Luigi Pirandello

drammaturgo, scrittore e poeta italiano premio Nobel per la letteratura (1867-1936)
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Luigi Pirandello (Agrigento, 28 giugno 1867Roma, 10 dicembre 1936) è stato un drammaturgo, scrittore e poeta italiano, insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1934. Per la sua produzione, i temi affrontati e l'innovazione del racconto teatrale è considerato tra i più importanti drammaturghi del XX secolo. Tra i suoi lavori spiccano diverse novelle e racconti brevi (in italiano e in siciliano) e circa quaranta drammi, l'ultimo dei quali incompleto.

Luigi Pirandello nel 1934
Medaglia del Premio Nobel Premio Nobel per la letteratura 1934
Voce di Pirandello mentre legge un suo prologo a Sei personaggi in cerca d'autore (1926)

Biografia modifica

«Io son figlio del Caos; e non allegoricamente, ma in giusta realtà, perché son nato in una nostra campagna, che trovasi presso ad un intricato bosco denominato, in forma dialettale, Càvusu dagli abitanti di Girgenti, corruzione dialettale del genuino e antico vocabolo greco "Kaos".»

La famiglia modifica

 
Il padre Stefano Pirandello in divisa garibaldina

Luigi Pirandello, figlio di Stefano Pirandello e Caterina Ricci Gramitto, appartenenti a famiglie di agiata condizione borghese, dalle tradizioni risorgimentali, nacque nel 1867 in contrada "Càvusu" della città siciliana di Agrigento (denominata Girgenti fino al 1927).[1]

Nell'imminenza del parto che doveva avvenire a Porto Empedocle, per un'epidemia di colera che stava colpendo la Sicilia, il padre Stefano aveva deciso di trasferire la famiglia in un'isolata tenuta di campagna per evitare il contatto con la pestilenza. Porto Empedocle, prima di chiamarsi così, era una borgata (Borgata Molo) di Girgenti.

Il padre, Stefano Pirandello, aveva partecipato tra il 1860 e il 1862 alle imprese garibaldine; aveva sposato nel 1863 Caterina, sorella di un suo commilitone, Rocco Ricci Gramitto.

Il nonno materno di Luigi, Giovanni Battista Ricci Gramitto, era stato tra gli esponenti di spicco della rivoluzione siciliana del 1848-49 e, escluso dall'amnistia al ritorno del Borbone, era fuggito in esilio a Malta dove era morto un anno dopo, nel 1850, a soli 46 anni.[2] La famiglia di Pirandello viveva in una situazione economica agiata, grazie al commercio e all'estrazione dello zolfo.[3]

I primi anni modifica

 
La casa natale di Pirandello, in località "Caos" (Girgenti)

L'infanzia di Pirandello fu serena ma, come lui stesso avrebbe raccontato nel 1935, fu caratterizzata anche dalla difficoltà di comunicare con gli adulti e in specie con i suoi genitori, in modo particolare con il padre. Questo lo stimolò ad affinare le sue capacità espressive e a studiare il modo di comportarsi degli altri per cercare di corrispondervi al meglio.

Fin da ragazzo soffriva d'insonnia e dormiva abitualmente solo tre ore per notte.[4]

 
Luigi Pirandello adolescente (Agrigento, 1884)

Il giovane Luigi era molto devoto alla Chiesa cattolica a causa dell'influenza che ebbe su lui una domestica di famiglia che lo avvicinò alle pratiche religiose ma gli inculcò anche credenze superstiziose, fino a convincerlo della paurosa presenza degli "spiriti". La chiesa e i riti della confessione religiosa gli permettevano di accostarsi a un'esperienza di misticismo, che cercò di raggiungere in tutta la sua esistenza.[5]

Si allontanò dalle pratiche religiose per un avvenimento apparentemente di poco conto: un prete aveva truccato un'estrazione a sorte per far vincere un'immagine sacra al giovane Luigi; questi rimase così deluso dal comportamento inaspettatamente scorretto del sacerdote che non volle più avere a che fare con la Chiesa, praticando una religiosità del tutto diversa da quella tradizionale.[6]

Dopo l’istruzione elementare impartitagli privatamente, nel 1878 fu iscritto dal padre alla regia scuola tecnica di Girgenti, ma durante un’estate preparò, all’insaputa del padre, il passaggio agli studi classici. In seguito a un dissesto economico, la famiglia si trasferì a Palermo, dove il quattordicenne Luigi frequentò il regio ginnasio Vittorio Emanuele II e dove rimase anche dopo il rientro dei suoi, nel 1885, a Porto Empedocle. Qui si appassionò subito alla letteratura. A soli undici anni scrisse la sua prima opera, Barbaro, andata perduta. Per un breve periodo, nel 1886, aiutò il padre nel commercio dello zolfo, e poté conoscere direttamente il mondo degli operai nelle miniere e quello dei facchini delle banchine del porto mercantile.

Iniziò i suoi studi universitari a Palermo nel 1886, per recarsi in seguito a Roma, dove continuò i suoi studi di filologia romanza che poi, anche a causa di un insanabile conflitto con il rettore dell'ateneo capitolino,[7] dovette completare, su consiglio del suo maestro Ernesto Monaci, a Bonn[8] (1889).

A Bonn, importante centro culturale di quei tempi, Pirandello seguì i corsi di filologia romanza ed ebbe l'opportunità di conoscere grandi maestri come Franz Bücheler, Hermann Usener e Richard Förster. Si laureò nel 1891 con una tesi sulla parlata agrigentina, Foni ed evoluzione fonetica del dialetto di Girgenti (Laute und Lautentwicklung der Mundart von Girgenti), in cui descrisse il dialetto della sua città e quelli dell'intera provincia, che suddivise in diverse aree linguistiche. Il tipo di studi gli fu probabilmente di fondamentale aiuto nella stesura delle sue opere, dato l'alto grado di purezza della lingua italiana utilizzata. Durante il periodo di assenza dalla Sicilia, Pirandello teneva costantemente aggiornati i familiari su ciò che stava scrivendo e progettando, millantando successi ed incontri inesistenti. Tra questi affermò che la tesi e la laurea fossero imminenti - il che era ben lungi dall'esserlo - al solo scopo di farsi inviare del denaro per acquistare l'abito per la cerimonia.[9]

Nella città tedesca, alla fine di gennaio del 1890, conobbe a una festa in maschera la giovane Jenny Schulz-Lander, della quale si innamorò e con cui andò ad abitare nella pensione tenuta dalla madre della ragazza.[10] A lei dedicò i versi di Pasqua di Gea, dove la descrive come «lucifera fanciulla, tu che il mio tutto sei e pur, forse, sei nulla» e la ricordò anche nei versi di Fuori di chiave: «Fuori la neve eterna fiocca; / piano l'uscio s'apre e, un dito in bocca, / entra scalza Jenny...»[11] Quarant'anni dopo, Pirandello, ormai famoso, durante un soggiorno a New York, ricevette un biglietto, a cui non rispose, da Jenny, che nel frattempo era diventata scrittrice.[12]

Il matrimonio modifica

 
Maria Antonietta Portulano

Nel 1892 Pirandello si trasferì a Roma, dove poté mantenersi grazie agli assegni mensili inviati dal padre. Qui conobbe Luigi Capuana che lo aiutò molto a farsi strada nel mondo letterario e che gli aprì le porte dei salotti intellettuali dove ebbe modo di conoscere giornalisti, scrittori, artisti e critici.

Nel 1894, a Girgenti, Pirandello sposò Maria Antonietta Portulano (1871-1959), figlia di un ricco socio del padre e cugina di secondo grado. Questo matrimonio concordato soddisfaceva soprattutto gli interessi economici della famiglia di Pirandello.[13] Nonostante ciò tra i due coniugi nacque veramente l'amore e la passione. Grazie alla dote della moglie, la coppia godeva di una situazione molto agiata, che permise ai due di trasferirsi a Roma.

Nel 1895 nacque il primo figlio Stefano (1895-1972), a cui seguirono, due anni dopo, Rosalia Caterina (Lietta) (1897-1971) e dopo altri due anni, Fausto Calogero (1899-1975).

Il crollo finanziario e la malattia della moglie modifica

Nel 1903 un allagamento e una frana nella miniera di zolfo di Aragona di proprietà del padre, nella quale era stata investita parte della dote di Antonietta e da cui anche Pirandello e la sua famiglia traevano un notevole sostentamento, li ridusse sul lastrico.[14]

Questo avvenimento accrebbe il disagio mentale, già manifestatosi, della moglie di Pirandello, Antonietta. Ella era sempre più spesso affetta da attacchi di gelosia a causa dei quali o lei rientrava dai genitori in Sicilia o Pirandello era costretto a lasciare la casa. Il disturbo prese la forma di attacchi schizo-paranoidi con passaggi all'atto, che la portavano a scagliarsi contro tutte le donne che parlassero con il marito o che lei pensava che volessero avere un qualche tipo di rapporto con lui; perfino la figlia Lietta subì aggressioni fisiche[15] e, a causa del comportamento della madre, tentò il suicidio e poi se ne andò di casa.[16] La chiamata alle armi di Stefano nella Grande Guerra peggiorò ulteriormente la sua situazione mentale.[17]

Nel 1905 Pirandello portò la moglie in soggiorno a Chianciano Terme assieme ai figli dove soggiornò per due mesi in quello che lo scrittore definì «il paesello annidato sul colle ventoso proprio dirimpetto della Collegiata».[18] Due novelle contenute nel libro Novelle per un anno sono ambientate in questo paese: Acqua amara e Pallino e Mimì.

Solo diversi anni dopo, nel 1919, egli, ormai disperato, acconsentì che Antonietta fosse allontanata da casa pur ricevendo sempre le visite di figli e nipoti.[14][17] Antonietta Portulano morì in una clinica per malattie mentali di Roma, sulla via Nomentana, nel 1959, a 88 anni di età.[17] La malattia della moglie portò lo scrittore ad approfondire, portandolo ad avvicinarsi alle nuove teorie sulla psicoanalisi di Sigmund Freud, lo studio dei meccanismi della mente e ad analizzare il comportamento sociale nei confronti della malattia mentale.[17]

Spinto dalle ristrettezze economiche e dallo scarso successo delle sue prime opere letterarie e avendo come unico impiego fisso la cattedra di stilistica all'Istituto superiore di magistero femminile (che tenne dal 1897 al 1922)[14], lo scrittore dovette impartire lezioni private[14] di italiano e di tedesco, dedicandosi anche intensamente al suo lavoro letterario. Dal 1909 iniziò anche una collaborazione con il Corriere della Sera.

