Lingua cinese antica

lingua parlata in CIna

Il cinese antico[1] (cinese semplificato: 上古汉语; cinese tradizionale: 上古漢語; pinyin: Shànggǔ Hànyǔ), detto anche antico cinese o cinese arcaico secondo la definizione del linguista Bernhard Karlgren (in inglese, Old Chinese, abbreviato in OC e contrapposto al Primo Cinese Medio/Early Middle Chinese, EMC), si riferisce al cinese parlato dalla dinastia Shang (età del bronzo cinese, finita nell'XI secolo a.C.), fino a buona parte della prima dinastia Han (dal 206 a.C. al 25 d.C.), poi divenuta "Dinastia Han Orientale", in cui si forma una versione di lingua intermedia tra il cinese antico e il Primo Cinese Medio ricostruita da Weldon Coblin. Ci sono parecchi distinti sottoperiodi all'interno di quel lungo intervallo di tempo. Il termine, in contrapposizione al cinese medio ed al cinese moderno, si usa di solito nella fonologia storica cinese, che tenta di ricostruire il modo in cui il cinese antico era pronunciato.

Cinese antico/Old Chinese
上古漢語
Parlato inAntica Cina
Periodo1250a.C.-25d.C.: Dinastia Shang, Dinastia Zhou, Periodo dei regni combattenti, Dinastia Qin, Dinastia Han prima della caduta e dell'interregno della Dinastia Xin
Locutori
Classificaestinta
Altre informazioni
ScritturaScrittura degli ossi oracolari, scrittura dei sigilli, scrittura del bronzo, scrittura dei cancellieri, scrittura regolare, scrittura semi-corsiva, scrittura dell'erba
Tassonomia
FilogenesiLingue sino-tibetane
 Lingue sinitiche
Codici di classificazione
ISO 639-3och (EN)
Glottologoldc1244 (EN)
I caratteri della scrittura dei sigilli per «persona» e «raccolto» (più tardi «anno»). Una pronuncia ipotizzata per ciascun carattere potrebbe spiegare la rassomiglianza. Si notino le consonanti faringalizzate.

Dal momento che l'antico cinese era la lingua parlata quando furono scritte opere classiche come i Dialoghi di Confucio, il Mencio ed il Daodejing, ed era la lingua ufficiale dell'impero unificato della dinastia Qin e della duratura dinastia Han, questo idioma fu preservato per i successivi due millenni sotto forma di cinese classico, uno stile di cinese scritto che imita la grammatica ed il vocabolario dell'antico cinese come vengono presentati in quelle opere. Durante quell'epoca, il cinese classico era la lingua abitualmente utilizzata per fini ufficiali in Cina, Corea, Giappone e Vietnam. Tuttavia, il cinese classico presenta una grande varietà al suo interno, principalmente a seconda del periodo storico preso in considerazione, ed infatti il cinese classico di scrittori più recenti, come pure quello trovato fuori dalla Cina, sarebbe probabilmente difficile da capire per qualcuno dell'era di Confucio.

Generalità modifica

Origine modifica

La culla delle lingue sinitiche (la prima a essere attestata, grossomodo durante la fine del neolitico cinese, è il cinese antico, parlato dal popolo Huaxia 华夏. Dall'Old Chinese nascono le lingue Bai e il Proto-Min, ricostruito da Jerry Norman) è il proto-sino-tibetano (lingue sinotibetane). Secondo Laurent Sagart, Guillaume Jacques e Yunfan Lai (2019), la famiglia sinotibetana si è formata 7200 anni fa (quindi si è formata intorno al 5200 a.C.; secondo uno studio di William S-Y. Chang del 1998, alcune lingue sine-tibetane si sono separate 6000 anni fa, quindi intorno al 4000 a.C.). Il proto-sino-tibetano è anche la culla di gran parte delle lingue dell'Asia Orientale: le lingue sino-tibetane, secondo il linguista Harald Hammarström, contano circa 500 lingue, di cui la maggior parte minori.

Secondo la classificazione classica di James Alan Matisoff, dal proto-sino-tibetano/Trans-Himalayano si sono separate le lingue sinitiche e il proto-tibeto birmano, una lingua derivata forse dal contatto con altre lingue (e dunque un pidgin). Dal proto-tibeto-birmano/Proto-Tibeto-Burman (di cui esiste una ricostruzione di Paul K. Benedict, raffinata poi da James Matisoff) derivano il proto-tibetico (ricostruito da Nicolas Tournadre, 2013) e il proto-lolo-birmano (Proto-Tibeto-Burmese, anch'essa ricostruita da James Matisoff). Dalla prima deriva il proto-tibetico (ricostruito da Nicolas Tournadre, 2013, e evoluto poi in Old Tibetan, attestato dal VII° secolo d.C.), poi evolutosi in tibetano classico e tibetano moderno nel Settecento, mentre dalla seconda derivano le lingue lolo e le lingue birmane (di esse, fa parte il birmano antico/Old Burmese, attestato dall'IX° secolo e poi evolutosi in Birmano Medio/Middle Burmese e birmano moderno). Nel mentre, molte altre lingue minori sono nate: le lingue sinotibetane secondo Ethnologue contengono 449 lingue, quasi tutte minori. "Burman", rispetto a "Burmese", significherebbe più precisamente "birmanico" e non "il birmano".

I tibeto-birmani, secondo un articolo di Bo Wen, Xuanhua Xie et al. (Analyses of Genetic Structure of Tibeto-Burman Populations Reveals Sex-Biased Admixture in Southern Tibeto-Burmans, scritto nel 2003 e pubblicato nel 2004), derivano da una migrazione verso il sud di alcune tribù dalla Cina nord-occidentale. Queste tribù, le Di-Qiang, entrarono in contatto con le tribù native austroasiatiche e Mon-Khmer. Da questo studio genetico emerge che si sono anche mescolati geneticamente tra loro. La migrazione viene datata "nel periodo delle Primavere e Autunni, circa 2600 anni fa" (il periodo va da 771 a.C. al 476 a.C.). Siccome questo periodo è ricordato per le guerre sanguinarie tra 120 feudi, poi riuniti dalla prima dinastia imperiale, la Dinastia Qin, si può ipotizzare che siano avvenute per le guerre (in futuro, molte altre migrazioni avrebbero avuto come protagonisti dei profughi di guerra). L'avvenimento che dà inizio a questo periodo è la caduta della Dinastia Zhou, che è costretta alla fuga in un piccolo territorio, l'unico che controlla saldamente. La tribù che sconfisse gli Zhou, i Quanrong, era del gruppo Qiang e abitava proprio nella Cina nord-occidentale.

Uno strumento online utilizzabile per consultare le radici in proto-tibeto birmano e altre lingue sino-tibetane è lo STEDT (Sino-Tibetan Etymological Dictionary and Thesaurus), un dizionario curato da James Matisoff dell'Università di Berkley la cui versione finale è stata rilasciata nel 2015. Un paper di Laurent Sagart (2019) indica le correzioni di alcune etimologie sbagliate. Alla creazione dello STEDT hanno partecipato anche Nicolas Tournadre e William Baxter. La ricostruzione in Old Chinese non sembra essere quella più recente del 2014.

Periodizzazione modifica

Le più remote prove conosciute della lingua cinese sono le iscrizioni delle cosiddette ossa oracolari del tardo stato degli Shang, circa 1250 a.C. Nonostante le difficoltà di decifrare queste iscrizioni, non c'è dubbio che la lingua scritta sia una forma primitiva di cinese. Tale lingua è stata chiamata «arcaica» ed il suo uso si estende fino al primissimo periodo Zhou, essendo rinvenuta esclusivamente su iscrizioni di ossi oracolari e vasi di bronzo. Il vocabolario arcaico consiste dalle 3.000 alle 4.000 parole, la maggior parte delle quali sono nomi propri (Baxter e Sagart ricostruiscono la pronuncia di 5000 sinogrammi, di cui alcuni coniati a partire dalla Dinastia Qin). Grammaticalmente la lingua è assai meno caratterizzata da costruzioni sintattiche palesemente analizzabili del cinese classico ordinario, ed ha assai meno particelle grammaticali.

Nel successivo periodo degli Zhou occidentali, cominciò ad aversi una profusione di testi scritti. La lingua, talvolta chiamata «pre-classica», conservava una concisione di stile e grammatica, ma vi erano notevoli espansioni nel vocabolario specializzato e l'uso occasionale di palesi costruzioni sintattiche.

I quattro secoli dal 600 al 200 a.C. sono stati definiti l'«età d'oro della letteratura e della filosofia del cinese classico». Da questo periodo fu tramandato il «cinese classico», che rimase il modello scritto fino al ventesimo secolo. Opere del periodo, come i Dialoghi di Confucio ed il Mencio sono stati considerati dal periodo Han ai giorni nostri come modelli dello stile in prosa del cinese classico. Le iscrizioni sul bronzo di quest'epoca sono numerose, ma sono superate dal numero dei testi trasmessi, scritti con inchiostro su bambù, strisce di legno e, verso la fine del periodo, su seta.

Scrittura modifica

La scrittura cinese si conosce per la prima volta dalle iscrizioni degli ossi oracolari e dei bronzi Shang rinvenuti ad Anyang, benché vi siano prove che la scrittura possa essere stata fatta anche su strisce di bambù o di legno. La scrittura cinese fu inventata probabilmente molto anteriormente al 1200 a.C., sviluppandosi secondo lo stesso modello che caratterizzò i geroglifici egizi e la scrittura cuneiforme mesopotamica.[2] Cioè, la scrittura primitiva progredì attraverso tre stadi di sviluppo: (1) lo zodiografico, (2) il polivalente, (3) il determinativo.

Nello stadio zodiografico, la scrittura sorse per la prima volta attraverso un processo di rappresentazione realistica di cose concrete o di azioni o relazioni facilmente raffigurabili.

Lessico modifica

L'opinione tradizionale è che il cinese sia una lingua analitica senza flessione. Tuttavia, a partire dal lavoro pionieristico di Henri Maspero,[3] vi sono stati studiosi che hanno studiato seriamente la morfologia del cinese antico. Sagart (1999) fornisce un riassunto di questi sforzi, ed una lista di parole basata sul suo lavoro è disponibile nell'Austronesian Basic Vocabulary Database ABVD: Old Chinese.

Grammatica modifica

La grammatica dell'antico cinese non è identica a quella del cinese classico. Molti usi esistenti nel cinese classico sono assenti nel cinese antico. Ad esempio, la parola 其 () può essere usata come pronome di terza persona (egli/ella/esso/essa/essi/esse) nel cinese classico, ma non nel cinese antico, dove funge da aggettivo possessivo di terza persona (suo/sua/suoi/sue/loro).

Nel cinese antico non c'è copula, essendo la copula 是 (shì) del cinese medio e moderno quasi un dimostrativo («questo», che equivale a 這 (zhè) in cinese moderno) nel cinese antico.

Fonologia modifica

Introduzione generica modifica

Dal momento che il cinese è scritto con caratteri logografici, non con lettere, non è facile rintracciare i cambiamenti di suono della lingua nel tempo. I tentativi di ricostruire l'antico cinese hanno quasi sempre proceduto prima dalla ricostruzione del cinese medio con l'uso di dizionari di rima e di tavole di rime delle dinastie Sui, Tang e Song.

Non esistono tavole di rime per il cinese antico, perciò gli studiosi per ricostruire questa lingua hanno dovuto fare affidamento su prove indirette. In particolare, essi fanno notevole affidamento su quei testi in rima anteriori al periodo Qin, principalmente lo Shijing, e sul fatto che i caratteri che condividono la stessa componente fonetica, al momento della loro creazione erano omofoni o quasi omofoni. La ricostruzione dei caratteri dell'antico cinese cominciò quando Gu Yanwu della Dinastia Qing divise i suoni della lingua in dieci gruppi di rima (韵部 yunbu). Altri studiosi Qing seguirono le orme di Gu, affinando la divisione. Il sinologo svedese Bernhard Karlgren fu il primo a ricostruire l'antico cinese con l'alfabeto latino (non con l'alfabeto fonetico internazionale).

E. G. Pulleybank ha costruito un quadro ragionevolmente completo delle strutture fonologiche e morfologiche del cinese antico. I valori fonetici ricostruiti per le finali dell'antico cinese si basano sul complesso di distinzioni mediante i gruppi di rima dello Shi Jing, e perciò riflettono una datazione intorno al VI secolo a.C. La ricostruzione delle iniziali, per contro, si basa sull'estrapolazione dalle consonanti ricostruite per le finali abbinata all'ipotesi di Pulleybank che la serie di ventidue segni noti come «tronchi celesti» e «rami terrestri» (ganzhi) rappresenti un repertorio esaustivo e non ripetitivo delle consonanti nella lingua. Il valore fonetico della serie dei ganzhi può essere fatto risalire almeno alle iscrizioni Shang, ca. 1250 a.C.

Vi è un grande dibattito sulla fonologia dell'antico cinese. Oggi si concorda che l'antico cinese avesse gruppi consonantici come *kl- e gl-, che non ricorrono in nessun dialetto cinese moderno. Tuttavia, sulle seguenti questioni la discussione resta ancora aperta:

  • che l'antico cinese avesse consonanti faringalizzate o altre caratteristiche rare;
  • che l'antico cinese non fosse monosillabico;
  • che il cinese antico primitivo non fosse una lingua tonale. I toni del cinese medio si evolsero da consonanti del cinese antico che da allora in avanti cambiarono o scomparvero.
Consonanti
Occlusive ovvero
affricate
Nasale Laterale Fricative/
approssimanti
sorde aspirate sonore sorde sonore sorde sonore sorde/i sonore/i
labiale *p *pʰ *b *m̥ *m
dentale *t *tʰ *d *n̥ *n *l̥ *l (*r̥) *r
sibilante *ts *tsʰ *dz *s (*z)
palatale (*j̥) (*j)
velare *k *kʰ *ŋ̊
labializzati *kʷ *kʷʰ *ɡʷ *ŋ̊ʷ *ŋʷ
glottidali *h ()
glottidali labializzati *ʔʷ *hʷ (*w)
Vocali
*i *u
*e *a *o

