La casa dalle finestre che ridono

film del 1976 diretto da Pupi Avati

La casa dalle finestre che ridono è un film del 1976 diretto da Pupi Avati. Nel 1979 ha vinto il premio della Critica al Festival du Film Fantastique di Parigi[1] ed è anche diventato un film di culto.

La casa dalle finestre che ridono
Una delle finestre che "ridono"
Lingua originaleitaliano
Paese di produzioneItalia
Anno1976
Durata106 min
Rapporto1,85:1
Generegiallo, thriller, orrore
RegiaPupi Avati
SoggettoPupi Avati e Antonio Avati
SceneggiaturaPupi Avati, Antonio Avati, Gianni Cavina e Maurizio Costanzo
ProduttoreAntonio Avati e Gianni Minervini
Casa di produzioneA.M.A. Film
Distribuzione in italianoEuro International Films
FotografiaPasquale Rachini
MontaggioGiuseppe Baghdighian
Effetti specialiGiovanni Corridori, Luciano Anzellotti
MusicheAmedeo Tommasi
ScenografiaLuciana Morosetti
CostumiLuciana Morosetti
TruccoGiovanni Amadei
Interpreti e personaggi
Doppiatori originali

Trama modifica

Anni cinquanta. Il giovane restauratore Stefano, tramite l'intercessione dell'amico Antonio, riceve l'incarico da parte del sindaco di un paese della bassa padana di riportare alla luce un macabro affresco in una chiesa nella campagna circostante. L'opera, che raffigura il martirio di San Sebastiano, è stata dipinta da un folle pittore del posto morto suicida vent'anni prima, Buono Legnani.

Stefano rimane molto affascinato dall'affresco, ma pochi colloqui con il parroco Don Orsi e altre persone del posto sono sufficienti a convincerlo che tanto l'opera quanto il suo autore non godono di altrettanta stima fra la gente del paese. Alcune telefonate anonime, che lo invitano ad andarsene rinunciando al restauro, e qualche frase sibillina di Coppola, l'iracondo e alcolizzato tassista del luogo, gli instillano il sospetto che l'affresco e il suo autore nascondano un qualche mistero che la morbosa sonnolenza del paese non riesce completamente a celare.

La conferma ai suoi sospetti arriva proprio dall'amico Antonio, che gli preannuncia sconvolgenti scoperte riguardo a una “casa dalle finestre che ridono” ma che muore, prima di potergliele rivelare, precipitando dalla finestra della stanza d'albergo dove avrebbero dovuto incontrarsi. Il tragico evento viene frettolosamente archiviato dalle autorità del luogo come suicidio, nonostante Stefano testimoni di aver visto l'ombra del probabile assassino muoversi dietro la tenda della finestra.

Una forza oscura manovra nell'ombra per impedire che la verità venga a galla, e tanta è in paese la diffidenza nei confronti del giovane restauratore che la proprietaria dell'albergo dove risiede, con una banale scusa presto smentita dalla cameriera, lo priva della stanza lasciandolo senza alloggio.

Gli viene però in soccorso Lidio, giovane chierichetto malizioso, che gli procura una sistemazione in una fatiscente villa patrizia, apparentemente abitata soltanto da una vecchia costretta a letto dall'infermità. Lì, Stefano casualmente trova un vetusto registratore a filo d'acciaio con incise alcune frasi deliranti. Convinto che si tratti della voce del Legnani, Stefano inizia una personale indagine sulla vita del pittore, ricavando tuttavia soltanto notizie frammentarie: noto come “il pittore delle agonie” per l'abitudine di ritrarre persone in punto di morte, aveva trascorso l'infanzia in Brasile insieme alle due sorelle, con le quali era dedito a strani riti incestuosi che l'avevano reso folle al punto da suicidarsi dandosi fuoco, ed era morto senza che il suo cadavere fosse mai stato ritrovato.

