Testi latini arcaici
I testi latini arcaici sono i testi latini, rinvenuti per via epigrafica su vari supporti, oppure tramandati per via letteraria, che risalgono a un'epoca compresa tra gli inizi documentati della lingua latina e la fine del III secolo a.C.
Si tratta di testi di vario genere, alcuni definibili "protoletterari", altri di carattere puramente occasionale. Comunque dell'insieme di questi testi non fanno parte le prime opere della letteratura latina, che si fa iniziare con Livio Andronico nella prima metà del III secolo a.C. A differenza di queste ultime, pervenuteci in frammenti, i testi latini arcaici propriamente detti testimoniano in modo più o meno fedele le fasi linguistiche più arcaiche del latino; le prime opere letterarie invece hanno subito nel corso dei secoli successivi un generale processo di "normalizzazione" linguistica in senso classico.
L'arco cronologico di queste attestazioni non si spinge oltre il 150 a.C., ritenuta solitamente la data approssimativa dell'inizio della fase classica della lingua latina. Furono comunque utilizzati anche in età classica i carmina religiosi e probabilmente i carmina convivalia.
Fibula PrenestinaModifica
Ritrovata a Palestrina, è una spilla in oro sulla quale è inciso quello che sembrerebbe il più antico testo latino in assoluto, risalente alla prima metà del VII secolo a.C. Per molti anni l'autenticità dell'iscrizione è stata largamente dibattuta; esami recenti, condotti nel 2011, hanno dimostrato che le tecniche di realizzazione sono compatibili con quelle in uso all'epoca.
La Fibula Prenestina appartiene alla categoria degli "oggetti parlanti", poiché il testo che vi è inciso dà informazioni sulla spilla stessa, come se fosse lei stessa a parlare in prima persona. L'iscrizione riporta una sola frase scritta in senso sinistrorso; l'alfabeto utilizzato risente di influenze greche ed etrusche.
Olla dell'Osteria dell'OsaModifica
Durante il recente scavo della necropoli protostorica di Osteria dell'Osa, relativa alla città di Gabi, sono state ritrovate alcune iscrizioni in greco e in latino arcaico che risultano tra le più antiche esistenti. Si tratta di un sito usato per più di tre secoli, dal IX al VI a.C. e costituito da circa 600-700 sepolture sia a inumazione che (in minor numero) a incinerazione. I reperti sono esposti nella sezione Protostoria del Museo nazionale romano alle Terme di Diocleziano.
L'iscrizione in latino è su olla globulare di terracotta d'impasto rosso, datata al VII secolo a.C., in particolare al 630-580 a.C.[1][2]
Vaso di DuenoModifica
Si tratta probabilmente del più antico testo latino accertabile in assoluto, risalendo al VII secolo a.C.
Fu trovato a Roma nel 1880, inciso su un vaso. Il testo è strutturato in tre frasi incise con scrittura sinistrorsa.
La definizione di "vaso di Dueno" è comunque imprecisa, poiché si tratta non di uno, ma di tre vasetti d'argilla collegati tra loro in un'unica struttura.
L'interpretazione del testo è poco chiara; anche la spiegazione del termine "duenos" è problematica, forse si tratta del nome proprio del vasaio, forse vale come riconoscimento delle sue capacità artistiche (in questo caso dunque duenos = bonus) e pertanto ha valore aggettivale.
TestoModifica
«iouesat deiuos qoi med mitat nei ted endo cosmis uirco sied asted noisi op(p)etoit esiai paka riuois duenos med feked en manom einom duenoi ne med malo statod» |
TrascrizioneModifica
iovesat deivos qoi med mitat nei ted endo cosmis virco sied asted noisi opetoi tesiai pacari vois duenos med feced en manom einom duenoi ne med malos tatod
Latino classicoModifica
iurat deos qui me mitat ni in te comis virgo sit. at te nisi [OPETOITESIAI] pacari vis. Bonus me fecit in [MANOM EINOM] bono. ne me malus tollito.
TraduzioneModifica
Colui che mi invia scongiura gli dèi che le fanciulle non ti concedano favori
se non vuoi essere soddisfatto per opera di Tutera.
Un buono mi ha fatto fare a fin di bene e per un buono non sia un male porgermi.