Il primo grande successo modifica

 
Luigi Pirandello (1920)

Il suo primo grande successo fu merito del romanzo "Il fu Mattia Pascal" scritto secondo la leggenda, nelle notti di veglia alla moglie paralizzata alle gambe, circostanza che in realtà manca di riscontri effettivi.[19][20] Il libro fu pubblicato nel 1904 e immediatamente tradotto in diverse lingue. La critica non diede subito al romanzo il successo che invece ebbe tra il pubblico. Numerosi critici non colsero il carattere di novità del romanzo, come d'altronde di altre opere di Pirandello. Questo ferì moltissimo l'amor proprio di Pirandello, che se la prese, in varie occasioni, con coloro che riteneva ingiustamente celebrati dalla critica, tra cui D'Annunzio e Pascoli. All'uscita de Canti di Castelvecchio e delle Laudi, confessò di detestarli nel modo più assoluto. Lo urtarono anche sia il fatto che D’Annunzio non lo degnò nemmeno di una replica, sia il sarcasmo di Pascoli che gli affibbiò il nomignolo "Pindirindello".[9]

Perché Pirandello arrivasse al successo definitivo si dovette aspettare il 1922, quando si dedicò totalmente al teatro. Lo scrittore siciliano aveva rinunciato a scrivere opere teatrali, quando l'amico Nino Martoglio gli chiese di mandare in scena nel suo Teatro Minimo presso il Teatro Metastasio di Roma alcuni suoi lavori: Lumie di Sicilia e l'Epilogo, un atto unico scritto nel 1892. Pirandello acconsentì e la rappresentazione il 9 dicembre 1910 dei due atti unici ebbe un discreto successo. Tramite i buoni uffici del suo amico Martoglio, anche Angelo Musco volle cimentarsi con il teatro pirandelliano: Pirandello tradusse per lui in siciliano Lumie di Sicilia, rappresentato con grande successo al Teatro Pacini di Catania il 1º luglio 1915.

Cominciò da questa data la collaborazione con Musco, che si guastò dopo qualche tempo per la diversità di opinioni sulla messa in scena di Musco della commedia Liolà nel novembre del 1916 al teatro Argentina di Roma[21]: «Gravi dissensi» di cui Pirandello scriveva nel 1917 al figlio Stefano.[22]

Dalla Grande Guerra al Nobel: il successo internazionale modifica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Teatro d'Arte di Roma.

La guerra fu un'esperienza dura per Pirandello; il figlio Stefano venne infatti imprigionato dagli austriaci, e, una volta rilasciato, ritornò in Italia gravemente malato e con i postumi di una ferita. Durante la guerra, inoltre, le condizioni psichiche della moglie si aggravarono al punto da rendere inevitabile il ricovero in manicomio (1919), dove rimase, come detto, fino alla morte.[17] Dopo la guerra, lo scrittore si immerse in un lavoro frenetico, dedicandosi soprattutto al teatro. Nel 1925 fondò la Compagnia del Teatro d'Arte di Roma con due grandissimi interpreti dell'arte pirandelliana: Marta Abba e Ruggero Ruggeri. Con questa compagnia cominciò a viaggiare per il mondo: le sue commedie vennero rappresentate anche nei teatri di Broadway.

Nel giro di un decennio arrivò a essere il drammaturgo di maggior fama nel mondo, come testimonia il premio Nobel per la letteratura ricevuto nel 1934,[17] "per il suo ardito e ingegnoso rinnovamento dell'arte drammatica e teatrale".[23] Degno di nota fu lo stretto rapporto con la giovane Abba, sua musa ispiratrice, della quale Pirandello, secondo molti biografi e conoscenti, era innamorato forse solamente in maniera platonica.[24][25][26]

Molte delle opere pirandelliane cominciavano intanto a essere trasposte al cinema: Pirandello andava spesso ad assistere alla lavorazione dei film; andò anche negli Stati Uniti d'America, dove famosi attori e attrici di Hollywood, come Greta Garbo, interpretavano i suoi soggetti. Nell'ultimo di questi viaggi (1935) andò a trovare, su invito, Albert Einstein a Princeton. In una conferenza stampa, Pirandello difese con veemenza la politica estera del fascismo, come la guerra d'Etiopia, e accusando i giornalisti statunitensi di ipocrisia, citando il colonialismo contro i nativi americani.[27]

Pirandello e la politica: l'adesione al fascismo modifica

Pirandello non aveva mai preso specifiche posizioni politiche, tranne l'ammirazione per il patriottismo garibaldino di famiglia. L'idea politica di fondo di Pirandello era legata principalmente a questo patriottismo risorgimentale. Una sua lettera apparsa nel 1915 sul Giornale di Sicilia testimonia gli ideali patriottici della famiglia, proprio nei primi mesi dallo scoppio della Grande Guerra durante la quale il figlio Stefano fu fatto prigioniero dagli austriaci e rinchiuso, per la maggior parte della prigionia, nel campo di concentramento di Pian di Boemia, presso Mauthausen. Pirandello non riuscì a far liberare il figlio malato, neppure con l'intervento del papa Benedetto XV.[28]

Nella sua vita condivise alcune delle idee dei giovani Fasci siciliani e del socialismo; ne I vecchi e i giovani si nota come l'idea politica di Pirandello fosse stata oscurata dalla riflessione "umoristica". Per Pirandello, i siciliani avevano subìto le peggiori ingiustizie dai vari governi italiani: è questa l'unica idea forte che ci presenta.

Nella prima guerra mondiale, come detto, fu un interventista, anche se avrebbe preferito che il figlio non partecipasse in prima linea alla guerra, cosa che invece Stefano fece, arruolandosi volontario immediatamente e rimanendo ferito e prigioniero degli austriaci, situazione che fu estremamente angosciosa per lo scrittore.[29] Nel primo dopoguerra, non aderì subito ai Fasci di combattimento, tuttavia pochi anni dopo rese esplicita l'adesione al fascismo. Il 28 ottobre 1923 fu ricevuto da Mussolini a Palazzo Chigi. Il 17 settembre 1924 Pirandello chiese l'iscrizione al PNF, inviando un telegramma a Mussolini, pubblicato subito dall'agenzia Stefani:

«Eccellenza, sento che questo è per me il momento più proprio di dichiarare una fede nutrita e servita sempre in silenzio. Se l'E.V. mi stima degno di entrare nel Partito Nazionale Fascista, pregerò come massimo onore tenermi il posto del più umile e obbediente gregario. Con devozione intera.[30][31]»

Il telegramma arrivava in un momento di grande difficoltà per il presidente del Consiglio, dopo il ritrovamento il 16 agosto del corpo dell'onorevole Giacomo Matteotti.[30][32]

Per la sua adesione al fascismo, Pirandello fu duramente attaccato da alcuni intellettuali e politici italiani, fra cui il deputato liberale Giovanni Amendola che in un articolo arrivò a dargli dell'"accattone" che voleva a tutti i costi divenir senatore del Regno.[33] Pirandello, pur non ritrovandosi caratterialmente con Mussolini e molti gerarchi, non rinnegò mai la sua adesione al fascismo, motivata tra le altre cose da una profonda sfiducia nei regimi socialdemocratici (così come non si interessò mai del marxismo, solo ne I vecchi e i giovani mostra un leggero interesse per il socialismo), regimi nei quali sin da inizio Novecento si andavano trasformando le democrazie liberali, che riteneva a loro volta corrotte, portando ad esempio gli scandali del primo governo giolittiano e il trasformismo; provava inoltre un deciso disprezzo per la classe politica del tempo,[33][34] che avrebbe voluto vedere, nichilisticamente, cancellata dalla vita del Paese, e una forte sfiducia verso la «massa» caotica del popolo, che andava, secondo lui, istruita e guidata da una sorta di "monarca illuminato".[35]

 
Pirandello al «Théâtre Edouard VII» per i Sei personaggi in cerca d'autore (Parigi, 1925)

Nel 1925 Pirandello fu tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali fascisti, redatto da Giovanni Gentile. L'adesione di Pirandello al Fascismo fu per molti imprevista e sorprese anche i suoi più stretti amici; sostanzialmente egli, per un certo conservatorismo che comunque aveva, guardava al Duce come riorganizzatore di una società in disfacimento e ormai completamente disordinata.[36]

Un'altra motivazione addotta per spiegare tale scelta politica è che il fascismo lo riconduceva a quegli ideali patriottici e risorgimentali di cui Pirandello era convinto sostenitore, anche per le radici garibaldine del padre. Secondo questa tesi, Pirandello vedeva nel Fascismo la prima idea originale post-risorgimentale, che doveva rappresentare la "forma" nuova dell'Italia destinata a divenire modello per l'Europa.[37]

Potrebbe apparire un punto di contatto tra Pirandello e il fascismo[38] il sostenuto relativismo filosofico di entrambi. In realtà ben diverso è il relativismo morale fascista fondato sull'attivismo soreliano[39][40] e il relativismo esistenziale pirandelliano che si richiama all'originario movimento scettico-razionale europeo della fine del XIX secolo e l'inizio del XX.[41]

 
Pirandello nel 1932

«Pirandello si fa interprete di un relativismo pessimistico, angosciato, negatore di ogni certezza, del tutto incompatibile con l'ansia attivistica o relativistica - positiva - del nostro tempo.[41]»

Sempre nel solco di Amendola e dei critici antifascisti vi è anche un commento più pragmatico alla sua iscrizione al Partito fascista, la quale avrebbe avuto origine nel suo ricercare finanziamenti per la creazione della sua nuova compagnia teatrale, che avrebbe così avuto il sostegno del regime e le relative sovvenzioni, anche se il governo, perfino dopo il Nobel, gli preferì sempre Gabriele D'Annunzio e Grazia Deledda, anche lei vincitrice del premio, come letterati ideali del regime, mentre Pirandello ebbe molta difficoltà a reperire i fondi statali, che Mussolini spesso non voleva concedergli.[24][35][42]

In ogni caso, come detto, non furono infrequenti suoi scontri violenti con autorità fasciste e dichiarazioni aperte di apoliticità: «Sono apolitico: mi sento soltanto uomo sulla terra. E, come tale, molto semplice e parco; se vuole potrei aggiungere casto...».[35] Clamoroso fu il gesto del 1927, narrato da Corrado Alvaro,[43] in cui Pirandello a Roma strappò la sua tessera del partito davanti agli occhi esterrefatti del Segretario Nazionale.[44] Nonostante ciò, una rottura aperta col fascismo non si consumò mai.[36] Anzi, quello stesso anno sul quotidiano "L'Impero" del 12 marzo, apparve una sua intervista con tanto di foglio autografo dell’autore stampato in prima pagina: «Mussolini non trova paragoni nella storia, mai esistito un condottiero che abbia saputo dare al suo popolo una così viva impronta della sua personalità».[45]

Nel 1928 si concluse senza troppa fortuna l'esperienza del Teatro d'Arte cominciata quattro anni prima; dopo lo scioglimento, in tacita polemica con il regime fascista che a suo avviso era troppo parco di sostegno ai suoi progetti teatrali, Pirandello si ritirò per qualche mese a Berlino insieme a Marta Abba, primadonna della compagnia. Forse a parziale compensazione di questo mancato sostegno, nel 1929 Pirandello fu uno dei primi 30 accademici, nominati direttamente da Mussolini, della neo costituita Reale Accademia d'Italia.

