Uluç Alì Pascià

politico, corsaro e ammiraglio ottomano di origine calabrese
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Uluç Alì (Le Castella, 1519Costantinopoli, 21 giugno 1587) è stato un corsaro e ammiraglio ottomano.

Uluç Alì

Nato in Calabria, probabilmente con il nome di Giovan Dionigi Galeni[1], fu catturato dai turchi durante una razzia, si convertì all'islam ed entrò nella Marina ottomana, dimostrando col tempo delle doti di comando eccezionali.
Fu beilerbei della Reggenza di Algeri e infine Grande ammiraglio (Kapudan paşa). Partecipò alla battaglia di Lepanto come comandante dell'ala sinistra dello schieramento ottomano e fu l'unico tra i comandanti turchi a sopravvivere allo scontro.

NomeModifica

Il suo nome turco, che significa "Alì il rinnegato", si trova traslitterato in diversi modi: Uluç Alì, ʿUluj Alì, Uluch Alì, Ulug Alì, Ulugh Alì. In testi italiani la pronuncia fu resa in vari modi: Occhialì (che sembra indicare una pronuncia più palatale e non ancora del tutto postalveolare della consonante finale),[2] o Luccialì, Uluccialì o Uccialì[3][4]. Fu soprannominato anche Kılıç o Kilige Ali ("Alì la Spada")[5].

BiografiaModifica

Uluch Alì nacque a Le Castella in Calabria, probabilmente col nome di Giovanni Dionigi Galeni, nel 1519.

Figlio di Birno, originario di Motta Sant'Agata[6] (RC), e di Pippa de Cicco[7], contadina, stava per entrare in convento e divenire monaco, quando fu catturato dal corsaro albanese ottomano e bey di Algeri Khayr al-Dīn Barbarossa nel 1536 a Le Castella, presso Isola di Capo Rizzuto in Calabria.
Fatto prigioniero e messo al remo, dopo alcuni anni rinnegò la religione cristiana per poter uccidere un marinaio napoletano che lo aveva schiaffeggiato e non essere di conseguenza ucciso in base alla legge islamica[8].
Diventato musulmano, sposò la figlia di un altro calabrese rinnegato, Jaʿfar Pascià, e iniziò la propria carriera di corsaro, con grande successo. Divenne dapprima comandante della flotta di Alessandria, poi pascià di Tripoli, ed infine bey (governatore) di Algeri (1568).[9]

Da corsaro imperversò in tutto il Mar Mediterraneo. Opera sua furono le catture nei pressi di Favignana della galera di Pietro Mendoza (1555 ca.), a Marettimo quella di Vincenzo Cicala e Luigi Osorio (1561). Il suo nome è legato a numerose incursioni sulle coste italiane, soprattutto quelle del Regno di Napoli, allora dominio spagnolo. Secondo alcune voci dell'epoca, tramò anche con vari cospiratori calabresi per staccare la Calabria dai regni spagnoli e unirla ai domini turchi.

Partecipò alla battaglia di Gerba nel 1560 e successivamente cercò di catturare il duca Emanuele Filiberto di Savoia presso Nizza.

Nel 1564 partecipò ai ripetuti assalti e ai saccheggi del paese di Civezza, nell'attuale provincia di Imperia. L'eroica resistenza della popolazione del piccolo paesino passò alla storia.

Subentrò a Dragut a capo della flotta ottomana, quando questi morì durante l'assedio di Malta del 1565.

Fu quindi autore di rilevanti imprese belliche, fra le quali l'assalto e il successivo assedio nell'agosto 1571 della città dalmata di Curzola.[10]

Considerato il miglior ammiraglio della flotta ottomana, nell'ottobre del 1571 combatté a Lepanto contro Gianandrea Doria. Riuscì ad insidiare Don Giovanni d'Austria ed a riportare in salvo una trentina di navi turche recando ad Istanbul, come trofeo, lo stendardo dei Cavalieri di Malta dopo una precipitosa fuga durante l'infuriare della battaglia.
Dopo questa battaglia ottenne dal Sultano ottomano Selim II il titolo di kapudan-ı derya ossia ammiraglio della flotta turca e l'appellativo di Kılıç Alì (Alì la Spada). Forte della nuova carica ricostruì in un anno la flotta distrutta a Lepanto e nel 1572 riuscì a sfidare ancora le flotte cristiane, anche se con scarso successo. Nel 1574 riconquistò all'impero ottomano Tunisi, che era stata espugnata l'anno prima dalla flotta cristiana.

