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«FIAT, IFI, Juventus: lo stile è sempre quello, identica è la matrice. È lo stile di Giovanni Agnelli, il fondatore, che corre attraverso le generazioni e concorre all'evoluzione del mondo. Un manifesto di lavoro che si fa quotidiana regola di vita: dunque, non può stupire che l'auto dell'anno o lo scudetto siano gemelli essendo la stessa la Dinastia dalla quale discendono.»

Visita della rosa juventina agli stabilimenti della casa automobilistica FIAT (1964); il modello di gestione imprenditoriale della squadra sportiva da parte di diversi membri della famiglia Agnelli, dai primi anni 1920, influì notevolmente nello sviluppo del calcio italiano e nel consolidamento della sinergia tra la Juventus e la citata compagnia[2]

Con l'espressione Stile Juventus, a volte riferita anche come Spirito Juventus[3] o più semplicemente come Stile Juve, si usa indicare una peculiare forma di gestione sportiva applicata nella società calcistica italiana per azioni Juventus Football Club, inerente all'amministrazione aziendale,[4][5] al fine di ottenere con maggior efficienza il successo.[6][7]

La locuzione fu diffusa dai mezzi di comunicazione di massa attorno agli anni 1930 per riassumere il traguardo sportivo raggiunto nel calcio nazionale a partire dal 1923 – accentuato durante la prima metà del decennio successivo – dalla squadra allora presieduta dall'avvocato torinese Edoardo Agnelli,[8] considerato il fautore del modello,[9] divenuta nel frattempo una società polisportiva e, in seguito, la prima entità nello sport italiano con status professionistico ante litteram;[10] ispirato dall'insieme di politiche imprenditoriali introdotte nella società anonima FIAT, a quel tempo presieduta dal commendator Giovanni Agnelli, ebbe un ruolo decisivo nella svolta verso il professionismo e nell'ulteriore affermazione popolare del calcio tricolore,[10][11] influendo anche nelle decisioni dirigenziali di altri club a partire dal secondo dopoguerra, ed emergendo quale modello organizzativo di riferimento per lo sport nella Penisola.[12][13]

L'espressione fa anche riferimento all'ethos sportivo proprio della società bianconera,[10] avendo anche qualche nesso con altri concetti inerenti alla juventinità quali «orgoglio gobbo»,[14] «fino alla fine»[15] e, più complessivamente, «emozione Juventus»;[16] oltre a richiamarsi, per esteso, a qualsiasi aspetto della propria cultura sportiva, degli usi e costumi delle diverse personalità legate alla società, nonché alle caratteristiche dell'organizzazione interna[17] e – in virtù delle origini del club e del proprio azionista di riferimento – al cosiddetto «stile sabaudo» strettamente affine alla cultura piemontese.[18]

L'antropologo francese Christian Bromberger lo definisce come «l'immagine ideale di una cultura aziendale rigorosamente organizzata [...] simboleggiata con le 'tre S': Semplicità, Serietà, Sobrietà», facendone un paragone con «lo stile di un'aristocratica 'vecchia signora' che coniuga le regole dell'étiquette e la rigorosa disciplina del mondo industriale [...]» che si riflette in gran parte nell'organizzazione societaria del club e nelle caratteristiche di gioco della squadra.[9][19]

Cenni storici modifica

Dagli albori agli anni 1940 modifica

 
Edoardo Agnelli, presidente del Foot-Ball Club Juventus dal 1923 al 1935

Nel luglio del 1923, anno della riunificazione del campionato, il vicepresidente della FIAT e del Foot-Ball Club Juventus Edoardo Agnelli venne eletto per decisione unanime della dall'assemblea straordinaria dei soci alla presidenza del club dopo essere stato proposto all'incarico dal terzino Antonio Bruna, all'epoca operaio della FIAT, e dal dirigente bianconero Sandro Zambelli; succedendo all'avvocato Gino Olivetti.[20]

Personaggio proiettato verso il futuro, Agnelli ebbe l'oggettivo di imporre una nuova concezione del club di calcio in un'epoca in cui essi erano gestiti a livello dilettantistico,[21] seguendo due fondamenti: «[il] football è destinato a trovare spazio e attenzioni sempre maggiori tra le nostre popolazioni» e «[la] certezza che il campionato deve essere al più presto unificato per diventare veramente nazionale».[21] Così, diversificò le attività societarie rispetto a quella principale del calcio e, con la collaborazione del barone Giovanni Mazzonis, incaricato della vicepresidenza,[22] introdusse una serie di riforme amministrative in seno al club, ispirandosi al modello e ai principi anglosassoni del foot-ball, che si dimostreranno decisive per l'istituzione del girone unico e la svolta verso il professionismo nonché per il conseguente sviluppo del calcio in Italia:[23] tra queste, la creazione di una compagnia dedicata all'amministrazione aziendale della squadra sportiva – quarantaquattro anni prima della conversione delle società calcistiche in aziende a capitale privato[24] –, la decisione di adottare inizialmente le tecniche della cosiddetta «scuola danubiana» intensificando gli allenamenti della squadra,[25] ingaggiando il primo allenatore professionista nella storia del club, l'ungherese Jenő Károly,[26] e il connazionale Ferenc Hirzer, attaccante e futuro capocannoniere del campionato nazionale;[27] in aggiunta ciò, l'intera rosa venne stipendiata[28] e gli immobili ammodernati, investendo soprattutto nell'illuminazione artificiale dello campo di proprietà costruito otto mesi prima su richiesta del presidente Olivetti, oltreché in una sede sociale dedicata ai dipendenti e soci juventini e nel settore medico, tutte novità per l'epoca.[29] Tali politiche permessero alla Juventus diventare la prima entità nello sport italiano con status professionistico ante litteram.[10]