Nel 1935, in nome dei suoi ideali patriottici, partecipò alla raccolta dell'"oro per la patria" donando la medaglia del premio Nobel ricevuto l'anno prima,[46] gesto compiuto, tra gli altri, anche dall'antifascista Benedetto Croce, che donò la medaglia da senatore.

Questa scelta di adesione al regime è stata spesso sia minimizzata sia accentuata dalla critica, poiché sostanzialmente l'ideologia fascista non ebbe mai parte nella vita e nell'opera pirandelliana, abbastanza avulse dalla realtà politica, cosicché egli non fu in grado di vedere e giudicare le violenze fasciste; tuttavia il contenuto idealmente anarchico, corrosivo, pessimista e quasi sempre anti-sistema delle sue opere era guardato con sospetto da molti intellettuali e uomini politici del PNF, che non lo consideravano degno di una vera "arte fascista".[47] La critica fascista difatti non sempre esaltava le opere di Pirandello, spesso considerandole non conformi agli ideali fascisti: vi si vedeva una certa insistenza e considerazione di quella borghesia altolocata (che pure Pirandello non amava particolarmente) che il fascismo formalmente condannava come corrotta e decadente. Gli arzigogoli filosofici dei personaggi dei drammi borghesi pirandelliani erano considerati quanto di più lontano dall'attivismo fascista.[48]

Anche dopo l'attribuzione del Nobel, parecchi suoi lavori furono accusati dalla stampa di regime di disfattismo, tanto che anche Pirandello finì tra i "controllati speciali" dell'OVRA.[49] Negli ultimi anni viaggiò difatti molto, andò in Francia e negli Stati Uniti, quasi in un volontario esilio dal clima culturale italiano di quegli anni.[36] Nonostante i suoi elogi al capo del governo, il Duce fece sequestrare l'opera La favola del figlio cambiato, per alcune scene ritenute non consone, impedendone le repliche (a Pirandello venne imposta, per contrasto, la regia dell'opera dannunziana La figlia di Jorio).[24]

Le volontà testamentarie di Pirandello, infine, che negavano ogni funerale e celebrazione dopo la morte dello scrittore, misero in imbarazzo i fascisti e lo stesso Mussolini, che ordinò così alla stampa che non ci fossero troppe celebrazioni sui quotidiani, ma che ne fosse data solo la notizia, come di un semplice fatto di cronaca.[35]

Il rifugio a Soriano nel Cimino modifica

Luigi Pirandello amava trascorrere ampi periodi dell'anno nella quiete di Soriano nel Cimino (VT), un'amena e bella cittadina ricca di monumenti storici e immersa nei boschi del Monte Cimino. In particolare Pirandello rimase affascinato dalla maestosità e dalla quiete di uno stupendo castagneto situato nella località di "Pian della Britta", a cui volle dedicare un'omonima poesia, che oggi è scolpita su una lapide di marmo posta proprio in tale località.

Pirandello ambientò a Soriano nel Cimino (citando luoghi, località e personaggi realmente esistiti) anche due tra le sue più celebri novelle Rondone e Rondinella e Tomassino ed il filo d'erba. A Soriano nel Cimino, è rimasto vivo ancora oggi il ricordo di Pirandello a cui sono dedicati monumenti, lapidi e strade.

Luigi Pirandello frequentò anche Arsoli per molti anni, soprattutto durante i periodi estivi, dove amava dissetarsi con una gassosa nell'allora bar Altieri in piazza Valeria. Il suo amore per il paese si ritrova nella definizione che egli stesso diede ad Arsoli chiamandola "La piccola Parigi".

La morte e il testamento modifica

Appassionato di cinematografia, mentre assisteva a Cinecittà alle riprese di un film tratto dal suo romanzo Il fu Mattia Pascal, nel novembre 1936 si ammalò di polmonite.[50] Pirandello aveva 69 anni, e aveva già subito due attacchi di cuore; il suo corpo, ormai segnato dal tempo e dagli avvenimenti della vita, non sopportò oltre. Al medico che tentava di curarlo, disse: «Non abbia tanta paura delle parole, professore, questo si chiama morire»; dopo 15 giorni, la malattia si aggravò e il 10 dicembre 1936 Pirandello morì, lasciando incompiuto l'ultimo lavoro teatrale, I giganti della montagna, opera a sfondo mitologico.[17] Il terzo atto venne ideato e illustrato, nell'ultima notte di vita, dal figlio Stefano che lo scrisse poi sotto forma di narrativa, tentandone anche una ricostruzione, onde integrare la sceneggiatura del dramma, che solitamente è però rappresentato nella forma incompiuta, in due atti.[51]

  Lo stesso argomento in dettaglio: Le ceneri di Pirandello.

Per Pirandello il regime fascista avrebbe voluto esequie di Stato. Vennero invece rispettate le sue volontà espresse nel testamento scritto nel 1911: «Carro d'infima classe, quello dei poveri. Nudo. E nessuno m'accompagni, né parenti né amici. Il carro, il cavallo, il cocchiere e basta. Bruciatemi».[14] Per sua volontà il corpo, senza alcuna cerimonia, fu cremato, per evitare postume consacrazioni cimiteriali e monumentali. Le sue ceneri furono deposte in una preziosa anfora greca già di sua proprietà e tumulate nel cimitero del Verano. Successivamente, nel 1947, Andrea Camilleri e altri quattro studenti dettero il via a un lento e travagliato adempimento delle sue ultime volontà (in caso non fosse stato possibile lo spargimento): far seppellire le ceneri nel giardino della villa di contrada "Caos", dove era nato. Il giurista e politico Gaspare Ambrosini, dopo il rifiuto di un pilota statunitense di volare da Roma a Palermo con a bordo le ceneri di un morto, trasportò l'anfora in treno, chiusa in una cassetta di legno. A Palermo il corteo funebre venne però bloccato dal vescovo di Agrigento Giovanni Battista Peruzzo, contrario a un corteo con un defunto cremato. Camilleri si recò dal vescovo, che rimase inamovibile; il futuro scrittore propose allora con successo l'idea di inserire l'anfora in una bara, che venne appositamente affittata. Il corteo, per un breve tratto a piedi e poi a bordo di una littorina, giunse ad Agrigento.[52] Dopo una cerimonia religiosa, l'anfora con le ceneri venne estratta dalla bara e riposta nel Museo Civico di Agrigento, in attesa della costruzione di un monumento nel giardino della villa. Solo dopo parecchi anni dalla morte, nel 1962, fu realizzata una scultura monolitica di Renato Marino Mazzacurati, artista vincitore del concorso indetto, costituita principalmente da una grossa pietra non lavorata. Le ceneri vennero portate nel giardino e versate in un cilindro di rame inserito nel terreno, che venne chiuso da una pietra sigillata con del cemento.

Una parte rimanente delle ceneri, trovata anni dopo attaccata ai lati interni dell'anfora, non essendo più contenibile nel cilindro ricolmo e riaperto per l'occasione, venne dispersa, rispettando il desiderio originario di Pirandello stesso.[53] Per la precisione storica a stabilire, nei minimi particolari, come dovevano svolgersi i funerali dei resti di Pirandello ad Agrigento, fu l'allora Sostituto della Segreteria di Stato del Vaticano Mons. Giovanni Battista Montini (futuro papa Paolo VI). L'alto prelato, con una lettera, datata 3 maggio 1939, indirizzata al vescovo di Agrigento Mons. Peruzzo "sollecitava" che la manifestazione religiosa "dovrà essere subordinata all'assicurazione che le ceneri [nel vaso greco (n.d.r.)] dello scrittore siano composte in una cassa funebre, come si usa per ogni salma, e che la notizia dell'avvenuta cremazione sia tenuta nascosta". Monsignor Peruzzo, nel 1947, anno in cui ebbero luogo i funerali nella città dei templi, attuò scrupolosamente e senza alcuna discrezionalità o sollecitazioni locali le "disposizioni" vaticane.

Il pensiero modifica

 
Pirandello nel 1924

«... davanti agli occhi di una bestia crolla come un castello di carte qualunque sistema filosofico.»

Pirandello si occupò di questioni teoriche fin da giovane nonostante fosse convinto che qualunque filosofia sarebbe fallita di fronte all'insondabilità dell'uomo quando in lui prevale la "bestia", l'aspetto animalesco e irrazionale.

Si avvicinò alle teorie dello psicologo Alfred Binet sulla pluralità dell'io. Pubblicò nel 1908 i saggi Arte e Scienza e L'umorismo caratterizzati da un'esposizione di stile colloquiale, molto lontana dal consueto discorso filosofico. Le due opere sono espressione di un'unica maturazione artistica ed esistenziale che ha coinvolto lo scrittore siciliano all'inizio del Novecento e che vede come centrale proprio la poetica dell'umorismo.

