Otello Montanari

partigiano e politico italiano

«... Chi sa, parli ...»

Otello Montanari (Reggio Emilia, 10 maggio 1926Reggio Emilia, 17 aprile 2018) è stato un partigiano e politico italiano.

Otello Montanari

Deputato della Repubblica Italiana
Durata mandato12 maggio 1958 –
15 maggio 1963
LegislaturaIII
Gruppo
parlamentare
Comunista
CircoscrizioneReggio Emilia
CollegioParma
Sito istituzionale

Dati generali
Partito politicoPartito Comunista Italiano
Professioneimpiegato

Biografia modifica

Nel 1941, a 15 anni si iscrive al Partito Comunista Italiano e, studente all'Istituto di Ragioneria di Reggio Emilia, ha come insegnante la concittadina Nilde Iotti, della quale diventerà collega nella III legislatura della Repubblica Italiana (1958-1963).

Attività partigiana modifica

Partecipa alla guerra di Liberazione nelle file dei GAP. Rimane ferito il 1º gennaio 1945 durante un conflitto a fuoco con i fascisti sulla Via Emilia nei pressi di Reggio Emilia. I colpi di arma da fuoco lo rendono immobile fino a fine 1946 e claudicante per sempre.

Attività politica modifica

Nel 1949-1951 è segretario della Federazione mondiale della gioventù democratica il cui presidente all'epoca è Enrico Berlinguer. Nel 1955 accompagna Alcide Cervi (padre dei sette fratelli fucilati dai nazisti a Reggio Emilia) nel lungo viaggio attraverso la Russia, lungo il quale sono ricevuti da diverse personalità.

Deputato per il PCI nella terza legislatura, nell'aprile del 1960 partecipa alle proteste e agli scontri di piazza contro il governo Tambroni. Negli anni ottanta fonda il Comitato Primo Tricolore ed è protagonista con Bettino Craxi della diatriba che divide Milano e Reggio Emilia sulle origini della bandiera italiana (secondo Montanari e altri nata a Reggio Emilia il 7 gennaio 1797).

Chi sa parli modifica

Presidente dell'Istituto Alcide Cervi e dirigente dell'ANPI, Montanari pubblica il 29 agosto 1990 sul giornale Il Resto del Carlino l'articolo «Rigore sugli atti di "Eros" e Nizzoli», poi ribattezzato "Chi sa parli", in cui invita a far finalmente luce sui delitti compiuti nel dopoguerra, in particolare sull'assassinio dell'ingegnere Arnaldo Vischi, direttore tecnico delle Officine Meccaniche Reggiane[1].

A difesa e giustificazione delle azioni compiute nell'immediato dopoguerra si levarono numerose voci, soprattutto vicine alla tradizione del Partito Comunista, tra cui quella di Luciano Lama che, pochi giorni dopo la pubblicazione dell'articolo, dichiarò:

«Il desiderio di vendetta non è un crimine, è un risentimento. Ricordo bene quando mi dissero che avevano fucilato mio fratello. La rabbia ti sale alla testa, te la senti nelle mani quando imbracci un fucile. Qualcuno ha resistito altri no. Magari volevi vendicarti, ma non potevi, non dovevi... Nessuno vuole giustificare i delitti del dopoguerra. Prima di giudicare però si deve sapere cosa accadde davvero. Una guerra qualunque può forse finire con il "cessate il fuoco". Quella no. La Resistenza fu una battaglia terribile, disperata e atroce. Vivevamo nascosti nelle buche dei campi di granoturco, eravamo circondati da nemici: non erano solo tedeschi e fascisti, c'erano le spie, ti potevano tradire in ogni momento. Vedevamo sparire i nostri compagni, fucilavano famiglie intere. Eravamo sopraffatti dal dolore, dalla rabbia... Altrimenti non avremmo potuto... Non saremmo riusciti a sparare a chi ci guardava in faccia. Una cosa è tirare una cannonata, un'altra è uccidere chi ti sta di fronte. Ripugna. Si può fare solo se ci si crede ciecamente. Aiutano l'odio, la paura, l'utopia.»

In conseguenza di ciò vennero rivisti alcuni processi (tra cui quello per l'omicidio di don Umberto Pessina), e nonostante alcuni giudizi positivi[3] Montanari venne espulso dall'Istituto Cervi (sarà riammesso l'anno successivo) di cui era Presidente[4], dal Comitato Provinciale dell'ANPI e fu aspramente contestato ed emarginato all'interno del Partito Comunista e poi dai Democratici di Sinistra[5][6], malgrado fosse stato difeso da alcuni importanti esponenti del mondo partigiano (Maria Cervi) e del partito (Nilde Iotti, Antonello Trombadori, Piero Fassino), e, dopo ventisei anni, nel 2016, fu rivalutata ufficialmente la sua figura dall'ANPI[7][8].

«Non ho scritto nulla che non fosse noto. Ho solo messo assieme i pezzi, ...»

In merito ebbe a dire Rossana Rossanda:

«La vera notizia sul "triangolo della morte" di Reggio Emilia è che se ne torni a parlare e che un articolo scritto da Otello Montanari, presidente dell'Istituto Cervi di quella città sul Resto del Carlino abbia fatto così grande sensazione. Quelle uccisioni erano note, se ne erano occupati giornali e tribunali, ed erano già state largamente agitate contro i comunisti e i partigiani»

Note modifica

  1. ^ Malgeri & Paggi 2003.
  2. ^ Concita De Gregorio, Ora è il momento di ricordare, in la Repubblica, 8 settembre 1990.
  3. ^ Miriam Mafai, La verità su quel triangolo rosso, in la Repubblica, 31 agosto 1990.
  4. ^ Montanari riammesso all'Istituto Alcide Cervi, in la Repubblica, 16 ottobre 1991.
  5. ^ Costantino Muscau, «Triangolo della morte, i Ds chiariscano tutto», in Corriere della Sera, 10 maggio 2005, p. 20 (archiviato dall'url originale il 10 giugno 2015).
  6. ^ Aldo Cazzullo, Uccise nel «triangolo della morte»: espulso dai Ds, in Corriere della Sera, 6 maggio 2005 (archiviato dall'url originale il 25 novembre 2009).
  7. ^ Franco Giubilei, Le storie del 25 aprile - Il “delatore” Montanari riabilitato dall’Anpi. Ma solo dopo 26 anni, in La Stampa, 25 aprile 2016.
  8. ^ Lucio Cecchini, Quando si maltratta la storia (PDF), in Patria indipendente, 21 dicembre 2003, pp. 20-25. URL consultato il 20 ottobre 2008 (archiviato dall'url originale il 29 dicembre 2009).
    «L'uscita di Montanari destò reazioni contrastanti, come era inevitabile. Ma, mentre esponenti dell'antifascismo e della Resistenza come Nilde Iotti, Antonello Trombadori, Piero Fassino, Maria Cervi e altri incoraggiarono ad andare avanti, proprio Pansa si schierò decisamente nel fronte opposto, svillaneggiando in tutti i modi Montanari, che arrivò a definire "fesso d'oro" e a dire che le sue rivelazioni avevano sollevato "un'ondata di ipocrisia arrogante"»
  9. ^ Tutti sapevano, in la Repubblica, 31 agosto 1990.
  10. ^ Malgeri & Paggi 2003.

Bibliografia modifica

Voci correlate modifica

Collegamenti esterni modifica