Richard Roose

cuoco inglese e avvelenatore

Richard Roose (... – Londra, 5 aprile 1531) è stato un cuoco inglese, in servizio presso la casa di John Fisher vescovo di Rochester. Fu giustiziato con l'accusa di aver tentato di avvelenare il vescovo, e di aver ucciso in quella occasione alcuni commensali di quest'ultimo.[1][2] In risposta al crimine, il re Enrico VIII emanò un provvedimento che prevedeva l'esecuzione pubblica per bollitura a morte in un calderone. Fu il primo ad essere sottoposto a questo procedimento giudiziario nella legge inglese, che fu presto abrogato già sotto il regno di Edoardo VI (1547) per la sua estrema crudeltà, e il suo caso conserva una particolare notorietà.

Biografia modifica

Noto variamente dalle fonti coi nomi di Richard Rouse,[3] Richard Cooke[4] o Richard Rose,[5] sebbene non si sappia nulla della sua vita al di fuori del caso, si ritiene che fosse il cuoco del vescovo Fisher (o, meno probabilmente, un amico del cuoco) nella sua residenza a Lambeth.

Antefatti e la posizione di Fisher a corte modifica

Il re Enrico VIII, dal 1525, si era invaghito di una delle dame di compagnia della sua prima moglie Caterina d'Aragona, ma la ragazza (la futura regina consorte Anna Bolena) si rifiutò di andare a letto col re finché egli fosse stato sposato. Di conseguenza, il re aveva cercato di persuadere sia il Papa che la Chiesa inglese a concedergli il divorzio. Pochi uomini di chiesa dell'epoca sostenettero Enrico dal principio e alcuni, tra cui il vescovo di Rochester John Fisher, si schierarono apertamente contro il proposito del sovrano. Fisher non era una personalità politica influente all'epoca, tuttavia (come suggerisce lo storico J.J. Scarisbrick) egli si era posto in inimicizia sia col re che con buona parte della sua famiglia.[6]

All'inizio del 1531, il Parlamento era in seduta da oltre un anno. Aveva già approvato una serie di piccole ma significative riforme, sia contro presunti mali sociali (come il vagabondaggio) sia contro la Chiesa, ad esempio limitando il ricorso al praemunire.[7] L'ambasciatore del Sacro Romano Impero, Eustache Chapuys, scrive in questo periodo all'Imperatore Carlo V che Fisher era molto impopolare presso il re prima della sua morte,[8] e riferisce che personalità anonime ma vicine al re avessero minacciato di "gettare Fisher e i suoi seguaci nel Tamigi" se avesse continuato con la sua opposizione.[4] Lo storico G.W. Bernard ha ipotizzato che Fisher possa essere stato vittima di intimidazioni, a seguito di suggestivi incidenti verificatisi durante quei mesi:[8] nel gennaio 1531, per esempio, Fisher fu arrestato per praemunire, e due mesi dopo si ammalò misteriosamente. L'atmosfera di sospetto a corte,[9] e la passione con cui Fisher difendeva la posizione della regina consorte, irritavano molto sia Enrico che Anna Bolena, la quale (dice Chapuys) "non temeva nessuno in tutta l'Inghilterra più di Fisher, poiché aveva sempre difeso Caterina senza rispetto alcuno per le persone".[10] Intorno a questo periodo, la Bolena consigliò a Fisher di non presenziare in Parlamento (dove era atteso per condannare il re e la sua amante), per evitare il rischio di "contrarre nuovamente qualche malattia come già accaduto prima".[10]

Alla fine, Fisher non si lasciò intimidire dalle minacce, e presenziò regolarmente alla seduta del Parlamento, nonostante un tentativo all'ultimo di intercessione da parte del vescovo di Londra John Stokesley, e diversi storici ritengono che questo sia stato il motivo che ha portato i suoi nemici a valutare soluzioni più drastiche per fermare il vescovo.[10][11]

