Institutio oratoria

opera di Quintiliano

L'Institutio oratoria ("La formazione dell'oratore") è l'opera maggiore di Marco Fabio Quintiliano e l'unica ad esserci pervenuta per intero.[1]

La formazione dell'oratore
(Institutio oratoria)
Titolo originaleInstitutio oratoria
Altri titoliL'istituzione oratoria
Antiporta di un'edizione del 1720 dell'Institutio oratoria
AutoreMarco Fabio Quintiliano
1ª ed. originale90-96 d.C.
Editio princepsRoma, Giovanni Filippo De Lignamine, 1470
Generetrattato
Sottogenereretorico
Lingua originalelatino

Dedicata a Marco Vitorio Marcello, funzionario della corte di Domiziano, per l'educazione del figlio Geta, l'opera (databile tra il 90 e il 96 d.C.), compendia l'esperienza di un insegnamento durato vent'anni (dal 70 a.C. al 90 a.C. ca). Il titolo dell'opera è da considerarsi espressione della volontà autoriale in quanto è contenuto nella lettera all'editore Trifone posta a premessa dell'opera stessa.

Si tratta, dunque, di un vero e proprio manuale di pedagogia e retorica, emulazione del De oratore di Cicerone, considerato da Quintiliano in qualità di modello ideale di oratore e di trattatistica retorica.

Struttura modifica

All'interno dei dodici libri l'autore mira a seguire idealmente la formazione di un oratore:

Il primo libro può essere considerato quasi a sé stante, trattando di problemi vari di pedagogia relativi all'istruzione "elementare" (una novità assoluta nel panorama culturale antico): dalla scelta del maestro, al modo di insegnare i primi elementi di scrittura e lettura, dalla questione se sia più utile l'istruzione pubblica o privata (e in questo lui privilegia la scuola pubblica poiché suscita nei piccoli l'attitudine alla vita sociale, stimolanti forme di competizione e crea amicizie), al modo di riconoscere e invogliare le capacità dei singoli discepoli.

Il secondo, invece, chiarisce la didattica del retore, consiglia la lettura di autori "optimi", né troppo antichi né troppo moderni, esorta gli scolari a praticare declamazioni attinenti alla vita reale (e a puntare comunque alla "sostanza delle cose"), con un linguaggio semplice ed appropriato.

Il terzo libro consta di una rassegna delle fonti dottrinali di cui Quintiliano si servì nel contesto della composizione dell'opera; tra di esse spiccano trattati di età alessandrina risalenti al III-II sec. a.C., e ad autori latini come Cicerone, Celso e Plinio il Vecchio.

I libri dal VI al VII trattano dell'inventio e della dispositio, cioè il reperimento e lo studio degli argomenti da inserire nelle cause e l'arte di distribuirli;

I libri dall'VIII al IX sono incentrati sull'elocutio, ovvero della scelta dello stile e contengono un'ampia rassegna altamente tecnica delle figure di parola e di pensiero.

Il X libro insegna i modi di acquisire la facilitas, ovvero la disinvoltura nell'espressione. Prendendo in esame gli autori da leggere e da imitare, Quintiliano inserisce il celeberrimo excursus storico-letterario sugli scrittori greci e latini (in cui compara, ad esempio, Cicerone a Demostene), preziosa testimonianza sui canoni critici dell'antichità (pur avendo i giudizi un carattere esclusivamente retorico). L'autore sottolinea l'importanza dell'avere più modelli di riferimento piuttosto che cercare di imitare un solo autore, e di cercare la precisione nei propri scritti, ma senza farsi ridurre al silenzio dall'eccessivo zelo verso la ricerca della forma perfetta.

L'XI libro tratta della memoria e dell'actio, ovvero della mnemotecnica e della performance.

Il XII libro (la parte "longe gravissimam", "di gran lunga più impegnativa" dell'opera) presenta, infine, la figura dell'oratore ideale: le sue qualità morali, i principi del suo agire, i criteri da osservare, il vir bonus dicendi peritus di catoniana memoria.

Progetto educativo modifica

L'Institutio oratoria si delinea, dunque, come un programma complessivo di formazione culturale e morale, scolastica ed intellettuale, che il futuro oratore deve seguire scrupolosamente, dall'infanzia fino al momento in cui avrà acquistato qualità e mezzi per affrontare un uditorio (il termine "institutio" sta ad indicare, propriamente, "insegnamento, educazione, istruzione", confrontabile col termine greco di "paidèia"): e ciò, in risposta alla corruzione contemporanea dell'eloquenza, che Quintiliano vede in termini moralistici, e per la quale individua come rimedi il risanamento dei costumi e la rifondazione delle scuole. Ma, soprattutto, propugnò il criterio del ritorno all'antico, alle fonti della grande eloquenza romana, i cui onesti principi erano stati sanciti dall'oratoria di Catone e la cui perfezione era stata toccata da Cicerone.

Le fonti dell'opera furono, quasi certamente, la "Retorica" d'Aristotele e proprio gli scritti retorici dell'Arpinate, anche se, a differenza di quest'ultimo, egli intende formare non tanto l'uomo di stato, guida del popolo, ma semplicemente e principalmente l'"uomo".

Di conseguenza, mentre le analisi di Cicerone s'incentravano sull'ambito strettamente letterario e larvatamente "politico", Quintiliano affronta le varie questioni con un'ampiezza tale di orizzonti culturali e di motivazioni "pedagogiche" da proporsi decisamente come un unicum nella storia letteraria latina.

Utopia dell'oratore "totale" modifica

Pur nella nuova situazione politica, in un impero unitario e pacificato, Quintiliano ripropone così il modello di oratore di età repubblicana, di stampo catoniano-ciceroniano; è nel recupero dell'oratoria per un nuovo spazio di missione civile il vero scopo di Quintiliano, in cui si risolve la problematica dei rapporti fra oratore e principe tracciata nel XII libro e tacciata, dalla critica, di servilismo dimenticando, a tal proposito, che egli doveva effettivamente molto alla dinastia Flavia (in particolare a Domiziano, addirittura osannato come sommo poeta) e la sua appartenenza afferiva a quel mondo di "provinciali" che avevano un vero e proprio culto per l'imperatore, simbolo per loro dell'ordine e del benessere.

L'oratore perfetto deve avere, secondo Quintiliano, una conoscenza a dir poco "enciclopedica" (filosofia, scienza, diritto, storia), ma dev'essere - oltre che un "tuttologo" - anche un uomo onesto, "optima sentiens optimeque dicens",[2] o - come disse già Catone - "vir bonus dicendi peritus".

Tuttavia, nel predicare questo ritorno a Cicerone, Quintiliano non si rendeva conto che ciò esigeva anche il ritorno alle condizioni di libertà politica di quel tempo: in ciò sta il segno più evidente del carattere antistorico (se non "utopistico") del classicismo da lui vagheggiato.

Edizioni modifica

  • (LAIT) L'istituzione oratoria, a cura di Rino Faranda, 2 voll., Torino, Unione tipografico-editrice torinese, 1968, SBN IT\ICCU\SBL\0326644; 2ª ed., a cura di Piero Pecchiura, 1979.
  • (LAIT) Istituzione oratoria, 5 voll., prefazione traduzione e note di Orazio Frilli, Bologna, Nicola Zanichelli editore, 1972-1978, SBN IT\ICCU\SBL\0345439.

Note modifica

  1. ^ Lavore, cit., p. 798.
  2. ^ Quintiliano, Institutio oratoria, XII, 1, 25.

Bibliografia modifica

  • Virgilio Lavore, Latinità, Principato, Milano, 1989 (11a ristampa della 2ª ed.)

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