Utente:Claudio Gioseffi/Sandbox 4

STORIA DI BREGANZE

Dal sito del Comune: http://www.comune.breganze.vi.it/a_1408_IT_3187_1.html

UN PO' DI STORIA

La terra veneta è segnata come nessun’altra in Italia dalla presenza di ville signorili le quali, assieme alle chiese, costituiscono i tratti essenziali di numerosi centri. Breganze ne è un esempio evidente: da qualsiasi parte la si raggiunga viene preannunciata dalle folte macchie dei parchi che circondano le ville padronali poggiate su bellissimi colli, tra i quali si staglia e svetta l’elegante sagoma del campanile. Più nascoste, ma con una presenza rilevante, una rete di piccoli edifici medioevali, le torri colombare. Il tutto fa di Breganze un ambiente singolare per peculiarità paesaggistiche e architettoniche, oltre che produttive per la rinomanza raggiunta nell’ultimo secolo dai suoi prodotti agricoli e manifatturieri. Breganze è situata tra collina e piano lungo la pedemontana, zona certamente abitata già in epoca romana e percorsa dalla “Pista dei Veneti”. I romani diedero alla pianura un’organizzazione territoriale a “centuriazioni”, sulle quali si svilupparono centri e percorsi di collegamento. Non si hanno comunque notizie documentarie sul paese fino al 983, quando “in Bragancio” furono donati dei terreni ai monaci benedettini da parte del Vescovo di Vicenza. Probabilmente allora Breganze era uno dei pagus, nuclei di impostazione romana che intorno al 1000 vennero soppiantati dalle pievi cristiane. Secondo il Maccà la pieve originaria del paese era dedicata a S. Martino e “stava per un tiro di saetta dal colle sopra cui esisteva il castello” in un luogo oggi difficilmente definibile. Il XII e il XIII secolo videro Breganze rivestire un ruolo importante per la presenza della famiglia feudataria dei Poncio, che possedevano la zona centrale pedemontana e numerosi centri della media e alta valle dell’Astico. Questa fase si concluse per lo scontro con gli Ezzelini. Nel 1227 Alberico da Romano conquistò e distrusse la rocca di Valeriano conte di Breganze, sul colle di S. Lucia; prima del 1250 i Poncio vennero sconfitti, espropriati dei beni e molto probabilmente uccisi ad opera di Ezzelino III il quale comunque risparmiò Naimerio Poncio, che sposò Cunizza da Romano, sorella del tiranno. Dal Codice Eceliniano (1250) si possono dedurre le ripartizioni del territorio nella prima metà del XIII secolo: tutte le proprietà citate erano localizzate nella zona collinare, segno che la pianura era ancora disabitata e periodicamente invasa dalle acque dei torrenti. Le colline viceversa costituivano un rifugio più sicuro, fin dai tempi delle scorrerie degli Ungheri (900 - 950): così il nucleo principale del paese stava sul dominante colle di S. Lucia ed era provvisto di chiesa, fortificazioni ed abitazioni. Altri antichi insediamenti stavano probabilmente sui colli di Riva e S. Stefano. E’ probabile che, in seguito alla distruzione della rocca sul colle, si sia dato avvio ad un nucleo abitato verso la pianura, nei pressi dell’attuale centro, e che si sia edificata la dimora fortificata del Torrione. Scomparsi gli Ezzelini, i territori passarono sotto il controllo di Vicenza, ma vennero poi contesi tra i Carraresi di Padova e gli Scaligeri di Verona; il paese dovette subire le conseguenze di tali conflitti, fino al saccheggio patito per due volte (1312 e 1314) ad opera dei padovani, che portò alla completa rovina dell’insediamento sul colle, che venne allora abbandonato. Sotto i vincitori Scaligeri, mentre a Marostica si erigevano castello e mura, Breganze comincia a svilupparsi ai piedi dei colli. Nel 1384 il vicentino passa sotto il controllo dei Visconti di Milano, fino alla morte di Gian Galeazzo dopo la quale, nel 1404, i comuni veneti e Breganze aderirono con plebiscito alla Repubblica di Venezia. Si aprì allora un periodo di stabilità e di relativa tranquillità, interrotto però dagli eventi della Guerra di Cambrai, mossa da Papa Giulio II contro Venezia: nel 1509 4.000 cavalieri di Massimiliano d’Asburgo diretti a Padova vennero respinti sugli spalti del torrente Chiavon Bianco dai breganzesi, che evitarono così le