Avvelenamento in Inghilterra modifica

I casi di avvelenamento deliberato e mortale erano relativamente rari in Inghilterra, conosciuti più per reputazione che per esperienza.[12] Questo era particolarmente vero se confrontato con reati di alto profilo come lo stupro e il furto con scasso,[13] ed era considerato un crimine "non-inglese".[2] Sebbene ci fosse una grande paura dell'avvelenamento tra le classi inglesi più elevate, che portava allo svolgersi di complicati rituali di degustazione durante i pasti formali, l'intossicazione alimentare dovuta a scarsa igiene o uso improprio di ingredienti naturali era un evento molto più comune dell'avvelenamento deliberato intenzionale.[14]

L'avvelenamento del 18 febbraio 1531 modifica

Nel primo pomeriggio del 18 febbraio 1531, Fisher e un certo numero di ospiti stavano cenando insieme nella sua residenza episcopale londinese di Lambeth, a sud-ovest della città.[1] Un successivo atto del parlamento descrisse i fatti di quel giorno in un resoconto ufficiale, affermando che:

«Nel diciottesimo giorno di febbraio del 1531, un certo Richard Roose, di Rochester, cuoco, chiamato anche Richard Cooke, versò del veleno in un recipiente, pieno di lievito, mentre si trovava nella cucina del palazzo del vescovo a Rochester, a Lambeth March, per mezzo del quale due persone che per caso mangiarono la minestra fatta con tale lievito morirono.[15]»

Un membro della famiglia di Fisher,[8] Bennett (o forse Burnet) Curwen, noto gentiluomo[4][12], e una donna che si era recata alla cucina del vescovo in cerca di elemosina chiamata Alice Tryppyt,[13] avevano mangiato un porridge[8] o una minestra,[13] ritrovandosi "mortalmente infettati", come dice il rapporto.[16] Fisher, che non aveva mangiato il piatto, sopravvisse, ma circa 17[13] persone si ammalarono gravemente. Le vittime comprendevano sia i commensali invitati per pranzo quel giorno,[8] sia poveri che venivano sempre a chiedere l'elemosina alla porta della sua cucina.[1][2] Non si sa perché Fisher non abbia mangiato, ma è possibile che fosse a digiuno.[17] Il primo biografo di Fisher, Richard Hall, riferisce che Fisher aveva studiato così duramente nel suo ufficio che perse l'appetito, e "propose alla sua famiglia di cenare senza di lui".[4] Al contrario, dice Bernard, Fisher era ben noto per la sua pratica caritatevole di non mangiare prima che i mendicanti alla sua porta lo avessero fatto; di conseguenza "hanno svolto il ruolo fatale di assaggiatori".[8] I sospetti caddero rapidamente sugli uomini della cucina, in particolare su Roose, che Richard Fisher (fratello del vescovo e domestico[18]) ordinò di fare arrestare immediatamente. Roose, che a quel punto pare fosse già scappato, pur essendosi allontanato[1][4] fu rapidamente catturato. Fu messo sotto interrogatorio presso la Torre di Londra[19], dove fu sottoposto alla tortura del cavalletto.[4]

Teorie modifica

Lo studioso Derek Wilson descrive una "onda d'urto di orrore" che si propagò sulla classe benestante di Londra e Westminster al diffondersi della notizia degli avvelenamenti.[13] Chapuys, scrivendo all'Imperatore all'inizio di marzo 1531, afferma che non fosse ancora noto chi avesse fornito a Roose il veleno usato.[4] Rex sostiene che Roose fosse probabilmente la pedina nelle mani di qualcun altro, e che egli fosse stato "involontariamente coinvolto nell'atto".[11] Chapuys credeva che Roose fosse il cuoco personale di Fisher, mentre l'atto del Parlamento lo indica solo come cuoco di professione e di Rochester.[4] Molti dettagli sia sulla cronologia degli eventi sia sul caso in sé sono andati perduti nei secoli successivi, e la fonte più completa rimane l'atto del Parlamento.[13]