Morì nel luglio del 1587 nel suo palazzo sulla collina di Top-Hana presso Istanbul e lasciò ai suoi numerosi schiavi e servitori case e beni di proprietà, concentrati in un villaggio da lui fondato e chiamato "Nuova Calabria". Secondo alcuni resoconti, in punto di morte sarebbe tornato alla fede cristiana, ma gli storici turchi negano con decisione questa eventualità, visto che già in vita gli erano stati offerti feudi e ricchezze in terre cristiane che egli aveva sempre rifiutato preferendo la libertà di costumi di cui godevano a quel tempo i cristiani convertiti all'Islam. Altra leggenda che circola sul suo nome racconta di un viaggio clandestino sulla costa calabrese al solo scopo di riabbracciare la madre che, stando alle cronache coeve, lo avrebbe invece maledetto proprio per la sua abiura. Ricerche recenti, però, ascrivono questa leggenda alla propaganda spagnola ed ecclesiastica.

MonumentiModifica

 
Busto di Uluç Ali Pascià
Le Castella.

A Istanbul sopravvive la Moschea di Kılıç Ali Pascià, moschea costruita grazie alla sua munificenza, che si trova poco distante dal quartiere di Galata. È un complesso (Kılıç Ali Paşa Külliyesi), in cui sono presenti la sepoltura (türbe) di Uluch Alì, la moschea (cami), la scuola coranica (madrasa) e un bagno (hammam).

A Le Castella, località in provincia di Crotone, è collocato un busto nella piazza a lui dedicata ("Piazza Uccialì"). Copia dello stesso busto è stata donata dallo scultore a Gustavo Valente, storico e biografo dello stesso Uluch Alì, e attualmente si trova all'esterno dell'abitazione sita a Celico in provincia di Cosenza.

Presso la chiesa matrice di Mola di Bari, ricostruita da maestranze dalmate nella seconda metà del XVI secolo, è un affresco che raffigura in più scene l'assedio di Curzola, nel quale Uluch Alì è rappresentato come un sultano assiso su un trono dorato, sormontato da una mezzaluna.[11]

L'Università della Calabria ha istituito il Laboratorio sul Mediterraneo islamico "Occhialì" in onore del corsaro.[12] Esiste anche una rivista scientifica con lo stesso nome: Occhialì – Rivista sul Mediterraneo islamico.[13]

NoteModifica

  1. ^ Altre fonti riportano Giovanni Dionigi Galeni o Luca Dionigi Galeni
  2. ^ Arrigo Petacco, La croce e la mezzaluna: Lepanto 7 ottobre 1571, quando la cristianità respinse l'islam, p. 32
  3. ^ Uccialì, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 29 gennaio 2019.
  4. ^ Il termine turco-ottomano ʿulūj (turco ʿuluç, dall'arabo 'ildj) significa "barbaro" e "straniero" (anche "zotico"), nel senso di persona originariamente di ambiente cristiano. (Gino Benzoni, GALENI, GianDionigi, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 51, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1998)
  5. ^ Il termine kĭlĭdi, in arabo, significa sciabola, spada. (Gino Benzoni, GALENI, Gian Dionigi, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 51, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1998)
  6. ^ Gustavo Valente, Vita di Occhialì, Milano 1960.
  7. ^ GALENI, Gian Dionigi, su treccani.it. URL consultato il 30 novembre 2019.
  8. ^ Questo episodio è riferito nel Don Chisciotte da Miguel de Cervantes, che lo aveva appreso mentre era anch'egli schiavo dei turchi
  9. ^ Alessandro Barbero, Lepanto: La battaglia dei tre Imperi, Bari, Editori Laterza 2010 (p. 77)
  10. ^ S. Bono, Corsari nel Mediterraneo: cristiani e musulmani fra guerre, schiavitù e commercio, Milano, Mondadori, 1993.
  11. ^ P. Lisimberti, A. Todisco, Un gioiello del rinascimento adriatico: la chiesa Matrice a Mola di Bari, Schena, 2002.
  12. ^ Laboratorio sul Mediterraneo islamico "Occhialì" (UniCal), sito ufficiale
  13. ^ Occhialì – Rivista sul Mediterraneo islamico, sito ufficiale

BibliografiaModifica

  • S. Bono, Corsari nel Mediterraneo: cristiani e musulmani fra guerre, schiavitù e commercio, Milano, Mondadori, 1993, ISBN 978-88-04-36735-2
  • Arrigo Petacco, La croce e la mezzaluna: Lepanto 7 ottobre 1571, quando la cristianità respinse l'islam, Milano, Mondadori, 2010, ISBN 978-88-04-55983-2

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