Pasqualino Settebellezze

film di Lina Wertmüller del 1975

Pasqualino Settebellezze è un film del 1975 scritto e diretto da Lina Wertmüller.

Pasqualino Settebellezze
Pasqualino Settebellezze (Giancarlo Giannini) in una scena del film
Paese di produzioneItalia
Anno1975
Durata115 min
Rapporto1,66:1
Generedrammatico, commedia, grottesco
RegiaLina Wertmüller
SoggettoLina Wertmüller
SceneggiaturaLina Wertmüller
Casa di produzioneMedusa Film
Distribuzione in italianoMedusa Distribuzione
FotografiaTonino Delli Colli
MontaggioFranco Fraticelli
MusicheNando de Luca e Enzo Jannacci
ScenografiaEnrico Job
Interpreti e personaggi

La pellicola fu candidata a quattro Premi Oscar nel 1977: migliore regia, miglior film in lingua straniera, miglior attore protagonista e migliore sceneggiatura originale; la Wertmüller fu la prima donna ad essere candidata all'Oscar come miglior regista.[1]

Trama modifica

Napoli, anni 1930. Pasqualino Frafuso è un guappo, unico uomo di una famiglia composta da sette donne (da qui il soprannome Settebellezze, che però lo stesso afferma derivare dal fatto che nessuno si capaciti di come uno brutto come lui abbia tanto successo con le donne), che tenta di farsi largo nella società aspirando all'onore e al rispetto.

La maggiore delle sorelle, Concettina, ingannata dal fidanzato Totonno Diciotto carati con improbabili promesse di matrimonio, finisce a lavorare in un postribolo: Pasqualino affronta lo sfruttatore, ma di fronte ad un folto pubblico di prostitute viene umiliato; non gli resta quindi che compiere un delitto d'onore: intrufolatosi a casa di Totonno, lo minaccia con la pistola e accidentalmente gli spara uccidendolo. Il delitto non può essere quindi considerato d'onore, in quanto la vittima era disarmata: disperato per il timore di finire in prigione, Pasqualino chiede aiuto a Don Raffaele, che gli consiglia di disfarsi del cadavere. Pasqualino, seppur maldestramente, fa a pezzi il cadavere di Totonno e ne nasconde gli arti in diverse valigie che spedirà in destinazioni diverse, convinto che in questo modo non verrà mai scoperto.

L'uomo viene però immediatamente arrestato e a nulla vale il movente d'onore, così viene condannato per omicidio: soprannominato il mostro di Napoli, Pasqualino evita la condanna a morte avvalendosi dell'infermità mentale, venendo comunque condannato a dodici anni da scontare nel manicomio criminale di Aversa. La madre e le sorelle, nel frattempo, pur di sopravvivere e pagare l'avvocato procurato da Don Raffaele, intraprendono la via della prostituzione.

Nel 1940, tuttavia, dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale, il regime fascista offre a Pasqualino la possibilità di scontare la pena arruolandosi nella spedizione in Russia: attaccato alla sua filosofia del "tirare a campà", l'uomo accetta e riesce a disertare. Nella fuga conosce un altro soldato, Francesco, anche lui disertore; quest'ultimo nutre un profondo disprezzo per il regime instaurato da Mussolini ed è pentito di aver prestato il suo assenso alla proposta di arruolamento.

I due giungono in Germania ma vengono catturati dai nazisti e successivamente imprigionati in un campo di concentramento comandato da una grassa e sadica comandante; nel lager, Pasqualino e Francesco conoscono Pedro, un anarchico spagnolo che ha fallito diversi attentati nei confronti di Hitler, Salazar e Mussolini. Per salvare la pelle, Pasqualino fa la corte alla comandante, che accetta le sue avances e lo costringe ad avere più volte degli squallidi rapporti sessuali resi ancor più ardui dalla debolezza dell'uomo dovuta alle continue privazioni della prigionia. Per metterlo alla prova, la nazista lo nomina kapò e un giorno lo costringe a scegliere sei detenuti da mandare a morte: Francesco si dimostra subito contrario al "ricatto schifosissimo" e cerca di convincere Pasqualino a rifiutarlo, ma quest'ultimo è terrorizzato dall'idea di morire in quell'inferno e decide di proseguire.