Lapis nigerModifica
Il "Cippo del Foro", impropriamente denominato Lapis niger dal nome dell'area in cui si trova, è il troncone di una colonna quadrangolare sul quale è riportato un testo frammentario in scrittura bustrofedica, anch'esso di difficile interpretazione; potrebbe trattarsi di una formula di prescrizione d'accesso ad un luogo sacro conservato nel Foro romano.
Da notare sono anche qui alcune forme che permettono di osservare le fasi arcaiche di termini presenti anche nel latino classico: es. "sakros" = "sacer".
TestoModifica
«quoiho °( |
Possibile resa in latino classicoModifica
Qui hunc lapidem rupsit violassit, is lovis sacer erit. Sordis qui faxit, asses CCC multae erunt... Regi multae exactio erti. Cum rex ducet in rem divam, quos rex ducet augures, ii iubeant suum kalatorem haec kalare. "Si quis cum iumentis veniat, ex iugo iumenta capiat, donec rex augures suum iter rite pergant". Si iumento ceciderit quid sordium alieni alvo, neque saluto, vitio fiet, si saluto, auspicio iusto liquido (fiet).
TraduzioneModifica
Chi romperà o profanerà questa pietra sarà vittima di Giove. Per chi farà lordume, la multa sarà di trecento assi... L'esazione della multa competerà al re. Quando il re li guiderà al rito, gli auguri condotti ordinino al suo banditore di bandire questi ordini: se qualcuno giunge con giumenti, prenda i giumenti dal giogo, finché re ed auguri proseguano, secondo il rito, il loro cammino. Se dal ventre di un giumento cadrà lordume e non sarà disciolto sarà colpa, se sciolto, sarà di retto auspicio sicuramente.
(interpretazione, trascrizione in latino classico, traduzione Gianotti)
Lapis SatricanusModifica
Il lapis Satricanus ("pietra di Satrico") è un'iscrizione incisa su una pietra giallastra rinvenuta a Satricum (Borgo Le Ferriere) nel Latium vetus, datata tra la fine del VI e gli inizi del V secolo a.C.
TestoModifica
(LA)
«...iei steterai Popliosio Valesiosio |
(IT)
«...i compagni di Publio Valerio |
Carmen SaliareModifica
Questo carme era intonato dal collegio dei Salii nel mese di marzo e di ottobre, in onore del dio della luce.
È da datare intorno al VI secolo a.C., e ci è stato tramandato per via letteraria da Varrone (De lingua Latina VII, par 26-27) e dal grammatico Quinto Terenzio Scauro (De orthographia).
Nella stessa opera Varrone ci fornisce notizie sulla nascita di questo collegio sacerdotale, sulle sue funzioni e la sua struttura.
Altre attestazioni del carmen sono rintracciabili in Festo (anche tramite Paolo Diacono) e una sua glossa, oltre a un'annotazione di Nonio.
Il carmen sarebbe stato composto in un'epoca antichissima per impedire il trafugamento di uno scudo sacro caduto dal cielo, che i Salii presero sotto la propria custodia. A tal fine fecero forgiare dal fabbro Mamurio Veturio undici scudi, e il dodicesimo di origine divina sarebbe rimasto mimetizzato tra gli altri.
I sacerdoti erano 24 distinti in 12 palatini e 12 collini, così definiti dal luogo dove avevano sede i rispettivi luoghi di culto (il Palatino ed il Quirinale). La loro carica era a vita e potevano essere rimossi solo in caso di elezione a pretori, consoli oppure flamini.
Il termine Salii è riconducibile al verbo salire (it. saltare), forse in riferimento alle danze rituali che i sacerdoti praticavano.
Nel testo è da notare soprattutto la forma tremonti: si tratta dell'unica attestazione documentata nella lingua latina di una desinenza primaria indoeuropea (-nti). In latino classico si generalizzò uniformemente l'uso delle sole desinenze secondarie (-nt).
Interessante è inoltre anche l'attestazione della forma di infinito tonase, senza rotacismo, per tonare. Da notare infine leucesie, vocativo riferito a Giove, che conserva il dittongo eu, unico esempio latino
«Divom parentem cante, |
(Gr. Lai. 7 p. 28 Keil)
Resa in latino classicoModifica
Deorum eum patrem canite,
Deorum deum supplicate.