rovine già provate da altri centri vicini. Fra il ‘300 e il ‘400 i presidi di difesa dell’abitato erano attestati sui due piccoli colli sui quali sorgevano il Torrione e la Tor Bissara. Le numerose torri colombare furono invece edificate solo dopo la metà del ‘400, in periodo veneziano, ed erano edifici con ruolo di rappresentanza delle grandi famiglie proprietarie, delle quali illustravano l’importanza con la loro mole, la loro dislocazione, le loro insegne. Secondo il Dalle Nogare, che nel suo libro ne localizza e descrive ben 16, esse avevano origini più antiche e compiti difensivi, poi cessati con l’adesione a Venezia; la tesi è difficilmente sostenibile, come nota anche il Rigon nel suo specifico studio. Verso la fine del Duecento, il territorio di Breganze era diviso in quattro zone o colmelli: Fara, Perlena, Castelletto e Riva; essi si trasformarono poi in comuni e, dal 1560, quando Fara divenne autonoma, il territorio si delimitò grossomodo sui confini attuali con tre comuni componenti: Riva, Castelletto e Porciglia, che avevano sede rispettivamente nella chiesetta di S. Stefano, in un locale non definito, e nel capitello della Vegra, luoghi nei quali si convocavano le adunanze dei capifamiglia. Scomparsi i Poncio, i territori andarono alle prime famiglie possidenti, come i Monte, che nel ‘500 dettero due arcipreti al paese e che abitavano Cà 6 Ostile, proprietari di 667 campi, o come i Pagello, che nei loro 500 campi avevano case, mulini e la superstite colombara affrescata. C’erano poi la potente famiglia dei Bissari, con la loro forte torre cintata, i Mascarello, i Sesso e i vicentini Chiericati. Si bonificarono le pianure, si scavarono le rogge, lungo le quali vennero attivati vari mulini da grano e per botteghe artigiane. Nel 1519 Breganze passò dalla giurisdizione del quartiere S. Stefano di Vicenza alla Podesteria di Marostica. La presenza veneziana dispose ordine nel territorio, disciplinandone l’uso tramite due istituzioni principali: il Magistrato delle Acque e il Magistrato dei Beni Inculti. La chiesa assunse un ruolo di notevole importanza, confermandosi anche perno della vita civile: dopo il Concilio di Trento (1563) essa divenne anche riferimento per la tenuta dei registri anagrafici della popolazione. Chiesa, piazza e campanile si impongono come centro urbanistico del paese; a Breganze la parrocchiale era, già alla fine del ‘200, la chiesa di S. Maria, che ospitava la tomba dei Pagello. Nel ‘600, completate le opere di bonifica avviate due secoli prima, lo sfruttamento dei terreni era ormai soddisfacente. Si costruirono complessi rurali (come il Maglio) e residenze signorili di notevole valore architettonico, che conferirono una nuova fisionomia all’abitato. Nuovi proprietari sono i Piovene, i Brogliati, i Monza, i Diedo. In centro tra il ‘500 e il ‘600 si eressero una serie di edifici lungo via Pieve, ad opera del Chiericati, dei Carli, dei Brogliati e dei Saccardi. Breganze si afferma in quest’epoca come terra di ottimi vini: Vespajolo, Groppello e Pomello furono magnificati da vari visitatori, assieme all’olio e ai frutti di vario tipo ed in grande abbondanza. Motivi, questi, che fecero da subito Breganze un territorio conteso e una zona generosa per la prebenda:” Breganze dal buon vin, dal ricco prete”, scriveva nel 1600 il Dottori. Nel 1697, con la costruzione di un oratorio per disposizione di Giovanni Brogliati, il borgo di Maragnole segnò una prima tappa sulla strada del riscatto da semplice area di sfruttamento agricolo. L’orgogliosaidentità del paese dovrà comunque attendere finoal 1957, dopo lunghe contese, per essere riconosciuta come parrocchia autonoma. Nel 1797, con il Trattato di Campoformio, si dissolse la Repubblica Veneta: Napoleone cedette laregione all’Austria, appartenenza poi confermatadal Congresso di Vienna nel 1815. Si avvia unaprogressiva forte crisi nelle campagne; il patriziato veneto, proprietario della quasi totalità dei terreni, li conduceva in maniera semifeudale, gettando nella miseria la classe contadina. Il 5 agosto 1809 i tre comuni di Riva, Castelletto e Porciglia decisero l’unificazione in un unico