L'umorismo modifica

 
L'Umorismo, la prima edizione del 1908

Nel 1908 Pirandello scrive L'umorismo, un saggio dove confluiscono idee, brani di scritti e appunti precedenti: ad esempio sue varie chiose e annotazioni a L'indole e il riso di Luigi Pulci di Attilio Momigliano e parti dell'articolo Alberto Cantoni, che era apparso già nella «Nuova Antologia» del 16 marzo 1905. Come ha osservato Daniela Marcheschi, L'umorismo di Pirandello si inserisce «in un rigoglioso e più che secolare campo di meditazione e ricerca sull'omonimo tema; e ai primi del Novecento rappresenta, nel nostro paese, il momento riepilogativo probabilmente più soddisfacente, per l'epoca, di una serie di acquisizioni teoriche che la cultura internazionale aveva chiare e consolidate da tempo. Bisognerà infatti aspettare l'importante studio di Alberto Piccoli Genovese, Il Comico, l’Umore e la Fantasia o Teoria del Riso come Introduzione all’Estetica, pubblicato nel 1926 presso la casa editrice Fratelli Bocca, a Torino, per avere un saggio di ampia informazione e documentazione, di solido spessore speculativo - pur nell'ispirazione idealistica d'ascendenza crociana da cui prende le mosse: tecnicamente persuasivo, insomma, e con ben altre fondamenta teoretiche».[55]

Nel succitato saggio Pirandello distingue il comico dall'umoristico[56] Il primo, definito come "avvertimento del contrario",[57] nasce dal contrasto tra l'apparenza e la realtà. Nel saggio Pirandello ce ne fornisce un esempio:

«Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di qual orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d'abiti giovanili. Mi metto a ridere. "Avverto" che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e superficialmente, arrestarmi a questa espressione comica. Il comico è appunto un "avvertimento del contrario"»

L'umorismo, il "sentimento del contrario", invece nasce da una considerazione meno superficiale della situazione:

«Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente, s'inganna che, parata così, nascondendo le rughe e le canizie, riesca a trattenere a sé l'amore del marito molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento, o piuttosto, più addentro: da quel primo avvertimento del contrario mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed è tutta qui la differenza tra il comico e l'umoristico»

Quindi, mentre il comico genera quasi immediatamente la risata perché mostra subito la situazione evidentemente contraria a quella che dovrebbe normalmente essere, l'umorismo nasce da una più ponderata riflessione che genera una sorta di compassione da cui si origina un sorriso di comprensione. Nell'umorismo c'è il senso di un comune sentimento della fragilità umana da cui nasce un compatimento per le debolezze altrui che sono anche le proprie. L'umorismo è meno spietato del comico che giudica in maniera immediata.

«non ci fermiamo alle apparenze, ciò che inizialmente ci faceva ridere adesso ci farà tutt'al più sorridere.»

La poetica pirandelliana dell'umorismo nasce in realtà già nel 1904, quando vengono pubblicate le due premesse de Il fu Mattia Pascal, dove – richiamandosi a Il Copernico di Leopardi nelle Operette morali (1827) – riprende l'ironia letteraria di Leopardi, che attribuiva la scoperta copernicana dell'eliocentrismo alla pigrizia del Sole stanco di girare attorno ai pianeti. Il richiamo a Copernico si ritrova poi nel saggio su L'umorismo (cap. 5 della seconda parte), dove Pirandello vede una notazione umoristica nella contrapposizione di due sentimenti opposti per i quali, dopo la scoperta copernicana, l'uomo scopre di essere una parte infinitesimale dell'universo e nello stesso tempo la sua capacità di compenetrarsene.

La crisi dell'io modifica

L'analisi dell'identità condotta da Pirandello lo portò a formulare la «teoria della crisi dell'io». In un articolo del 1900 scrisse:

«Il nostro spirito consiste di frammenti, o meglio, di elementi distinti, più o meno in rapporto tra loro, essi si possono disgregare e ricomporre in un nuovo aggregamento, così che ne risulti una nuova personalità, che pur fuori dalla coscienza dell'io normale, ha una propria coscienza a parte, indipendente, la quale si manifesta viva e in atto, oscurandosi la coscienza normale, o anche coesistendo con questa, nei casi di vero e proprio sdoppiamento dell'io. [...] Talché veramente può dirsi che due persone vivono, agiscono a un tempo, ciascuna per proprio conto, nel medesimo individuo. Con gli elementi del nostro io noi possiamo perciò comporre, costruire in noi stessi altri individui, altri esseri con propria coscienza, con propria intelligenza, vivi e in atto.»

Paradossalmente, il solo modo per recuperare la propria identità è la "follia", tema centrale in molte opere, come l'Enrico IV o come Il berretto a sonagli, nel quale Pirandello inserisce addirittura una ricetta per la pazzia: dire sempre la verità, la nuda, cruda e tagliente verità, infischiandosene dei riguardi, delle maniere, delle ipocrisie e delle convenzioni sociali. Questo comportamento porterà presto all'isolamento da parte della società e, agli occhi degli altri, alla pazzia.

Abbandonando le convenzioni sociali e morali l'uomo può ascoltare la propria interiorità e vivere nel mondo secondo le proprie leggi, cala la maschera e percepisce sé stesso e gli altri senza dover creare un personaggio, è semplicemente persona. Esemplare di tale concezione è l'evoluzione di Vitangelo Moscarda, protagonista di Uno, nessuno e centomila.

La "lanterninosofia" modifica

Ancora sulla crisi dell'identità del singolo impotente con la sua razionalità di fronte al mistero universale che lo circonda, Pirandello, all'inizio del XIII capitolo del romanzo Il fu Mattia Pascal, espone metaforicamente la sua filosofia del "lanternino", tramite il monologo che il personaggio di Anselmo Paleari rivolge al protagonista Mattia Pascal, in cui la piccola lampada rappresenta il sentimento umano, che non riesce ad alimentarsi se non tramite le illusioni di fede e ideologie varie ("i lanternoni"), ma che altrimenti provoca l'angoscia del buio che lo circonda all'uomo, l'animale che ha il triste privilegio di "sentirsi vivere".[59]

«[Il lanternino] che proietta tutto intorno a noi un cerchio più o meno ampio di luce, di là dal quale è l'ombra nera, l'ombra paurosa che non esisterebbe se il lanternino non fosse acceso in noi, ma che noi purtroppo dobbiamo credere vera, fintanto ch'esso si mantiene vivo in noi. Spento alla fine da un soffio, ci accoglierà la notte perpetua dopo il giorno fumoso della nostra illusione, o non rimarremo noi piuttosto alla mercé dell'Essere, che avrà soltanto rotto le vane forme della nostra ragione?»

La sua sfiducia verso la fede religiosa tradizionale lo porta ad accentuare così il proprio vuoto spirituale, che cercò di riempire, come il citato personaggio del Paleari, con l'interesse personale verso l'occultismo, la teosofia e lo spiritismo, che tuttavia non gli daranno la serenità esistenziale.[60]

Il contrasto tra vita e forma modifica

Luigi Pirandello svolge una ricerca inesausta sull'identità della persona nei suoi aspetti più profondi, dai quali dipendono sia la concezione che ogni persona ha di sé, sia le relazioni che intrattiene con gli altri. Influenzato dalla filosofia irrazionalistica di fine secolo, in particolare di Bergson, Pirandello ritiene che l'universo sia in continuo divenire e che la vita sia dominata da una mobilità inesauribile e infinita. L'uomo è in balia di questo flusso dominato dal caso, ma a differenza degli altri esseri viventi tenta, inutilmente, di opporsi costruendo forme fisse, nelle quali potersi riconoscere, ma che finiscono con il legarlo a "maschere" in cui non può mai riconoscersi o alle quali è costretto a identificarsi per dare comunque un senso alla propria esistenza.[61]

Se l'essenza della vita è il flusso continuo, il perenne divenire, quindi fissare il flusso equivale a non vivere, poiché è impossibile fissare la vita in un unico punto. Questa dicotomia tra "vita" e "forma", accompagnerà l'autore in tutta la sua produzione evidenziando la sconfitta dell'uomo di fronte alla società, dovuta all'impossibilità di fuggire alle convenzioni di quest'ultima se non con la follia. Solo il "folle", che pure è una figura sofferente ed emarginata, riesce talvolta a liberarsi dalla maschera, e in questo caso può avere un'esistenza autentica e vera, che resta impossibile agli altri in quanto non è fattibile denudare la maschera o le maschere, la propria identità (Maschere nude è infatti il titolo della raccolta delle sue opere teatrali).[61]

Questa riflessione, che si rispecchia nelle varie opere con accenti ora lievi ora gravi e tragici, è stata, per opera soprattutto dello studioso Adriano Tilgher, interpretata come un sistema filosofico basato sul contrasto tra la "vita" e la "forma", che talvolta ha fatto esprimere alla critica un giudizio negativo delle ultime opere precedenti alla Trilogia dei miti,[62] accusate a volte di "pirandellismo", cioè di riproporre sempre lo stesso schema di lettura.[61]

 
Luigi Pirandello (1930)

Il relativismo psicologico o conoscitivo modifica

«La verità? è solo questa: che io sono, sì, la figlia della signora Frola - Ah! - E la seconda moglie del signor Ponza - Oh! E come? - Sì; e per me nessuna! nessuna! - Ah, no, per sé, lei, signora: sarà l'una o l'altra! - Nossignori. Per me, io sono colei che mi si crede. (...) Ed ecco, o signori, come parla la verità.»

Dal contrasto tra la "vita" e la "forma" nasce quel "relativismo psicologico" che si esprime in due sensi: orizzontale, ovvero nel rapporto interpersonale, e verticale, ovvero nel rapporto che una persona ha con sé stessa.

Gli uomini nascono liberi ma il "caso" interviene nella loro vita precludendo ogni loro scelta: l'uomo nasce in una società precostituita dove a ognuno viene assegnata una parte secondo la quale deve comportarsi.

Ciascuno è obbligato a seguire il ruolo e le regole che la società impone, anche se l'io vorrebbe manifestarsi in modo diverso: solo per l'intervento del caso può accadere di liberarsi di una "forma" per assumerne un'altra, dalla quale non sarà più possibile liberarsi per tornare indietro, come accade al protagonista de Il fu Mattia Pascal.

L'uomo dunque non può capire né gli altri né tanto meno sé stesso, poiché ognuno vive portando - consapevolmente o, più spesso, inconsapevolmente - una maschera dietro la quale si agita una moltitudine di personalità diverse e inconoscibili.

Queste riflessioni trovano la più esplicita manifestazione narrativa nel romanzo Uno, nessuno e centomila:

  • Uno perché ogni persona crede di essere un individuo unico con caratteristiche particolari;
  • Centomila perché l'uomo ha, dietro la maschera, tante personalità quante sono le persone che ci giudicano;
  • Nessuno perché, paradossalmente, se l'uomo ha centomila personalità diverse, invero, è come se non ne possedesse nessuna, nel continuo cambiare non è capace di fermarsi nel suo vero "io".[63]

L'incomunicabilità modifica

Il relativismo conoscitivo e psicologico su cui si basa il pensiero di Pirandello si scontra con il conseguente problema dell'incomunicabilità tra gli uomini: poiché ogni persona ha un proprio modo di vedere la realtà, non esiste un'unica realtà oggettiva, ma tante realtà quante sono le persone che credono di possederla e dunque ognuno ha una propria "verità".

