Umberto Visetti

militare italiano

Umberto Visetti (Saluzzo, 28 gennaio 1897Torino, 27 dicembre 1973) è stato un militare italiano, distintosi come ufficiale nel corso della prima guerra mondiale, nell'impresa di Fiume, nella guerra d'Etiopia, e nella seconda guerra mondiale. In seguito alle operazioni di controguerriglia contro le bande di insorti etiopici che operavano nel paese opponendosi all'occupazione italiana, prese parte al combattimento di Dengheziè, avvenuto il 9 ottobre 1937, in seguito al quale fu decorato con la medaglia d'oro al valor militare vivente.

Umberto Visetti
NascitaSaluzzo, 28 gennaio 1897
MorteTorino, 27 dicembre 1973
Dati militari
Paese servitoBandiera dell'Italia Italia
Forza armataRegio Esercito
ArmaFanteria
Regio corpo truppe coloniali
CorpoBersaglieri
Arditi
Granatieri
RepartoII Brigata coloniale
Anni di servizio1915-1945
GradoCapitano
GuerrePrima guerra mondiale
Guerra d'Etiopia
Seconda guerra mondiale
BattaglieBattaglia di Vittorio Veneto
Battaglia di Nibeiwa
Decorazionivedi qui
Pubblicazionivedi qui
dati tratti da Medaglie d'Oro eccellenti: Umberto Visetti[1]
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Biografia modifica

Nacque a Saluzzo[1] (Cuneo) il 28 gennaio 1897,[2] figlio di Vittorio Emanuele e Giacinta Gallina, interruppe gli studi liceali per arruolarsi volontario nel Regio Esercito in data 29 ottobre del 1915, appena diciassettenne.[1] Assegnato al 4º Reggimento bersaglieri, ricevette la nomina a sottotenente nel 94º Reggimento fanteria "Messina" nel settembre 1916, prendendo parte alle operazioni belliche in seno al 68º Reggimento fanteria "Legnano".[1] Ferito piuttosto gravemente, venne promosso al grado di tenente nel giugno 1917.[1] Rientrato in linea sul Montello[3] nel gennaio 1918, assegnato al XVII Reparto d'assalto, si distinse a Pieve di Soligo durante la vittoriosa offensiva di Vittorio Veneto[1] combattendo in seno al LXXII Reparto d'assalto "Fiamme Cremisi".[1][N 1]

Congedato nel marzo 1919 riprese gli studi interrotti, ma verso la fine dello stesso anno partecipò all'impresa di Fiume[2] con Gabriele D'Annunzio e Guido Keller.[1] Congedato nuovamente nel maggio 1920, si stabilì a Carignano laureandosi in giurisprudenza all'Università di Torino, ed iscrivendosi ai locali Fasci di combattimento.[2] Intrapresa la professione di avvocato e giornalista, nell'ottobre del 1926 si iscrisse al Partito Nazionale Fascista,[2] trasferendosi poco tempo dopo a Parigi.[2] Sposatosi con Lina Termini, la coppia ebbe una figlia Marie-France.[N 2] Rientrato in Italia nell'aprile 1929 si stabilì a Torino, venendo in breve sospeso dal Partito Nazionale Fascista per immoralità,[2] e a causa di questo fatto dovette lasciare la città andando all'estero[N 3] stabilendosi poi in Francia.[4]

Intrapresa l'attività di addetto all'ufficio stampa dell'Ambasciata italiana[4] di Parigi, nell'ottobre del 1935, con l'inizio della Guerra d'Etiopia, rientrò in Patria per arruolarsi volontario nella appena mobilitata 29ª Divisione fanteria "Peloritana".[4][1] Raggiunta l'Africa Orientale Italiana partecipò alle operazioni belliche in Somalia, sotto il comando del generale Rodolfo Graziani. Nell'aprile 1937 entrò in servizio presso l'11º Reggimento granatieri, destinato alla 2ª Brigata coloniale, e gli fu affidato il comando della 3ª Compagnia del IV Battaglione "Toselli". Promosso al grado di capitano con anzianità dal 1935[1] venne rimpatriato per le gravi mutilazioni riportate nel corso del combattimento di Dengheziè.[4] Dopo una lunga degenza in ospedale venne nuovamente posto in congedo, ma fu decorato con la medaglia d'oro al valor militare[3] appuntatagli sul petto dal Principe Ereditario Umberto di Savoia.[1] Richiamato in servizio dietro sua domanda nell'agosto del 1940, dopo l'entrata in guerra del Regno d'Italia, partì per prestare servizio in Africa settentrionale italiana, assegnato al mobilitato Battaglione fanteria libica "Zuara". Ferito durante il combattimento di Alan el Nibeiwa (Colonna Maletti) venne raccolto sul campo dal nemico e fatto prigioniero, trasferito dapprima in Egitto e successivamente in Australia, per essere poi rimpatriato via nave ospedale, durante uno scambio di malati, nel giugno 1943.[4] Arrivato a Taranto, lasciò l'Italia del sud per stabilirsi nuovamente a Torino.[4]

Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 aderì alla Repubblica Sociale Italiana e il 9 novembre 1944 il capo della Provincia Emilio Grazioli lo nomina Commissario dell'Unione professionisti e artisti, ma il suo carattere irascibile fa sì che il 25 dicembre venga arrestato dagli agenti di Pubblica Sicurezza del Commissariato di San Salvario per insubordinazione.[4] Rinchiuso nel Carcere delle Nuove, viene processato dal Tribunale militare il 19 gennaio 1945, per essere assolto e scarcerato.[4] Nei primi mesi del 1945 fu marginalmente[5] coinvolto nei movimenti della resistenza in Piemonte, conclusasi nell'aprile del 1945.[1][5] Dopo la fine del conflitto, il 28 ottobre entrò nell'Ordine degli Agostiniani e tre anni dopo, il 22 febbraio 1948, fu ordinato sacerdote con il nome di Frate Agostino di Cristo Re,[1] partendo subito per una missione in Somalia.[4] Rientrato in Italia stabilì la sua residenza a Firenze, trasferendosi nel 1968 a Torino, presso la Casa del Clero San Pio X, dove si spense il 27 dicembre del 1973.[3]

Onorificenze modifica

«Rinnovellava in terra d'Africa le leggendarie tradizioni del volontarismo e dell'arditismo della grande guerra. In combattimento aspro e cruento, durato più di undici ore, comandante di compagnia, estrema avanguardia di tutta la colonna, si lanciava audacemente all'assalto di fortissime posizioni che l'impervia natura del terreno e la rabbia abissina rendevano pressoché imprendibili. Ferito una prima volta al capo, una seconda volta alla testa dell'omero e spalla sinistra, proseguiva imperturbato ad avanzare, trascinando col valore e con l'esempio i suoi ascari già duramente provati. Ferito ancora al polso destro da pallottola esplosiva, magnifico di calma e di cosciente spirito di sacrificio, infliggeva forti perdite al nemico, occupando la posizione al grido di «Savoia», disperatamente contendendola ai reiterati contrattacchi nemici. Travolto, infine, da una raffica di mitragliatrice al petto, che gli trapassava i polmoni, cadeva fra le urla dei ribelli; ma con mirabile forza di volontà si rialzava per gridare: « Viva il Re! » e, fatti ancora pochi passi, ricadeva svenuto. Ad un ufficiale sopraggiunto con rinforzi, per ricuperare il suo corpo, non appena ripresa conoscenza, ordinava di non occuparsi di lui, ma di difendere la posizione così duramente conquistata, e, con sereno stoicismo, esortava l'ufficiale medico accorso, a rendere prima le sue cure agli ascari che d'ogni intorno coprivano il terreno. Lo stesso feroce avversario percosso da tanto fulgido valore in uno dei frammischiamenti della pugna, lungi dall'infierire sull'eroico combattente gli tributava la fantasia che già i suoi avi avevano cantata sul caduto Leone di quel medesimo battaglione nero. Dengheziè, 9 ottobre 1937.[6]»
— Regio Decreto 21 novembre 1938.
«Durante un attacco notturno austriaco, accortosi che il nemico apriva un varco tagliando il reticolato con le pinze, da solo si spingeva fuori dalla trincea per accertarsi dell'entità dell'attacco. Muoveva quindi al contrattacco, alla testa del reparto, al canto dell'inno e respingeva il nemico catturando quindici prigionieri. Bosco Montello, 18 giugno 1918
«Comandante di compagnia, puntava decisamente sull'obiettivo assegnatogli attraverso una zona intensamente battuta; attaccava con perizia e ardire Pieve di Soligo e Soligo, volgeva in fuga l'avversario molto più forte di numero e occupava di slancio, sempre alla testa dei suoi arditi, la cima di Col S. Gallo, catturando numerosi prigionieri e mitragliatrici. Nella vittoriosa marcia per la conquista della conca bellunese, dava ancora prova di coraggio e virtù guerriere. Pieve di Soligo, 29 ottobre – 1º novembre 1918
«Alla testa del proprio plotone, lo trascinò con bello slancio all'attacco di una forte posizione spingendosi con sprezzo del pericolo, fin sotto i reticolati. Mentre poi tentava di oltrepassarli, venne gravemente ferito. Monte Santo, 18 maggio 1917
«Partecipava volontario con una squadra di mitraglieri a sostegno di una banda incaricata di un colpo di mano, dando prova di slancio e ardimento. Notato che un ascari ferito stava per essere raggiunto da un nucleo di ribelli, interveniva prontamente con fuoco della sua arma riuscendo a fugare l'avversario ed a salvare il ferito trasportandolo a spalla in luogo sicuro. Successivamente alla testa di pochi ascari affrontava ed inseguiva elementi avversari. Giabassirè, 16 agosto 1936-XIV
— Regio Decreto 30 settembre 1938[7]