comune con il nome di Breganze: le tre teste raffigurate nell’attuale stemma comunale rappresentano appunto le sue tre antiche contrade. L’11 marzo 1838 il vecchio campanile crollò sulla chiesa. La parrocchiale venne riedificata in due anni, mentre l’imponente progetto Diedo per la torre campanaria arriverà a compimento solo dopo 55 anni. Nel 1834 Giacomo Brogliati con testamento lasciò al comune proprietà e rendimento a favore dei poveri ed infermi del paese. Ciò provocò un marcato afflusso di miserabili, attratti dal sussidio in tempi di crisi nera nei campi. Nel 1899 questo lascito venne fuso con il testamento di Gerolamo Contro e fu istituito un ospedale, integrato da un ospizio. Con il 1866 si ebbe il passaggio dal veneto al Regno d’Italia e dal 1871 iniziò il regolare funzionamento dell’anagrafe comunale. Si potenziarono le vie di collegamento: nella seconda metà del secolo venne costruito un ponte sull’Astico, si realizzò il collegamento con Lusiana e l’Altopiano e si rimodellò la salita della Gasparona. La fine dell’800 fu caratterizzata dalla presenza delle forti personalità dei tre fratelli sacerdoti Scotton: Jacopo, Gottardo e l’arciprete Andrea. Difensori strenui del potere temporale del Papa, entrarono in conflitto con il ceto proprietario liberale che governava il paese e che appoggiava apertamente il nuovo Regno d’Italia con Roma capitale. Gli Scotton presero abilmente la parte dei miseri contadini, organizzandoli economicamente e facendone fedelissimi parrocchiani ed elettori oltreché, nei ceti medi, militanti ed amministratori comunali clericali. Si costruì qui un “modello” che, assieme a quello prodotto da Mons. Arena a Sadrigo, fu esemplare dell’azione prodotta dall’enciclica Rerum Novarum. Se, a metà dell’800, l’analfabetismo superava il 50% nella riviera di Marostica, dopo l’unificazione si ebbe un notevole impulso per la pubblica istruzione. Già nel 1879 le scuole locali erano tra le migliori e nel 1882, con la costruzione del nuovo edificio delle elementari, si attuò la prima opera pubblica significativa. In questi anni di forte crisi agraria, rilevante era l’emigrazione, contro la quale operarono fortemente gli Scotton (mentre era assente una qualsiasi azione amministrativa). Il periodo tra i due secoli vide Breganze assumere molti dei tratti moderni, con l’avvio di rilevanti attività manifatturiere (Laverda e Zoppelletto), di cooperative agricole ed economiche. Nei primi anni del secolo, dopo una fase di alternanza tra liberali e clericali, fino alla I guerra mondiale si ebbero una serie di giunte comuni. A conferma della vitalità della presenza cattolica, è da notare nel 1907 la fondazione della congregazione delle Suore Orsoline, ora diffusa nel mondo, ad opera di suor Giovanna Meneghini. La guerra giunse a sfiorare il paese, posto nelle retrovie del fronte attestato nel 1916 - 17 tra il Pasubio, l’Altopiano e il Grappa. Trascorsero poi il periodo fascista, la II guerra mondiale e le lotte di liberazione, vicende accompagnate da segni di “afascismo” da parte di Chiesa e popolazione. Ne pagarono un pesante prezzo 5 giovani di Maragnole, fucilati nel 1944 a Mason dai fascisti per rappresaglia. Vanno anche ricordati i numerosi cittadini che lasciarono la vita nella follia delle due guerre mondiali. Nel dopoguerra il paese venne rilanciato con l’evolversi delle produzioni Laverda, che dopo l’autarchia si affermarono anche sui mercati stranieri. La vita locale rimase tuttavia nello schema di controllo impostato dagli Scotton e vedeva la chiesa di Mons. Prosdocimi e il paternalismo dei Laverda governare di comune accordo con la maggioranza politica centrista i vari aspetti del paese fino alla morte, nel 1970, del longevo arciprete (a Breganze dal 1916) e la cessione delle industrie Laverda alla Fiat nel 1982. Tra gli anni ‘60 e ‘80 il paese si espande velocemente verso sud, oltre la Gasparona; la combinazione tra lavoro dipendente e piccola proprietà diffusa ne fa un centro con buon livello di benessere. Nello stesso periodo, purtroppo, alcune rilevanti testimonianze della storia locale degradanoe vanno perdute. (testo di Sergio Carrara)