Pronuncia in Old Chinese secondo la ricostruzione Baxter-Sagart (2014) modifica

Suono (=IPA) Spiegazione
a È una "a" di albero. I due dittonghi sono aj, aw (come in aitante e auriga).
e È una "e" di elmetto, vocale chiusa. I due dittonghi sono ej, ew (come in sei, eunuco).
ə (< ɨ) È una vocale neutra schwa, cioè una vocale che si può ottenere declamando le consonanti dell'alfabeto ("a, bi, ci, di, e, effe, gi...") senza pronunciare il nome per intero delle consonanti ("a, b, c, d, e, f, g..."). Il dittongo è әj. Il simbolo della schwa sostituisce ɨ nella ricostruzione Baxter del 1992. Edwin Pulleyblank nella sua ricostruzione la indicava come ɯ.
i È una "i" di piccolo, vocale chiusa. I dittonghi sono ij, iw.
o È una "o" di poco, vocale arrotondata/procheila chiusa. Una vocale si dice arrotondata se si pronuncia con le labbra arrotondate in un cerchiolino. Il dittongo è oj.
u È una "u" di ultimo, vocale arrotondata chiusa. Il dittongo è uj.
A È una vocale che non si riesce a ricostruire. Si vede sporadicamente.
ʷ È un diacritico scritto come apice che indica la labializzazione (e.g. ) e che si applica a gran parte delle consonanti. Una consonante si dice labializzata se si pronuncia con le labbra già arrotondate in un cerchiolino. Molte consonanti si possono labializzare in Old Chinese.
ˤ È un diacritico scritto come apice che indica la faringalizzazione, presente anche in arabo e in ebraico biblico. Una consonante si dice faringalizzata se si pronuncia con la radice della lingua già tenuta vicina alla parete della faringe/gola, tale per cui il suono si sente strozzato, chiuso, cupo, enfatico e la vocale stessa si sente pure cupa e strozzata. Tutte le consonanti si possono faringalizzare in Old Chinese.
b È una "b" di balena, consonante sonora. Una consonante si dice sonora se il palmo della mano intorno alla gola sente le vibrazioni delle corde vocali durante la pronuncia. Si paragonino "ffff" e "ssss" a "mmmm" e "vvvv". Si ricorda che tutte le consonanti o quasi si possono labializzare e faringalizzare o entrambi (e.g. bˤ, bʷ, bʷˤ). Con entrambi i diacritici, quello di faringalizzazione va in fondo.
p È una "p" di palla, consonante sorda.
È una "p" di palla, sorda e con aspirazione sorda, cioè accompagnata da uno sbuffo d'aria. Il diacritico di labializzazione e faringalizzazione si scrive dopo la "h" (e.g. pʰʷ, pʰˤ, pʰʷˤ): l'aspirazione cioè si segnala sempre per prima.
d È una "d" di dente, sonora.
t È una "t" di tavolo, sorda.
È una "t" di tavolo, sorda e con aspirazione.
g È una "g" di gatto, sonora.
k È una "c" di cane, sorda.
È una "c" di cane, sorda e con aspirazione.
dz È una "z" di zero sonorizzata, cioè pronunciata con una vibrazione annessa delle corde vocali (come avviene nel Norditalia).
ts È una "z" di zero, sorda.
tsʰ È una "z" di zero, sorda e con aspirazione.
q È una "c" di cane sorda e uvulare, cioè pronunciata con la radice della lingua contro il velo palatino/la parte morbida del palato/la zona uvulare, dove cioè si trova un pendaglio detto "ugola". Il suono si trova pure in arabo.
È una "c" di cane uvulare, sorda e con aspirazione.
G È una "g" di gatto sonora e uvulare.
l È una "l" di leva, sonora.
È una "l" di leva, sorda (cioè si tolgono le vibrazioni delle corde vocali dal suono, si desonorizza: resta solo uno sbuffo d'aria con la lingua in posizione di /l/). Il suono si trova pure in islandese.
m È una "m" di mano, sonora.
È una "m" di mano, sorda (cioè si desonorizza: esce solo l'aria dal naso e, quando si pronuncia la vocale, si sente una leggera /m/ di rilascio).
n È una "n" di nave, sonora.
È una "n" di nave, sorda (cioè si desonorizza: esce solo l'aria dal naso e, quando si pronuncia la vocale, si sente una lettera /n/ di rilascio).
ŋ È una "n" di panca, sonora e pronunciata con il dorso della lingua sulla zona tondeggiante del palato.
ŋ̊ È una "n" di panca, sorda (cioè si desonorizza: esce solo l'aria dal naso e, quando si pronuncia la vocale, si sente una lettera /ŋ/ di rilascio).
s È una "s" di senza, sorda.
r È una "r" di parco, consonante sonora polivibrante. Si riduce in monovibrante (come in arare) se prevocalica (e.g. se è al secondo membro in un cluster o se infisso).
È una "r" di parco, consonante sorda polivibrante. Si riduce in monovibrante se prevocalica (e.g. se è al secondo membro in un cluster).
h È un'aspirazione sorda come nell'inglese have.
ʔ È uno stacco glottale/colpo di glottide, cioè una consonante che si può immaginare come un lieve colpetto di tosse pronunciato con la glottide, una valvola in fondo alla gola..
C. È una consonante non identificata che è al primo membro di un cluster consonantico a due membri. Il punto in basso indica che il cluster ha i due membri ben fusi e attaccati. In altri punti del libro, semplicemente per essere riassuntivo, indica una qualunque consonante bilabiale, velare, sibilante, affricata e uvulare con "P, K, S, Ts, Q".
N. È una consonante nasale non identificata che forma un cluster ben attaccato.
Cə. È una consonante non identificata che è al primo membro di un cluster consonantico, ma è un cluster blandamente attaccato siccome in mezzo si nota una vocale neutra schwa.
- Il trattino/hyphen a inizio e fine sillaba separa i morfemi per le funzioni grammaticali in Old Chinese, siccome esso aveva della morfologia grammaticale e derivazionale poi sparita.
(cluster) I cluster che si possono reperire in Old Chinese (e che si possono labializzare e faringalizzare o entrambi) a inizio parola sono: ŋr, kr, kʰr, gr, pr, pʰr, br, tsʰr, dzr, dr, tr, tʰr, mr, lr, l̥r, n̥r, Gr, qr, qʰr, st, sr̥, tqʰ, tG, tŋ̊, rl, tl̥. Possono anche avere una consonante sconosciuta. Da questi cluster possibili sono stati esclusi quelli che si formano per prefissi morfologici e per consonante blandamente attaccata.
È uno stacco glottale a fine sillaba. Riguardo alla tonogenesi del cinese, la caduta di questo stacco glottale ha dato origine al tono crescente in Primo Cinese Medio. Questo fenomeno è avvenuto pure nel vietnamita antico. L'Old Chinese molto probabilmente non era una lingua tonale. Lo stacco glottale si poteva trovare anche dopo una coda formata non da uno stop senza rilascio udibile di suono (vedi avanti): ŋʔ, nʔ, mʔ, rʔ.
-m È una /m/ che si trova come codina nasale a fine sillaba, preservata in Primo Cinese Medio, coreano, vietnamita, pronuncia go-on giapponese arcaica e in svariati dialetti conservativi come il cantonese.
-n È una /n/ che si trova come codina nasale a fine sillaba.
È una /ŋ/ che si trova come codina nasale a fine sillaba.
-p È uno stop senza rilascio udibile di suono. Questo particolare stop in IPA si trascrive /p̚/ e si rende immaginando di interrompere una vocale serrando le labbra come quando si pronuncia /p/, ma senza poi fare e pronunciare nient'altro. Gli stop sono ritenuti in cantonese, Hakka, coreano, vietnamita e in parte in Hokkien (alcuni sono ritenuti, altri si leniscono in uno stacco glottale). In giapponese sono invece adattati e mutati in sillabe. Gli stop esistono pure in thailandese.
-t È uno stop senza rilascio udibile di suono trascritto come /t̚/, tale per cui la vocale si interrompe perché la lingua si posiziona come una /t/. In un varietà antica di cinese settentrionale si era lenita in una /ɾ/ monovibrante sonora che viene conservata in coreano (la pronuncia è identica se intervocalica, sennò diventa /l/ o muta in /n/).
-k È uno stop senza rilascio udibile di suono trascritto come /k̚/, tale per cui la vocale si interrompe perché la lingua si posiziona come una /k/.
-s È una /s/ a fine sillaba, che nel Cinese degli Han Orientali si è lenita in /h/, ricordando vagamente una debuccalizzazione (e.g. latino "septem", greco antico "hepta"), per poi cadere. La sua caduta ha dato origine al tono decrescente in Primo Cinese Medio. Le sillabe con gli stop invece sono diventate parte della categoria detta "tono entrante", che è un modo per dire che la vocale si intona sfuggita ed è interrotta dallo stop (pure quando si lenisce in un colpo di glottide nei dialetti semi-conservativi o non conservativi). Tutte le altre sillabe hanno sviluppato un'intonazione pianeggiante. Le combinazioni possibili a fine sillaba sono ŋs, ns, ms, ps, ts, ks, rs, ʔs. Baxter-Sagart le trascrivono con un trattino in mezzo. Comunque, la -s poteva anche essere un suffisso (e dunque un morfema derivazionale).

Le altre ricostruzioni chiaramente usano in parte delle convenzioni diverse, ma quella di Baxter-Sagart è quella con più diacritici e più vicina all'IPA per ottenere la massima precisione. Per esempio, nelle altre ricostruzioni le aspirazioni sono indicate con la "h" (e.g. p > ph) tranne in quella di Karlgren, in cui si usa l'apostrofo come in Wade-Giles (p > p'). Lo stesso Karlgren indica gli stop senza rilascio udibile di suono come -b, -d, -g. In più, le altre possono presentare suoni extra e viceversa.

Prestiti linguistici e influenze non cinesi modifica

Il cinese antico è stato classificato come parte di una grande famiglia di lingue sino-tibetane. L'ipotesi si basa quasi interamente sul confronto fonetico tra parole del cinese medio o del cinese antico, e parole provenienti da una o più lingue tibeto-birmane, solitamente il tibetano scritto e il birmano scritto classici.[4] Un esempio è la parola del cinese antico per «io», pronunciata ŋa, in confronto al tibetano antico ṅa e al birmano antico ṅā. L'ipotesi sino-tibetana postula non solo che i parlanti cinesi e tibeto-birmani fossero un tempo geograficamente prossimi, ma anche una fonte ultima comune in un'epoca molto anteriore. Il ripudio dell'ipotesi sino-tibetana, d'altro canto, significa che tutte le parole apparentemente affini debbono essere spiegate come prestiti linguistici, alcuni forse successivi come il periodo del cinese antico.

Jerry Norman e Mei Tsu-lin hanno identificato uno strato di remoti prestiti linguistici austroasiatici nell'antico cinese, probabilmente un risultato di contatti tra lingue avvenuti nella Cina meridionale.[5] Probabili fonti di prestiti linguistici austroasiatici furono il popolo noto agli antichi Cinesi come Yue, e forse perfino gli Yi.[6]

Significato Cinese antico

(Pulleyblank)

Tibetano antico

(Old Tibetan)

Birmano antico

(Old Burmese)

io (吾) *ŋa ṅa ṅā
tu (汝) *njaʔ naṅ
uno (無) *mja ma ma
due (二) *njijs gñis nhac < *nhik
tre (三) *sum gsum sumḥ
cinque (五) *ŋaʔ lṅa ṅāḥ
sei (六) *C-rjuk[7] drug khrok < *khruk
sole (日) *njit ñi-ma niy
nome (名) *mjeŋ myiṅ < *myeŋ maññ < *miŋ
orecchio (耳) *njəʔ rna nāḥ
articolazione (節) *tsik tshigs chac < *chik
pesce (魚) *ŋja ña < *ṅʲa ṅāḥ
amaro (苦) *kʰaʔ kha khāḥ
uccidere (殺) *srjat sad sat
veleno (毒) *duk dug tok < *tuk

Ricostruzione del cinese antico modifica

L'Old Chinese e la ricostruzione Baxter-Sagart (2014) modifica

Secondo Baxter-Sagart, il cinese antico era tutto l'insieme di varietà di lingua cinese parlate in un determinato periodo storico. Nella sua ricostruzione, tuttavia, spiega che il cinese antico si ferma alla Dinastia Qin (nella ricostruzione comunque illustra la pronuncia di caratteri attestati a partire dalla Dinastia Qin, che ha riunificato la Cina nel 221 a.C. e che ha avuto una breve durata). Pertanto, esclude dall'Old Chinese la prima fase della Dinastia Han, finita con la presa di potere della breve Dinastia Xin, crollata nel 23 a.C. (la lingua cinese parlata nel periodo successivo viene detta "Cinese degli Han Orientali" ed è intermedia tra il cinese antico e il Primo Cinese Medio. Su che tipo di varietà si parlasse sotto la Dinastia Jin, appena precedente al Primo Cinese Medio, è ancora in atto una discussione). L'Old Chinese dunque occupa tutto il periodo delle prime attestazioni del cinese, di cui esistevano più varietà di cui non si è conservato nulla. Le prime attestazioni scritte, come già accennato, consistono in caratteri incisi sulle ossa per effettuare le piromanzie (1250 a.C. circa, come spiega lo stesso Baxter) sotto la Dinastia Shang, che è succeduta alla leggendaria Dinastia Xia, che grossomodo si colloca alla fine del neolitico cinese. La ricostruzione Baxter, a cui si assommano alcuni paper che approfondiscono degli argomenti, si spingono fino alle prime tracce di scrittura (1250 a.C.) e a una spiegazione che cerca di ricostruire la nascita della faringalizzazione nelle consonanti di tipo A, cioè quelle dotate di un certo tipo di enfasi interpretato in più modi dagli studiosi (le sillabe non enfatiche sono dette "tipo B"). Siccome non sappiamo nulla delle varietà di cinese del periodo del cinese antico, Baxter e Sagart si limitano a ricostruire tutte le informazioni possibili su ogni singola sillaba attestata (in totale ne ricostruiscono circa 5000; la versione più aggiornata risale al settembre 2014). Baxter-Sagart poi introducono la distinzione tra Old Chinese e Proto-Cinese/Proto-Sinitico: quest'ultima (a volte il nome subisce un overlap con il periodo del cinese antico, il che può creare confusione) viene definita dagli autori come la lingua unificata da cui discendono tutte le varietà antiche (la prima varietà nota, che poi si è divisa in una intera famiglia di dialetti meridionali conservativi, è il Proto-Min, sviluppatosi durante la prima parte della Dinastia Han, dopo la conquista del regno di Nanyue e Baiyue). Il Proto-Sinitico è di difficile datazione, siccome il confine con il cinese antico è poco chiaro. Se ipoteticamente si fa risalire a prima delle prime tracce di scrittura, è anteriore al 1250 a.C. Quanto al Proto-Sinitico, discende direttamente dal Proto-Sino-Tibetano.

