Tarantasio

drago leggendario

Tarantasio è il nome di un drago leggendario che terrorizzava gli abitanti dell'antico lago Gerundo (oggi prosciugato), nella zona di Lodi, in Lombardia. Si riteneva che questo animale mitologico divorasse i bambini, distruggesse le imbarcazioni e ammorbasse l'aria con il suo fiato pestilenziale, causando una strana malattia denominata febbre gialla.[1]

Disegno raffigurante il drago del Lago Gerundo eseguito da Ulisse Aldrovandi.

A testimonianza della leggenda, il drago ha dato il proprio nome a una frazione di Cassano d'Adda denominata Taranta.

Leggenda modifica

 
Lo stemma della famiglia Visconti col celebre biscione che, secondo la leggenda, rimanderebbe al drago Tarantasio

Secondo le leggende popolari, il lago Gerundo sarebbe stato abitato da un dragone chiamato Tarànto, più comunemente conosciuto come Tarantasio, il quale si sarebbe nutrito soprattutto di bambini. Sono sorte poi numerose leggende riguardo al drago, tutte accomunate dalla concomitanza tra l'uccisione di Tarànto e il prosciugamento del lago. Una tradizione popolare racconta che il drago sarebbe nato dalle carni putrefatte del condottiero Ezzelino III da Romano, morto proprio in quelle terre. Alcune fonti popolari attribuiscono il prosciugamento e la bonifica del lago a san Cristoforo, che avrebbe sconfitto il drago, altre a san Colombano (famoso uccisore di draghi, come quello dell'eremo di San Colombano) o a Federico Barbarossa. La più suggestiva riguarda l'uccisione del drago da parte del capostipite dei Visconti, il quale avrebbe poi adottato come simbolo la creatura sconfitta, ovvero il biscione con il bambino in bocca. In realtà, della leggenda del drago parla già nel 1100 il monaco Sabbio nelle sue memorie sulla città di Lodi:

«Una creatura serpentiforme, la testa enorme con grandi corna e coda e zampe palmate, sputava fuoco dalla bocca e fumo dal naso... come un drago, nuotava nelle acque del Gerondo, si nutriva soprattutto di carne di bambini e di uomini e appena vedeva una barca vi si gettava contro fracassandola. Il suo stesso fiato provocava pestilenze e faceva morire le donne di febbri»

Del drago riprese la leggenda, pur servendosi di fonti indirette, il poeta lodigiano Filiberto Villani, il quale, nella sua ode Federigo ovvero Lodi riedificata (1650), così scriveva:

«Ove col fiato o con la spoglia tocca/Secca piante, erbe aduggia il serpe infame/Ne la vorace e cavernosa bocca/Regna di larga strage ingorda fame/Triplice lingua infra gran denti scocca/Di sangue uman con sitibonde brame/E qual re de' portenti, in su la testa/Ha fra due lunghe corna aurata cresta»

 
Una probabile raffigurazione del drago Tarantasio nelle sembianze del mostro dell'Apocalisse in un affresco dell'XI secolo dell'Abbazia di San Pietro al Monte di Civate (LC)

La più antica rappresentazione grafica del drago Tarantasio sarebbe da ricondurre all'XI secolo, in un mosaico conservato presso l'abbazia di San Colombano a Bobbio (PC). Della medesima epoca è un affresco presente nell'Abbazia di San Pietro al Monte di Civate (LC) che si ritiene possa rappresentare l'uccisione della medesima creatura, rappresentato qui con sette teste in quanto identificato con il drago narrato da san Giovanni nell'Apocalisse. Un riferimento esplicito alla leggenda del drago Tarantasio si trova in un affresco del chiostro della chiesa milanese di San Marco, databile al XIII-XIV secolo, dove l'animale mitologico viene raffigurato sullo sfondo del lago. Una raffigurazione del drago, nel contesto del celebre episodio di San Giorgio e il drago, sembrerebbe ravvisabile in un affresco della fine del XIV secolo realizzato dal "maestro del 1388" nella chiesa di San Giorgio in Lemine ad Almenno San Salvatore (BG) dove è conservata una presunta reliquia del mostro. Una delle raffigurazioni più recenti del drago Tarantasio fu realizzata da Ulisse Aldrovandi nel Cinquecento.[2]

La leggenda del drago del lago Gerundo fu fonte di ispirazione per lo scultore Luigi Broggini che prese a modello Tarantasio per ideare l'immagine del cane a sei zampe, marchio simbolo dell'Agip prima e dell'Eni poi.[1]

La leggenda vuole che "la tomba" del drago sia situata sull'isolotto Achilli, visibile alla destra del ponte sull'Adda a Lodi, dal 2016 manutenuto dall'associazione culturale "Num del Burgh". Un tempo lo scheletro intero del drago era conservato presso la chiesa di Sant'Andrea a Lodi, dove rimase probabilmente sino al XVIII secolo. Una supposta costola del drago era conservata presso la chiesa lodigiana di San Cristoforo dove rimase sino all'epoca napoleonica quando, con l'occupazione della chiesa, se ne persero le tracce.[1] Altre costole del drago sono oggi conservate ancora invece presso la chiesa di San Bassiano a Pizzighettone, Cremona (170 cm), presso la chiesa di San Giorgio in Lemine ad Almenno San Salvatore, Bergamo (260 cm) e presso il santuario della Natività della Beata Vergine a Sombreno, frazione del comune di Paladina, in provincia di Bergamo (180 cm). Quest'ultima costola fu studiata in particolare dal naturalista Enrico Caffi nel XIX secolo che la identificò come appartenente ad un mammuth.[3]

L'uccisione di un drago tarantasio (che nell'economia del racconto indica una specie piuttosto che un singolo individuo) rappresenta l'episodio iniziale del romanzo fantasy Donna di spade di Giuseppe Pederiali, pubblicato nel 1991.

Note modifica

  1. ^ a b c L. Veronelli, Lombardia, Garzanti, Milano, 1968, p. 171
  2. ^ vedi qui
  3. ^ vedi qui

Bibliografia modifica

  • L. Veronelli, Lombardia, Garzanti, Milano, 1968
  • M. Merlo, Leggende lombarde, Longanesi, Milano, 1979
  • U. Cordier, Guida ai draghi e mostri in Italia, SugarCo, Milano 1986
  • G. Pederiali, Donna di spade, Rizzoli, Milano, 1991 EAN 9788817665148
  • C. Fayer, M. Signorelli, Racconti del Gerundo, aspetti di un territorio, SIED Milano 2001
  • F. Belotti, G. L. Mereghetti, 101 storie su Milano che non ti hanno mai raccontato, Milano, 2015
  • A. Giacomini, L. Rusconi, Da Milano a Lodi la storia del biscione - il drago Tarantaso nel lago Gerundo, Milano, 2020, ISBN 8869927113