Cum tonas, Luceri,
prae te tremunt
quot ibi te di
audierunt tonare
TraduzioneModifica
Lui, padre degli dei, cantate;
inginocchiatevi davanti al dio degli dei
Quando tuoni, o signore della luce,
davanti a te tremano
quanti dei nel cielo
t'udirono tonare.
Carmen ArvaleModifica
Nel nome del collegio sacerdotale dei "Fratres Arvales", che intonavano questo carme durante i loro riti, è evidente la connessione con "arva" e dunque il carattere eminentemente agrario di questo consorzio. I sacerdoti erano dodici e celebravano riti secondo formule arcaiche, particolarmente in onore della dea Dia, nel bosco sacro a questa consacrato in prossimità del Tevere verso Ostia.
I loro riti propiziatori a varie divinità tra cui Marte, aprono il problema della valutazione di questo carme invocato contro "epidemie e rovine alle quali egli reagirà come guerriero. Resta tuttavia il fatto che la società essenzialmente agraria dei Latini l'associava a riti assolutamente pacifici." (cf. Pastorino "La religione romana", Milano 1973)
II frammento di questo canto, tra i più antichi documenti della poesia religiosa latina, ci è stato conservato da un'epigrafe del 218 d.C., dunque della piena età imperiale, ma fortunatamente fedele nella trascrizione delle più antiche forme.
TestoModifica
«E nos, Lases, iuvate! (ter) |
(Acta, 218 d.C.)
Latino classicoModifica
O nos, Lares, iuvate (ter)
ne luem ruinam, Marmar, sinas incurrere in plures! (ter)
satur es, fere Mars; limen sali, sta illic illic! (ter)
Semones alternis advocabit cunctos. (ter)
O, nos, Marmar, iuvato! (ter)
triumphe triumphe triumphe triumphe triumphe! (ter)
TraduzioneModifica
Oh, a noi! Lari, aiutateci! (tre volte)
No, pestilenza e rovina, o Marmar,
non permettere che trascorrano tra il popolo! (tre volte)
Sii sazio, o feroce Marte;
balza sulla soglia; fermati là là! (tre volte)
I Semòni, sei alla volta, li chiamerà tutti a parlamento (tre volte)
Oh, a noi! Marmor, aiutaci! (tre volte)
Trionfo! (tre volte)
Cista FicoroniModifica
La Cista Ficoroni è un recipiente di forma cilindrica (cista) in bronzo. È così chiamata dal nome di colui che lo ritrovò nel 1738 in una tomba a Preneste. La datazione è incerta (IV o II secolo a.C.).
Da notare sono la presenza dell'originaria desinenza "os" del nominativo (Manios, Novios, Plautios) per "us"; "med" = me (accusativo) per il classico "me"; "fileai" = "filiae" (dativo), "Romai" = "Romae" (locativo).
TestoModifica
Dindia Macolnia fileai dedit
Nouios Plautios med Romai fecid
(C.I.L., I, 561, 14, 4112)
Adattamento in latino classicoModifica
Dindia Macolnia filiae dedit,
Novius Plautius me Romae fecit
TraduzioneModifica
Dindia Macolnia (mi) donò alla figlia,
Novio Plauzio mi fece a Roma.
Lamina bronzea di LavinioModifica
Si tratta di un'iscrizione sinistrorsa del VI-V secolo a.C. dedicata ai Dioscuri scoperta nel 1959.
TestoModifica
castorei. podlouqueìque qurois
Adattamento in latino classicoModifica
Castori Pollucique curis
TraduzioneModifica
Ai giovani Castore e Polluce
Coppa di Civita CastellanaModifica
L'iscrizione, di tono simposiaco, presenta elementi fonetici latini e falischi che la fanno risalire al V-VI secolo a.C.
Presumibilmente proviene dall'Umbria come indica la presenza di forme dialettali tipiche di quell'area: es: "pipafo" = "bibam"; "carefo" = "carebo", in cui si nota la presenza nella prima forma del raddoppiamento unito all'uscita in "fo" ("bo" latino); "foied" (lat. "hodie" con la "f" al posto della "h" iniziale; "cra" (lat. "cras").
TestoModifica
Foied vino pipafo, cra carefo
Adattamento in latino classicoModifica
Hodie vinum bibam, cras carebo
TraduzioneModifica
Oggi bevo vino, domani ne farò a meno
Cippo di SpoletoModifica
Si tratta di un cippo di pietra trovato a Spoleto nel 1876. È conosciuto come Lex spoletina.
