Manifesto di Lunghezza

Il manifesto di Lunghezza fu un documento datato 10 maggio 1297, con cui gli avversari di Papa Bonifacio VIII, capeggiati dai cardinali Jacopo e Pietro Colonna (appartenenti alla famiglia Colonna acerrima nemica della famiglia Caetani cui apparteneva Bonifacio VIII), appoggiati da Jacopone da Todi e da alcuni Spirituali francescani, sottoscrissero, nel famoso Castello di Lunghezza (nell'estrema periferia est di Roma, in Lunghezza), un memoriale mediante il quale si dichiarava illegittima la sua elezione, perché non valida, a sua volta, l'abdicazione di Celestino V[1], suo predecessore. Il Papa veniva dichiarato decaduto, e si faceva espresso invito ai fedeli a non portare più obbedienza al Caetani.

La reazione del Pontefice non si fece attendere: con violenza i due cardinali furono destituiti con la bolla "In excelso throno" che poneva in risalto come la famiglia Colonna fosse da sempre portatrice di disprezzo verso le cose altrui, nonché piena di superbia e oltraggiosa e che, per queste colpe, suscitava soltanto desiderio di annientamento. Si aprì, quindi, un'ulteriore lotta tra il Papa e i Colonna, nella quale questi ultimi speravano in un intervento a loro favore del re di Francia, Filippo il bello. La qual cosa non avvenne in quanto il monarca francese stava trattando proprio in quel momento gli accordi con il Papa per la risoluzione del problema dei tributi agli ecclesiastici in Francia, per cui non aveva alcun interesse ad inimicarsi il Pontefice.

Il 16 maggio fece seguito un secondo manifesto che elencava gli addebiti mossi a Bonifacio VIII, compreso il raggiro di Celestino V teso a spingerne l'abdicazione, e che richiedeva un consiglio generale della Chiesa.

Il 23 maggio 1297 seguì prontamente un'ulteriore bolla papale denominata "Lapis abscissus" che sottolineava gli oltraggi della loro "dannata stirpe e del loro dannato sangue", che avrebbe voluto sterminare "perché essa sollevava in ogni tempo il suo capo pieno di superbia e di disprezzo": la scomunica veniva estesa ai cinque nipoti di Giacomo ed ai loro eredi dichiarati scismatici.

Il 15 giugno, attraverso un terzo manifesto, i due cardinali reagirono alle bolle pontificie protestando per l'ingiusta condotta del Papa ed iniziando a preparare le loro fortezze per la difesa.

La lotta tra il Papa e i Colonna si concluse con la sconfitta di questi ultimi. Jacopone da Todi fu rinchiuso prigioniero in un convento e scomunicato. I cardinali Colonna furono scomunicati e dovettero riparare in Francia sotto la protezione di Filippo il bello, e i loro beni furono confiscati e divisi tra la famiglia del Papa e la famiglia degli Orsini, anch'essi acerrimi nemici dei Colonna. Infatti i Colonna fuggirono in varie direzioni. Sciarra fu catturato da pirati sulla costa di Marsiglia finché non fu liberato dal re di Francia dietro pagamento di un riscatto. I due cardinali, Iacopo e Pietro si rifugiarono in Etruria o in Umbria presso amici ghibellini. Stefano emigrò presso le corti reali d’Inghilterra e di Francia. Bonifacio VIII fu un giurista eccellente e non pretese mai, né per sé né per la propria famiglia, i beni sottratti ai Colonna o ai loro partigiani. L'appropriazione dei beni sottratti ai Colonna lo avrebbe esposto a facili ritorsioni ed accuse; perciò egli suddivise i beni sottratti ai Colonna del ramo di Palestrina tra gli Orsini del ramo di Castel S. Angelo e i Colonna del ramo di Genazzano. Questi ultimi, per motivi interni alla famiglia, avevano avuto forti scontri con i cugini di Palestrina, e furono lieti di schierarsi col Papa contro i propri congiunti.

Note modifica

  1. ^ Papa Celestino V, ovvero Pietro da Morrone, detto il Papa del "gran rifiuto".

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