L'incomunicabilità produce quindi un sentimento di solitudine ed esclusione dalla società e persino da sé stessi, poiché proprio la crisi e frammentazione dell'io interiore crea diversi io discordanti. Il nostro spirito consiste di frammenti che ci fanno scoprire di essere "uno, nessuno, centomila".

I personaggi dei drammi pirandelliani, come il Vitangelo Moscarda del romanzo Uno, nessuno e centomila e i protagonisti della commedia Sei personaggi in cerca d'autore, di conseguenza avvertono un sentimento di estraneità dalla vita che li fanno sentire «forestieri della vita»[64], nonostante la continua ricerca di un senso dell'esistenza e di un'identificazione di un proprio ruolo, che vada oltre la maschera, o le diverse e innumerevoli maschere, con cui si presentano al cospetto della società o delle persone più vicine.

La reazione al relativismo modifica

Reazione passiva modifica

L'uomo accetta la "maschera", che lui stesso ha messo o con cui gli altri tendono a identificarlo. Ha provato sommessamente a mostrarsi per quello che lui 'crede' di essere ma, incapace di ribellarsi o deluso dopo l'esperienza di vedersi attribuita una nuova maschera, si rassegna. Vive nell'infelicità, con la coscienza della frattura tra la vita che vorrebbe vivere e quella che gli altri gli fanno vivere per come essi lo vedono. Accetta alla fine passivamente il ruolo da recitare che gli si attribuisce sulla scena dell'esistenza. Questa è la reazione tipica delle persone più deboli come si può vedere nel romanzo Il fu Mattia Pascal.

Reazione ironico - umoristica modifica

 
Primo piano di Luigi Pirandello (anni '30)

Il soggetto non si rassegna alla sua "maschera" però accetta il suo ruolo con un atteggiamento ironico, aggressivo o umoristico. Ne fanno esempio varie opere di Pirandello come: Pensaci, Giacomino!, Il giuoco delle parti e La patente. Il personaggio principale di quest'ultima opera, Rosario Chiàrchiaro, è un uomo cupo, vestito sempre in nero che si è fatto involontariamente la nomea di iettatore e per questo è sfuggito da tutti ed è rimasto senza lavoro. Il presunto iettatore non accetta l'identità che gli altri gli hanno attribuito ma comunque se ne serve. Va dal giudice e, poiché tutti sono convinti che sia un menagramo, pretende la patente di iettatore autorizzato. In questo modo avrà un nuovo lavoro: chi vuole evitare le disgrazie che promanano da lui, dovrà pagare per allontanarlo. La maschera rimane ma almeno se ne ricava un vantaggio.

Reazione drammatica modifica

L'uomo, accortosi del relativismo, si renderà conto che l'immagine che aveva sempre avuto di sé non corrisponde in realtà a quella che gli altri avevano di lui e cercherà in ogni modo di carpire questo lato inaccessibile del suo io.

Vuole togliersi la "maschera" che gli è stata imposta e reagisce con disperazione. Non riesce a strapparsela e allora se è così che lo vuole il mondo, egli sarà quello che gli altri credono di vedere in lui e non si fermerà nel mantenere questo suo atteggiamento sino alle ultime e drammatiche conseguenze. Si chiuderà in una solitudine disperata che lo porta al dramma, alla pazzia o al suicidio. Da tale sforzo verso un obiettivo irraggiungibile nascerà la voluta follia. La follia è infatti in Pirandello lo strumento di contestazione per eccellenza delle forme fasulle della vita sociale, l'arma che fa esplodere convenzioni e rituali, riducendoli all'assurdo e rivelandone l'inconsistenza.

Solo e unico modo per vivere, per trovare il proprio io, è quello di accettare il fatto di non avere un'identità, ma solo centomila frammenti (e quindi di non essere "uno" ma "nessuno"), accettare l'alienazione completa da sé stessi. Tuttavia la società non accetta il relativismo, e chi lo fa viene ritenuto fuori di testa. Esemplari sono i personaggi dei drammi Enrico IV, dei Sei personaggi in cerca d'autore, o di Uno, nessuno e centomila.

Teatro modifica

 
Busto di Pirandello in un parco di Palermo, il "Giardino Inglese". Il busto si trova vicino all'ingresso di via Libertà.

Pirandello divenne famoso proprio grazie al teatro che chiama "teatro dello specchio", perché in esso viene raffigurata la vita vera, quella nuda, amara, senza la maschera dell'ipocrisia e delle convenienze sociali, di modo che lo spettatore si guardi come in uno specchio così come realmente è, e diventi migliore. Dalla critica viene definito come uno dei grandi drammaturghi del XX secolo. Scriverà moltissime opere,[65] alcune delle quali rielaborazioni delle sue stesse novelle, che vengono divise in base alla fase di maturazione dell'autore:

  • Prima fase - Il teatro siciliano
  • Seconda fase - Il teatro umoristico/grottesco
  • Terza fase - Il teatro nel teatro (metateatro)
  • Quarta fase - Il teatro dei miti

Generalmente si attribuisce l'interesse di Pirandello per il teatro agli anni della maturità, ma alcuni precedenti mostrano come tale convinzione necessiti di una rivalutazione: in gioventù, infatti, Pirandello compose alcuni lavori teatrali, andati perduti poiché da lui stesso bruciati (tra gli altri, il copione de Gli uccelli dell'alto). In una lettera del 4 dicembre 1887, indirizzata alla famiglia, si legge:

«Oh, il teatro drammatico! Io lo conquisterò. Io non posso penetrarvi senza provare una viva emozione, senza provare una sensazione strana, un eccitamento del sangue per tutte le vene. Quell'aria pesante chi vi si respira, m'ubriaca: e sempre a metà della rappresentazione io mi sento preso dalla febbre, e brucio. È la vecchia passione chi mi vi trascina, e non vi entro mai solo, ma sempre accompagnato dai fantasmi della mia mente, persone che si agitano in un centro d'azione, non ancora fermato, uomini e donne da dramma e da commedia, viventi nel mio cervello, e che vorrebbero d'un subito saltare sul palcoscenico. Spesso mi accade di non vedere e di non ascoltare quello che veramente si rappresenta, ma di vedere e ascoltare le scene che sono nella mia mente: è una strana allucinazione che svanisce ad ogni scoppio di applausi, e che potrebbe farmi ammattire dietro uno scoppio di fischi!»

È in questa dimensione che si parla di "teatro mentale":[67] lo spettacolo non è subito passivamente ma serve come pretesto per dar voce ai "fantasmi" che popolano la mente dell'autore (nella prefazione ai Sei personaggi in cerca d'autore Pirandello chiarirà di come la "fantasia" prenda possesso della sua mente per presentargli personaggi che vogliono vivere, senza che lui li cerchi).

In un'altra missiva, spedita da Roma e datata 7 gennaio 1888, Pirandello sostiene che la scena italiana gli appare decaduta:

«Vado spesso in teatro, e mi diverto e me la rido in veder la scena italiana caduta tanto in basso, e fatta sgualdrinella isterica e noiosa»

La delusione per non essere riuscito a far rappresentare i primi lavori lo distoglie inizialmente dal teatro, facendolo concentrare sulla produzione novellistica e romanziera.

Nel 1907 pubblica l'importante saggio Illustratori, attori, traduttori dove esprime le sue idee, ancora negative, sull'esecuzione del lavoro dell'attore nel lavoro teatrale: questi è infatti visto come un mero traduttore dell'idea drammaturgica dell'autore, il quale trova dunque un filtro al messaggio che intende comunicare al pubblico. Il teatro viene poi definito da Pirandello come un'arte "impossibile", perché "patisce le condizioni del suo specifico anfibio":[69] un tradimento della scrittura teatrale, che ha di contro "il cattivo regime dei mezzi rappresentativi, appartenenti alla dimensione adultera dell'eco".[69]

È in questo momento che Pirandello si distacca dalla lezione positivista e, presa diretta coscienza dell'impossibilità della rappresentazione scenica del "vero" oggettivo, ricerca nella produzione drammaturgica di scavare l'essenza delle cose per scoprire una verità altra (come è spiegato nel saggio L'Umorismo con il sentimento del contrario).

Il 6 ottobre 1924 fondò la compagnia del Teatro d'Arte di Roma con sede al Teatro Odescalchi con la collaborazione di altri artisti: il figlio Stefano Pirandello, Orio Vergani, Claudio Argentieri, Antonio Beltramelli, Giovanni Cavicchioli, Maria Letizia Celli, Pasquale Cantarella, Lamberto Picasso, Renzo Rendi, Massimo Bontempelli e Giuseppe Prezzolini;[70] tra gli attori più importanti della compagnia figurano Marta Abba, Lamberto Picasso, Maria Letizia Celli, Ruggero Ruggeri. La compagnia, il cui primo allestimento risale al 2 aprile 1925 con Sagra del signore della nave dello stesso Pirandello e Gli dei della montagna di Lord Dunsany, ebbe però vita breve: i gravosi costi degli allestimenti, che non riuscivano a essere coperti dagli introiti del teatro semivuoto[71] costrinsero il gruppo, dopo solo due mesi dalla nascita, a rinunciare alla sede del Teatro Odescalchi. Per risparmiare sugli allestimenti la compagnia si produsse prima in numerose tournée estere, poi fu costretta allo scioglimento definitivo, avvenuto a Viareggio nell'agosto del 1928.

Prima fase - Teatro Siciliano modifica

Nella fase del Teatro Siciliano, Pirandello è alle prime armi e ha ancora molto da imparare. Anch'essa come le altre presenta varie caratteristiche di rilievo; alcuni testi sono stati scritti interamente in lingua siciliana perché considerata dall'autore più viva dell'italiano e capace di esprimere maggiore aderenza alla realtà.

Seconda fase - Il teatro umoristico/grottesco modifica

 
Pirandello e Marta Abba (anni '30)

Mano a mano che l'autore si distacca da verismo e naturalismo, avvicinandosi al decadentismo si ha l'inizio della seconda fase con il teatro umoristico. Pirandello presenta personaggi che incrinano le certezze del mondo borghese: introducendo la versione relativistica della realtà, rovesciando i modelli consueti di comportamento, intende esprimere la dimensione autentica della vita al di là della maschera.

Terza fase - Il teatro nel teatro modifica

Nella fase del teatro nel teatro le cose cambiano radicalmente, per Pirandello il teatro deve parlare anche agli occhi e non solo alle orecchie, a tal scopo ripristinerà una tecnica teatrale di Shakespeare, il "palcoscenico multiplo", in cui vi può per esempio essere una casa divisa in cui si vedono varie scene fatte in varie stanze contemporaneamente; inoltre il teatro nel teatro fa sì che si assista al mondo che si trasforma sul palcoscenico. All'interno di questa fase, spicca la trilogia composta da Sei personaggi in cerca d'autore con Ciascuno a suo modo e Questa sera si recita a soggetto.