Presenta iscrizioni sulle due facce, ed è da datare successivamente al 241 a.C., anno in cui la città divenne colonia latina, contiene un divieto:
TestoModifica
faccia a:
«honce loucom |
faccia b:
«violasit Iove bovid |
TraduzioneModifica
Questo bosco sacro nessuno violi e nulla sottragga o porti via di appartenenza al bosco e non faccia legna tranne nel giorno del rito annuale; però in quel giorno — quanto si fa per rito annuale — sia lecito far legna senza infrazioni. Se qualcuno / commetterà violazione offra espiazione a Giove con un bue e se qualcuno sciente la commetterà e con mala intenzione offra espiazione a Giove con un bue e ci sia multa di trecento assi. Di quell'espiazione e di quell'oblazione l'esazione è affidata al dedicatario.
(Gianotti)
Lamina di FalenaModifica
È una lamina bronzea incisa sulle due facce, rinvenuta in Etruria e da datare a un'epoca successiva al 238 a.C., probabilmente alla fine del II secolo a.C. e all'epoca di Gaio Sempronio Gracco[3].
Contiene una dedica di cuochi falischi; la seconda parte è in saturnio.
faccia a:
Iovei Iunonei Minervai
Falesce, quei in Sardinia sunt,
donum dederunt. magistreis
L. Latrìus K. f., C. Salv(e)na Voltai f. coiraveront.
faccia b:
gonlegium quod est aciptum aetatei aged(ai)
opiparum a(d) veitam quolundam festosque dies,
quei soueis aastutieis opidque Volgani
gondecorant sai(pi)sume comvivia loidosque,
ququei huc dederu(nt i)nperatoribus summeis
utei sese lubent(es be)ne iovent optantis
(C.I.L., I, 2, 364)
Adattamento in latino classicoModifica
A - lovi lunoni Minervae Falisci qui in Sardinia sunt donum dederunt. Magisteri L. Latrìus Kaesonis filius, C. Salvena Voltae filius curaverunt.
B - Collegium quod est acceptum aetati agendae opiparum ad vitam colendam festosque dies, qui suis astutiis opeque Vulcani condecorant saepissime convivia ludosque, coqui hoc dederunt imperatorìbus summis (dis), uti sese libentes bene iuvent optantes.
TraduzioneModifica
A - A Giove, Giunone e Minerva diedero in dono i Falisci che sono in Sardegna. Sovrintendenti furono Lucio Latrio figlio di Cesone, Gaio Salvena figlio di Volta.
B - Un'associazione ben accetta per ammazzare il tempo, ben dotata per godere la vita e i giorni di festa, i cuochi che coi loro trucchi e l'aiuto di Vulcano tanto spesso onorano banchetti e giochi, quest'oggetto han dedicato ai sommi comandanti augurando che essi si compiacciano d'assisterli. (trascr., tr. Gianotti)
Iscrizioni funebri varieModifica
Iscrizione tombale per un libertoModifica
«... o L. I. scurrae homini |
Tradotto:
- Al ... liberto di Lucio
- di professione buffone
- onestissimo ed ottimo liberto
- di massima fedeltà
- il padrone pose.
(tr. Gianotti)
Iscrizioni sepolcrali su lucerne (230-220 .C.?)Modifica
(LA)
«Claudio; non sum tua» |
(IT)
«Per Claudio; non sono tua» |
(LA)
«Sotae sum; noli me tanger» |
(IT)
«Sono di Sota; non toccarmi.» |
(LA)
«Ne atigas; non sum tua, M. sum» |
(IT)
«Non portarmi via; non sono tua, sono di Marco.» |
Le iscrizioni degli ScipioniModifica
Scoperte nel 1614 e nel 1780 nel sepolcro ipogeo di famiglia degli Scipioni, sulla via Appia, risalgono al sec. III a.C.
Può valere come esempio per tutte l'epitaffio di Lucio Cornelio Scipione Barbato: posto su un'iscrizione più antica, deve naturalmente essere datato prendendo come terminus post quem la sua morte (ca. 273 a.C.).