La vera svolta nell'indagine arriva quando, a restauro praticamente ultimato, Stefano (che nel frattempo ha iniziato una relazione con la giovane maestra Francesca, arrivando a condividere con lei il suo alloggio alla villa), recatosi a recuperare i pochi averi di Antonio, entra in possesso di un ingiallito faldone che testimonia come l'amico avesse condotto una circostanziata indagine sulla vita del pittore. Nei documenti si sospetta che le sorelle gli procurassero cadaveri da ritrarre, ed è presente una vecchia fotografia scattata in Brasile che le ritrae: Stefano coglie immediatamente la forte somiglianza tra le due donne e le figure delle erinni che nell'affresco straziano il corpo del martire. L'eccitazione per la notevole scoperta si tramuta però rapidamente in collera quando si rende conto che l'affresco è stato deturpato con l'acido in modo da rimuovere le figure femminili, vanificando così il suo lavoro.

Amareggiato e pressato dalla terrorizzata fidanzata, decide di lasciare il paese la mattina successiva ma, proprio in procinto di partire, incontra Coppola che, per ritorsione contro le autorità del paese che gli hanno ritirato la licenza del taxi, decide di rompere il silenzio su Buono Legnani e le sue sorelle. Lo accompagna così a un casale abbandonato, un tempo residenza del pittore, le cui finestre sono grottescamente decorate da gigantesche bocche sorridenti: la casa dalle finestre che ridono di cui gli aveva parlato Antonio; gli racconta di come le sorelle, che sono ancora vive, procurassero i soggetti da ritrarre, che prima venivano torturati, poi, una volta morti, sepolti nelle adiacenze del casale e, scavando un poco, gli mostra la gran quantità di resti umani nascosta nel terreno.

Sconvolto da quanto appreso, Stefano torna di corsa a prendere Francesca per scappare da quel posto, ma la trova morta, trafitta e appesa per le braccia. Anche Coppola è sparito, così al restauratore non resta che tornare in paese e denunciare tutto ai Carabinieri, i quali tuttavia non trovano riscontri al suo racconto perché qualcuno si è tempestivamente attivato per rimuovere tutte le prove; contemporaneamente, viene ritrovato anche il cadavere di Coppola nel fiume.

Invitato dal sindaco a dormire in paese per poi partire la mattina successiva, Stefano viene nottetempo attirato con l'inganno alla villa diroccata, dove trova le sorelle del Legnani che, in una macabra trasposizione dell'affresco, stanno torturando il moribondo Lidio. Una delle sorelle, che Stefano riconosce essere la paralitica padrona di casa, aprendo un armadio gli mostra un grosso contenitore dove, in una soluzione di formalina, sono conservati i resti del pittore, alla memoria del quale le due folli, con l'aiuto di Lidio, continuano a offrire sacrifici umani.

La mossa è però una trappola che permette alla ignota seconda sorella di ferire gravemente Stefano, che riesce tuttavia a fuggire e, grazie all'oscurità, a nascondersi nell'intricata vegetazione del giardino. L'indomani, sebbene debilitato dall'emorragia, riesce a tornare in paese per chiedere aiuto, ma gli abitanti, barricati dietro le finestre chiuse, fingono di non udire le sue grida disperate, così si dirige alla chiesa in cerca di Don Orsi.

Qui Stefano vive il suo dramma finale: il parroco altri non è che la seconda sorella del Legnani che, insieme alla finta paralitica, incombe minacciosamente su di lui per terminare ciò che aveva iniziato la sera precedente. Mentre in lontananza si odono le sirene della polizia di Ferrara, precedentemente avvisata dal sindaco Solmi, una figura ignota si avvicina alla chiesa.

Galleria d'immagini modifica

Produzione modifica

Genesi modifica

Pupi Avati ha tratto l'idea per la realizzazione del film da un episodio della sua infanzia. Nel comune dove risiedeva fu infatti aperta la tomba di un prete, ma i resti rinvenuti appartenevano misteriosamente a una donna. La zia del futuro regista, per farlo star buono quando era bambino, lo minacciava del possibile arrivo del "prete donna", spauracchio da lei inventato sulla scorta del fatto sopracitato[2].

Una bozza originaria della sceneggiatura è stata sviluppata nei primi anni settanta con il nome La luce dell'ultimo piano.[3]

Cast modifica

Il giovane Lidio è interpretato da Pietro Brambilla, attore di Cremona (nipote di Ugo Tognazzi) pressoché sconosciuto; tuttavia in quello stesso anno interpretò il giovane neofascista protagonista di San Babila ore 20: un delitto inutile.