Pirandello abolisce anche il concetto della quarta parete, cioè la parete trasparente che sta tra attori e pubblico: in questa fase, infatti, Pirandello tende a coinvolgere il pubblico che non è più passivo ma che rispecchia la propria vita in quella agita dagli attori sulla scena.

Quarta fase - Il teatro dei miti modifica

A questa fase si assegnano solo tre opere della produzione pirandelliana (Trilogia dei miti):

Romanzi modifica

 
Copertina de Il turno, Edizioni Madella, 1915

Pirandello scrisse sette romanzi:

Novelle modifica

Le novelle erano considerate le opere più durature, ma i critici moderni hanno cambiato tale opinione ritenendo le opere teatrali più degne di essere ricordate. Fare distinzione tra i contenuti delle novelle (o i romanzi) e le opere teatrali è difficile, in quanto molte novelle sono state messe in opera a teatro ad esempio: Ciascuno a suo modo deriva dal romanzo Si gira...; Liolà ha il tema preso da un capitolo de Il fu Mattia Pascal; La nuova colonia viene già presentata in Suo marito.

Analizzando le novelle possiamo renderci conto che ciò che manca veramente è una delineazione tematica, una "cornice": infatti sono presenti un crogiolo di personaggi ed eventi.

Il "tempo" in cui le novelle sono ambientate non è definito: infatti alcune si svolgono nell'epoca umbertina, poi giolittiana e del dopo-giolitti; diversamente accade nelle novelle cosiddette "siciliane", nelle quali il tempo non è fissato, ma è un tempo antico, di una società che non vuole cambiare e che è rimasta ferma.

I "paesaggi" delle novelle sono vari; per quelle dette "siciliane" si ha spesso il tipico paesaggio rurale,[73] anche se in alcune troviamo il tema sociale del contrasto tra le generazioni dovuto all'unità d'Italia. Altro ambiente delle novelle pirandelliane è la Roma umbertina o giolittiana.

I protagonisti sono sempre alla presa con il male di vivere, con il caso e con la morte[74]. Non troviamo mai rappresentanti dell'alta borghesia, ma quelli che potrebbero essere i vicini della porta accanto: sarte, balie, professori, piccoli proprietari di negozi che hanno una vita sconvolta dalla sorte e da drammi familiari.

I personaggi ci vengono presentati così come appaiono, è difficile trovare un'approfondita analisi psicologica. Le fisionomie sono spesso eccentriche, per il sentimento del contrario, hanno un carattere opposto a come si presentano.

I personaggi parlano e ragionano nel presentarsi per come essi sentono di essere, ma alla fine saranno sempre preda del caso, che li farà apparire diversi e cambiati.

Novelle per un anno modifica

Pirandello è uno dei più grandi scrittori di novelle, raccolte dapprima nell'opera Amori senza amore. In seguito l'autore si dedicò maggiormente, per tutta la sua vita, cercando di completarla, alla raccolta Novelle per un anno, così intitolata perché il suo intento era quello di scrivere 365 novelle, una per ogni giorno dell'anno. Arrivò a 241 nel 1922, solo postume ne uscirono ancora 15.

I Scialle nero, Firenze, Bemporad, 1922.
II La vita nuda, Firenze, Bemporad, 1922.
III La rallegrata, Firenze, Bemporad, 1922.
IV L'uomo solo, Firenze, Bemporad, 1922.
V La mosca, Firenze, Bemporad, 1923.
VI In silenzio, Firenze, Bemporad, 1923.
VII Tutt'e tre, Firenze, Bemporad, 1924.
VIII Dal naso al cielo, Firenze, Bemporad, 1925.
IX Donna Mimma, Firenze, Bemporad, 1925.
X Il vecchio Dio, Firenze, Bemporad, 1926.
XI La giara, Firenze, Bemporad, 1927.
XII Il viaggio, Firenze, Bemporad, 1928.
XIII Candelora, Firenze, Bemporad, 1928.
XIV Berecche e la guerra, Milano, Mondadori, 1934.
XV Una giornata, Milano, Mondadori, 1937.

Le novelle scartate da Novelle per un anno vennero raccolte in Testi estravaganti.

Poesia modifica

Dal 1883 al 1912 si svolge la produzione letteraria di Pirandello meno conosciuta dal grande pubblico, quella delle poesie che, contrariamente alla composizione teatrale, non esprimono alcun tentativo di rinnovamento sperimentale estetico, e seguono piuttosto le forme e i metri tradizionali della lirica classica, pur non rimandando a nessuna delle correnti letterarie presenti al tempo dello scrittore.

Nell'antologia poetica Mal giocondo, pubblicata a Palermo nel 1889, ma la cui prima lirica risale al 1880, quando Pirandello aveva appena tredici anni, emerge uno dei temi dell'ultima estetica pirandelliana del contrasto tra la serena classicità del mito e l'ipocrisia e la immoralità sociale della contemporaneità. Sono presenti, come nota lo stesso Pirandello, anche toni umoristici, specie quelli derivati dal suo soggiorno a Roma.[75]

Le raccolte di poesie sono:

  • Mal giocondo, Palermo, Libreria Internazionale Pedone Lauriel, 1889.
  • Pasqua di Gea, Milano, Libreria editrice Galli, 1891 (dedicata a Jenny Schulz-Lander, di cui si innamorò a Bonn, con una chiara influenza della poesia di Carducci).
  • Pier Gudrò, 1809-1892, Roma, Voghera, 1894.
  • Elegie renane, 1889-90, Roma, Unione Cooperativa Editrice, 1895 (il cui modello sono le Elegie romane di Goethe).
  • Elegie romane, traduzione di Johann Wolfgang von Goethe, Livorno, Giusti, 1896.
  • Zampogna, Roma, Società Editrice Dante Alighieri, 1901.
  • Scamandro, Roma, Tipografica Roma, 1909.
  • Fuori di chiave, Genova, Formiggini, 1912.

Pirandello nel cinema modifica

«L'avvenire dell'arte drammatica e anche degli scrittori di teatro è adesso là. Bisogna orientarsi verso una nuova espressione d'arte: il film parlato. Ero contrario, mi sono ricreduto.»

 
Pirandello sul set de Il fu Mattia Pascal (1937), con Pierre Blanchar e Isa Miranda