Pubblicazioni modifica

  • Sogno di una notte d'inverno, Casa Editrice l'Estremo Oriente, 1926
  • Shinjû : leggenda d'amore giapponese del tempo lontano di Genroku, Casa Editrice l'Estremo Oriente, 1926
  • Ambesà. Dalle spalline al camaglio (vol 1º della Trilogia), Sansoni Editore, Firenze, 1955.

Note modifica

Annotazioni modifica

  1. ^ Durante il servizio prestato nelle prima guerra mondiale combatte sul Vodil, a Santa Maria, sul Monte Santo, sul Piave, sul Montello, nell'Isola dei Morti, ed Vittorio Veneto incontrando personaggi famosi come Carlo Salsa, il maggiore Luigi Freguglia, il generale Giuseppe Vaccari, il generale Carlo Geloso, il maggiore Francesco Baracca.
  2. ^ A causa del suo carattere irascibile si dimostrava violento, e quando tornava in Francia a Eaubonne, la moglie e la figlia avevano paura e cercavano di evitarlo.
  3. ^ Nel 1934 venne segnalato a Losanna (Svizzera) per aver millantato una presunta parentela con il Re Vittorio Emanuele II. Sembra che la fonte di questa parentela vada ricercata nel fatto che secondo voci dell'epoca Vittorio Emanuele II fosse davvero suo nonno, a causa di una relazione extraconiugale. Le autorità di Pubblica Sicurezza svizzere presero a considerarlo come elemento pericoloso e indesiderabile.

Fonti modifica

  1. ^ a b c d e f g h i j k l m Gazzoli 2009, p. 15.
  2. ^ a b c d e f Adduci 2014, p. 461.
  3. ^ a b c Gazzoli 2009, p. 14.
  4. ^ a b c d e f g h i Adduci 2014, p. 462.
  5. ^ a b Adduci 2014, p. 35.
  6. ^ Medaglia d'oro al valor militare Visetti, Umberto, su quirinale.it, Quirinale. URL consultato l'11 luglio 2021.
  7. ^ Registrato alla Corte dei Conti il 29 novembre 1938-XVII, registro 30 Africa Italiana, foglio 79.

Bibliografia modifica

  • Nicola Adduci, Gli altri. Fascismo repubblicano e comunità nel Torinese (1944-1945), Milano, Franco Angeli Editore s.r.l., 2014, ISBN 88-568-4854-6.
  • Angelo Del Boca, Gli italiani in Africa orientale. Vol. 2: La conquista dell'Impero, Milano, A. Mondadori Editore, 1992.
  • Franco Ciammitti, Il Pescatore di squali. Dai campi di battaglia alla pace nel cuore, Foggia, Italia Editrice, 2009, ISBN 978-88-95038-31-5.
  • Gruppo Medaglie d'Oro al Valore Militare, Le medaglie d'oro al valor militare volume primo (1929-1941), Roma, Tipografia regionale, 1965, p. 504.
  • Vincenzo Lioy, L'Italia in Africa. L'opera dell'Aeronautica. Eritrea Somalia Etiopia (1919-1937) Vol.2, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1965.
  • Luigi Romersa, Quattro soldi di pelle, Vito Bianco, 1974.
Periodici
  • G. Gazzoli, Medaglie d'Oro eccellenti: Umberto Visetti, in Il Nastro Azzurro, n. 6, Roma, Istituto del Nastro Azzurro, novembre-dicembre 2010, pp. 14-15.

Voci correlate modifica

Collegamenti esterni modifica

Controllo di autoritàVIAF (EN5191155044874772520003 · GND (DE1177727919 · WorldCat Identities (ENviaf-5191155044874772520003