Pallante (liberto)

liberto di Antonia, madre dell'Imperatore romano Claudio

Marco Antonio Pallante[1] (... – 62) era un liberto di Antonia, madre dell'Imperatore romano Claudio.

Biografia modifica

La sua condizione di liberto, e quindi di abitante di Roma ma non cittadino a pieno titolo, non lo escluse dalla gestione del potere all'interno alla famiglia imperiale Giulio-Claudia. Per le sue indubitabili capacità era riuscito a raggiungere la posizione di grande favorito dell'Imperatore che lo investì della gestione finanziaria dell'Impero.

Alla morte di Messalina fra i liberti di Claudio e le donne interessate a diventare imperatrici si scatenò la lotta per scegliere una nuova moglie all'anziano Imperatore che non sopportava la solitudine:

(LA)

«...sed maxime abigebatur inter Lolliam Paulinam M. Lollii consularis et Iuliam Agrippinam Germanico genitam: huic Pallas, illi Callistus fautores aderant. [...] at Pallas id maxime in Agrippina laudare, quod Germanici nepotem secum traheret.»

(IT)

«Soprattutto contendevano fra loro Lollia Paolina, figlia del consolare M. Lollio e Giulia Agrippina, figlia di Germanico. Questa era appoggiata da Pallante, quella da Callisto. [...] Pallante lodava in Agrippina soprattutto il fatto che avrebbe condotto con sé il nipote di Germanico»

Lo stesso imperatore Nerone fu in debito con Pallante per la sua ascesa al trono perché se non fosse stato per Pallante che ha fatto sposare Agrippa e Claudio e fatto adottare Nerone da quest'ultimo il trono sarebbe stato del legittimo erede Britannico (che voleva sul trono il liberto Narciso). Dopo che Agrippina Minore ebbe sposato Claudio, Pallante la aiutò a porre al primo posto fra i pretendenti al trono il giovane Domizio Enobarbo.

(LA)

«C. Antistio M. Suillio consulibus adoptio in Domitium auctoritate Pallantis festinatur, qui obstrictus Agrippinae ut conciliator nuptiarum et mox stupro eius inligatus, stimulabat Claudium [...] His evictus triennio maiorem natu Domitium filio anteponit, habita apud senatum oratione eundem in quem a liberto acceperat modum.»

(IT)

«Sotto il consolato di C. Antistio e M. Suillio, l'adozione di Domizio fu sollecitata dall'autorità di Pallante, che prima legato ad Agrippina come mediatore del suo matrimonio, poi invischiato nell'adulterio, spingeva Claudio [...] Indotto da questi argomenti Claudio pose Domizio in posizione di preferenza rispetto al figlio minore di tre anni...»

La ricchezza di Pallante era diventata letteralmente proverbiale visto che Giovenale ancora ai tempi di Domiziano, quasi mezzo secolo dopo, nella prima Satira (vv. 106-109) fa dire a un liberto:

quid confert purpura maior
optandum, si Laurenti custodit in agro
conductas Corvinus oves, ego possideo plus
Pallante et Licinis?

(Che vantaggio dà la porpora, quando Corvino pascola le pecore degli altri nei campi di Laurento e io ho più quattrini di Pallante e dei Licini?)

D'altra parte non deve essere stato difficile per Pallante raggiungere e mantenere questa ricchezza, stimata in trecento milioni di sesterzi, (per diventare senatore occorreva una rendita di almeno un milione) se, come malignamente ricorda Tacito, a Pallante -che aveva fatto proporre a Claudio una legge che proibiva alle liberte di avere rapporti sessuali con gli schiavi-

(LA)

«CPallanti [...] praetoria insignia et centies quinquagies sestertium censuit consul designatus Barea Soranus. Additum a Scipione Cornelio grates publice agendas, quod regibus Arcadiae ortus veterrimam nobilitatem usui publico postponeret [...] Adseveravit Claudius contentum honore Pallantem intra priorem paupertatem subsistere. Et fixum est [...] quo libertinus sestertii ter milies possessor antiquae parsimoniae laudibus cumulabatur.»

(IT)

«... Il console designato Barea Sorano propose che fossero offerte insegne di pretore e quindici milioni di sesterzi. Scipione Cornelio aggiunse la proposta che fossero tributati a Pallante pubblici ringraziamenti, perché discendente dai re d'Arcadia, aveva anteposto il pubblico bene alla sua antichissima nobiltà [...] Claudio dichiarò solennemente che Pallante era contento dell'onore ma che voleva restare nella sua primitiva povertà. Rimase fissato che [...] quel liberto che possedeva trecento milioni di sesterzi era ricoperto di lodi per la sua parsimonia.»