Pirandello nell'opera lirica modifica

Opere modifica

  • Mal giocondo, Palermo, Libreria Internazionale Pedone Lauriel, 1889.
  • A la sorella Anna per le sue nozze, Roma, Tipo-Litografia Miliani e Filosini, 1890.
  • Pasqua di Gea, Milano, Libreria editrice Galli, 1891.
  • Amori senza amore, Roma, Bontempelli, 1894.
  • Pier Gudrò, 1809-1892, Roma, Voghera, 1894.
  • Elegie renane, 1889-90, Roma, Unione Cooperativa Editrice, 1895.
  • Traduzione di Johann Wolfgang von Goethe, Elegie romane, Livorno, Giusti, 1896.
  • Zampogna, Roma, Società Editrice Dante Alighieri, 1901.
  • Beffe della morte e della vita, Firenze, Lumachi, 1902.
  • Lontano. Novella, in "Nuova Antologia", 1-16 gennaio 1902.
  • Quand'ero matto.... Novelle, Torino, Streglio, 1902.
  • Il turno, Catania, Giannotta, 1902.
  • Beffe della morte e della vita. Seconda serie, Firenze, Lumachi, 1903.
  • Notizia letteraria, in "Nuova Antologia", 16 gennaio 1904.
  • Dante. Poema lirico di G. A. Costanzo, in "Nuova Antologia", 1904.
  • Bianche e nere. Novelle, Torino, Streglio, 1904.
  • Il fu Mattia Pascal, Roma, Nuova Antologia, 1904.
  • Erma bifronte. Novelle, Milano, Treves, 1906.
  • Prefazione a Giovanni Alfredo Cesareo, Francesca da Rimini. Tragedia, Milano, Sandron, 1906.
  • Studio preliminare a Alberto Cantoni, L'illustrissimo. Romanzo, Roma, Nuova Antologia, 1906.
  • Arte e scienza. Saggi, Roma, Modes, 1908.
  • L'esclusa, Milano, Treves, 1908.
  • Umorismo, Lanciano, Carabba, 1908.
  • Scamandro, Roma, Tipografia Roma, 1909.
  • La vita nuda. Novelle, Milano, Treves, 1910.
  • Suo marito, Firenze, Quattrini, 1911.
  • Fuori di chiave, Genova, Formiggini, 1912.
  • Terzetti, Milano, Treves, 1912.
  • I vecchi e i giovani, 2 voll., Milano, Treves, 1913.
  • Cecè. Commedia in un atto, in "La lettura", n. 10, 1913.
  • Le due maschere, Firenze, Quattrini, 1914.
  • Erba del nostro orto, Milano, Studio editoriale Lombardo, 1915.
  • La trappola. Novelle, Milano, Treves, 1915.
  • Se non così.... Commedia in tre atti, in "Nuova Antologia", 1º gennaio 1916.
  • Si gira.... Romanzo, Milano, Treves, 1916.
  • E domani, lunedì.... Novelle, Milano, Treves, 1917.
  • Liolà. Commedia campestre in tre atti, Roma, Formiggini, 1917.
  • Se non così. Commedia in tre atti. Con una lettera alla protagonista, Milano, Treves, 1917.
  • Un cavallo nella luna. Novelle, Milano, Treves, 1918.
  • Maschere nude, 4 voll., Milano, Treves, 1918-1921:
I, Pensaci, Giacomino, Così è (se vi pare), Il piacere dell'onestà, Milano, Treves, 1918.
II, Il giuoco delle parti. In tre atti, Ma non è una cosa seria. Commedia in tre atti, Milano, Treves, 1919.
III, Lumie di Sicilia. Commedia in un atto, Il berretto a sonagli. Commedia in due atti, La patente. Commedia in un atto, Milano, Treves, 1920.
IV, L'innesto. Commedia in tre atti, La ragione degli altri (ex Se non così). Commedia in tre atti, Milano, Treves, 1921.
  • Berecche e la guerra, Milano, Facchi, 1919.
  • Il carnevale dei morti. Novelle, Firenze, Battistelli, 1919.
  • Tu ridi. Novelle, Milano, Treves, 1920.
  • Pena di vivere così, Roma, Nuova libreria nazionale, 1920.
  • Maschere nude, 31 voll., Firenze, Bemporad, 1920-1929; Milano, Mondadori, 1930-1935:
I, Tutto per bene. Commedia in tre atti, Firenze, Bemporad, 1920.
II, Come prima meglio di prima. Commedia in tre atti, Firenze, Bemporad, 1921.
III, Sei personaggi in cerca d'autore. Commedia da fare, Firenze, Bemporad, 1921.
IV, Enrico IV. Tragedia in tre atti, Firenze, Bemporad, 1922.
V, L'uomo, la bestia e la virtù. Apologo in tre atti, Firenze, Bemporad, 1922.
VI, La signora Morli, una e due. Commedia in tre atti, Firenze, Bemporad, 1922.
VII, Vestire gli ignudi. Commedia in tre atti, Firenze, Bemporad, 1923.
VIII, La vita che ti diedi. Tragedia in tre atti , Firenze, Bemporad, 1924.
IX, Ciascuno a suo modo. Commedia in due o tre atti con intermezzi corali, Firenze, Bemporad, 1924.
X, Pensaci, Giacomino! Commedia in tre atti, Firenze, Bemporad, 1925.
XI, Così è (se vi pare). Parabola in tre atti, Firenze, Bemporad, 1925.
XII, Sagra del signore della nave, L'altro figlio, La giara. Commedie in un atto, Firenze, Bemporad, 1925.
XIII, Il piacere dell'onestà. Commedia in tre atti, Firenze, Bemporad, 1925.
XIV, Il berretto a sonagli. Commedia in due atti, Firenze, Bemporad, 1925.
XV, Il giuoco delle parti. in tre atti, Firenze, Bemporad, 1925.
XVI, Ma non è una cosa seria. Commedia in tre atti, Firenze, Bemporad, 1925.
XVII, L'innesto. Commedia in tre atti, Firenze, Bemporad, 1925.
XVIII, La ragione degli altri. Commedia in tre atti, Firenze, Bemporad, 1925.
XIX, L'imbecille, Lumie di Sicilia, Cecè, La patente. commedie in un atto, Firenze, Bemporad, 1926.
XX, All'uscita. Mistero profano, Il dovere del medico. Un atto, La morsa. Epilogo in un atto, L'uomo dal fiore in bocca. Dialogo, Firenze, Bemporad, 1926.
XXI, Diana e la Tuda. Tragedia in tre atti, Firenze, Bemporad, 1927.
XXII, L'amica delle mogli. Commedia in tre atti, Firenze, Bemporad, 1927.
XXIII, La nuova colonia. Mito. Prologo e tre atti, Firenze, Bemporad, 1928.
XXIV, Liolà. Commedia campestre in tre atti, Firenze, Bemporad, 1928.
XXV, O di uno o di nessuno. Commedia in tre atti, Firenze, Bemporad, 1929.
XXVI, Lazzaro. Mito in tre atti, Milano-Roma, Mondadori, 1930.
XXVII, Questa sera si recita a soggetto, Milano-Roma, Mondadori, 1930.
XXVIII, Come tu mi vuoi. Tre atti, Milano-Roma, Mondadori, 1930.
XXIX, Trovarsi. Tre atti, Milano-Roma, Mondadori, 1932.
XXX, Quando si è qualcuno. Rappresentazione in tre atti, Milano, Mondadori, 1933.
XXXI, Non si sa come. Dramma in tre atti, Milano, Mondadori, 1935.
I, Scialle nero, Firenze, Bemporad, 1922.
II, La vita nuda, Firenze, Bemporad, 1922.
III, La rallegrata, Firenze, Bemporad, 1922.
IV, L'uomo solo, Firenze, Bemporad, 1922.
V, La mosca, Firenze, Bemporad, 1923.
VI, In silenzio, Firenze, Bemporad, 1923.
VII, Tutt'e tre, Firenze, Bemporad, 1924.
VIII, Dal naso al cielo, Firenze, Bemporad, 1925.
IX, Donna Mimma, Firenze, Bemporad, 1925.
X, Il vecchio Dio, Firenze, Bemporad, 1926.
XI, La giara, Firenze, Bemporad, 1927.
XII, Il viaggio, Firenze, Bemporad, 1928.
XIII, Candelora, Firenze, Bemporad, 1928.
XIV, Berecche e la guerra, Milano, Mondadori, 1934.
XV, Una giornata, Milano, Mondadori, 1937.
  • Teatro dialettale siciliano, VII, 'A vilanza, Cappiddazzu paga tuttu, con Nino Martoglio, Catania, Giannotta, 1922.
  • Prefazione a Nino Martoglio, Centona. Raccolta completa di poesie siciliane con l'aggiunta di alcuni componimenti inediti, Catania, Giannotta, 1924.
  • Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Firenze, Bemporad, 1925.
  • Uno, nessuno e centomila, Firenze, Bemporad, 1926.
  • Prefazione a Ezio Levi, Lope de Vega e l'Italia, Firenze, Sansoni, 1935.
  • Introduzione a Silvio D'Amico (a cura di), Storia del teatro italiano, Milano, Bompiani, 1936.
  • In un momento come questo, in "Nuova Antologia", 1º gennaio 1936.
  • Giustino Roncella nato Boggiolo, in Tutti i romanzi, Milano, Mondadori, 1941.
  • 'U Ciclopu. Dal dramma satiresco “Il Ciclope” di Euripide, testo inedito con introduzione di Antonino Pagliaro, Firenze, Le Monnier, 1967.
  • Tutti i romanzi, 2 voll., Milano, A. Mondadori, 1973.
  • Novelle per un anno, 3 voll. in 6 tomi, Milano, A. Mondadori, 1985.
  • Maschere nude, 4 voll., Milano, A. Mondadori, 1986.
  • Lettere a Marta Abba, Milano, A. Mondadori, 1995. ISBN 88-04-39379-3.
  • Saggi e interventi, Milano, A. Mondadori, 2006. ISBN 88-04-54480-5.

Onorificenze modifica

Oltre al Nobel ricevette diverse onorificenze:

«Per il suo ardito e ingegnoso rinnovamento dell'arte drammatica e teatrale»
— Oslo, 1934

Edizione nazionale delle opere modifica

Il 15 novembre 2016 il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo con il DM 522 ha istituito l'Edizione Nazionale dell'opera omnia di Luigi Pirandello.

Intitolazioni modifica

A Luigi Pirandello è stato dedicato l'asteroide 12369 Pirandello[78].