(IT)
«Lucio Cornelio Scipione Barbato, |
(LA)
«Cornelius Lucius Scipio Barbatus |
(C.I.L., 1, 7) |
Carmen lustraleModifica
Detto anche "Carme del Lustrum Ambarvale"; si tratta di una preghiera a Marte, che veniva recitata dal pater familias in maggio durante il rito della purificazione dei campi, nell'ambito della festa dei Suovetaurilia. Questa festa prendeva il nome dal sacrificio di un maiale, una pecora e un toro che vi avveniva.
Il carme nei contenuti risale a un'epoca antichissima, ma nella forma linguistica in cui ci è stato tramandato si presenta molto modernizzato in senso classico, sebbene comunque alcuni termini appaiano ancora in una forma piuttosto arcaica.
Dobbiamo la sua conservazione a Catone, che lo riporta in De agri cultura, 141, 3. Lo scrittore fornisce varie notizie su questa antica pratica religiosa di Roma, particolarmente legata alle origini agricole della sua società. Marte appare infatti anche qui, come nel "Carmen Arvale", invocato non come dio della guerra ma come benefica divinità dell'agricoltura.
(LA)
«Mars pater te precor quaesoque |
(IT)
«O padre Marte ti prego e scongiuro, |
Bronzo di LascutaModifica
Il Bronzo di Lascuta (o Decretum Hastense) è una lastra di bronzo provvista di un anello laterale, che misura 22,4 x 14 x 0,2 cm, e contiene il riassunto di un decreto pretoriano in latino. Fu trovata nel 1866 o nel 1867 a 6 km dall'attuale città di Alcalá de los Gazules, provincia di Cadice, all'interno dell'antica Bética. La si fa datare all'anno 189 a.C., e quindi sarebbe il più antico documento latino arcaico ritrovato in Spagna.
Carmen PriamiModifica
Il Carmen Priami è un'opera anonima di cui si conserva un unico verso saturnio, che denota una lingua arcaica. La traduzione è controversa.
(LA)
«Veteres Casmenas cascam rem volo profari» |
(IT)
«Voglio cantare canti antichi, un fatto vetusto» |
Iscrizione di ProtogeneModifica
L'iscrizione di Protogene è un'epigrafe latina sicuramente in forma metrica, in cinque esametri irregolari (o, secondo Bruno Gentili[4], in 5 versi saturni). La datazione comunemente accettata è quella proposta da Bücheler al tempo di Ennio, o a un'epoca di poco successiva (III-II secolo a.C.)[5] anche se, per alcuni arcaismi caratteristici, come heicei e soueis, è stata proposta da Bruno Gentili una datazione anteriore[4].
L'iscrizione è un epitaffio dedicato a Protogenes, un greco di condizione servile, ricordato per la sua bravura come mimo.
(LA)
«Protogenes Cloul[i] |
(IT)
«Qui giace Protogene, schiavo di Clulio, mimo giocondo. Con i suoi frizzi procurò al popolo tante ore liete[6])» |
NoteModifica
- ^ Daniela Urbanova, Paleografia latina (PDF), in STUDIA MINORA FACULTATIS PHILOSOPHICAE UNIVERSITATIS BRUNENSIS, n. 2, 1997.
- ^ Giulia Biffis, PER UN CATALOGO DI ISCRIZIONI LATINE ARCAICHE, Tesi di laurea dell'Università di Padova, Facoltà di lettere e filosofia, 2003-04, pp. 58-60.
- ^ E. Peruzzi, La lamina dei cuochi falischi, in Accademia toscana di Scienze Lettere e Arti "La Colombaria", XXXI, 1966.
- ^ a b Bruno Gentili, L'epitafio del mimo Protogene: esametri o saturni?, in Quaderni urbinati di cultura classica, nuova serie, Vol. 34, n. 1, 1990, pp. 131-141
- ^ «carmen Ennianae aetatis non multo posterius», secondo le testuali parole di Franz Bücheler in Carmina Latina Epigraphica 361
- ^ Lidia Storoni Mazzolani, Iscrizioni funerarie romane, Biblioteca Universale Rizzoli Rizzoli, Milano, 1991
Voci correlateModifica
Collegamenti esterniModifica
- Latinae - Bibliotheca Maximiliana, su latinae.altervista.org. URL consultato il 9 maggio 2019 (archiviato dall'url originale il 3 marzo 2016).
- Decretum Hastense