http://www.comune.breganze.vi.it/a_1408_IT_3187_8.html

E TRADIZIONI DEL CAMPANILE DI BREGANZE

Il campanile fu edificato tra il 1842 e il 1893 su progetto dell'architetto veneziano A. Diedo. Costruito su una solida zattera a palafitte, per le caratteristiche acquitrinose del luogo, il campanile si staglia con i suoi 90 metri (terzo nel Veneto dopo S. Marco) tra le sagome delle colline. Notevole e rinomato il suo concerto di campane, ben 22 in origine, oggi nel numero di 14, la maggiore delle quali pesa 2830 kg, come interessante è la grande meridiana, che ha tre dimensioni di lettura. In origine la torre campanaria sorgeva di fronte alla sacrestia, sul luogo ora segnato dal monumento a S. Caterina che è costruito con frammenti della chiesa rovinata dal crollo della torre nella notte dell'11 marzo 1838.

LE CAMPANE Le campane hanno rappresentato indubbiamente un potente mezzo dì comunicazione per gli uomini vissuti nelle epoche passate. Questi le utilizzavano per scandire i ritmi della quotidianità e per diffondere a largo raggio, in breve tempo ed efficacemente, una serie di informazioni non sempre strettamente legate ad avvenimenti religiosi. Basti ricordare che le campane servivano anche nella segnalazione di pericoli di vario genere quali incendi o invasioni, oppure accompagnavano il succederst di avvenimenti positivi come la fine dì una pestilenza o di una guerra. Con l'avvento dell'epoca moderna e delle associate tecnologie, con il radicale cambio delle abitudini e delle necessità dell’uomo, è cambiato decisamente anche ii rapporto tra campane e comunità, con la conseguente perdita di alcuni significati associati all'uso delle stesse. Alcuni di questi significati rimangono ancora vivi nella mente delle persone meno giovani, le quali ancora oggi, sanno ascoltare ed interpretare quei messaggi sonori che spesso per i più giovani riescono ad essere solamente causa del risveglio o forzata distrazione della mente. La tradizione campanaria breganzese ebbe inizio l’11 novembre 1882 (S. Martino) grazie alla volontà ferrea dei tre fratelli Scotton dì allestire sul campanile um poderoso "concerto". Risale infatti a quel giorno l'arrivo delle cinque maggiori campane presenti sul campanile fabbricate appositamente dalla fonderia Poli di Udine. La maggiore campana, (n.9) del peso di 2830 Kg. in si bemolle, fu dedicata a Maria Assunta, titolare della chiesa Arcipretale, e porta scolpito il V anno del pontificato di Leone XIII, coi nomi del vescovo consacrante e dell'arciprete locale. Questa campana veniva utilizzata per segnalare l'imminenza di una grandinata, oltre che per accompagnare l'esposizione del Santissimo Sacramento durante le relative funzioni religiose. Anche i consiglieri comunali convocati in consiglio erano avvisati dell'imminente riunione da una suonata breve e leggera della n.9. Considerato il valore intrìnseco della dedica, essa veniva suonata solo su specifico permesso del parroco. Ancora oggi questa campana segnala da sola e con ben nove "segni" (suonate di I minuto ciascuna circa), il "transito" del pontefice (passaggio dalla vita alla morte). La seconda campana, (n.8) del peso dì 1800 Kg. in do naturale fu dedicata al B. Bartolomeo di Breganze, nostro concittadino e nostro compatrono. Il suono di questa campana avvertiva i parrocchiani dell'arrivo di una perturbazione atmosferica probabilmente violenta e perciò pericolosa. Ancora oggi essa scandisce le nostre giornate suonando le ore 12:00. Viene inoltre utilizzata per segnalare con 6 "segni" il "transito"del vescovo. La terza campana (n.7) del peso di 1100 Kg. in re naturale fu dedicata a S.Nicola da Talentino la cui statua è collocata sulla facciata della chiesa. È chiamata campana dei confratelli o dei "cappati". Questi erano laici particolarmente impegnati nei servizi della chiesa o durante le funzioni religiose tradizionali durante le quali vestivano una