Scherzo o incidente finito male modifica

Durante le torture, Roose ammise di aver messo quello che credeva fosse un lassativo[8] nella pentola del porridge per scherzo.[20] Bernard sostiene che un incidente di questa natura non sia affatto impensabile.[8] Lo stesso Roose ammise che la polvere bianca[3] avrebbe dovuto causare disagio e malattia, ma non essere fatale, e che l'intenzione fosse solo di colpire i servi di Fisher con il suo effetto lassativo,[1] o come riferisce Chapuys, di "far ammalare gravemente i suoi compagni di servizio, senza mettere in pericolo la loro vita o fargli del male".[13]

Roose persuaso da altri modifica

Bernard suggerisce che la confessione di Roose sollevi una serie di domande: "Era più sinistro di così? [...] E se fosse più di uno scherzo andato disastrosamente storto, e Fisher fosse stato la vittima designata?".[8] Dowling osserva come Roose non abbia fornito alcuna informazione su eventuali istigatori del crimine, nonostante sia stato brutalmente torturato, il che sarebbe un'indicazione del fatto che sia stato persuaso ad agire da terzi, e poi forzato a resistere all'interrogatorio.[10] Lo stesso Chapuys ha espresso dubbi sulla presunta motivazione di Roose, e i documenti esistenti non indicano il processo attraverso il quale Richard Fisher o le autorità stabilirono che Roose fosse colpevole in prima persona.[13]

Qualcun altro avvelenò il cibo modifica

Hall (che ci fornisce un resoconto dettagliato e probabilmente accurato dell'accaduto)[10] suggerisce che il colpevole non fosse lo stesso Roose, ma piuttosto "una certa persona cattiva, di indole più dannata e malvagia"[4][5] nota a Roose, e che avrebbe visitato il cuoco sul suo posto di lavoro. Hall racconta la sua teoria: suggerisce che questo conoscente abbia mandato Roose a prendergli dell'altro da bere, e in sua assenza abbia avvelenato la minestra,[4] teoria che sostiene Bernard.[8]

Il piano del re modifica

Bernard suggerisce anche che, poiché Fisher era sempre stato una spina nel fianco[8][11] del re, è possibile che egli intendesse spaventare o uccidere il vescovo.[8] Lo studioso John Matusiak sostiene che "nessun altro critico del divorizio tra le élites del regno fu, infatti, più esplicito e nessun oppositore dell'incombente rottura con Roma fu trattato con tali livelli di intimidazione" come Fisher.[21]

Il re, tuttavia, commenta lo storico Stanford Lehmberg, fu "molto turbato" dalla notizia, non solo per la sua stessa paranoia riguardo al veleno, ma forse anche per la paura stessa di essere implicato quale mandante del gesto di Roose.[1] Chapuys sembra aver sospettato che il re abbia eccessivamente drammatizzato il gesto di Roose, in uno sforzo machiavellico di distogliere l'attenzione dai tesi rapporti col vescovo suoi e della Bolena.[17] Enrico VIII potrebbe anche aver reagito a alcune voci popolari sulla sua colpevolezza.[13] Tali voci sembra avessero preso piede in parti del paese già mal disposte nei confronti della futura regina,[22] e da frange favorevoli al mantenimento della chiesa romana.[23] È probabile che, sebbene il re fosse determinato a portare il clero inglese direttamente sotto al suo controllo (come del resto dimostravano i provvedimenti presi in quel periodo) la situazione non era ancora peggiorata a tal punto da voler essere visto come un nemico aperto della chiesa o dei suoi vertici.[13]

Il piano di Anna Bolena o suo padre modifica

Rex ha suggerito che la Bolena e la sua famiglia, anche se attraverso i propri agenti, siano colpevoli tanto quanto il re.[11] Chapuys suggerì originariamente questa possibilità all'Imperatore nella lettera di marzo 1531, dicendo a Carlo V che "il re ha fatto bene a mostrare insoddisfazione per questo; tuttavia, non può evitare qualche sospetto, se non contro sé stesso, che ritengo troppo buono per fare una cosa del genere, almeno contro la signora e suo padre".[4][13] L'ambasciatore sembra aver creduto che, sebbene fosse improbabile che il re fosse stato coinvolto nella cospirazione, essendo "troppo nobile per ricorrere a tali mezzi", per la Bolena forse la questione era diversa. Il medievalista Alastair Bellany sostiene che, per i contemporanei, mentre il coinvolgimento del re in una simile vicenda sarebbe stato incredibile, "l'avvelenamento era un crimine perfettamente adatto a un cortigiano emergente o a una puttana ambiziosa"[2] com'era interpretata dai suoi nemici.[2]