La sua relazione con Agrippina era di pubblico dominio; Narciso, un altro potente liberto della casa imperiale che appoggiava il figlio di Claudio, Britannico, si scagliò pubblicamente contro Pallante:

(LA)

«...maiore flagitio quam si impudicitiam prioris coniugis reticuisset. Quamquam ne impudicitiam quidem nunc abesse Pallante adultero, ne quis ambigat decus pudorem corpus, cuncta regno viliora habere.»

(IT)

«...neppure in quel momento mancava lo scandalo, essendo Pallante il drudo di Agrippina, perché tutti avessero la certezza che per lei la dignità, la verecondia, il rispetto per il proprio corpo, qualunque cosa avevano un prezzo più vile che il possesso di un regno.»

Con la salita al trono di Nerone la sorte di Pallante cominciò a cambiare. Il giovane imperatore fu affiancato da Seneca e Afranio Burro, messi a quel posto da Agrippina stessa;

(LA)

«Certamen utrique unum erat contra ferociam Agrippinae, quae cunctis malae dominationis cupidinibus flagrans habebat in partibus Pallantem [...]. Sed neque Neroni infra servos ingenium, et Pallas tristi adrogantia modum liberti egressus taedium sui moverat.»

(IT)

«L'uno e l'altro, insieme lottavano contro la prepotenza di Agrippina, che arsa di tutte le cupidigie di una malvagia potenza, teneva come favorito Pallante, [...] Tuttavia Nerone non era un uomo da essere soggetto a dei servi e Pallante avendo superato con la sua sfacciata arroganza i limiti della sua condizione di liberto, lo aveva infastidito.»

Ma Nerone mal sopportava l'attività della madre e con il crescere dell'età cercò di liberarsi di questa letale influenza fino al matricidio. Lentamente si riappropriò del potere emarginando i sostenitori di Agrippina.

(LA)

«...et Nero infensus iis, quibus superbia muliebris innitebatur, demovet Pallantem cura rerum, quis a Claudio impositus velut arbitrium regni agebat; ferebaturque, degrediente eo magna prosequentium multitudine non absurde dixisse ire Pallantem, ut eiuraret. Sane pepigerat Pallas, ne cuius facti in praeteritum interrogaretur paresque rationes cum re publica haberet[...].»

(IT)

«Nerone, allora, ostile a coloro che offrivano appoggio all'arrogante superbia della madre, tolse a Pallante l'amministrazione del tesoro, carica che aveva avuto da Claudio e che lo faceva quasi arbitro dello Stato. Si diceva che mentre Pallante sloggiava seguito da una folla di parassiti, Nerone scherzando avesse detto che Pallante andava a deporre la carica. In realtà Pallante aveva pattuito che nessuna inchiesta si facesse sulla sua gestione passata e che si considerasse chiusa la sua partita con lo Stato.»

Il risultato immediato fu la furia di Agrippina che minacciò di sponsorizzare Britannico quasi diciottenne e quindi possibile serio rivale per il trono. Britannico fu ucciso.

In seguito fu scoperta una cospirazione per mettere sul trono Cornelio Silla, valido pretendente perché di nobile famiglia e imparentato con Claudio. Implicati nella vicenda Pallante e Burro. Pallante riuscì a dimostrare la sua innocenza ma la cosa non fu gradita anche perché il ricco liberto divenne ancor più superbo.

Infine Pallante perse qualsiasi difesa e Nerone -pare- ne decretò la morte:

(LA)

«...libertorum potissimos veneno interfecisse creditus, Doryphorum quasi adversatum nuptiis Poppaeae, Pallantem, quod immensam pecuniam longa senecta detineret.»

(IT)

«...si crede che Nerone abbia fatto morire per veleno i suoi più potenti liberti: Doriforo accusato di aver osteggiato le nozze con Poppea; Pallante perché era troppo vecchio ed immensamente ricco.»

Il fratello di Pallante Antonio Felice era il governatore della Giudea che, nel 58, protesse Paolo di Tarso dalla condanna a morte pronunciata dal Sinedrio e gli propose di trasportarlo sotto scorta in una città lontana, in cambio di una forte somma di denaro.


Note modifica

  1. ^ Marco Antonio Pallante, Liberto di Claudio, su treccani.it. URL consultato il 27 gennaio 2021.

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