tunica bianca sotto una cappa rossa che gli valse appunto la nomea di "Cappati ". Questa campana suonava in modo tradizionale il "transito" dei confratelli (tre segni gli uomini, due segni le donne), ed il "transito" del parroco con 4 segni. Ancora oggi segnala, assieme alla campana n. 8 che gli fa eco, la morte di una persona particolarmente giovane. La quarta, campana (n.6) del peso di 900 Kg in mi bemolle fu dedicata a S.Martino Vescovo, patrono della parrocchia. Anche la statua di S.Martino è collocata sulla facciata della chiesa. È questa la campana tradizionalmente usata per i "transiti" comuni. Suonata con tre segni segnala che il deceduto e un uomo, con due una donna. In tempi ormai lontani segnalava il levar ed il calar del sole, nonché l'inizio e la fine della giornata lavorativa delle maestranze padronali e degli operai. La quinta campana (n.5) del peso di 650 Kg. in fa naturale fu dedicata ai SS. Apostoli Pietro e Paolo. È questa hi campana, che accompagna, in duetto con la n. 6 che gli fa eco, i defunti alla sepoltura. In epoche successive vennero aggiunte ulteriori campane di dimensioni più modeste, e più precisamente: 8 campane inaugurate il 23 agosto 1887 dedicate rispettivamente a S. Giuseppe, a S.Leone, a S. Giovanni, a S.Andrea, a S.Stefano, a S.Luigi, a S.Agnese e S.Lucia. 3 campane inaugurate l’11 marzo 1888 (cinquantesimo anniversario della caduta del campanile) dedicate a S. Giovanni Battista, SJacopo e S. Gottardo. 4 campane inaugurate il 24 agosto 1888 dedicate a S.Antonio, S.Lorenzo, S.Francesco d'Assisi e S.Monica. 2 campane installate in epoca tra il 1888 ed il 1993. Alla fine si trovarono così collocate sulla torre campanaria ben 22 campane che coprivano l'arco di tre ottave. Con la costruzione da parte dell'allora rinomatissimo meccanico Pietro Laverda di un "carillon" che attraverso un sistema di rinvii e levarismi faceva battere dei percussori sulle campane, si ottenne, a detta dell'epoca "la maggiore e migliore musica campanaria d'talia". Purtroppo, molto dell'ingegnoso lavoro del sig. Pietro Laverda è andato perduto per incuria, disuso e deperimento. Del meraviglioso meccanismo ormai da tempo inservibile, collocato tra la cella campanaria e l'ottagono soprastante (dove sono stati installati gli altoparlanti) rimangono ben visibili l'enorme cilindro (1x2,5m circa) con ancora conficcati alcuni dei tasselli metallici che rappresentavano la musica, parte del meccanismo del carillon stesso e numerose delle leve che al passaggio dei tasselli venivano azionate provocando, attraverso un sistema di rinvii, la battuta del relativo martello collegato. Delle 22 campane volute sul campanile da Mons. Scotton solamente 14 rimangono ancora, delle quali solamente 10 collegate alla relativa corda e quindi "suonabili". Alcune delle antiche campane minori, in epoca e per motivi a noi sconosciuti, vennero trasportate dal campanile alle chiesette minori presenti nelle contrade limitrofe. Altre piccole campane vennero rifuse per ottenerne altre che potessero colmare i vuoti sonori che si andarono così creando. Le campane piccole rimaste, vengono ancora oggi utilizzate per suonare il "transito" ai bimbi che purtroppo non sono arrivati alla prima comunione. Oltre ai momenti tristi che scandiscono purtroppo la vita terrena esìstono ovviamente anche momenti felici che vedono le campane impegnate a suonare a festa. Così e per le cerimonie religiose solenni, i battesimi, le cresime e le comunioni alla fine delle quali si esegue il tradizionale concerto impegnando tutte le campane nella realizzazione di una melodia. Tra le usanze correnti risalta l'abitudine di suonare senza melodia (scampanata) le campane durante la recita del gloria al Giovedì Santo, dopodiché le corde delle campane vengono legate assieme e le campane non vengono più suonate, (unica eccezione la segnalazione delle ore), fino alla notte di Pasqua.