Il gesuita spagnolo Pedro de Ribadeneira, che scrive negli anni '90 del Cinquecento, attribuì fermamente la colpa alla stessa Anna Bolena, scrivendo che "aveva desidereato vedere Rochester morto da quando aveva difeso la causa della regina con tanto valore. Spinta da questo odio, lei aveva precedentemente tentato di ucciderlo, corrompendo uno dei cuochi del vescovo, chiamato Richard Roose". Era, dice de Ribadeneira, sotto la volontà di Dio che il vescovo non mangiasse come presumibilmente ci si aspettava.[24] La storica Elizabeth Norton sostiene che, mentre la Bolena "non era un'assassina", il caso fosse indicativo della sua impopolarità, al punto che "si poteva credere qualsiasi cosa di lei".[22]

Processo ed esecuzione modifica

La condanna del Re modifica

Roose non fu mai processato in tribunale per il crimine di cui era accusato, quindi non ebbe la possibilità di difendersi.[25] Invece, mentre si trovava in carcere, il 28 febbraio,[4] il re rivolse ai parlamentari un discorso di un'ora e mezza, soprattutto sulla questione degli avvelenamenti,[1] "in un lungo discorso che espone il suo amore per la giustizia e il suo zelo per proteggere i suoi sudditi e per mantenere il buon ordine nel regno" commenta lo storico William R. Stacy.[19] Questa risposta fortemente individuale verso un crimine (basata esclusivamente sulle opinioni del re)[19] fu presentata come un'enfasi delle virtù dello stesso sovrano: la cura dei suoi sudditi e la pace di Dio.[2] Roose fu, quindi, condannato sulla base dell'interpretazione personale del re degli eventi del 18 febbraio, piuttosto che su una qualsiasi prova, testimonianza o confessione di cui si sarebbe potuto disporre.[19]

Il nuovo decreto sul tradimento modifica

Invece di essere condannato dai suoi pari, come sarebbe stato normale,[25] Roose fu giudicato dal parlamento.[19] Il decreto di legge definitivo fu probabilmente redatto dai consiglieri di Enrico VIII[26] (sebbene la sua brevità indichi a Stacy che il re potrebbe averlo redatto lui stesso)[19] e subì degli aggiustamenti prima di essere definitivamente promulgato. Una bozza precedente, ad esempio, non nominava le vittime di Roose, né chiamava il reato 'tradimento' (era piuttosto definito 'omicidio volontario'). La storica del diritto Krista Kesselring suggerisce che lo spostamento dell'enfasi dal crimine al tradimento derivò dal desiderio politico di Enrico VIII di limitare il privilegio del beneficio del clero.[25] Fisher era uno strenuo difensore del privilegio e, dice Kesselring, "non avrebbe accolto con favore un tentativo di usare l'assalto alla sua famiglia per giustificare un attacco alle immunità del clero".[25] Di conseguenza, il "celebre"[27] An Acte For Poysonyng[13] fu approvato. Lehmberg suggerisce che "nonostante la sua barbarie, il disegno di legge sembra essere passato facilmente in entrambe le camere".[1] Il re, nel suo discorso, sottolinea che

«[...] considerando che la vita degli uomini debba essere favorita sopra ogni cosa, e gli omicidi volontari debbano essere altamente detestati e aborriti, e specialmente tutti i tipi di omicidio da avvelenamento, che in questo Regno finora si ringrazia il Signore sono molto raramente commessi e praticati [...][13]»

