitivi spazi verdi medievali sono essenziali e ridotte nelle dimensioni: un prato con al centro un pozzo, due vialetti perpendicolari con ai bordi fiori ed erbe medicinali e aromatiche.

Paradossalmente sono proprio i religiosi a vedere i limiti di una simile concezione della vita umana e con la fondazione delle prime comunità monastiche nel V e VI secolo viene attentamente rivalutato il lavoro manuale, i chiostri diventano fruttiferi con meli, peri, peschi, mandorli e, attorno al complesso religioso, sorgono vigne, uliveti, frutteti e orti che ben presto si trasformano in poderi modello dove sperimentare le nuove colture portate dai saraceni e dai crociati. L'importanza del chiostro aumenta divenendo centro fisico ma anche spirituale e intellettuale della vita del monaco e alla coltivazione delle erbe officinali e aromatiche in alcuni casi seguono anche eccessi tanto che nel 1216 ai vallombrosiani viene proibito di tenere nei chiostri fiere e uccelli esotici per diletto.

Se la riscoperta del giardino in periodo medievale può dirsi opera dei religiosi il suo successivo sviluppo è soprattutto laico. Nel IX secolo Carlo re dei franchi dà vita al Sacro Romano Impero: è l'inizio di una lenta ma costante ripresa economica. Nel Capitulare de villis vel de curtibus imperatoris - una raccolta di prescrizioni e consigli sulla costruzione e manutenzione delle proprietà imperiali - si suggerisce che i giardini e i broli siano cinti da siepi o muri, che all'interno ci siano fiori e ortaggi, piante aromatiche e alberi da frutto. Sono evidenti le influenze orientali, desunte dalle tradizioni di Bisanzio e Bagdad dove al tempo si fondevano le esperienze arabe, persiane e greche.

La fama di queste realizzazioni si sparge in tutta Italia ma solo in Toscana trova un ambiente pronto a recepire la nuova tendenza. Questo soprattutto grazie al successo dei suoi mercanti, agli scambi anche culturali con paesi lontani e al benessere economico diffuso che permettevano lo sviluppo di una folta classe di imprenditori desiderosi di porsi in evidenza e di fare del giardino un teatro insostituibile della loro vita quotidiana.

Radicandosi sui colli della Firenze comunale il giardino si laicizza tornando a essere luogo di svago e di ozio intellettuale come ai tempi della Roma imperiale. Così i piccoli giardini e gli aranceti di religiosi e privati sorti entro le mura si ampliano scegliendo ubicazioni sempre più amene. L'esempio classico è quello descritto intorno al 1350 da Boccaccio nel Decameron, un giardino che si ritiene fosse ubicato presso l'attuale villa Palmieri, sulle pendici di Fiesole: "fattosi aprire un giardino che di costa era al palagio, che tutto era da torno murato, se n'entrarono [...] Esso avea dintorno da sé e per lo mezzo in assai parti vie ampissime; e tutte allora fiorite sì grande odore per lo giardin rendevano [...] Le latora delle quali vie tutte di rosai bianchi e vermigli e di gelsomini erano quasi chiuse [...] Quante e quali e come ordinate poste fossero le piante che erano in quel luogo, lungo sarebbe a raccontare [...] Nel mezzo del quale [...] era un prato di minutissima erba [...] chiuso dintorno di verdissimi e vivi aranci e cedri [...] Nel mezzo del qual prato era una fonte di marmo bianchissimo e con maravigliosi intagli".

Questo della fonte al centro è un elemento ricorrente nell'evoluzione degli spazi verdi medievali. Spesso è identificata con la fonte dell'Eterna giovinezza o della Vita come quella celebre affrescata nel castello della Manta in provincia di Cuneo. Del resto nella Genesi II si legge: "e il fiume fuoriuscì dal Paradiso per innaffiare il giardino, che divenne così diviso in quattro parti" a formare aiuole fiorite o con erbe aromatiche (ruta, salvia, basilico, menta e tante altre di importazione) e negli esempi più tardi anche un labirinto. Nei pressi, ma discostati, sorgevano i pomari (dove si coltivavano frutti commestibili come mele ma anche pere, prugne, nespole, castagne, ciliegie, nocciole, mandorle, fichi, noci e agrumi), verzieri (con gli ortaggi), viridari (insieme di alberi sempreverdi dove vivevano animali selvatici) e peschiere.[1]

Iconografia nell'arte sacra modifica

Nel campo dell'arte sacra europea, l'hortus conclusus divenne presto simbolo del Giardino dell'Eden e della verginità di Maria. Si trova spesso raffigurato, anche tramite pochi accenni simbolici, in dipinti quali le Annunciazioni e in altre scene della vita della Vergine. Dopotutto, l'immagine dell'hortus conclusus è ripresa da un passo biblico del Cantico dei cantici, libro da sempre impiegato per comporre molti testi liturgici in onore di Maria Santissima

(LA)

«Hortus conclusus soror mea, sponsa, hortus conclusus, fons signatus»

(IT)

«Giardino chiuso tu sei, sorella mia, sposa, giardino chiuso, fontana sigillata»

Note modifica

  1. ^ Ovidio Guaita, Ville e giardini storici in Italia, Milano, Electa-Mondadori, 1995, pp. 9-13.
  2. ^ Cantico 4,12, su La Parola - La Sacra Bibbia in italiano in Internet.
  3. ^ Dizionari dell'arte, La natura e i suoi simboli, ed. Electa, 2003, pp. 12-15

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