Quanto alla trascrizione da loro usata, i suoni sono già stati presentati e, in generale, fa un largo uso della notazione IPA per ottenere la massima precisione, a costo di rendere difficoltosa la scrittura. La ricostruzione Baxter-Sagart, frutto della collaborazione di entrambi gli autori (pubblicavano paper scritti a due mani già dal 1998), per la prima volta formula ipotesi da essere testate contro i dati, tale per cui per la prima volta va oltre i dati pervenuti. Se i dati a disposizione o scoperti sono in accordo con le ipotesi, non hanno la pretesa di avere ragione, ma spiegano che la direzione proposta è quella giusta. Per questo e altri motivi, la loro ricostruzione si distanzia tra molte altre del passato (inclusa una stessa vecchia ricostruzione di Baxter 1992, in cui non ha proposto la faringalizzazione). Per esempio, Karlgren e Li Fang-kwei nel ricostruire il cinese antico non hanno postulato la tonogenesi/nascita del sistema tonale dalla caduta di suffissi; in più, Karlgren non ha usato i dialetti (comunque non avrebbe potuto fruire del Proto-Min, ricostruito da Jerry Norman) e si è limitato a studiare i pattern di rima nelle opere antiche come lo Shijing, i primi rimari (che tuttavia risalgono al Primo Cinese Medio) e le prime fonti Qing. Alcuni studiosi Qing hanno compiuto studi sul Primo Cinese Medio e Old Chinese, ma non sono stati aggiornati e osservati con spirito critico da Karlgren, che non ha nemmeno fatto uso delle lingue sino-xeniche (giapponese, coreano, vietnamita. Alcuni vocaboli in queste lingue, anche se in misura minore, derivano pure dall'Old Chinese). In più, nella sua ricostruzione, Karlgren ha ricostruito un gran numero di vocali, oggi ridotte a sei, e non ha tenuto in considerazione l'accomodamento in cinese di prestiti antichi dall'Old Chinese a lingue come le Hmong Mien e le Kra-Dai (più avanti, il cinese stesso si sarebbe riempito di prestiti buddisti accomodati dal sanscrito). Baxter-Sagart partono dall'approccio tradizionale per poi spingersi oltre. La tonogenesi a partire dalla caduta di suffissi morfologici derivazionali, presenti anche in Proto-Sino-Tibetano, viene formulata invece da Pulleyblank a partire dalla medesima osservazione svolta da Haudricourt in vietnamita. Baxter-Sagart la riprendono in pieno e si mettono anche a parlare del sistema di prefissi e suffissi (i primi autori hanno prestato poca attenzione alla morfologia del cinese antico. Di contro, esistono già numerose grammatiche che illustrano come funziona la sintassi del cinese classico/Wenyan). Infine, un'altra grande differenza con il metodo tradizionale è l'utilizzo cauto delle informazioni nello Shuowen Jiezi di Xu Shen: per quanto parli di pronuncia dei singoli caratteri, l'autore è di epoca Han (il libro è stato scritto intorno al 100 d.C.) ed è vissuto durante il periodo in cui ormai si parlava il Cinese degli Han Orientali (in più, siccome Xu Shen non ha consultato le ossa oracolari siccome non erano ancora tornate alla luce dal sottosuolo, commette degli errori nell'interpretazione dei caratteri). Il presupposto di partenza è che il cinese antico era atonale. Un lavoro di comparazione con il Proto-Sino-Tibetano è stato impossibile siccome la ricerca intorno a questa macro-proto-lingua è ancora agli inizi (un primo importante passo in avanti viene svolto ricostruendo il cinese antico, parlando del Proto-Sinitico e ricostruendo il Proto-Tibeto-Birmano. Di quest'ultimo esiste una ricostruzione di Matisoff, 2003. La derivazione del sinitico e del Proto-Tibeto-Birmano dal Proto-Sino-Tibetano viene postulata nella suddivisione classica di Matisoff, 1978).

In sintesi, Baxter-Sagart partono da un approccio tradizionale per poi formulare ipotesi da testare contro i dati/future scoperte (approccio non più solo induttivo/empirico, ma anche deduttivo), si occupano di morfologia, usano i dialetti Min e i prestiti cinesi in altre lingue, sposano il collegamento tra caduta di morfologia e tonogenesi, guardano con spirito critico alle fonti Qing e allo Shuowen Jiezi e sfruttano i più recenti e grandi ritrovamenti archeologici, come quelli effettuati a Guodian (郭店): sono pieni di parole e di forme di scrittura scritte su listelli di bambù e seta e precedenti alla Dinastia Qin, in cui è avvenuta una prima standardizzazione dei caratteri. Queste scoperte hanno arricchito il repertorio di caratteri sui gusci di tartaruga, scapole di bue e sui bronzi Shang (vasi, bacinelle, pettini, specchi, bracieri...) e hanno permesso di ritrovare scritture non brevi e formulaiche e che trattavano argomenti disparati. Karlgren non ha potuto fruire di queste scoperte. I caratteri attestati a partire dalla Dinastia Qin vengono trattati e ricostruiti, ma se sono coniati ex-novo rispecchiano la pronuncia del periodo Qin. Nelle fonti utili a ricostruire il cinese antico, ci si spinge fino al Qieyun di Lu Fayan (601; la prima versione sopravvissuta è una riedizione di Wang Renxu del 706, scoperta nel 1940) e al Guangyun, un'espansione del Qieyun risalente al 1008. Tutte le altre tavole di rima rappresentano il Tardo Cinese Medio, largamente irrilevante nella ricostruzione del cinese antico. La pronuncia nel Qieyun è comunque confezionata ad hoc e artificiale: è un compromesso tra le varietà del nord e del sud per poter comporre e declamare le poesie e i classici in modo "corretto", seguendo le rime giuste e secondo elementi di una tradizione stabilita (che poteva anche essere scorretta). nel cinese antico non è presente una tradizione costruita, ma ogni scrittore (e.g. i poeti) usata il suo dialetto nel comporre le rime, coniugando varietà e naturalezza, da cui si estraggono dati linguistici. La ricostruzione, secondo gli autori, non è quella definitiva nel caso in cui non solo emergono nuovi dati sull'Old Chinese a partire in primis dagli scavi archeologici, ma anche e soprattutto nel caso in cui i nuovi dati invalidano le ipotesi e le ricostruzioni precedenti. La ricostruzione del cinese antico non sarà comunque mai completa: molti dati sulle varietà di questo periodo sono andate perse e nemmeno un gran numero di ritrovamenti le potrà riportare alla luce. La scelta di pubblicare un dizionario di 5000 caratteri circa con le ricostruzioni in Old Chinese e Primo Cinese Medio deriva dall'esigenza di rendere disponibili agli studiosi la ricostruzione per applicarvi modifiche man mano che le scoperte procedono. In generale, mentre il Primo Cinese Medio non mostra grosse problematicità nella ricostruzione (sulle consonanti c'è un vasto accordo; sulle vocali, c'è un accordo minore), il cinese antico è più problematico. Le prime fonti che trattano la pronuncia dei caratteri con un alfabeto sono tarde: il kana giapponese è stato inventato intorno all'800 d.C., l'hangeul è stato promulgato nell'ottobre 1446, le prime opere di europei che parlano di lingua cinese trattano il guanhua (tranne un libriccino del 1620 che parla della lingua Chio Chiu, forse il dialetto Zhangzhou di famiglia Minnan parlato dai cinesi residenti a Manila, i Sangley) e sono scritte dai missionari gesuiti (e.g. un dizionario di Michele Ruggieri e Matteo Ricci del 1588, peraltro riscoperto negli Anni '30 e pubblicato decenni dopo) e il primo dizionario che tratta in modo preciso gli Han tu' con l'alfabeto latino introdotto proprio dai missionari gesuiti (cioè i sinogrammi nel Chu' Nom vietnamita) è di Pigneau e risale al 1773 (fu pubblicata postuma nel 1838. Il Dizionario di Alexander de Rhodes del 1651 non inserisce il Chu' Nom). Tutte le fonti dal Tardo Cinese Medio in poi (eccetto il Guangyun) e i dati dalle lingue sino-xeniche sono dunque poco rilevanti per il cinese antico, ma sono utili per ricostruire il Primo Cinese Medio insieme ai dialetti cinesi conservativi (e.g. Wu, Yue/cantonese, Minnan).

La ricostruzione classica delle rime (cioè il cuore della sillaba, [vocale+finale]) è iniziata durante la Dinastia Qing per opera degli studiosi Gu Yanwu (1613-1682), Jiang Yong (1681-1762), Duan Yucai (1735-1815), Wang Niansun (1744-1832) e Jiang Yougao (?-1851): essi hanno iniziato a individuare le rime nelle opere risalenti al cinese antico e le hanno interpretate in base al Guangyun (Primo Cinese Medio). Sono state trovate molte corrispondenze, ma alcune irregolarità sono rimaste inspiegate: alcune sillabe in rima non sono più in rima, mentre alcune sillabe in rima per delle convergenze/merger diventano in rima. Il più grande studio di questo tipo è quello di Wang Li (1937), che identifica trenta gruppi di rime. Questo metodo è stato usato da Karlgren, Li Fang-kwei e Pulleyblank. Dopodiché, il ritrovamento e analisi di eccezioni permette di formulare ipotesi sulle rime perse. Più esempi ci sono, più dati si hanno. Quanto alle rime recuperare con le corrispondenze, queste ricostruzioni non permettono di capire se al loro interno erano presenti ulteriori distinzioni poi perse per dei merger ma tale per cui la corrispondenza si è conservata. In generale, le rime recuperate nei testi antichi sono poche, contrariamente ai numerosi dati a partire dalle poesie Tang e Song, usate per il Primo Cinese Medio e Tardo Cinese Medio. In più, non danno informazioni sulla consonante o cluster consonantico iniziale.

Le consonanti iniziali si possono recuperare con la chiave di lettura dei sinogrammi (il primo a individuare questo componente è Xu Shen nello Shuowen Jiezi. Alcune suddivisioni radicale-chiave sono scorrette perché la grafia standardizzata del periodo Qin e Han, esistite mille anni dopo i primi caratteri attestati, l'ha tratto in inganno e non ha potuto consultare le ossa oracolari). Quest'ultima suggerisce la pronuncia del carattere, oltre al suo senso insieme al radicale in svariati casi. Quindi, tra un carattere e quest'ultimo usato come chiave di lettura in più caratteri si può tracciare un filo continuo. La scrittura utilizzata deve fare anche affidamento alla versione sulle ossa oracolari e ai bronzi Shang. Per esempio, rong2 容 deriva dalla variante arcaica 㝐, la cui chiave di lettura 公 gong1 offre un'informazione puntuale sulla pronuncia (in questo caso, del nucleo di sillaba). Queste mutazioni derivano dalla confusione e errori degli scribi o dal fatto che il carattere viene modificato per essere adattato alla fonologia del periodo Qin e Han. Molte altre variazioni, registrate per esempio nel Dizionario Kangxi, sono varianti popolari. A queste informazioni prese dalle chiavi di lettura si aggiungono quelle che dà il Primo Cinese Medio, che comunque attesta la pronuncia di una fase più tarda (infatti contiene le consonanti retroflesse e la *ny- palatale, assenti in Old Chinese). In dei casi, si assiste a una divisione/split dall'Old Chinese, tale per cui un carattere come chiave di lettura in Primo Cinese Medio poteva essere pronunciato con due o più iniziali diverse. In altri casi, si assiste a un merger attestato in Primo Cinese Medio, tale per cui una consonante deriva dalla convergenza di due diverse. I dialetti Min e l'Hakka ritengono delle distinzioni perse per i merger in Primo Cinese Medio, insieme ai dialetti Waxiang e Xianghua, parlati nell'Hunan. Quanto ai prestiti di Old Chinese ripescati dalle altre lingue, sono prese in esame le lingue del gruppo "Vietic", cioè il vietnamita, il Muong e altre lingue parlate in Vietnam e Laos. La loro proto-lingua si chiama "Proto-Viet-Muong", a sua volta parte della famiglia delle lingue Mon-Khmer, un gruppo di lingue austroasiatiche da cui deriva il cambogiano. I primi contatti con i vietnamiti, quando ancora la lingua vietnamita non esisteva, sono avvenuti proprio con l'Appartenenza al Nord (cioè il primo Bac thuoc, l'invasione del regno di Nanyue da parte della Cina Han). Da questi prestiti di Old Chinese in vietnamita (molti altri risalgono al Primo Cinese Medio), si possono ricavare informazioni sulla modulazione tonale antica, da cui a loro volta si ripescano informazioni sulla tonogenesi dall'Old Chinese. Anche le lingue Hmong-Mien (o Miao-Yao), da cui deriva la lingua dell'etnia Miao, ha ricevuto prestiti dall'Old Chinese con caratteristiche talvolta più arcaiche e conservative rispetto a quelli delle lingue vietiche e del Proto-Min. Di essa è stata ricostruita la proto-lingua, il Proto-Hmong-Mien (Ratliff, 2010). Ratliff ha ricostruito pure il Proto-Hmongico e il Proto-Mienico. Anche le lingue Kra-Dai, a cui appartiene il thailandese, hanno ricevuto prestiti dall'Old Chinese: i Thai avevano contatti con i cinesi fin dalla nascita di Nanyue. Anche della lingue Kra-Dai esistono le ricostruzioni, e.g. Proto-Kra (Ostapirat, 2000) e Proto-Tai (Pittayaporn, 2009). Alcuni paragoni da Baxter-Sagart sono effettuati con la lingua Lakkia/Lakkja, parlata in Cina dagli Yao. Il proto-tibeto-birmano/PTB (ricostruito da Benedict e rifinito da Matisoff, 2003) non viene usato per testare la ricostruzione e le ipotesi formulate in Old Chinese, anche se si può usare per comparazioni in modo da trovare parallelismi: Baxter-Sagart non li eseguono siccome il PTB è una lingua separatasi dal proto-sino-tibetano: non è direttamente imparentata con il proto-sinitico, ma è la proto-lingua da cui discende un'intera lingua di famiglie, la famiglia sino-tibetana. Non vi derivano le lingue sinitiche e ha le sue peculiarità. In più, ammette che la filogenesi delle lingue sino-tibetane ha una classificazione classica ma è ancora in discussione. Di contro, riconosce l'utilità dei progressi nel PTB e nel PST.

In conclusione, esistono già delle fonti risalenti all'Old Chinese che danno informazioni di pronuncia: oltre allo Shuowen Jiezi, esiste il Fangyan, in cui sono elencate le pronunce locali di un carattere, e lo Shi Ming di Liu Xi (200 d.C. circa). Oltre a queste opere, nelle glosse e commenti di altre opere si possono trovare informazioni per esempio sulla lettura corretta di un carattere. Molti dei commenti scoperti finora risalgono al periodo del Cinese degli Han Orientali.