Riprese modifica

Il film è stato girato in cinque settimane tra aprile e maggio 1976 a Comacchio e Minerbio, in Emilia-Romagna,[4][5] sebbene i titoli di coda riportino i De Paolis In.Ci.R. Studios di Roma per motivi puramente burocratici.[4][5][6]

La casa dalle finestre che ridono era un casolare, non più esistente, situato presso Malalbergo, in provincia di Bologna. La villa in cui alloggiano Stefano e Francesca è Villa Boccaccini, a Porto Garibaldi, in provincia di Ferrara. Parte del film è stata girata a pochi chilometri di distanza, ovvero a Comacchio, dove sono visibili il loggiato della chiesa dei Frati Cappuccini (l'arrivo di Stefano e il passaggio col taxi di Coppola) e altri particolari del centro del paese della piccola cittadina, nella scena in cui Stefano di notte assiste alla caduta dalla finestra di Mazza, quando Stefano va dal droghiere (l'attore bolognese Arrigo Lucchini) per indagare sulla vendita di acido muriatico, quando, nel finale, Stefano sul sidecar di Coppola e ferito, va a chiedere aiuto, ecc. La chiesa è a San Giovanni in Triario, nel comune di Minerbio, mentre la trattoria "Poppi" si trova a San Martino in Soverzano, frazione dello stesso comune[7].

Alle 21:06 del 6 maggio 1976 ci furono le prime scosse di terremoto in Friuli e la troupe si trovava a Comacchio davanti al finto Albergo Italia per girare la scena dell'omicidio di Antonio Mazza che viene spinto dal balcone del palazzo. Cesare Bastelli ricorda che le scosse furono talmente forti che le campane della chiesa a pochi metri di distanza si misero a suonare da sole. La prima scossa è stata registrata in un frammento del film, nonostante si sia verificata nell'attimo di un cambio scena.

Distribuzione modifica

Il film è stato distribuito nei cinema italiani dalla Euro International Film il 16 agosto 1976.[4] Ha incassato complessivamente 722.135.201 lire a livello nazionale.[4]

Accoglienza modifica

Critica modifica

Mereghetti scrive che "l'idea vincente di Avati (...) è trasformare la Bassa padana, assolata, sonnacchiosa e con tanti scheletri nascosti negli armadi, nel teatro ideale per un horror. All'epoca venne notato dalla critica, ma solo in seguito è diventato un cult. Bellissimi il colpo di scena conclusivo (...) e il finale sospeso".[8]

Vincent Malausa su Cahiers du cinéma del gennaio 2024 dedica un articolo al film di Pupi Avati che, si legge, sarà edito in Blu-ray e UHD dall'editore cult francese Le Chat qui fume in occasione della programmazione estiva al Paris International Fantastic Film Festival (PIFFF) nell'estate 2024. Il critico francese scrive che il protagonista Lino Capolicchio si trova immerso in una Twin Peaks ante litteram. Pur non raccogliendo il regista italiano la venerazione che hanno avuto in patria Dario Argento o Lucio Fulci, per quanto riguarda i film horror, ed essendosi dedicato in seguito a uno stile che viene definito di accademismo pesante, La casa delle finestre che ridono viene presentato come il punto culminante della programmazione al PIFFF, in un filone del regista che firmerà poi il suo capolavoro finale nell'ambito del B movie, Zeder.[9]

Riconoscimenti modifica

  • 1976 – Festival du Film Fantastique di Parigi
    • Premio della Critica

Note modifica

  1. ^ La casa dalle finestre che ridono, su mymovies.it. URL consultato il 25 dicembre 2014.
  2. ^ Intervista Archiviato il 4 novembre 2010 in Internet Archive. di Antonello Piroso a Pupi Avati durante il programma televisivo Niente di personale, puntata del 25/10/2010 (22:35)
  3. ^ Curti, p. 160.
  4. ^ a b c d Curti, p. 157.
  5. ^ a b Curti, p. 158.
  6. ^ Curti, p. 162.
  7. ^ Le foto attuali delle location nello speciale sul film, sono visibili sul Davinotti
  8. ^ Il Mereghetti - Dizionario dei film 2006, Baldini Castoldi Dalai editore, pag. 469
  9. ^ (FR) Vincent Malausa, Pupi Avati, parenthèse macabre au PIFFF, in Cahiers di cinéma, n. 805, Paris, Janvier 2024, p. 60.

Bibliografia modifica

Altri progetti modifica

Collegamenti esterni modifica

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