Il giorno dopo si tiene un appello nella piazza del Lager: Pasqualino pronuncia i nomi delle persone da lui scelte per la fucilazione ma in quel momento Pedro, stanco della brutalità dei nazisti, si ribella e inizia ad insultarli. Inseguito dalle guardie, l'anarchico fugge nella latrina e tenta di scappare gettandosi in un fosso di feci liquide ma le guardie lo raggiungono e fanno fuoco, uccidendolo apparentemente. Dinanzi all'uccisione a sangue freddo dell'internato, Francesco decide di seguirne l'esempio e inizia ad urlare insulti alle guardie e alla comandante, venendo puntualmente picchiato dagli altri kapò. Inutili sono i tentativi di Pasqualino di salvarlo: quest'ultimo viene costretto dalla stessa comandante ad ucciderlo, pena la morte. Per la prima volta nella sua vita Pasqualino mostra dei dubbi verso la sua filosofia di sopravvivenza, ma Francesco gli chiede personalmente di ucciderlo in quanto stanco delle torture e del dolore vissuto nel lager. Disperato, Pasqualino uccide Francesco sparandogli un colpo in testa mentre i sei detenuti vengono fucilati dalle guardie subito dopo.

Terminata la guerra e tornato in una Napoli devastata dalle bombe, Pasqualino ritrova le donne della sua famiglia e la giovane fidanzata, costrette a prostituirsi con gli Alleati, che lo accolgono amorevolmente. Pasqualino è ormai un uomo cambiato, profondamente scosso dagli eventi di cui è stato protagonista, e che si vergogna profondamente del fatto che la sua volontà di sopravvivere abbia portato alla morte degli innocenti tra cui i suoi cari amici. La madre cerca di rincuorarlo: «Il passato è passato, non pensarci più a queste miserie! Tu sei vivo!». Pasqualino osserva la sua immagine nello specchio, che non riflette più il volto di un guappo pavoneggiante e attaccato alla dignità ma di un uomo sconfitto, umiliato e ferito; pur conscio della sua condizione, replica: «Sì... sono vivo».

Produzione modifica

Sceneggiatura modifica

Il soggetto del film è ispirato a una storia vera[2]. Durante le riprese di Mimì metallurgico ferito nell'onore, Lina Wertmüller ebbe modo di parlare con una delle comparse, il quale le raccontò la propria storia e di come, dopo essere stato in un lager, si fosse ritrovato a fare la comparsa a Cinecittà. Colpita, la regista iniziò a lavorare alla sceneggiatura del film[3].

Riprese modifica

Il film fu girato in parte in Jugoslavia e in parte in Italia. In particolare, le scene della fuga di Pasqualino e Francesco nei boschi furono riprese in Jugoslavia. Su suggerimento dello scenografo Enrico Job, le riprese degli interni del lager nazista furono fatte a Tivoli, in una vecchia cartiera costruita sui resti di un tempio greco. Altre scene furono poi girate a Napoli[3].

Critica modifica

Il film ebbe un grandissimo successo di pubblico anche negli Stati Uniti con il titolo Seven Beauties.

Riconoscimenti modifica

Note modifica

  1. ^ (EN) The first woman nominated for Best Director in 1977: interview with Academy Honorary Award winner Lina Wertmüller, su The Shortlisted, 22 giugno 2020. URL consultato il 9 giugno 2022.
  2. ^ Silvia Bizio, Giancarlo Giannini: “Il cinema è morto? Me lo diceva già Fellini”, in la Repubblica, 16 febbraio 2019.
  3. ^ a b ANAC.

Altri progetti modifica

Collegamenti esterni modifica

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