LA MERIDIANA Uno dei pregevoli aspetti che rendono interessante la nostra Torre Campanaria è rappresentato dalla grande Meridiana, che si trova al di sopra dello zoccolo e ne sormonta la porta d'ingresso. Per i profani sembrerebbe un variegato accostamento di segni e di disegni, che al contrario hanno una loro precisa caratterizzazione. Essa fu realizzata in occasione dell'ultima franche dei lavori di completamento del campanile e la dimensione scientifica fu affidata nel 1893 ai Sacerdoti proff. Tono di Venezia e Corso di Padova, i quali elaborarono una Meridiana che ne riunisce una a tempo locale, una a tempo medio (con doppia curva strutturata ad 8 ) ed una zodiacale. Un'iscrizione riporta il tempo solare di Breganze; quello del Meridiano centrale d'Europa, il tempo medio di Roma, l'ora della levata e del tramonto del sole; l'ora di mezzodì e di mezzanotte nelle città principali di allora, la latitudine e la longitudine; la declinazione magnetica, eccetera. Così Breganze si trova ad 11° 33' 57" 400 di long. E da Greenwich, a 45° 42'30"630di latitudine e da 110 mt.di altezza sul livello del mare. Interessante è pure l'affresco che la decora; nello spazio inferiore sinistro è rappresentato il Tempo nelle sembianze di un vecchio canuto, discinto, alato che regge la clessidra ed è accompagnato dalla falce ad indicare la caducità della vita ed il passaggio di ogni realtà col trascorrere degli anni. Dietro a lui è ritratto il paesaggio collinare e montano che si erge alle spalle di Breganze, che è dipinta un po' sommariamente nel suo nucleo abitato, in cui sono visibili la Chiesa Parrocchiale non bene in linea reale col mo Campanile e la collina di S. Lucia, con una duplice gobba e la cappella del B. Bartolomeo. Non potevano mancare Ì campi coltivati e i vigneti che erano un po' l'emblema della Breganze a sviluppo prevalentemente agricolo fino agli anni '50 del presente secolo. Il quadrante della Meridiana, per essere esposto a sud e non riparato dalla luce solare diretta e dalle intemperie, ha subito diversi interventi di restauro che ponevano riparo alla perdita di leggibilità; l'ultimo negli anni '70 per opera di A. Gatto, il quale ha aggiunto la Cappella del B. Bartolomeo, costruita nel 1946 ed ha vivificato i colori con tonalità accese e secche.

L'OROLOGIO DEL CAMPANILE L'orologio del campanile di Breganze venne realizzato dalla Ditta Pietro Laverda nel 1906. Da molti anni Pietro Laverda Sr., fondatore della ditta, si era dedicato anche alla costruzione di orologi da campanile nonché di sistemi di suono meccanico per campane (carillon), castelli per campane e parafulmini. Una passione avuta fin da giovane se si pensa che, ancora tredicenne, aveva realizzato in legno una copia fedele, perfettamente funzionante dell'orologio dì S. Giorgio di Perlena, ancora conservata presso la casa di famiglia. Nel gennaio del 1905 P. Laverda scrive alla giunta municipale per segnalare che, malgrado le ripetute riparazioni da lui effettuate il vecchio orologio non era più in grado di funzionare a dovere. Il 20 febbraio successivo presenta il primo progetto di massima con un preventivo di spesa di L. 1700 (escluso montaggio). Nel giugno successivo illustra il progetto definitivo con tutti i dettagli degli ingranaggi e delle specifiche costruttive nonché con referenze relative ad altri orologi realizzati (Friola di Pozzoleone, Comune di Cona (VE)). L'anno di installazione è indicato in una targa ancora visibile: 1906. L'orologio attuale e ancora tutto originale, eccettuato il sistema di ricarica, un tempo a manovella, ora elettrificato.