Tutto quello che è stato detto finora riguarda nello specifico la ricostruzione della lingua e della morfologia per ricostruire l'origine etimologica di una parola, che sono due filologie di base diverse da quella dell'origine grafica dei caratteri (e.g. ricostruzione filologica dei sinogrammi più diffusi): per la precisione, se si studia tutta l'evoluzione dei caratteri dalle ossa oracolari alla semplificazione della metà Novecento, si sta facendo un'operazione non di filologia della lingua, ma di filologia dei caratteri che affonda nella paleografia e si lega con l'archeologia e la conoscenza culturale della Cina di circa 2000/3000 anni fa, siccome le prime ossa oracolari sono del 1250 a.C. e i caratteri hanno iniziato a moltiplicarsi durante la prima fase imperiale (Dinastia Qin, Dinastia Han, Dinastia Xin). La paleografia si contrappone all'etimologia folk dei caratteri e dalla mnemotecnica visto che l'interpretazione si basa sullo studio serio e l'osservazione dei caratteri antichi a partire dalla prima attestazione (ossa oracolari, i bronzi Shang, Dinastia Qin e, se sono dialettali o colloquiali, per esempio dal Dizionario Kangxi): le altre due, di contro, si basato su interpretazioni superficiali della loro grafia, solitamente quella semplificata o tradizionale. Tuttavia, queste due diverse analisi (ricostruzione della proto-lingua VS paleografia dei sinogrammi) hanno punti di contatto siccome dalle chiavi di lettura si possono rintracciare indizi sulla pronuncia utilizzati per la ricostruzione, oltre che una derivazione etimologica da un concetto/carattere già coniato cristallizzata nella grafia (più è arcaica, più si allontana il rischio di imbattersi in stilizzazioni o errori che rendono il carattere fuorviante). Si offre un esempio illuminante: ll sinogramma ban4 半 indica il concetto di metà/divisione, cioè una testa di bue 牛 inquadrata frontalmente con sopra, forse un oggetto tagliato in due, per indicare una testa di bue tagliata in due. Il concetto astratto di divisione ritorna nel carattere pan4 判 con accanto il coltello a lato come radicale: il carattere significa "dividere" ( e "discernere" astraendo il concetto, e.g. quando si giudica qualcuno o qualcosa, 判断对错). Ebbene, la parola "banchina/cumulo di terra divisorio tra campi" in Old Chinese si ricostruisce come *m-pʰˤan-s, mentre "dividere/discernere" si pronuncia *pʰˁan-s: dalla seconda, deriva etimologicamente la prima, a cui si aggiunge il prefisso *m- che trasforma un verbo in un nome strumentale. Questo spiega sia un aspetto di morfologia (poi accertata con ulteriori comparazioni e ricerche) che la derivazione della prima parola (deriva cioè dalla seconda, 判, che è stata prefissata; poi la pronuncia e grammatica cambiano dall'Old Chinese al Primo Cinese Medio, ma è un altro discorso fortemente collegato alla filologia della lingua). Ma in più spiega anche come mai il carattere della seconda si scrive 畔: è il radicale del campo coltivato o risaia inquadrato dall'alto con accanto il concetto di dividere, che è sia chiave di lettura indicante la pronuncia sia un'unità di significato che si può pensare come 半 o, se già attestato, come la contrazione di 判. Viceversa, conoscendo la morfologia e la chiave di lettura 半 come pronuncia e significato, si può ricostruire la pronuncia di 畔 semplicemente conoscendo il carattere. La chiave di lettura infatti dà infatti un indizio. Conoscendo in modo approfondito la scrittura e la proto-lingua, un paleografo e/o esperto di filologia sinitica può illustrare il carattere, per quanto sia già abbastanza intuitivo anche per un comune osservatore che compie un'operazione di etimologia folk. Semplicemente, accanto all'osservazione delle grafie, si affianca un dizionario di Old Chinese. Di Old Chinese esistono sia libri che parlano della sua ricostruzione che dizionari etimologici, come quello di Alex Schuessler (2007), che in più contiene molte ricostruzioni in Old Chinese (ma la sua ricostruzione è diversa da quella di Baxter-Sagart 2014. Schuessler rintraccia la parola in altre lingue sino-tibetane, operazione possibile pure con il sito online STEDT, e rintraccia anche l'origine di una parola in Old Chinese a partire da un prestito di un'altra famiglia di lingue nei paraggi di quella sinotibetana). Quanto alla precedenza della lingua sulla scrittura o viceversa, semplicemente i caratteri sono attestati dal 1250 a.C. e sono stati incisi per le piromanzie, ma di fatto disegnano concetti e parole pre-esistenti: alla grammatica e pronuncia sono stati adattati i primi pittogrammi, i primi prestiti fonetici e i primi caratteri con la struttura "radicale-chiave/pianpang" (con radicale a sinistra, in alto o che circonda il carattere). La prima analisi di questa struttura si trova nello Shuowen Jiezi di Xu Shen, che conia anche il concetto di "radicale" (ne individuò 540, poi ridotti a 214 da Mei Yingzuo nel 1615 e diventati circa 100 anni lo standard nelle lingue sino-xeniche grazie al celebre dizionario che gli dà il nome: il Dizionario Kangxi). Non tutte le etimologie sono rintracciabili dalla chiave di lettura, comunque: la derivazione morfologica e la composizione del carattere possono seguire strade diverse. Alcuni casi coinvolgono pronunce e vocaboli rari in cinese. In più, bisogna saper lavorare con il significato originario del carattere laddove evolve nel tempo. Un esempio, che peraltro spiega la molto bene la composizione del carattere (altrimenti strampalata e senza spiegazione) è miao4, "secondo" (unità di tempo): il carattere è 秒, cioè il radicale del cereale piegato per il carico di chicchi con accanto la chiave di lettura dei granelli di sabbia. In origine indicava l'arista, cioè il filamento sopra il guscio che racchiude i chicchi di grano e di riso (per la precisione, l'arista è un filamento lungo e sottile, mentre i due involucri sono detti glumelle. Per sgusciare il riso si tolgono l'arista e le glumelle, che poi diventano sottoprodotti di scarto vagamente simili al fieno e, volendo, riutilizzabili per esempio come mangime per animali). Ebbene, il radicale soltanto ora è molto chiaro. La chiave di lettura shao3 indica la pronuncia del nucleo vocalico ma in più indica il concetto di cosa minuta e piccola. La transizione al concetto di secondo come piccola unità temporale è altrettanto chiara.

La scrittura pre-Qin (cioè precedente alla prima standardizzazione, che poi porta alla stilizzazione da cui nascono i caratteri tradizionali durante grossomodo il Primo Cinese Medio) apparentemente non aveva uno standard calato dall'alto, ma la scrittura per funzionare ed essere condivisa era dotata di una qualche forma di convenzione. Gli Esami Imperiali basati sui classici curati dagli studiosi Han sono nati proprio in epoca Han e hanno reso la scrittura un oggetto di apprendimento prestigioso. A questa ascesa della scrittura, padroneggiata da pochi, si accompagna l'ascesa dell'arte calligrafica. Dalla nascita dell'Impero (Dinastia Qin), la scrittura da elemento per fare divinazioni e scrivere il proprietario di un oggetto in bronzo è diventato un mezzo usato dalla burocrazia per gestire un impero che sarebbe diventato molto vasto (si pensi al primo Bac thuoc e alla conquista di Goguryeo sotto gli Han, alla conquista dell'odierno Yunnan durante la Dinastia Ming e alla riconquista del Tibet durante la Dinastia Qing). I caratteri poi, come numero, dagli originali 5000 circa sono proliferati per la coniazione di parole nuove (anche usate di rado) e di varianti regionali. A questi, in Corea, Giappone e Vietnam si aggiunge la creazione dei caratteri nazionali (gukja, kokuji, quoc tu'), cioè ideogrammi inventati dai coreani, giapponesi e vietnamiti per indicare concetti propriamente loro (in vietnamita, sono parecchi e sono formati riciclando interi caratteri cinesi come chiave di lettura per la sola pronuncia). Le varianti dei caratteri nascono per variazioni regionali, errori e semplificazioni degli scribi o per riadattare il carattere alla pronuncia che evolve. Per esempio, "ascoltare/annusare" (tipo B) era disegnato come una persona inginocchiata inquadrata di lato con un orecchio enorme. La pronuncia è OC *mu[n] > EMC *mjun > wén. Ebbene, la scrittura tradizionale 聞 è attestata a partire dalla Dinastia Qin ed è un orecchio circondato dal radicale della porta mén (tipo A), che indica pure la pronuncia. Ma la pronuncia antica del pittogramma della porta è *mˁə[r], il che rende il carattere poco adatto come chiave di lettura, anche se un orecchio che sembra origliare da una porta dà bene l'idea di ascoltare. Tuttavia, il rimaneggiamento del carattere attesta e/o conferma un cambiamento fonetico in gran parte dei dialetti, tale per cui *mˁə[r] > *mun. Nel Guangyun, che possiede un compromesso tra varietà del nord e del sud durante il periodo del Primo Cinese Medio, si ricostruisce poi *mwon, con una vocale non arrotondata (forse */ʌ/) e da cui si ricava che la *-r è effettivamente mutata in *-n. Lo Shuowen Jiezi, nello spiegare il carattere indica 䎽 come variante antica. Ebbene, questa variante è stata abbandonata sempre per la mutazione della pronuncia, che è un'ulteriore prova. Per la precisione, la chiave di lettura 昏 (tipo A) è ricostruita come *m̥ˁu[n] > *xˁun > xwon > hūn. La primissima pronuncia ricostruita lo rende adatto come chiave di lettura indicante la pronuncia, ma poi nei vari dialetti è evoluta diventando poco riconoscibile (la consonante nasale sorda è diventata fricativa sorda, che in EMC perde la faringalizzazione). Pertanto, il carattere antico è caduto in disuso ma si ritrova se si ricercano le varianti di un carattere. Ricostruendo la storia di una variazione di scrittura, emergono questi dati interessanti. Comunque, la necessità di rendere un testo fruibile a più generazioni e a più lettori in più punti geografici o di diversa provenienza non ha reso la scrittura pre-Qin non standardizzata eccessivamente variabile. Alcune variazioni possono essere ascrivibili, come appena dimostrato, all'evoluzione della pronuncia e non a una qualche carenza di rigore. Altre varianti derivano dal fatto che comunque, prima del periodo Qin, la Cina era divisa in feudi in lotta, tali per cui la circolazione di testi non copriva un territorio ampio. Alcune varianti regionali, per fare degli esempi, disegnano un carattere con qualche differenza, mentre in altri casi dei caratteri convergono o non sono distinti in modo rigoroso. Per esempio, 月 yuè e 夕 xī, entrambi due falci di luna, erano intercambiabili. In più 月 yuè ha subito una convergenza con 肉 ròu per la loro somiglianza se si schiacciano (quest'ultimo merger è uno dei più noti agli apprendenti di cinese). Molte convergenze sono apparenti: semplicemente, sono prestiti fonetici che venivano capiti dal contesto ma che poi si sono differenziati con l'aggiunta di un radicale (e.g. 鬲 lì indica un calderone con collo, corpo e sostegno inquadrati in visione frontale ed è anche un radicale ma indicava anche il concetto di "separare" se pronunciato "gé"; oggi si scrive 隔) o sono caratteri arcaici a cui solo successivamente si è aggiunto il radicale, e.g. 匡 > 筐 per indicare una cesta in bambù (forse si riferisce ai vimini o fibre intrecciate). A volte, siccome mancava una standardizzazione, due sinogrammi aventi una pronuncia simile potevano essere intercambiabili, e.g. 義 *ŋ(r)aj-s e 宜 *ŋ(r)aj nei manoscritti di Guodian. Se due caratteri che in EMC hanno la stessa pronuncia ma non sono mai stati usati in modo intercambiabile vuol dire che in origine avevano pronunce molto diverse. Per esempio, 工 gōng e 公 gōng sono omonimi sia in putonghua che in Primo Cinese Medio (*kuwng), ma in Old Chinese erano *kˤoŋ e *C.qˤoŋ e non sono mai stati usati in modo intercambiabile. In passato, si pensava che fossero omonimi pure in Old Chinese.

Nei due capitoli sotto si danno dei dettagli della ricostruzione. La trattazione dei cluster a inizio sillaba derivati da prefissi sia nasali che non, anche con l'aggiunta delle comparazioni con altre lingue, è estremamente succinta. Non viene trattato l'esito delle rime vocale per vocale.

Ricostruzione Baxter-Sagart (2014) delle iniziali e faringalizzazione modifica

  • Tutte le sillabe hanno una consonante iniziale "Ci" (incluso uno stacco glottale con o senza faringalizzazione) o un cluster o una sillaba minore blandamente attaccata o saldamente attaccata, tale per cui si forma una struttura sesquisillabica (letteralmente "una sillaba e mezzo", sillaba minore + sillaba principale). La dicitura "Ci" viene usata pure da Matisoff (2003) nella sua ricostruzione del proto-tibeto-birmano. Questo vocabolo e questo modo di vedere è usato da Matisoff, ma Baxter-Sagart in "Old Chinese. A New Reconstruction" parlano di "radici bisillabiche", senza il concetto di "sillaba e mezzo" di Matisoff.
  • Secondo la terminologia di Pulleyblank, molto diffusa, esistevano due macro-tipi di sillabe in Old Chinese/OC: quelle di tipo A (type A) e di tipo B (type B), ognuna con circa metà dell'inventario di tutti i caratteri noti fino alla Dinastia Qin. Le sillabe di tipo A hanno dato origine alle divisioni I, II e IV in Cinese Medio, in base alle classificazioni dei rimari. Quelle di tipo B invece confluiscono nell'ultima divisione, la divisione III (三等. La tassonomia in divisioni nasce nel periodo Song, in cui si parlava il Tardo Cinese Medio). Quelle di tipo A non subiscono una palatalizzazione forte in Primo Cinese Medio e cinese moderno standard o non subiscono l'aggiunta di *-j- semivocalica in Primo Cinese Medio/EMC, che già provoca una blanda palatalizzazione (poi divenuta totale a partire dal guanhua pronunciato nella varietà di Pechino); di contro, quelle di tipo B subiscono sempre delle palatalizzazioni nelle modalità indicate. Nelle prime ricostruzioni (e.g. Karlgren) in OC è stata aggiunta la semivocale *-j-, ma Baxter-Sagart propongono che le sillabe di tipo A hanno resistito alla palatalizzazione dall'EMC siccome erano colpite da faringalizzazione, proposta già da Jerry Norman (1994). Siccome quasi ogni suono ha una controparte faringalizzata, l'inventario di suoni in OC si è raddoppiato.
  • Le sillabe di tipo A sono state interpretate da Karlgren e Li Fang-kwei come sprovviste di una */j/ semivocalica, posseduta solo da quelle di tipo B e scritta come "i̯". Poi questa interpretazione è caduta a favore di una distinzione tra vocale breve e vocale lunga (secondo Pulleyblank, quelle di tipo A avevano la vocale breve; secondo Zhengzhang e Starostin, quelle di tipo A avevano la vocale lunga). Pulleyblank ha poi abbandonato l'ipotesi in favore di quella di un'accentazione sulla prima mora della sillaba in quelle di tipo A. Ferlus (2009b) ha proposto una pronuncia delle vocali non aspirata ("breathy voice") nelle sillabe di tipo A (Baxter-Sagart rigettano questa ipotesi con delle prove). Jerry Norman (1994) ha proposto invece la faringalizzazione per le sillabe di tipo A ricorrendo al contrasto tra consonante dura e dolce/palatalizzata in russo. Baxter-Sagart scartano tutte le ipotesi che colpiscono il nucleo della sillaba (cioè le vocali e la codina se presente) perché le sillabe di tipo A e B rimano, in più quelle di tipo A sono soggette a riflessi tale per cui subiscono degli abbassamenti vocalici ("lowered reflexes") che tipicamente colpiscono le vocali successive a una consonante faringalizzata (si pensi ai dialetti arabi). In più, nella scrittura del periodo Han, la scrittura di caratteri che avevano una consonante velare (e.g. /k, g/) faringalizzata viene resa con un suono uvulare. La stessa usanza era presente nei prestiti di OC nelle lingue Kra-Dai e Hmong-Mien. Ebbene, è comune che da consonanti velari faringalizzate derivino consonanti uvulari.