Note modifica

  1. ^ Enciclopedia Italiana Treccani alla voce "Girgenti".
  2. ^ Luigi Pirandello, Lettere giovanili da Palermo e da Roma 1886-1889, Bulzoni, Roma, 1993, nell'introduzione Il risorgimento familiare di Luigi Pirandello.
  3. ^ intrasformazione.com, http://www.intrasformazione.com/index.php/intrasformazione/article/download/21/pdf.
  4. ^ In siti web Medicina e Insonnia Archiviato il 4 maggio 2009 in Internet Archive.. Riferimenti autobiografici a questo problema che affliggeva Pirandello si trovano in numerose sue opere: Il turno, L'amica delle mogli, Il fu Mattia Pascal, L'uomo solo, La trappola, La giara
  5. ^ G. Bonghi, Biografia di Luigi Pirandello, Edizione dei classici italiani.
  6. ^ A. Camilleri, op. cit.
  7. ^ In effetti, Luigi Pirandello affermava in una lettera ai familiari da Roma del 27 novembre 1887: «I professori di questa università, nella facoltà mia, sono d'una ignoranza nauseante» (in Lettere giovanili da Palermo e da Roma 1886-1889, Bulzoni, Roma, 1993, p. 231).
  8. ^ Pirandello difese pubblicamente durante una lezione un suo compagno rimproverato ingiustamente dal rettore.
  9. ^ a b Annamaria Andreoli, Diventare Pirandello. L'uomo e la maschera, Milano, Mondadori Libri S.p.A., 2020.
  10. ^ Marco Manotta, Luigi Pirandello, Pearson Italia S.p.a., 1998 p. 4
  11. ^ Da Album Pirandello, I Meridiani Mondadori, Milano 1992, p.44)
  12. ^ A. Camilleri, Biografia del figlio cambiato, BUR, 2000
  13. ^ «La storia di Luigi e Antonietta [...] è infatti quella di un matrimonio di una Sicilia di fine '800, combinato per interesse, da parte di due soci nel commercio dello zolfo. Antonietta porta la dote che assicura ai giovani sposi sbarcati da Girgenti in continente e approdati a Roma, una vita tranquilla e permette a Luigi di affermarsi come scrittore. Il matrimonio d'interesse è sublimato grazie alla letteratura e diventa "un matrimonio d'amore con la moglie ideale".» (in Anna Maria Sciascia, Il gioco dei padri. Pirandello e Sciascia, Avagliano Editore, 2009
  14. ^ a b c d e Salvatore Guglielmino, Hermann Grosser, Il sistema letterario 2000, Milano, Principato, 2002, pp. 273-274, Vol. Storia 3.
  15. ^ Giancarlo Mazzacurati (a cura di), Introduzione e biografia di Pirandello, dalla Prefazione a Il fu Mattia Pascal, Einaudi tascabili
  16. ^ Fausta Samaritani, Luigi Pirandello, una vita da autore, su La Repubblica Letteraria Italiana, 1º gennaio 2002. URL consultato il 7 gennaio 2023 (archiviato dall'url originale il 24 marzo 2014).
  17. ^ a b c d e f g Pirandello e la moglie Antonietta
  18. ^ Luigi Pagnotta, Pirandello racconta Chianciano, Edizioni il pavone, 2009.
  19. ^ Gaspare Giudice, Luigi Pirandello, Unione Tipografico-Editrice Torinese, 1963, pag.178.
  20. ^ Annamaria Andreoli, "Diventare Pirandello", Mondadori Libri S.p.A., Milano, 2020, pag. 248.
  21. ^ Marco Manotta, Luigi Pirandello, Ed. Pearson Paravia Bruno Mondadori, 1998 p.163
  22. ^ Luigi Pirandello, Stefano Pirandello, Andrea Pirandello, Il figlio prigioniero: carteggio tra Luigi e Stefano Pirandello durante la guerra 1915-1918, Mondadori, 2005, p.179
  23. ^ (EN) Motivazione del Premio Nobel per la Letteratura 1934, su nobelprize.org, Nobel Prize Outreach AB. URL consultato il 3 dicembre 2020 (archiviato il 3 dicembre 2020).
  24. ^ a b c Annamaria Andreoli, Tutti i no di Mussolini a Pirandello. L'arcifascista non piaceva al Duce, su Corriere della sera, 30 giugno 2006.
  25. ^ Gaetano Afeltra, "Mia cara Marta". L'amore platonico di Pirandello
  26. ^ Tra Pirandello e Marta Abba ottocento lettere di emozioni
  27. ^ Einstein e l'invito a Pirandello. Lo scontro che nessuno vide
  28. ^ Luciano Lucignani, Pirandello, la vita nuda, Giunti, 1999 pagg.95 e 109.
  29. ^ Pirandello e la prima guerra mondiale Archiviato il 24 marzo 2014 in Internet Archive.
  30. ^ a b Pirandello chiede di entrare nei Fasci, in "La Stampa", 18/9/1924, p. 6.
  31. ^ Francesco Sinigaglia, I volti della violenza a teatro, Lucca, Argot edizioni, p. 67.
  32. ^ In realtà Pirandello non fu l'unico importante intellettuale italiano che si iscrisse al Partito Nazionale Fascista nel pieno della vicenda Matteotti. Giuseppe Ungaretti, ad esempio, si iscrisse al PNF il 30 agosto 1924, appena nove giorni dopo il funerale di Matteotti (Stato matricolare di Ungaretti, Università "La Sapienza" di Roma, Ufficio storico, fasc. AS 2770, Ungaretti Giuseppe).
  33. ^ a b Documenti: Pirandello e l'adesione al fascismo, su classicitaliani.it. URL consultato il 27 novembre 2011 (archiviato dall'url originale il 23 settembre 2011).
  34. ^ Gina Lagorio «Troppi idioti» E Pirandello partì, su classicitaliani.it. URL consultato il 27 novembre 2011 (archiviato dall'url originale il 23 settembre 2011).
  35. ^ a b c d Gaspare Giudice, Luigi Pirandello, UTET Torino 1963, su classicitaliani.it. URL consultato il 6 agosto 2008 (archiviato dall'url originale l'8 maggio 2008).
  36. ^ a b c Pirandello, nudità e fascismo
  37. ^ Pirandello. Gli anni del fascismo Archiviato il 24 marzo 2014 in Internet Archive.
  38. ^ Benito Mussolini, Nel solco delle grandi filosofie. Relativismo e fascismo, in Il popolo d'Italia, 22 novembre 1933
  39. ^ «Le idee di Mazzini e di Sorel influenzarono profondamente il fascismo di Mussolini e Gentile...» (Simonetta Falasca Zamponi, Lo spettacolo del fascismo, Rubbettino Editore, 2003 p.58)
  40. ^ « [...] Sorel è veramente il notre maître» (B. Mussolini, Il Popolo, 27 maggio 1919 e in Opera Omnia II p.126)
  41. ^ a b Luigi Pirandello, Interviste a Pirandello: parole da dire, uomo, agli altri uomini, Rubbettino Editore, 2002 - nota 3, p. 316
  42. ^ Pirandello e la politica, su atuttascuola.it. URL consultato il 24 marzo 2014 (archiviato dall'url originale il 24 marzo 2014).
  43. ^ riportato da G. Giudice nel suo saggio
  44. ^ Prefazione alle Novelle per un anno, Milano 1956
  45. ^ Luigi Pirandello fascista convinto. Ritrovata un’intervista del 1927: “Mussolini non trova paragoni nella storia”, su ilfattoquotidiano.it.
  46. ^ Marco Innocenti, Storie dalla storia / L'oro alla Patria, su ilsole24ore.com, Il Sole 24 ORE, 14 dicembre 2007. URL consultato il 3 dicembre 2020.
  47. ^ Marta Sambugar, Letteratura italiana per moduli, vol.2 Incontro con l'autore: Luigi Pirandello
  48. ^ Robert S. Dombroski, L'esistenza ubbidiente. Letterati italiani sotto il fascismo, Guida Editori, 1984.
  49. ^ L'Ovra a Cinecittà di Natalia ed Emanuele V. Marino, Bollati Boringhieri, 2005 Archiviato il 10 febbraio 2009 in Internet Archive.
  50. ^ Il Post.it, 8 novembre 2014
  51. ^ I giganti della montagna, su taote.it. URL consultato l'8 novembre 2010.
  52. ^ «Così, in una bara in affitto, riportammo ad Agrigento le sue ceneri. Malgrado i divieti prima del gerarca, poi del prefetto, e infine del vescovo.» In Camilleri e lo strano caso delle ceneri di Pirandello, su PirandelloWeb, 1º ottobre 2018. URL consultato il 2 gennaio 2019.
  53. ^ Nino Borsellino, Il dio di Pirandello: creazione e sperimentazione, Sellerio, 2004, pp. 159 e sgg. e Roberto Alajmo, Le ceneri di Pirandello, ed. Drago, 2009
  54. ^ in Saggi poesie, scritti varii Mondadori, Milano 1960, p.1270: "I filosofi hanno il torto di non pensare alle bestie e davanti agli occhi di una bestia crolla come un castello di carte qualunque sistema filosofico".
  55. ^ Daniela Marcheschi, Introduzione a Luigi Pirandello, "L'umorismo", Milano, Oscar Mondadori, 2010, p. X.
  56. ^ Nel marzo del 2009, la professoressa e critico letterario Daniela Marcheschi ha rivelato che Pirandello aveva copiato intere pagine del saggio da opere precedenti di Léon Dumont, poi di Alfred Binet, Gabriel Séailles, Gaetano Negri, Giovanni Marchesini, nonché dalla Storia e fisiologia dell'arte di Ridere di Tullo Massarani. Vedi articolo de Il Giornale del 31 marzo 2009 in Caro Pirandello, ti ho beccato a copiare.
  57. ^ Luigi Pirandello, L'umorismo e altri saggi, Giunti Editore, 1994, p. 116.
  58. ^ a b Salvatore Guglielmino, Hermann Grosser, Il sistema letterario 2000, Milano, Principato, 2002, p.199-200, Vol. Testi 8.
  59. ^ Claudia Sebastiana Nobili, Pirandello: guida al Fu Mattia Pascal, Carocci, 2004
  60. ^ Scrittori sull'orlo di una scelta spiritista
  61. ^ a b c Sambugar, op. cit.
  62. ^ G. Scianatico, Il teatro dei miti. Pirandello, Palomar Edizioni, Bari, 1999.
  63. ^ Il pensiero pirandelliano s'inserisce in un contesto culturale in cui è presente il concetto di "relativismo": la teoria della relatività di Einstein, il Principio di indeterminazione di Heisenberg, la teoria quantistica di Max Planck, la filosofia del sociologo Georg Simmel che fonda il suo relativismo sulla convinzione che non esistono leggi storiche obiettivamente valide (E nelle arti figurative il relativismo è ripreso dal cubismo caratterizzato da una rappresentazione dell'oggetto considerato simultaneamente da diversi punti di vista.
  64. ^ Salvatore Guglielmino, Hermann Grosser, Il sistema letterario 2000, Milano, Principato, 2002, p.279.
  65. ^ Luigi Pirandello, Maschere nude, a cura di Italo Zorzi e Maria Argenziano, Newton Compton Editori, 2007
  66. ^ Elio Providenti (a cura di), Luigi Pirandello. Epistolario familiare giovanile (1886 - 1898), Quaderni della Nuova Antologia XXIV, Le Monnier, Firenze, 1985 pag. 25.
  67. ^ Roberto Alonge, Pirandello, Bari, Laterza, 1997, p. 7.
  68. ^ Elio Providenti (a cura di), Luigi Pirandello. Epistolario familiare giovanile (1886 - 1898), Quaderni della Nuova Antologia XXIV, Le Monnier, Firenze, 1985, pag. 26.
  69. ^ a b Umberto Artioli, L'officina segreta di Pirandello, Laterza, Roma - Bari, 1989, pag. 126.
  70. ^ Luigi Pirandello, una vita da autore, su repubblicaletteraria.it. URL consultato l'8 novembre 2014 (archiviato dall'url originale l'8 settembre 2015).
  71. ^ Claudio Vicentini, Pirandello il disagio del teatro, Saggi Marsilio, Venezia 1993, pagg. 9-10 e 119 e segg.
  72. ^ La prima rappresentazione della commedia La morsa si ebbe a Roma, al Teatro Metastasio, il 9 dicembre 1910, ad opera della Compagnia del "Teatro minimo" diretta da Nino Martoglio che la mise in scena assieme all'atto unico Lumie di Sicilia. Pirandello cedendo alle insistenze di Martoglio acconsentì a che La morsa e Lumie di Sicilia fossero rappresentate nella stessa serata. I due atti unici ebbero diverso esito presso il pubblico, che accolse con favore La morsa, mentre non gradì Lumie di Sicilia (in Interviste a Pirandello: "parole da dire, uomo, agli altri uomini" di Ivan Pupo, editore Rubbettino, 2002 ISBN 884980220X)
  73. ^ Legato a ricordi della fanciullezza di Pirandello.
  74. ^ Davide Savio, Il carnevale dei morti. Sconciature e danze macabre nella narrativa di Luigi Pirandello, Novara, Interlinea, 2013.
  75. ^ «Il mio primo libro fu una raccolta di versi, Mal giocondo, pubblicata prima della mia partenza per la Germania. Lo noto, perché han voluto dire che il mio umorismo è provenuto dal mio soggiorno in Germania; e non è vero; in quella prima raccolta di versi più della metà sono del più schietto umorismo, e allora io non sapevo neppure che cosa fosse l'umorismo». (Da una sintetica autobiografia, scritta da Pirandello probabilmente fra il 1912 e il 1913, per il periodico romano "Le lettere", del 15 ottobre 1924)
  76. ^ Citata in Amedeo Fago, Pirandello e il cinema.
  77. ^ Franco La Magna, Pirandello e i cinema muto, su Archivio siciliano del cinema. URL consultato il 27 luglio 2023.
  78. ^ (EN) 12369 Pirandello (1994 CJ16), su ssd.jpl.nasa.gov, NASA. URL consultato il 2 settembre 2011.

Bibliografia modifica

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Voci correlate modifica

Altri progetti modifica

Collegamenti esterni modifica

Alcune edizioni digitalizzate
  • Luigi Pirandello, Enrico 4., Firenze, Bemporad e figlio, 1922. URL consultato il 9 aprile 2015.
  • Luigi Pirandello, Esclusa, Milano, Fratelli Treves, 1919. URL consultato il 9 aprile 2015.
  • Luigi Pirandello, Fu Mattia Pascal, Milano, Fratelli Treves, 1919. URL consultato il 9 aprile 2015.
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