http://www.turismoindustrialevicenza.it/html/news/dettaglio.php?idNews=3728 Gennaio 2010 Indice

La storia e il fascino del maglio di Breganze

La settecentesca struttura dedicata alla forgiatura del ferro è fra le meglio conservate in Europa

(tratto da "Il Giornale di Vicenza" del 28/01/2010) di Marita Dalla Via

Pagine di storia, parole che danno spazio ai ricordi, alle testimonianze di un tempo, ma anche immagini suggestive e parole per continuare a dare un futuro ad un luogo suggestivo come l'antico maglio di Breganze. Tutto questo nel libro che verrà presentato sabato alle 16 nell'aula magna delle scuole elementari di Breganze, dedicato a questo luogo magico, il più antico maglio del Veneto e uno tra i meglio conservati in Europa. Basterebbe solo questo per spiegare perchè il maglio di Breganze sia diventato in questi ultimi anni un vero e proprio museo. Ma non solo un museo della memoria e dei ricordi; un museo che ancora oggi vive, con macchinari perfettamente funzionanti grazie al proprietario Bruno Tamiello. Ed è stata proprio sua l'idea di valorizzare questo manufatto anche con una pubblicazione dove raccogliere testimonianze storiche, commenti di esperti, racconti di vita vissuta negli almeno quattro secoli di storia di questo maglio. I primi documenti di attività di questa piccola ma vitale azienda di forgiatura del ferro nella pedemontana vicentina risalgono infatti al 1635, ma alcuni studi fanno risalire la sua origine ad almeno 150 anni prima. Il libro, che è frutto di un anno e mezzo di lavoro, è a cura dell'associazione "Museo del Maglio" presieduta da Bruno Tamiello, con il contributo di Umberto Simonato, che assieme ad altri autori (come Carmen Rossi che ha curato il capitolo relativo alle atmosfere di questo magico luogo, e Franco Mastrovita con l'interessante studio sui manufatti e le macchine utilizzate), con il contributo dell'architetto Hans Woodtli e quello dell'azienda "Forgital" hanno ripercorso un filo logico e della memoria di questo laboratorio del ferro di Breganze. Le foto sono di Fabio Zonta di Bassano. «Basta scendere pochi gradini per entrare in questo magico "altrove" - scrive nel suo intervento Carmen Rossi -. Il maglio si presenta come un ampio e buio antro sotterraneo, la cui avvolgente oscurità non intimorisce, anzi protegge. (...) Così il maglio oggi rivive solo per dare ai visitatori alcune dimostrazioni del suo glorioso passato, come un vecchio attore in grado di recitare a memoria il suo repertorio». Ed in questa "caverna" grigia e primitiva ancora oggi partono i bagliori del fuoco e delle fiamme che forgiano il ferro; tanti secoli fa, come oggi e come domani, per non perdere questi antichi rituali, per non perdere le tracce della cultura e delle tradizioni.

http://www.terredelvino.net/it/scheda/comune-di-breganze I VINI Adagiata tra dolci colline, Breganze è quasi sospesa tra la pianura e le montagne austere che le fanno da sfondo. “Breganze dal buon vin, dal ricco prete”, scriveva nel 1600 il poeta padovano Carlo Dottori. La storia di questa cittadina è sempre stata legata alla viticoltura; i primi documenti scritti sono atti notarili di compravendita di vigneti, intorno all’anno Mille. Tra il XVI e il XVII secolo Breganze si afferma come terra di ottimi vini. Nel 1754 Valeriano Acanti nel suo Il roccolo ditirambo, (una sorta di di guida ai vini vicentini dell’epoca) elenca trenta varietà vinicole, tra cui tre breganzesi: il Groppello, un vino rosso oggi oggetto di una interessante riscoperta; il Vespaiolo, che egli scrive “a parer d’uomo togato è il più prelibato”; il Pasquale, che si mostava solo a primavera dopo aver lasciato l’uva appiccata all’aria: è l’antesignano del Torcolato.