Infine, esiste una descrizione diretta della pronuncia delle sillabe di tipo A di Hé Xiū 何 休 (129–182), vissuto sotto gli Han Orientali e che ha scritto il Gōngyáng zhuàn 《公羊傳》, cioè uno dei tre commentari del Chūnqiū 《春 秋》. Il testo contiene delle interessanti glosse che spiegano perché si trova un carattere invece di un altro e, in una glossa, parla di 乃 nǎi (tipo A) e di 而 ér (tipo B). Per la precisione, i due passaggi trattati (che sono le "pistole fumanti" della faringalizzazione) e con traduzione molto aderente al testo sono "冬十月己丑葬我小君頃熊、雨不克葬、庚寅日中克葬" ("Durante l'inverno, nel decimo mese, giorno jichou [il giorno 26], si doveva seppellire Qing Xiong, <consorte> del nostro Duca <Xuan>, <c'era> pioggia e non si è potuta seppellire, il giorno jizhou [il giorno dopo] a mezzogiorno però si è potuta seppellire" e un passaggio dal contenuto pressoché identico che riguarda il Duca Ding (cambia solo il nome della consorte, 敬嬴 “Jìng Yíng) che finisce con "[...] 克葬" ("[...] però si è potuta seppellire"). Ebbene, la "glossa fumante", scritta da He Xiu dopo il secondo passaggio e in forma di dialogo, è la seguente, con traduzione molto fedele al testo in Wenyan:

A: 而者何? ("ér" cosa <significa>?)

B: 難也。("difficoltà")

A: 乃者何? ("nǎi" cosa <significa>?)

B: 難也。("difficoltà")

A: 曷為或言而或言乃? (Perché a volte dice "ér" e a volte dice "nǎi"?)

B: 乃難乎而也。(la "difficoltà" di "nǎi" è più di "ér")

Dal dialogo, in sintesi, si spiega che 乃 è più enfatico di 而 anche se la traduzione era la stessa e la pronuncia era pressoché identica. Quindi, entrambi i funerali sono andati a buon fine, ma il secondo ha preso più impegno e/o è stato molto più difficoltoso.

Ma non è finita qui: la seconda glossa fumante parla proprio della pronuncia dei due caratteri: 言乃者內而深、言而者外而淺 (La pronuncia di "nǎi" è interiore e profonda, la pronuncia di "ér" è esteriore e superficiale). Siccome le vocali erano le stesse, non avevano i toni e non ci sono modifiche a livello di rima, si spiega che la consonante iniziale, la stessa ma con la differenza tipo A-tipo B, in un caso è cupa e nell'altra no.

La terza e ultima prova è il fatto che 內 nèi e 外 wài sono spesso usati proprio per rimarcare la distinzione in queste due tipologie di sillabe nei commentari antichi. Secondo Zhou Zhumo, due varianti a questa coppia di diciture che riguardano le consonanti iniziali sono 緩氣 huǎnqì (fiato lento) con 急氣 jíqì (fiato veloce) e 洪音 hóngyīn (suono vasto) con 細音 xìyīn (suono sottile).

Siccome 乃 è di tipo A, ha un significato enfatico, ha una pronuncia interiore e profonda dell'iniziale /n/ in comune con il suo quasi-sinonimo, è prodotta con il fiato lento e ha un suono vasto, siccome in più valgono tutte le argomentazioni a sostegno dette in precedenza, tutti gli indizi puntano a una faringalizzazione delle sillabe di tipo A, assente in quelle di tipo B. Baxter-Sagart ricostruiscono dunque 乃 *nˤəʔ e “而 *nə. La faringalizzazione si è persa in EMC e, siccome gli indizi raccolti risalgono alla Dinastia Han, se è corretta sicuramente era presente durante il periodo Han. Baxter-Sagart come ipotesi di partenza la proiettano fino al 1250 a.C. Dunque, una distinzione tra tipo A e B poteva già esistere nel 1250 a.C. circa.

Oggi, nessuna lingua sino-tibetana ha la faringalizzazione eccetto il Qiang settentrionale di Hóngyán 紅岩 nel Sichuan, una lingua qiangica di famiglia tibeto-birmana. Altre due lingue asiatiche che la possiedono ma di ceppo austronesiano (da cui discendono molte lingue dell'Oceania) sono l'Amis e l'Atayal, parlate dagli aborigeni di Taiwan (colonizzarono per primi l'isola quando era ancora attaccata alla costa cinese. Poi fu popolata dagli antichi cinesi emigrati da Fujian, ragion per cui a Taiwan si parla una varietà di Hokkien, famiglia Minnan; l'Hakka/Kejia si parla a Taiwan e in molte altre zone per le migrazioni degli Hakka).

Nell'articolo "A Hypothesis on the Origin of Old Chinese Pharyngealization" di entrambi gli autori pubblicato sul Bulletin of Chinese Linguistics e disponibile online dal 2016, si ipotizza che le consonanti faringalizzate in OC (tipo A) derivano da delle consonanti in proto-sino-tibetano seguite da due vocali lunghe separate da una fricativa faringale sonora in mezzo (è una consonante sonora presente pure in arabo; si può immaginare come una vocale neutra pronunciata con la lingua in posizione di faringalizzazione). Dopodiché, la prima vocale è caduta da questo disillabo, dunque la consonante iniziale ha formato un cluster saldamente attaccato con la fricativa faringale sonora e tutto il composto è diventato un monosillabo (a cui si potevano apporre gli affissi per la morfologia derivazionale, già presente in proto-sino-tibetano). Infine, la consonante iniziale del monosillabo ha assunto una faringalizzazione in OC forse già presente prima della Dinastia Han. Nelle lingue Kuki-Chin (famiglia tibeto-birmana) invece la fricativa faringale sonora è caduta (non specificano se dal disillabo o dal cluster), tale per cui si sono formate sillabe con la struttura "consonante iniziale + vocale lunga" (tipo A in Kuki-Chin, fermo restando che ovviamente i vocaboli sono imparentati). Quelle di tipo B non avevano questa struttura, siccome non hanno sviluppato una faringalizzazione. Quindi, in quelle di tipo A, data una consonante qualunque C e una vocale /a/ come fantoccio, *Caʕa > *Cʕa > *Cˁa (Kuki-Chin: *Caʕa > *Cʕa? > *Ca:). Quelle di tipo B sono in entrambe le famiglie *Ca. Un esempio di lingua Kuki-Chin è il Lushai, più volte citata da Matisoff nella sua ricostruzione del proto-tibeto-birmano (2003): in Lushai c'è una distinzione in sillabe di tipo A e B (le prime hanno un allungamento vocalico, le seconde no). Nel paper, gli autori rintracciano la distinzione già nella ricostruzione del Proto-Kuki-Chin di VanBik (2009). Secondo loro, andrebbe rintracciata per trovare ulteriori conferme nel Proto-Chin Settentrionale/Nordico (Proto-Northern-Chin, (P)NC). Nella tesi di PhD di Christopher Thomas James Button (2017), "A Reconstruction of Proto Northern Chin in Old Burmese and Old Chinese Perspective", è presente proprio una ricostruzione del Proto-Chin Settentrionale a partire da sei lingue di questa famiglia (Mizo [o "Lushai" se parlato specificatamente in India], Zahau, Thado, Zo, Tedim/Tiddim, Sizang/Siyin; tutte preservano lo stop -p e le code nasali, ma il Thado e Zo presentano la lenizione degli altri due stop a fine sillaba in uno stacco glottale). Nel trattare il proto-tibeto-birmano fa uso di Matisoff (2003), ma nel trattare il cinese antico si basa in larga parte su Baxter (1992) e Schuessler (2007), pur citando l'articolo sulla faringalizzazione di Norman.

Per finire, le sillabe di tipo A non subiscono un'aggiunta di *-j- in EMC tale per cui si palatalizzano leggermente. In più, le velari faringalizzate sono diventate uvulari durante la Dinastia Han. Per la precisione, Norman identifica questa mutazione nei testi buddisti del 200-400 d.C., cioè appena posteriori alla Dinastia Han Orientale, caduta nel 220 d.C. Le sillabe di tipo B si palatalizzano leggermente con una *-j- in EMC, che nel guanhua nella varietà di pronuncia di Pechino porta a una palatalizzazione totale (e.g. in pinyin, G > J; K > Q; H > X; in notazione EMC Baxter, 2011 N > ny-) eccetto nei casi in cui una */r/ prevocalica (non è l'infisso <r>) blocca la palatalizzazione. Questa mutazione avviene pure in Proto-Min, che presenta nella sua ricostruzione i suoni palatali. L'OC non ha suoni palatali, attestati a partire dall'EMC e dal Cinese degli Han Orientali, nelle scritture di Zhèng Xuán 鄭玄 (127–200) e Yīng Shào 應劭 (140–206). Simili mutazioni si trovano nei prestiti di OC in vietnamita e in Proto-Hmong-Mien.