L'ampliamento essenzialmente ad hoc della Legge sul Tradimento da parte di Enrico VIII ha portato gli storici ad interrogarsi sull'effettivo impegno del re verso la common law.[17] Stacy commenta che "tradizionalmente, la legge sul tradimento proteggeva le persone del re e della sua famiglia prossima, alcuni membri del governo e il conio, ma la clausola pubblicata nell'atto di Roose non offriva alcuna di queste maggiori sicurezze".[17] Nonostante la sua crudeltà, era considerato politicamente utile disporre di una legge "che consentisse alla corona di abbattere rapidamente individui che percepiva come particolarmente minacciosi e pericolosi, e di farlo senza ricorrere ai tribunali di diritto comune".[17] La legislazione di Enrico VIII non solo "ha promulgato una serie di statuti capitali", ma undici di questi atti hanno ampliato la definizione legale di tradimento.[28] Di fatto annunciava che l'omicidio per avvelenamento era un fenomeno nuovo per il Paese e per la legge,[13] e, in quanto criminale, era un delitto senza beneficio del clero.[29]

Contro Roose fu presentato un attainder, il che significa che fosse dichiarato colpevole senza la necessità di alcun provvedimento di diritto comune,[8][17] anche se, in quanto prigioniero della corona, nulla avrebbe impedito che fosse messo sotto processo.[17] A seguito delle morti a casa Fisher, il parlamento (probabilmente dietro forte spinta del re)[30] assicurò che l'atto di omicidio mediante veleno sarebbe stato d'ora in poi considerato tradimento, da punire con la ebollizione viva del condannato.[8] La legge specifica che

«Il suddetto avvelenamento va giudicato alto tradimento; e che il suddetto Richard Roose, per il suddetto omicidio e avvelenamento delle suddette due persone, sarà accusato di alto tradimento, e sarà quindi bollito a morte senza il beneficio del clero. E che, in futuro, l'omicidio per avvelenamento sarà giudicato alto tradimento, e il colpevole privato del suo clero e bollito a morte.[15][31]»

L'Acte era quindi retroattivo, in quanto la legge che condannava Roose non esisteva (l'avvelenamento non era considerato tradimento) quando il crimine fu commesso.[16] Attraverso l'Acte, i Giudici di Pace e le assise locali avevano giurisdizione sul tradimento, sebbene questo rimase limitato all'avvelenamento e al conio fino alla fine del decennio.[32]

Esecuzione modifica

In quella che è stata suggerita dagli storici essere una sorta di "punizione simbolica",[17] intesa a dimostrare l'impegno profuso dalla corona inglese per tutelare la legge e l'ordine,[17] Roose fu condannato ad essere bollito a morte. Ciò avvenne a Smithfield[8] il 15 aprile 1532,[15] e durò circa due ore.[33] Il giornale contemporaneo Chronichles of the Grey Fairs of London descrisse come Roose fosse legato con delle catene, appeso ad una sorta di patibolo mobile (gibbeted) e poi calato dentro e fuori dall'acqua bollente per tre volte, finché non fu morto.[13] Sebbene Roose non fosse il primo a subire tale supplizio, fu con lui che l'ebollizione come forma di esecuzione fu aggiunto al libro degli statuti.[13] Stacy suggerisce che nel metodo d'esecuzione scelto ci fosse più che "semplicemente il voler deridere il lavoro di Roose come cuoco o uno spirito di cieca vendetta per aumentare la sua sofferenza".[17] Piuttosto, sarebbe stato scelto come contrappasso del crimine da lui compiuto, avendo bollito il veleno nel brodo della minestra: ciò avrebbe collegato indissolubilmente il crimine alla sua punizione agli occhi dei contemporanei.[17] Uno degli spettatori descrive così l'esecuzione di Roose:

«Urlava in modo forte e potente, e diverse donne che erano gravide si sentirono male alla vista di ciò che avevano davanti e furono portate via mezze morte; e altri uomini non sembravano spaventati dall'ebollizione viva, ma preferirono vedere il boia compiere il suo lavoro.[34]»

Note modifica

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