La zona di Breganze è stata riconosciuta a Denominazione di Origine controllata già nel 1968. L’area è la fascia collinare che si estende tra il torrente Astico e il fiume Brenta e comprende, in tutto o in parte, i comuni di Bassano del Grappa, Breganze, Fara Vicentino, Marostica, Mason, Molvena, Montecchio Precalcino, Pianezze, Salcedo, Sandrigo, Sarcedo, Schiavon e Zugliano.

Il Torcolato Di vino dolce a Breganze parla nel 1610 Andrea Scoto in un libro intitolato “Itinerario”. Viene prodotto già allora con l’uva Vespaiola, il cui nome si deve alla particolare attrazione esercitata dai suoi acini sulle vespe, inebriate dal profumo e dalla dolcezza. Da sempre a Breganze i grappoli più sani e più spargoli (aperti) di Vespaiola vengono messi da parte e attorcigliati con degli spaghi (da cui il nome: attorcigliato, intorcolato) per essere appesi alle travi delle soffitte. I grappoli restano in appassimento per almeno cinque mesi nei fruttai. A gennaio, quando l’appassimento è completato, le uve vengono pressate direttamente con un torchio ottenendo un succo denso e dolce, ma con rese molto limitate. La fermentazione impiega oltre cento giorni e si arresta lasciando al vino un generoso residuo zuccherino. Per essere consumato il Torcolato necessita però ancora di due anni di affinamento in piccole botti di rovere e di acacia e una sosta in bottiglia. L’indubbia dolcezza del vino è bilanciata da una straordinaria freschezza: in bocca le componenti si fondono armonicamente lasciando una piacevole sensazione di pulizia; mai stucchevole, il Torcolato permette sempre nuovi e affascinanti matrimoni di sapori. Dal colore dell’oro, il Torcolato presenta profumi intensi di miele, frutta matura, come uva passa, albicocca secca, fico, note di vaniglia e mandorle dolci. In bocca è avvolgente, morbido e al tempo stesso fresco. È molto intenso e persistente, riproponendo nel retrogusto tutte le sensazioni aromatiche incontrate all’olfatto. Il Torcolato gradisce la pasticceria secca, biscotti, dolci con mandorle. Ma è nell’abbinamento con il salato che regala le soddisfazioni più grandi: con formaggi stagionati ed erborinati, con piatti a base di fegato e fois gras.

L'uva Vespaiola La Vespaiola è una varietà autoctona, coltivata unicamente nel territorio di Breganze. Deve il suo nome alla particolare attrazione esercitata sulle vespe e sulle api, sedotte dal suo profumo e dall’alto tenore degli zuccheri. Matura tardi e si vendemmia nella seconda metà di settembre. Il vino Vespaiolo presenta colore giallo paglierino con riflessi verdolini, ha un profumo di buona intensità con sentori di frutta matura e mandorla. In bocca l’elemento predominante è la freschezza, dato dalla naturale acidità della varietà; presenta generalmente una buona persistenza aromatica e un’interessante predisposizione all’invecchiamento. Dopo un paio d’anni assume al naso sentori di mela cotogna e gradevoli note minerali. Chi abbia portato, e da dove, l’uva Vespaiola a Breganze resta un mistero. Probabilmente furono i monaci Benedettini che si muovevano dall’Italia centrale verso il nord nel Quattordicesimo secolo. Di certo la sua diffusione è stata legata alla presenza nei secoli successivi delle residenze estive dei nobili veneziani, sui cui banchetti finivano i vini migliori. Il Vespaiolo si può considerare uno dei vini simbolo del Vicentino. Un’identità rafforzata dall’abbinamento con due tra i piatti più tipici della gastronomia locale: uova e asparagi di Bassano; bacalà alla vicentina.


Bibliografia:

  • Fontana Giovanni Luigi, Tuchet Flavio, Il Maglio di Breganze. Storia, tecnica, architettura, Vicenza, 1993
  • Agosti Alessandra, Il maglio di Breganze, Vicenza, 1993
  • Associazione Museo del Maglio, L'antico maglio di Breganze: l'uomo, le macchine, gli attrezzi, i manufatti, Breganze, 2009
  • Boschiero Gabriele, La torre rossa sulla collina