Tonino Delli Colli

direttore della fotografia italiano (1923-2005)

Antonino Delli Colli, detto Tonino[1] (Roma, 20 novembre 1923[2]Roma, 17 agosto 2005[3]), è stato un direttore della fotografia italiano, considerato uno sperimentatore e innovatore, nonché uno dei più abili e versatili direttori della fotografia del cinema italiano[1][2].

Era cugino di Franco Delli Colli, anch'egli direttore della fotografia e suo assistente.[3]

Biografia modifica

Tonino Delli Colli fa il suo ingresso nel cinema nel 1938, dopo aver abbandonato gli studi, iniziando come assistente di Ubaldo Arata e Mario Albertelli a Cinecittà.[2] Durante la guerra esordisce come direttore della fotografia nel film Finalmente sì (1943), diretto da László Kish, una commedia del filone dei "telefoni bianchi", cui segue nel 1946 Il paese senza pace, diretto da Leo Menardi.[2] Ma dopo queste esperienze, a causa della sua giovane età, deve tornare a lavorare come operatore della macchina per Ubaldo Arata e per Anchise Brizzi.[2]

Negli anni seguenti viene nuovamente promosso a ruolo di direttore della fotografia da Dino De Laurentiis, che lo considera adatto a commedie, melodrammi musicali e film d'avventura, oltre ai film creati su misura per Totò e lo troviamo infatti nella troupe del primo film italiano a colori: Totò a colori di Mario Monicelli e Steno, del 1952.[2] In questo film riesce a sperimentare soluzioni dell'illuminazione insolite e contro il parere degli ingegneri della Ferrania, che vorrebbero sempre l'utilizzo di grandi quantità di luce.[2]

Successivamente è sotto contratto per le case di produzione Scalera Film e Titanus, trovando posto via via in produzioni sempre più importanti, tra le quali si annoverano Piccola posta di Steno del 1955, Donatella di Mario Monicelli del 1956 e Poveri ma belli di Dino Risi del 1957, in cui esprime la sua raffinatezza nell'uso del bianco e nero.[2] Ancora alle prese con il colore è nei due film d'avventura distribuiti nel 1961 Il ladro di Bagdad, di Arthur Lubin e Bruno Vailati, e Le meraviglie di Aladino di Mario Bava.[2]

Nel 1961 viene ingaggiato nel film Accattone di Pier Paolo Pasolini, per il quale modifica il proprio approccio alla fotografia, puntando sulle pellicole Ferrania dalla grana grossa, sfruttandone le imperfezioni e i forti contrasti, così da sovvertire delle regole date fino ad allora per consolidate e sperimentare nuove soluzioni, conferendo maggiore drammaticità ai primi piani e quella particolare efficacia espressiva propria dei film di Pasolini.[2] Il sodalizio con Pasolini porta alla ribalta il nome di Tonino Delli Colli, da prima considerato solo un onesto artigiano della luce, facendone un direttore della fotografia di rinomanza internazionale e legando il suo nome alla maggior parte delle opere cinematografiche pasoliniane.[2] Tale fama gli permette di guadagnare la stima anche di altri registi italiani dell'epoca, come Ugo Gregoretti, Mario Missiroli, Valerio Zurlini, Nelo Risi, Marco Bellocchio e Giuseppe Patroni Griffi.[2]

Nel 1966 avviene l'incontro con Sergio Leone per il quale cura la fotografia di Il buono, il brutto, il cattivo, applicando al colore stili già sperimentati nel bianco e nero dei film di Pasolini,[2] e successivamente di C'era una volta il West (1968) e C'era una volta in America (1984). Negli anni seguenti l'abilità di Tonino Delli Colli nell'uso del colore viene sfruttata ancora, oltre che nella Trilogia della vita di Pasolini, ancora in film come Cognome e nome: Lacombe Lucien (Lacombe Lucien, 1974) di Louis Malle - per il quale aveva inoltre lavorato nell'episodio William Wilson del film collettivo Tre passi nel delirio del 1968.[2]

Nei decenni successivi lo troviamo ancora all'opera in titoli come Casotto (1977) di Sergio Citti; Pasqualino Settebellezze (1975) di Lina Wertmüller; nel film di Marco Ferreri Il futuro è donna (1984); nel film di Jean-Jacques Annaud Il nome della rosa (Der Name der Rose, 1986), tratto dall'omonimo romanzo di Umberto Eco; Luna di fiele (Bitter Moon, 1992) e La morte e la fanciulla (Death and the maiden, 1994) di Roman Polański; Marianna Ucrìa (1997) di Roberto Faenza; La vita è bella (1997) di Roberto Benigni.[2]

Tra gli altri registi con cui ha lavorato, vanno inoltre ricordati i nomi di Roberto Rossellini, Jean Delannoy, Luis García Berlanga, Renato Castellani, Alessandro Blasetti, Jean-Luc Godard, Salvatore Samperi, Yves Boisset e Alberto Lattuada.[2]

È stato attivo anche in televisione per la quale ha curato fra l'altro la fotografia dello sceneggiato televisivo del 1965 Resurrezione.

Filmografia parziale modifica

Cinema modifica

Televisione modifica

Riconoscimenti modifica

American Society of Cinematographers
  • 2005 - Premio speciale alla carriera[3]
BAFTA
Ciak d'oro
David di Donatello
Nastro d'argento

Note modifica

  1. ^ a b Tonino Delli Colli, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 24 ottobre 2018.  
  2. ^ a b c d e f g h i j k l m n o p DELLI COLLI, Tonino, su treccani.it.
  3. ^ a b c d e f g h i j k l m Roma: è morto Tonino Delli Colli, in Corriere della Sera, 17 agosto 2005. URL consultato il 25 ottobre 2018.
  4. ^ (EN) Tonino Delli Colli, su Internet Encyclopedia of Cinematographers. URL consultato il 25 ottobre 2018.
  5. ^ Enrico Lancia, Ciak d'oro, in I premi del cinema, Gremese Editore, 1998, p. 275, ISBN 8877422211. URL consultato il 12 aprile 2020.

Bibliografia modifica

  • Stefano Delli Colli, Tonino Delli Colli, mio padre: Tra cinema e ricordi, Artdigiland, 2017, ISBN 1-909088-22-6.

Collegamenti esterni modifica

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