  • Baxter-Sagart adottano con delle modifiche l'ipotesi dei suoni uvulari in OC, proposti da Pan Wuyun (1997): lo stacco glottale *'-, *x- e *h- derivano rispettivamente da *q-, *qh- e *G- in OC. Pan Wuyun notò che un carattere a sé con uno di questi tre suoni in EMC in molti casi (ma non sempre), se usato come chiave di lettura in altri caratteri, poteva avere tutti e tre i suoni, il che indica un legame tra i tre diversi suoni. Secondo lo studioso, il legame era quello di avere lo stesso luogo di articolazione, cioè la zona uvulare. Comunque, l'OC conteneva uno stacco glottale *ʔ- come consonante iniziale che culmina in quello dell'EMC, siccome alcuni caratteri con stacchi glottali in EMC non presentano variazioni se usati come chiave di lettura: alcuni stacchi glottali in EMC non hanno variazioni se in chiave di lettura. *q- e *ʔ- hanno subito una convergenza/merger in Proto-Min. Le sillabe con EMC *hj- derivano dall'OC *Gʷ- labializzato. A tutto ciò, si aggiunge la macro-distinzione finale in sillabe di tipo A e B (le prime in più sono faringalizzate).
  • Una sillaba con stacco glottale in EMC che in più come chiave presenta un suono velare in EMC, e.g. *k-, in più viene ricostruita con *C.q- sesquisillabico: nasce un suono velare perché la consonante iniziale, combinata in un cluster, è preceduta da una consonante non identificata (C) e molto attaccata che successivamente è caduta. Se in più sono di tipo A, sono faringalizzate.
  • *ng- nasale in EMC può derivare da un suono uvulare *qh- o *G- in OC combinato in cluster con un suono nasale *m- o N- al primo membro o da un suono non uvulare, per esempio da /ŋ/ preceduta da una consonante C sconosciuta. N indica una consonante sconosciuta più specificatamente di tipo nasale.
  • Le nasali sorde sono state per la prima volta proposte da Norman per spiegare la derivazione tonale nei dialetti Min,anche se il modello di Norman è differente. In generale, delle derivazioni tonali in lingue discendenti da una proto lingua possono essere collegate alla caduta di foni o alla presenza di consonanti iniziali (o, in questo caso, di cluster) particolari individuabili con dei pattern. Questo fenomeno si ritrova pure nella ricostruzione del proto-tibeto-birmano di Matisoff (2003). Queste nasali sorde se sono ricostruite in sillabe di tipo A sono in più faringalizzate.
  • Le sillabe sesquisillabiche, cioè con una consonante (ben identificata o C) in questo caso blandamente attaccata alla radice/sillaba primaria perché succeduta da una vocale neutra/schwa spiegano gli stop alleggeriti ("softened") a fine sillaba che Norman ha ricostruito nel Proto-Min (in generale, ha lavorato sulla comparazione dei dialetti Min tra il 1973 e il 1989 circa). La consonante in radice è faringalizzata se in più è di tipo A. Si ricorda che i prefissi e le presillabe/sillabe minori blandamente attaccate sono segnalate con un trattino, mentre le consonanti che formano cluster ben saldi sono separate da un punto fermo. In generale, i cluster in OC di solito derivano dalla presenza di un infisso <r> o di una -r- non come infisso come 2° membro o dalla presenza di prefissi poi diventati o meno parte integrante della radice o per la presenza di sillabe minori blandamente attaccate e divenute parte della radice (la -r-, infisso o meno, viene detta "Cm", consonante mediale). Queste consonanti se succedute da faringale possono assimilare/assorbire la faringalizzazione in pronuncia (si pensa per esempio alle nasali in arabo, che assorbono la faringalizzazione, e.g. 'ayan), ma a livello di trascrizione solo le consonanti in radice sono affiancate dall'apice che indica la faringalizzazione: non si scrive in prefissi, consonanti sconosciute e nelle code di sillaba se presenti.
  • Le preiniziali (conosciute o meno) saldamente attaccate accanto a *b- (*C.b- sesquisillabico) oppure *m.p- sesquisillabico in altri casi spiegano la consonante aspirata *bh- in Proto-Min (*b- invece deriva dall'OC *b-). Quelle che in Proto-Min evolvono in *bh- convergono nell'EMC *b-. Come al solito, i cluster cadono (quindi le preiniziali e le sillabe minori cadono) siccome l'EMC non ha cluster (combinazioni come *tr- indicano la retroflessione nella notazione Baxter, 2011. Indica un suono simile pure in vietnamita antico).
  • Altre preiniziali saldamente attaccate sono ricostruite dai prestiti di OC nelle lingue vietiche rintracciati. Di solito, tutti questi subiscono una lenizione della consonante iniziale, un'evoluzione abbastanza complessa collegata alla derivazione della distinzione di *b- e *bh- in Proto-Min (nel secondo caso, sono ricostruite delle preiniziali saldamente attaccate).
  • Da dei prestiti in Proto-Hmong-Mien aventi una prenasalizzazione (e.g. "ntam", portare sulle spalle) permettono di ricostruire un suono nasale che precedeva la consonante in radice in OC. Si ricorda la solita distinzione di sillabe di tipo A (faringalizzate) e di tipo B.
  • *N-r- e *m-r- con faringalizzazione (sillabe di tipo A) culminano in *d- in EMC, mentre la loro versione non faringalizzata (sillabe di tipo B) culminano in *y-.
  • La preiniziale *t. seguita da un suono velare evolve in *tsy- palatale in EMC in base a un'analogia con i prestiti di OC nelle lingue vietiche, ricostruiti con una preiniziale. In tutti gli altri casi, *tsy- in EMC deriva da *t-, *th-, *d- e *n- non faringalizzati (sillabe di tipo B) o da una palatalizzazione di una consonante velare non faringalizzata (tipo B) perché seguita in OC da *e o da *i, due vocali anteriori.
  • Le sillabe con *l- in EMC derivano da una /r/ faringalizzata (sillabe di tipo A) in OC: la *l si usa in altri contesti e ha un diverso riflesso.
  • La * l̥ sorda muta in *sy- palatale in EMC e *l muta in *y- semivocale (in *y- vi convergono pure *N.r-, *m.r- e *ɢ-. La mutazione di quest'ultima in *y- si nota pure in Proto-Min e Proto-Hmong-Mien; una palatalizzazione simile è Gʷ > EMC *hj(w)- e Gʷ<r> > *y(w)-).
  • In *y- convergono pure OC *N.q-, *m.q- non faringalizzate > *G > EMC *y-. Se invece sono faringalizzate, convergono in > EMC *h(w)-. Se sono aspirate, a prescindere dal tipo A e B, invece conservano il contatto tra organi culminando in > EMC *ng(w)-.
  • *k- e *g- e le nasali *ŋ- e *ŋ̊- sorda si palatalizzano in EMC se la vocale successiva è anteriore (e.g. /e, i/): diventano *tsy-, dzy-, ny- e sy-. *kh resta tale in EMC. La palatalizzazione di tutti questi suoni, in origine velari, secondo Alex Schuessler (2010) risale al primo periodo della Dinastia Han, dunque molto prima del Primo Cinese Medio. Queste palatalizzazioni non sono presenti in Proto-Min, da cui si ricostruisce l'originale consonante velare. Un'altra palatalizzazione riguarda *qʰ non labializzata > *x > EMC *sy- (*q- invece si riduce in uno stacco glottale in EMC); se labializzata, non si palatalizza.
  • Anche *r̥- sorda in un dialetto sconosciuto è mutata in *x-, dando origine a delle pronunce palatali in EMC con *sy-.
  • La distinzione in triplette di suoni sonori-sordi-sordi aspirati era già presente in OC, a cui si aggiungeva la faringalizzazione (sillabe di tipo A), poi persa in tutti i casi a priori. La corrispondenza resta mantenuta eccetto per delle sonorizzazioni di consonante sorda causate da un prefisso nasale.: dapprima ha sonorizzato la consonante, poi entro il periodo dell'EMC il prefisso è caduto. Questi tre stadi si riconoscono nei prestiti di OC in Proto-Hmong-Mien. Se il prefisso era blandamente attaccato (si vede pure nei prestiti in Proto-Hmong-Mien), cade e non causa la sonorizzazione in EMC come già accennato: infatti la nasale non era a contatto diretto con la consonante iniziale. Nella sonorizzazione, se la consonante dopo il prefisso nasale è aspirata, l'aspirazione cade: in EMC non esistono le sonore aspirate. La distinzione nella tripletta di suoni era presente pure in Proto-Min, che conserva pure gli stop senza rilascio udibile di suono a fine sillaba e possedeva le nasali /m, n/ e la laterale /l/ sorde. Anche il Proto-Hakka le possiede, insieme ai tre stop a fine sillaba. Comunque, entrambe le proto-lingue non hanno faringalizzazioni.
  • *ɢˁ-, *gˁ-, *N.qˁ-, *N.kˁ-, *m.qˁ- e *m.kˤ-, tutte sillabe di tipo A, convergono in *h- sonora in EMC. Di contro, il contatto tra organi resta in *N.g-, m.g- anche labializzate > *ng(w)-.
  • I suoni alveolari */p, s, t͡s/ anche faringalizzati e seguiti da *-r- anche come infisso mutano in retroflesse in EMC, ma si limitano a perdere *-r- e la faringalizzazione in Proto-Min e nelle lingue vietiche. Se preceduta da altre consonanti, semplicemente *-r- blocca una leggera palatalizzazione già in EMC. *qhr anche con faringalizzazione e labializzazione diventa una consonante affricata sorda *x- in EMC (se non ha *-r-, allora *qh > xj- con leggera palatalizzazione in EMC; se succeduta da vocale anteriore /e, ɛ, æ, i/, la *xe, xi è una mutazione intermedia, da cui deriva un'ulteriore palatalizzazione stavolta pesante > EMC *sye, syi).
  • La *g non faringalizzata (tipo B) si palatalizza in EMC, mentre se faringalizzata (tipo A), come anche *G faringalizzata, perde il contatto tra organi diventando EMC *h- sonora. Il merger intermedio tra */g, G/ faringalizzate riguarda proprio quello della ritrazione delle consonanti velari faringalizzate */k, g/ in uvulari nel tardo cinese antico. */g/ invece resta tale o si palatalizza leggermente in EMC perché seguita da -r- che muta in /j/ o da vocale anteriore (e in dei casi dalla vocale neutra schwa), tale per cui si formano sillabe come *gi, gjuw. Si ricorda che *G (tipo B) > EMC *y- e, se labializzata, > EMC *hj- a meno che è seguita da vocale anteriore non preceduta da -r-, in tal caso > EMC *y(w)-, sennò *h perché si blocca la palatalizzazione.
  • *ŋ come consonante iniziale, se non faringalizzata (tipo B) si palatalizza in *ny- in EMC. Se faringalizzata (tipo A), non si palatalizza. La *l, sia faringalizza che non, se in cluster con *-r- muta in *dr- sonora retroflessa in EMC. Altrimenti, *l > EMC *y- e *lˤ > EMC *d-. Il dialetto Waxiang è molto conservativo nei confronti delle consonanti laterali: anche se perde i cluster e le faringalizzazioni, dappertutto preserva di base una /l/. ll primo cambiamento ad avvenire è stato *l >*y-. La comparsa di *d- dalla mutazione di un'antica consonante laterale, attestata anche nei rimari dell'EMC, secondo Sagart era già attestata nel I° secolo d.C. In generale, queste e altre variazioni (e.g. *-s > *-h debuccalizzata) giustificano la suddivisione in "Old Chinese - Cinese degli Han Orientali", in cui si trova la cesura storica dell'usurpazione e caduta della breve Dinastia Xin. Di contro, si possono usare suddivisioni simili con nomi simili, come "Early Old Chinese - Late Old Chinese", cioè "Primo Cinese Antico" e "Tardo Cinese Antico". Tutte le laterali del cinese antico sono dunque sparite.
  • *r come consonante iniziale faringalizzata o, sporadicamente, non faringalizzata, muta in *l- prima del Primo Cinese Medio (prima del periodo delle Dinastie del Nord e del Sud, che apre l'EMC, è avvenuta la caduta della Dinastia Jin). Pertanto, la *l- si riottiene con questa mutazione, altrimenti sarebbe sparita completamente. Nel dialetto Guzhang (uno dei Waxiang) si trova invece il suono /z/. I Waxiang sono nati prima di questa mutazione in EMC. I dialetti Min Bei (Min Settentrionali), nei casi in cui OC *C.r- presentano /s/, derivata proprio dalla desonorizzazione di un'antica */z/ in Proto-Min (pMin); in tutti gli altri casi, presentano /l/. Il Proto-Hmong-Mien (pHM) riteneva la *r-, ovviamente senza faringalizzazione se era presente.
  • Le nasali sorde mutano in EMC in suoni fricativi che si palatalizzano (e.g. *sy-) o meno se sono faringalizzate/di tipo A (e.g. *x-) o in occlusive aspirate (con eventuali varianti dialettali pre-EMC *x-); la /r/ sorda diventa anch'essa un'occlusiva aspirata (se non è faringalizzata, cioè di tipo B, si può anche retroflettere). Le nasali sonore restano tali in EMC (in più, quelle di tipo B sviluppano una *-j- semivocale. Svariate sillabe in *mj- in EMC perdono la nasale iniziale dopo una lenizione presumibilmente in */v/ o simili in Primo Mandarino, di cui si trovano delle approssimazioni nel giapponese /b/ accanto a una variante più conservativa in /m/, siccome dei kanji hanno più possibilità di pronuncia. Oggi in putonghua iniziano con /w/ semivocalica arrotondata, ma in cantonese e in altri dialetti conservativi rimane la *m dell'EMC, come anche nelle lingue sino-xeniche, cioè giapponese, coreano e vietnamita). Un esempio di pronuncia arcaica dialettale di *x- che in EMC diventa un'occlusiva aspirata è nel carattere 天 *l̥ˤi[n] > *then~*xen > EMC *then > tiān in base agli indizi nello Hou Han Shu di Fan Ye (giustiziato nel 445/446) e dello Shi Ming (200 circa). In quest'ultimo si trova una glossa fumante che descrive precisamente la posizione della lingua nel pronunciare il suono e contiene quella che sembra essere una mnemotecnica per memorizzare le due pronunce: 天, 豫司、兗、冀以舌腹言之∶ 天, 顯也, 在上高顯也。青、徐以舌頭言之∶ 天, 坦也, 坦然高而遠也。("Cielo" a Yù, Sī, Yǎn e Jì si pronuncia con la pancia della lingua: "cielo" [*xˁen] è "顯" [*xˤenʔ], è in alto, "brillante". A Qīng e Xú si pronuncia con la testa della lingua: "cielo" [*thˤen] è "坦" [*thˤanʔ]: è "piatto", alto e distante). I due caratteri usati per approssimare le pronunce significano proprio "brillante" e "piatto". Le prime regioni (*xˁ-) sono a ovest, le ultime due a est (zona costiera), il che traccia pure la zona geografica delle due varietà. La pronuncia in EMC, da cui deriva quella in cinese moderno standard, deriva dalle varietà costiere dell'est (e.g. penisola dello Shandong). Una simile pronuncia si nota pure se il carattere si usa come chiave di lettura in 祆 xiān (EMC *xen). Tutto il carattere "cielo" in lingua Bai è pronunciato /xẽ 55/ e questo riflesso della /l/ sorda faringalizzata diventa sempre /x/. */l/ sorda In PHM e proto-Hmong è "lh", cioè una /l/ sorda, mentre in pMin è una consonante palatale sorda aspirata *tšh-.
  • *m.qhˤ- ha subito una convergenza con *ŋˤ- (che poi perderà la faringalizzazione) intorno al periodo in cui è stato scritto lo Shuowen Jiezi (100 d.C.) di Xu Shen, come si nota nella spiegazione 午∶ 啎也. Xu Shen spiega che il pittogramma di un pestello al suo tempo (si ricorda che non ha potuto consultare le ossa oracolari) significava "opporre" con un riferimento al tempo che cambia: nella spiegazione che segue, aggiunge 五月陰气午逆陽, 冒地而出 ("nel quinto mese <lunare> il soffio vitale Yin si oppone allo Yang, copre la terra e compare"). Collega dunque la pronuncia più arcaica *[m].qhˤaʔ con 啎, in cui compare come chiave di lettura e che si pronuncia *ŋˤak-s. 午 e 五 da questo momento venivano usati come chiave di lettura intercambiabile.
  • *mə.l e *mə-l evolvono in EMC *zy- palatale da uno stadio intermedio in cui la sillaba minore blandamente attaccata cade e si ottiene l'iniziale */ʎ/-, come nell'italiano "aglio".

Ricostruzione Baxter-Sagart (2014) delle rime e prefissi modifica

  • L'OC, dalle ricostruzioni successive a quella di Karlgren, ha sei vocali, di cui una trascritta in più modi (la pronuncia, in base alle tre ipotesi e trascrizioni, poteva essere la vocale neutra schwa /ə/, la vocale alta centrale /ɨ/ o la vocale alta posteriore /ɯ/ non arrotondata), più due semivocali per formare dittonghi mai ascendenti (e.g. come in piatto, in cui il dittongo parte in semivocale) ma solo discendenti (come in airone). La vocale scritta come "schwa" fa uso di questa lettera per ragioni pratiche, siccome "ɨ", usata da Baxter (1992), è un suono più raro da vedere. Tutte queste sei vocali possono non essere seguite da nulla, creando una sillaba aperta, altrimenti sono seguite da tre code ("Cc") nasali (*-m, *-n, *-ŋ), da *-r, da tre stop senza rilascio udibile di suono (*-p, *-t, *-k), da uno stacco glottale (poi caduto, facendo nascere un tono crescente attestato in EMC) o una *-s come suffisso (poi lenitasi in *h-, caduta e responsabile della nascita del tono decrescente attetato in EMC) o da semivocale (*-j e *-w vengono considerate Cc) o da un cluster finale. Questo cluster deriva da una combinazione delle nasali e di *r- (una consonante liquida) come Cc/coda finale con lo stacco glottale in seconda posizione o di tutte le Cc possibili (stop inclusi) con la *-s in seconda posizione. *-s viene sempre trascritta con un trattino perché ritenuta un suffisso morfologico. Lo slot dopo la coda Cc viene detto "postcoda" ("Ccp"). Quindi, dopo la coda, con l'aggiunta di una postcoda (stacco glottale o *-s) si crea un cluster finale. La Cc/coda viene indicata in modo diverso da Matisoff, che parla di "consonante finale" Cf.
  • Le sillabe che finiscono in *-p e *-m sono più rare rispetto alle altre. In EMC, solo l'8% di sillabe del Guangyun ricostruito da Baxter (2011) possiede queste code bilabiali; quelle con code velari e dentali sono rispettivamente il 24% e il 23%, circa il triplo rispetto a quelle con una coda bilabiale. Questo tipo di code sono quelle meno attestate nei testi e dunque più complicate da ricostruire (ragion per cui i suoni sono messi in parentesi quadra, e.g. *[p]). In più, alcune sillabe in *-p-s hanno subito una mutazione in *-t-s prima ancora dell'EMC, una mutazione che viene accennata altrove nel paragrafo. In altri casi, secondo uno degli autori del Qieyun (EMC; possiede un'interessante prefazione), nella regione di Shǔ EMC *-p > *-k: è una caratteristica ascritta ai dialetti occidentali insieme a *-k > *-ng. Il Qieyun comunque si basa sulla prima delle due pronunce.
  • I nuclei di sillaba che iniziano con la semivocale */w/ sono detti hékǒu 合口, cioè "con la bocca chiusa" (forse a indicare l'arrotondamento delle labbra, siccome la semivocale è arrotondata/procheila). Gli altri sono detti kāikǒu 開口, cioè "con la bocca spalancata". L'ipotesi del contrasto tra nuclei che iniziano o meno con */w/ è detta "rounded-vowel hypothesis" e risale a Jaxontov (1960b).
  • Le sillabe aperte restano di solito tali in EMC e nei dialetti; in dei casi sporadici sviluppano una semivocale da cui si ottiene un dittongo, e.g. *Ce > EMC *Cej. *-ŋ e *-k restano identiche tranne nel caso *-iŋ e *-ik che, probabilmente per palatalizzazione, in EMC diventano *-in e *-it (un esempio è 日 *C.nik > *C.nit > nyit > rì, da come si evince dallo stesso carattere usato come chiave di lettura in 衵 *nik > nyit > rì). Il dittongo *-aj tende a diventare *-a. *-m resta tale in EMC eccetto in dei casi sporadici di dissimilazione tale per cui muta in *-ng. *-wk in EMC subisce una caduta di semivocale, riducendosi in *-k e annullando il dittongo originale. Dall'EMC, il putonghua conserva *-ng e *-n, ma in quest'ultima vi converge *-m, conservata per esempio in cantonese tranne di fronte a /f/, da cui si ricostruisce di contro dall'Hakka; *-ng in casi sporadici si dissimila in -n (e.g. EMC *-ng > -n in 皿, 黾 e 聘) ma nelle lingue sino-xeniche e dialetti si può ancora notare *-ng.
  • La tonogenesi di un tono crescente in EMC dallo stacco glottale viene spiegata per il fatto che lo stacco, durante il processo di caduta, veniva preceduto da quella che era una costrizione della valvola in fondo alla gola, la glottide. Questa costrizione si lega molto bene a un innalzamento nell'intonazione ("The hypothesis is that while the glottal stop was still present, there would have been a tendency for the glottis to become tenser in anticipation of the closure of the glottis, resulting in a rise in pitch; subsequently, the glottal stop disappeared (in most dialects, at least), and the rise in pitch became phonologically distinctive, creating shǎngshēng, the ‘rising’ or ‘up’ tone of Middle Chinese", pp.195-196). Quanto al tono crescente, è collegato a una mutazione precoce di *-p-s > *-t-s in alcune rime dello Shijing. L'ultima combinazione in cui è caduta in ordine temporale è *-js. Dopodiché, lo stop prima di *-s e caduto e la *-s, rimasta sola, si è lenita/debuccalizzata in *-h.
  • La presenza della codina *-r deriva da una proposta di Starostin (1989) e muta in *-n in EMC, convergendo dunque in quelle che in Old Chinese finivano in *n. Le due sono differenziate a partire da un indizio ricavato da alcuni dialetti dello Shandong, una provincia peninsulare: alcune sillabe che dall'EMC in poi hanno *-n finiscono in -j semivocalico. Questo suono non deriverebbe da mutazioni di /n/. Pertanto si distinguono tre diverse sillabe: quelle che terminano in *-j, *-n (> -n) e *-r (> -n; in alcuni dialetti, *-j). Nelle ricostruzioni e trattazioni filologiche, quando si usa "A > B" si intende che A evolve/culmina/ha il riflesso B; "<" semplicemente inverte la derivazione (e.g. B < A). Con più freccette si può tracciare una lunga catena evolutiva di mutamenti, e.g. A > B > C > D...
  • In una sillaba aperta (cioè chiusa da nulla o chiusa da "coda zero") si possono trovare tutte le vocali tranne la *-i. Nei dittonghi discendenti in *-j si trovano tutte le vocali. Quelli in *-w invece sono *-iw, *-ew, *-aw. Tutte le vocali si possono combinare con la codina nasale o con la codina liquida *r- o con i tre stop senza rilascio udibile di suono. Dei dittonghi, solo i tre dittonghi *-iw, *-ew, *-aw si trovano in una vocale chiusa e l'unica possibilità è una loro chiusura con lo stop *-k.
  • Le vocali dopo un'iniziale faringalizzata (tipo A) in EMC subiscono un abbassamento vocalico (cioè l'opposto dell'innalzamento vocalico): alcuni esempi molto generici sono *i > EMC *e; *iw > *ew; *u > *a; *ə > *o (una vocale non arrotondata, forse /ʌ/).
  • Le due code in zona velare *-k e *-ŋ vengono anche dette "code posteriore" (back codas). Le code *-j, *-t, *-n e *-r vengono categorizzate come "code acute" (acute codas). Se le prime, unite alla faringalizzazione (tipo A) porta a abbassamenti vocalici, le seconde portano a dittongare/mutare in dittongo una vocale arrotondata/procheila (e.g. */u, o/) durante il tardo periodo degli Stati Combattenti. Simili mutazioni, come già accennato, giustificano a suddividere ulteriormente il cinese antico in due o più fasi (se come cesura non si prende la restaurazione della Dinastia Han, si può prendere grossomodo l'unificazione imperiale sotto la Dinastia Qin, avvenuta poco meno di 250 anni prima, nel 221 a.C.).
  • La *-r come già accennato muta in semivocale *-j (si trova per esempio una mutazione del genere nello Shi Ming di Liu Xi, 200 d.C., scritto poco prima della caduta degli Han Orientali nel 220 d.C.) in delle zone nella penisola dello Shandong e aree limitrofe. Per la precisione, le zone che hanno questa caratteristica nel rispettivo dialetto sono Yǎn, Sòng, Qí, Qīng, Xú, Chén.
  • Le radici possono essere unite con gli affissi, che formano la morfologia derivazionale in OC, cioè dei suoni che, aggiunti alla radice, creano vocaboli a partire dalla radice (e.g. studiare > lo studio/l'atto di studiare/lo studiare, che è un esempio di nominalizzazione, tale per cui da un verbo si ottiene un nome comune di attività). Gli affissi possono essere divisi in OC in prefissi (prima della Ci di radice), infissi (appena dopo la Ci) e suffissi (dopo tutta la radice, inclusa la Cc). Matisoff non parla di postcoda (Ccp) ma direttamente di suffissi (S). Matisoff in proto-tibeto-birmano indica i prefissi con P (sono poi divisi in primari/storici e secondari/aggiunti posteriormente al PTB, cioè rispettivamente P1 e P2). Baxter-Sagart parlano invece di "consonanti preiniziali" (Cpi). Nelle sillabe minori blandamente attaccate, la vocale neutra schwa viene detta "vocale preiniziale" (Vpi). Le consonanti preiniziali, saldamente o blandamente attaccate sono *p (per esempio *p- o *p.), *t, *k, *r, *s, *m, *r (rara), C e *N (ovvero *n o *ŋ). Tutte le sillabe minori blandamente attaccate sono cadute in EMC e in Proto-Min, prima di cadere, hanno influenzato la consonante successiva. Una radice può avere due prefissi di fila in OC. In generale, quando delle parole vengono fatte derivare da un'unica radice a cui si inseriscono gli affissi, si dice che appartengono alla stessa famiglia di parole (a livello di derivazione. Infatti, a livello semantico, per esempio si possono raggruppare i nomi di persona, i nomi di luogo, i nomi di tempo, i nomi di cibi, i nomi di animali... come spesso avviene nelle trattazioni di vocaboli in contesto di apprendimento. Sono due modi di classificare i vocaboli diversi. La stessa differenza si può applicare all'arabo, che peraltro non è una lingua morta: dalla radice trilittera K-T-B si ottengono con i transfissi "kitaab, kutub kataba, yaktaba, kaatib, maktaba", cioè "libro, libri, egli scrisse, egli scrive, scrittore, libreria"). Due radici che si assomigliano come pronuncia e significato sono dette "radici correlate" (related roots). Per esempio, 半 e 判 sono due radici correlate. Due radici correlate a livello di pronuncia possono essere diverse per esempio perché una è aspirata e l'altra no oppure una è faringalizzata (sillaba di tipo A) e l'altra no. Forse queste somiglianze si spiegano per delle alterazioni date da morfologia spiegabile in pattern che risale a prima del cinese antico (proto-sinitico?), ma il campo di ricerca è ancora aperto. Quanto a un esempio storico preso dalo Shuowen Jiezi di Xu Shen da cui si ricava una serie di pronunce locali di un carattere e una con una sillaba blandamente attaccata è la descrizione nel carattere che indica il pennello per scrivere, 聿 (*[m-]rut > *lut > ywit > yù): 所以書也 [si usa per scrivere]。楚謂之聿 [a Chu questo si dice *lut < *[m-]rut?], 吳謂之不律 [a Wu questo si dice *pə.[r]ut], 燕謂之弗 (a Yan questo si dice *put). Si nota una grande varietà nel trattare le sillabe minori. Un altro esempio si trova nel commentario del Fangyan scritto da Guō Pú 郭璞 (276-324), dopo la parola 貔 pí: 今江南呼為𧳏狸 (Oggi, a sud del Changjiang, si dice *bij-li < *bə.rə). Descrive dunque una preiniziale blandamente attaccata nell'area di Wu. Un ultimo esempio di glossa da cui si prendono dati sulle pronunce locali si trova nel “Zhōngyōng”中庸, un testo del Lǐjì 禮記 (il Libro dei Riti <di Zhou>): 壹戎衣而有天下 。In riferimento al Re Wu di Zhou, che ha rovesciato la Dinastia Shang, dice "Unì le forze militari contro Yin e ottenne <tutto ciò che è> sotto il Cielo", cioè conquistò la capitale ed ebbe il controllo di tutto il territorio cinese del tempo. L'interpretazione corretta del carattere che indica il vestito, scambiabile per un'armatura o simili, è data da Zhèng Xuán (127–200, Han Orientali) nel suo commentario al Libro dei Riti, lo Yí lǐ 儀禮: sostiene che 衣讀如殷 、聲之誤也 、齊人言殷 、聲如衣 ("Yī” [*ʔ(r)əj] si legge come "Yīn" [*ʔər], è un errore di pronuncia, quando la gente di Qí pronuncia 殷, il suono è come 衣). Spiega cioè che il carattere deriva da un errore di scrittura legato a sua volta a una pronuncia dialettale: il nome della capitale (e, in giapponese, anche il nome alternativo dell'intera dinastia) Yin nella zona di Qi era pronunciato come "vestito". Simili glosse aiutano anche a tradurre, ragion per cui se ne può occupare anche la traduttologia. La stessa informazione sulla pronuncia di Yin si trova in un commentario del "Chunqiu di Lü Shì" (Master Lü/Messer Lü), un ufficiale che lavorò per la Dinastia Qin. Nella glossa di Gāo Yòu 高誘, contemporaneo di Zhèng Xuán, si sostiene 今兗州人謂殷氏皆曰衣 (Oggi la gente di Yǎnzhōu pronuncia il nome di famiglia 殷 Yīn [*ʔər] tutta quanta <come> "衣 Yī [*ʔ(r)əj]"). Questa zona si trova nello Shandong sud-occidentale.
  • La -h si ritrova ancora nel dialetto Xiàoyì 孝義, parlato nello Shānxī (Sagart, 1999b; Guō Jiànróng, 1989).
  • I prefissi sia blandamente che saldamente attaccati non mutavano a livello semantico/di significato, ragion per cui da un unico prefisso con un significato invariabile si possono fare discendere due possibilità. Apparentemente, il motivo per cui alcuni prefissi erano seguiti da quella che è trascritta come una vocale neutra deriva da libere variazioni. Le preiniziali/sillabe minori saldamente attaccate sono le più comuni.
  • Una nasale come prefisso *N- (sia blandamente che saldamente attaccata) forma i verbi intransitivi da quelli transitivi (cioè reggenti un complemento oggetto diretto). In EMC il prefisso saldamente attaccato cade e sonorizza la consonante sorda che lo segue, e.g. *N-p > *b-. Quello blandamente attaccato non crea questo effetto. Se la sillaba è di tipo A, si aggiunge poi la faringalizzazione in OC.
  • Il prefisso nasale *m- come esito in EMC funziona come *N- e aveva la funzione di trasformare un verbo o nome non volitivo in volitivo (e.g. essere sveglio e cosciente > studiare, imitare; limpido, pulito > pulire; schiena > girarsi di schiena; granaio > stipare nel granaio). Come secondo utilizzo, trasforma un verbo in un nome agentivo/strumentale (e.g. dividere > una banchina/cumulo di terra divisorio tra campi; supportare > pilastro; pesare > stadera/bilancia; avvolgere > un lungo vestito, pao2 袍). Siccome sono presenti altri due suffissi *m- totalmente diversi spiegati tra poco, si distinguono nelle trattazioni con *m1-, *m2- e *m3- come pedice (qui sono scritti in grafia computerizzata corrente per semplificare). Il secondo prefisso *m-, cioè *m2-, si trova nelle parole indicanti le parti del corpo. *m3- si usa con i nomi di animali. Simili divisioni tra prefissi sono presenti pure in proto-tibeto-birmano (Matisoff, 2003). Nella trascrizione Baxter-Sagart, i numeri per distinguere i prefissi, infissi e suffissi non sono utilizzati.
  • Il prefisso *s- ha due utilizzi, marcati e distinti come *s1- e *s2-: *s1- deriva nomi circostanziali (cioè di luogo, tempo e strumento) da un verbo (e.g. andare contro > primo giorno del mese [in cui la luna da calante cambia e diventa crescente]; penetrare > finestra [da cui penetra per esempio la luce]; sparire/morire > la seppellitura; usare > manico della falce o aratro).
  • Anche il prefisso *t- è suddiviso in *t1- e *t2-: il primo si trova in dei verbi perlopiù intransitivi e stativi, mentre il secondo si trova in nomi inalienabili come alcune piccole parti del corpo (gomito, denti) e nomi di parentela.
  • Il prefisso *k- si usa per derivare dei nomi dai verbi (e.g. quadrato > cesta quadrata di bambù [il kuang1]; brillante > finestra brillante) e si usa in dei verbi con una funzione non chiara.
  • L'infisso *<r> è suddiviso in *<r1>, *<r2> e *<r3>. Il primo indica un'azione distribuita (cioè compiuta da più agenti o rivolta a più pazienti o coinvogende più luoghi/location o ripetuta più volte), e.g. lavare > spruzzare; afferrare > schiacciare tra; vedere > spiare. Il secondo si trova in verbi stativi per marcare l'intensità (intensiveness), e.g. gonfio > pesante; elevare/sollevare > rimarcabile, eroe [cioè qualcuno o qualcosa che sorpassa il resto]. Il terzo rimarca una struttura distribuita (cioè coinvolgende due più oggetti proporzionati tra loro come struttura vista nel complessivo), e.g. strangolare > il giogo [cioè un attrezzo che si mette sul collo di due animali da traino l'uno accanto all'altro per arare; è un pezzo di legno con due collari ovali e un terzo collarino in mezzo per attaccargli l'aratro o, in altri casi, dei carretti]; gamba > osso dello stinco ["shank bone"; ha le due estremità arrotondate, in più gli esseri viventi vertebrati ne hanno due se bipedi, due coppie se quadrupedi come i buoi e il maiale]. La consonante iniziale è faringalizzata (e in pronuncia la */ɾ/, monovibrante perché prevocalica, assimila la faringalizzazione) se è di tipo A.
  • Il suffisso *-s è diviso in *-s1, *-s2 e *-s3 e si applica a radici che, se sono sillabe di tipo A, sono faringalizzate. Il primo nominalizza i verbi, facendo ottenere un nome di attività. Il secondo è l'inverso del primo (deriva i "denominal verbs", cioè da un nome fa ottenere un verbo, e.g. re > essere re; vestiti > indossare). Il terzo da verbi con azione diretta verso l'interno o stativi deriva i verbi con azione diretta verso l'esterno (transitivo VS intransitivo non c'entra), e.g. comprare > vendere; ricevere > dare; studiare, imitare > insegnare; buono > amare, apprezzare; cattivo, brutto > odiare.

Filologia dei sinogrammi e sull'utilizzo dello Shuowen Jiezi (Xu Shen) modifica

Uno studioso di varietà storiche di cinese può avere un qualche interesse nella filologia e paleografia dei sinogrammi sia per lo studio delle stesse varietà storiche sia perché è un argomento che riguarda la storia e filologia della lingua a tutti gli effetti.

Il cinese antico è indissolubilmente legato alla prima attestazione della scrittura cinese (a partire dal 1250 a.C. circa, periodo Shang), ragion per cui la lingua e la scrittura come periodo sono strettamente collegate. I caratteri in origine sono nati per scrivere sulle piastre delle tartarughe e sulle scapole di bue messe a crepare sul fuoco per effettuare predizioni sul futuro più o meno remoto. Dai primi caratteri attestati nelle ossa oracolari (periodo Shang e Zhou) e nei bronzi Shang e Zhou si vedono le versioni originali di molti caratteri diffusi sia in passato che oggi, da cui si può ricostruire la composizione (molti altri caratteri, comunque ricostruibili, sono attestati a partire dal periodo degli Stati Combattenti e periodo Qin e Han e in poi). Le versioni originali permettono di capire meglio la loro composizione, il disegno originario, come sono evoluti e, in dei casi, la pronuncia originaria. Pertanto il cinese antico/Old Chinese è il periodo da cui si parte a fare filologia dei sinogrammi (perlomeno quelli più antichi, come i radicali Kangxi), un'attività direttamente collegata alla paleografia, che a sua volta non è una disciplina isolata da altre come l'archeologia.

Quanto al periodo del Primo Cinese Medio, in questo periodo i sinogrammi assumono grossomodo l'aspetto dei caratteri tradizionali odierni. Questa grafia deriva dall’evoluzione della prima standardizzazione dei caratteri avvenuta durante il periodo Qin (Xu Shen, usando una grafia detta “Piccolo Sigillo”/Xiaozhuan) li descrive nello Shuowen Jiezi. Durante il periodo Tang, le ossa oracolari forse erano state dissotterrate per la prima volta ma i contadini, non capendo cosa fossero e come mai avessero dei segnetti misteriosi incisi sopra, le reinterravano. In un secondo momento, sono state dissotterrate e polverizzate per creare preparati di medicina tradizionale cinese, come avveniva per esempio nel periodo Qing. Il riconoscimento dei caratteri sarebbe avvenuto nel fine Ottocento. L’osservazione delle prime versioni (ossa e bronzi), dell’evoluzione nello stile del Piccolo Sigillo e dell’ulteriore evoluzione nella versione tradizionale (poi eventualmente semplificata nella metà Novecento) permette di capire meglio i caratteri e i loro componenti.

Un'opera da cui si parte a analizzare i caratteri è proprio lo Shuowen Jiezi 说文解字 di Xu Shen 许慎 (100 d.C., scritto in epoca Han, durante il periodo in cui si parlava il Cinese degli Han Orientali, una varietà intermedia tra il tardo Old Chinese/tardo cinese antico e il Primo Cinese Medio, fermo restando che il cinese parlato durante la Dinastia Jin, che precede il Primo Cinese Medio, è ancora in via di discussione). L'opera va letta con spirito critico siccome Xu Shen descrive perlopiù i sinogrammi secondo lo stile del Piccolo Sigillo (Xiaozhuan 小篆) e secondo la prima standardizzazione avvenuta nel periodo Qin. Non ha mai consultato le ossa oracolari del periodo Shang e Zhou (cioè le piastre di tartaruga e le scapole di bue incise e trapanate e mese sul fuoco a crepare per effettuare le piromanzie, dette anche plastromanzie e scapulomanzie) e non ha nemmeno consultato i bronzi Shang e Zhou (vasi, bacinelle, piccoli contenitori, specchi, pettini, bracieri...): entrambi non erano stati ancora diseppelliti, quindi i relativi corpora di caratteri (甲骨文 e 金文), di cui oggi esistono i dizionari, erano inaccessibili. Pertanto i caratteri analizzati non sono le proto-forme/versioni originali ma sono una standardizzazione che contiene già delle stilizzazioni fuorvianti, dei componenti aggiunti o delle disposizioni dei componenti alterate rispetto alla disposizione originale. Xu Shen in dei punti commette degli errori nell'interpretazione o nella suddivisione del carattere per indicare il carattere e la chiave di lettura per la pronuncia, che riflette la sua varietà di cinese (alcune varianti dei caratteri sono varianti popolari o dei rimaneggiamenti delle chiavi di lettura per riflettere dei cambiamenti nella pronuncia tra la prima fase del cinese antico/Old Chinese e il Cinese degli Han Orientali o le varietà del periodo Qin, periodi nei quali peraltro si sono coniati nuovi caratteri). L'opera di Xu Shen è stata arricchita con degli ottimi commentari che glossano il testo. Il più famoso è quello di Duan Yucai, scritto nell'arco di oltre 30 anni e pubblicato nel 1815 (periodo Qing) e di ottima qualità nonostante nemmeno lui abbia consultato le ossa e i bronzi. Alcune glosse correggono delle informazioni di Xu Shen o le arricchiscono. In generale, si evince che lo Shuowen Jiezi va letto e consultato con un sano spirito critico, nonostante i suoi pregi indiscussi. Per esempio, va affiancato alle versioni sulle ossa e sui bronzi, ai commentari, alle varianti dei caratteri (in cui abbastanza spesso restano cristallizzati degli elementi antichi o la disposizione originale dei componenti) e a degli studi paleografici e filologici (non etimologia folk o mnemotecnica) che si intrecciano con storia, archeologia e conoscenze basilari per esempio di tecniche di agronomia, se si pensa ad esempio alla coltivazione del grano, del riso e alla loro lavorazione (la derivazione etimologica delle parole a partire dai suffissi e prefissi morfologici del cinese antico è un altro tipo di ricostruzione che a volte si può intrecciare con quella di stampo paleografico, cioè incentrata sulla grafia). Altre stilizzazioni trasformano dei componenti dei caratteri in dei falsi amici. A questo si aggiunge il fatto non secondario che i caratteri cinesi hanno subito una semplificazione nella metà Novecento, ragion per cui partire ad analizzare i caratteri dalla versione semplificata è un errore in partenza, come anche analizzarli basandosi sulla grafia riportata da Xu Shen laddove il carattere è attestato da secoli prima ed è dotato di una proto-forma. Quest’ultimo comunque riporta i significati originali di ogni carattere, siccome sono evoluti: per esempio, miao4 秒 oggi indica il secondo (unità di tempo), il che rende la presenza del radicale del cereale criptica e insensata. In realtà, in origine il carattere indicava l’arista, cioè un lungo filamento sulla “buccia” dei chicchi di grano sulle spighe, il che rende il radicale subito comprensibile. Da tutte queste informazioni si può ricavare una lista di 7 errori da evitare:

  • non praticare una distinzione tra da un lato paleografia/filologia con conoscenze storico-letterarie, archeologiche e di tecniche antiche in alcuni campi (e.g. agricoltura, allevamento, metallurgia, produzione di vasellame, settore tessile) e dall’altro l’etimologia folk con mnemotecnica peraltro avulse dalle utili conoscenze di supporto elencate in precedenza;
  • analizzare i caratteri superficialmente (in base cioè alla loro apparenza immediata, a volte ingannevole per le stilizzazioni, amputazioni o aggiunte e disposizioni dei componenti);
  • analizzare solo la versione semplificata laddove hanno una versione tradizionale;
  • non prendere mai in consultazione alcuni utili varianti arcaicheggianti dei caratteri laddove presenti (esistono dizionari appositi);
  • non consultare mai le versioni sulle ossa oracolari e i bronzi Shang e Zhou laddove il carattere è attestato;
  • partire ad analizzare sempre e solo dal significato moderno, laddove sono presenti significati arcaici poi evoluti e/o perduti ma recuperabili da dizionari antichi (tra cui lo stesso Shuowen Jiezi);
  • copiare l’interpretazione integralmente da Xu Shen, che già commette degli errori nell’interpretazione e suddivisione corretti dalla paleografia e da alcune glosse e commentari ben scritti (non tutti i commentari sono uguali. Quelli di Xu Xuan e di Duan Yucai sono tra i migliori in assoluto e le loro glosse sono direttamente affiancate alla definizione originale di Xu Shen). L’opera va quindi affiancata ad altri materiali e conoscenze. L’errore di non leggere Xu Shen con un sano spirito critico si intuisce fin dagli esordi del paragrafo.

Alcune interpretazioni sono incerte o in fase di discussione ma, se non cadono in nessuno dei 7 errori, semplicemente sono indicatori di un dibattito ancora aperto che può essere chiuso con l’avanzare delle scoperte in paleografia, in linguistica storica (e.g. la derivazione morfologica in Old Chinese), in storia e in archeologia (le ossa e i bronzi sono infatti reperti archeologici. Più se ne trovano, più caratteri attestati e/o varianti antiche emergono, con tutto ciò che ne deriva).

Un ultimo errore diffuso sarebbe da includere come l'ottavo errore se non fosse limitato ai soli radicali Kangxi. Tuttavia, il fatto che i radicali Kangxi come grafia, nome e ricostruzione filologica siano il migliore punto di partenza per l'apprendimento dei sinogrammi, lo rende un errore dalle conseguenze pesanti. L'errore, riportato in disparte, è il seguente:

  • partire a ricostruire e studiare i radicali Kangxi a partire dal nome proprio in cinese, laddove presente.

Si prenda come esempio lampante卩 jie2: è universalmente noto come "il sigillo", in più come radicale ha il nome proprio in cinese traducibile come "l'orecchio singolo". Non solo i nomi propri in cinese indicano perlopiù l'apparenza grafica del carattere, ma non danno informazioni per la filologia. Jie2 non rappresenta in nessun modo un orecchio, ragion per cui questi nomi sono utili per richiamare alla mente il radicale in lingua cinese ma sono fuorvianti per la ricostruzione filologica. Quanto al suo significato, anch'esso è fuorviante perché a livello di origine non rappresenta in nessun modo un sigillo: è un uomo inginocchiato ritratto di profilo. Anche i radicali Kangxi non sono esenti dai 7 errori elencati in precedenza: per esempio, 彐 ji4 è universalmente noto come "muso di maiale" in base alla definizione di Xu Shen, ma in nessun carattere raffigura il muso del maiale, bensì stilizza una mano solitamente impegnata ad afferrare qualcosa.

Nomi dei principali stili calligrafici cinesi modifica

I nomi dei principali stili calligrafici cinesi sono decisamente utili per dare un nome a una particolare grafia e/o nel momento in cui ci si imbatte nel loro nome in un dizionario di calligrafie o in un libro di filologia dei sinogrammi. I primi due nomi non sono stili, ma un'etichetta alle versioni sulle piastre di tartaruga, scapole di bue e sugli oggetti in bronzo. Anche gli ultimi due non sono nomi di stili calligrafici, ma sono importanti da elencare e tenere distinti quando si vede la scrittura di un carattere e/o si fa filologia. Da questi nomi e una loro successione, si può impostare lo studio della calligrafia base cinese per capire le loro caratteristiche, origini e periodizzazioni (gli stili sono evoluzioni che non partono dall'invenzione di un singolo calligrafo e più stili e proto-stili possono sovrapporsi).

Nome Pinyin Cantonese Traduzione/significato
甲骨文 jia3gu3wen2 gaap3 gwat1 man4 Versione sulle ossa oracolari ("Oracle Bones Script")
金文 jin1wen2 gam1 man4 Versione sui bronzi ("Bronze Inscriptions")
战国,

简牍

Zhan4guo2,

jian3du2

Zin3 gwok3,

gaan2 duk6

Versione degli Stati Combattenti ("Warring States"),

Versione sui listelli di bambù ("Bamboo Slips")

大篆,

籀文

da4zhuan4,

zhou4wen2

daai6 syun6,

zau6 man4

Grande Sigillo ("Great Seal"),

Stile Zhòu ("Zhòu Script")

小篆 xiao3zhuan4 siu2 syun6 Piccolo Sigillo ("Small Seal")
隶书 li4shu1 dai6 syu1 Stile degli Scrivani ("Clerical Script")
行书 xing2shu1 hang4 syu1 Scrittura Semi-corsiva ("Semi-cursive Script; Running Script")
楷书, 楷体 kai3shu1, kai3ti3 kaai2 syu1,

kaai2 tai2

Stile Regolare ("Regular Script")

["KaTi" è pure il nome del font su Microsoft Word]

草书 cao3shu1 cou2 syu1 Grafia a filo d'erba; Stile corsivo ("Grass Script; Cursive Script")
繁体(字) fan2ti3(zi4) faan4 tai2 (zi6) Carattere tradizionale ("Traditional Character")
简体(字) jian3ti3(zi4) gaan2 tai2 (zi6) Carattere semplificato ("Simplified Character")

Lista dei radicali Shuowen modifica

Nella tabella sotto, sono riassunti i radicali Shuowen, cioè gli antenati dei radicali Kangxi. Come dice il nome stesso, sono i 540 "bù" che Xu Shen ha individuato nella sua magistrale analisi dei caratteri cinesi scritti nella standardizzazione del periodo Qin, lo Shuowen Jiezi (Xu Shen non ha potuto consultare le ossa oracolari, cadute in disuso e diseppellite e tornate alla luce secoli dopo, forse a partire dal periodo Tang; quindi Xu Shen, nel suo studio lessicografico, descrive i caratteri come apparivano al suo tempo e compie anche alcuni errori nella divisione e interpretazione. Solo in dei casi cita degli arcaismi gǔwén 古文 presi da alcuni testi pre-Qin nascosti nei muri delle case per farli sfuggire ai roghi di Qin Shi Huangdi e cita dei caratteri in uno stile calligrafico più antico, lo stile Zhòuwén 籀文. Xu Shen non ha potuto nemmeno consultare i bronzi Shang e Zhou). La grafia originale di tutti i caratteri, radicali inclusi, era quella del Piccolo Sigillo (小篆 Xiǎozhuàn) e, nelle varie ristampe, correzioni e aggiunte di glosse, è rimasto intatto. L'opera è divisa in 15 parti e gli stessi radicali Shuowen sono divisibili in parti. 34 radicali non hanno caratteri, mentre 159 ne contano solo uno. Lo Shuowen Jiezi è tuttora esistente e consultabile, ma la prima copia sopravvissuta risale al periodo Tang. Il commentario più famoso e autorevole è quello di Xú Xuàn (徐鉉, 916–991), che scrisse a partire dal 986 su ordine diretto dell'Imperatore. Xu Xuan corresse molte annotazioni sbagliate dell'edizione di Li Yangbing e aggiunse la pronuncia in fanqie (siccome Xu Xuan è vissuto sotto la Dinastia Song, il suo fanqie riflette la pronuncia del cinese medio). Il secondo più grande commentario all'opera, è quello di Duan Yucai 段玉裁 (1735–1815), vissuto durante il periodo Qing. Impiegò 30 anni per scriverlo e lo pubblicò poco prima della propria morte. Lo Shuowen Jiezi oggi si trova anche online ed è tuttora oggetto di studio e consultazione, anche se con spirito critico (si vedano per esempio gli studi di Weldon South Coblin e Paul Serruys). "Shuowen Jiezi" è anche il nome di un programma cinese su Sun TV in cui ogni giorno una presentatrice spiega l'etimologia di un carattere al giorno al grande pubblico in soli 5 minuti.

Sezione Radicali Shuowen
1 (introduzione)
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Note modifica

  1. ^ Riconoscendo l'arbitrarietà delle definizioni, nella nomenclatura delle voci viene usato il termine "lingua" in accordo alle norme ISO 639-1, 639-2 o 639-3. Negli altri casi, viene usato il termine "dialetto".
  2. ^ Ad esempio, molti caratteri avevano già subito un'estesa semplificazione e linearizzazione; anche i processi di estensione semantica e di prestito fonetico erano chiaramente all'opera da qualche tempo, almeno da centinaia di anni e forse di più.
  3. ^ Henri Maspero, «Préfixes et dérivation en chinois archaïque», Mémoires de la Société de Linguistique de Paris n. 23, 1930, p. 5.313-27.
  4. ^ Si veda ad esempio Jerry Norman, Chinese, Cambridge University Press, 1988.
  5. ^ Tsu-lin Mei e Jerry Norman, «The Austroasiatics in Ancient South China: Some Lexical Evidence», Monumenta Serica, n. 32, 197?, p. 274-301.
  6. ^ E. G. Pulleybank, «Zou and Lu and the Sinification of Shandong», in Chinese Language, Thought and Culture: Nivision and His Critics, a cura di P. Ivanhoe, La Salle (Ill.), Open Court, 1996, pp. 39-57.
  7. ^ C = consonante non identificata

Bibliografia modifica

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