Durante il decennio seguente, in virtù dei successi sportivi della squadra bianconera e del profondo impatto che essi ebbero nella società italiana di quel tempo, i mezzi di comunicazione di massa coniarono l'espressione «stile Juventus»[8] per sottolineare l'efficienza della gestione societaria che distingueva i bianconeri dal dilettantismo ancora imperante nelle altre società italiane del tempo, principalmente quelle meridionali.[5][30]

La presidenza dell'avvocato Agnelli, che cambierà per sempre l'approccio al sistema sportivo divenendo antesignana del cosiddetto football management sviluppatosi in Italia a partire dalla seconda metà del secolo,[31] si caratterizzò anche per l'introduzione di un rigido e, per l'epoca, innovativo regolamento di controllo interno – ispirato ai principi istituiti in FIAT dopo la fine della Grande Guerra e proseguiti agl'inizi del decennio successivo dal direttore centrale Vittorio Valletta[32][33] – che la totalità di dipendenti del club, giocatori inclusi, doveva rispettare: questi prescrivevano l'uso di un abbigliamento formale durante gli atti pubblici e viaggi in trasferta della squadra, l'evitare ogni polemica sia a livello personale che societario, il non concedere interviste senza l'autorizzazione dirigenziale, il rispetto delle decisioni arbitrali garantendo il fair play[34] e l'apprendimento di regole d'étiquette e d'espressione linguistica, «perché alla Juventus non era ammessa l'ignoranza»,[35] accentuando così le già radicate caratteristiche aziendali all'interno del club e rafforzando, di conseguenza, sia l'ammirazione verso la squadra tra la popolazione interessata al calcio che l'ostilità che, per motivi campanilistici, ormai la circondava.[36] Il giornalista Carlo Bergoglio, detto Carlin, diede testimonianza di ciò tra le pagine dell'edizione della rivista Guerin Sportivo del 2 maggio 1934:

«Hanno creato un ambiente che, come una macchina per impastare tutti i caratteri, ne farne il tipo unico mai illuso e mai disperato, mai troppo ottimista e mai troppo pessimista. Mai agitato e mai placato.
Cadere nella macchina un Monti o un Cesarini, un Orsi o un Varglien, spiriti fieri magari protervi, ed escono ben presto come gli altri: impastati. Ricadde un Tiberti, un Ferrari, un Sernagiotto, un Ferrero o un Valinasso e ne esce fuori un momento sicuro con qualche fierezza.
Il 'super asso' diventa solo un asso, l'aspirante a campione diventa asso; uno cava, l'altro cresce, tutto si livella. L'educazione e naturale riservo fanno il resto: se entri nel Circolo, un tipo in guanti bianchi riceve il tuo cappello, gli stucchi dorati t'impediscono di dir parolacce. La stretta di mano sulla tetti all'orologio, non una mano sulla spalla. Nessun ordine del giorno, ma l'ordine con l'ora per il domani, firma carcame. Mai niente di nuovo. Un giocatore entra e capisce dov'è, cosa deve imparare, il senso delle distanze, il rispetto, quel formalismo che è pure necessario se tutti gli esserci si sono basati su quello.[37]»

 
Una formazione della Juve del Quinquennio nella stagione 1933-34, all'interno dello stadio Mussolini di Torino

Il primo periodo di successo del calcio professionistico italiano si concluse con la tragica scomparsa di Agnelli, vittima di un incidente aereo il 14 luglio 1935, dopo il quale la società sarà gestita dal barone Mazzonis – fino a quel momento, vicepresidente della Juventus – e, ulteriormente, dall'ex calciatore bianconero e futuro proprietario della Compagnia Industriale Sportiva Italia (CISITALIA) Piero Dusio, che potenzierà l'attività polisportiva del club. Nel frattempo, essa venne trasferita ad Alba per sfuggire ai bombardamenti sulla città di Torino durante la seconda guerra mondiale.[23]

Anni 1940-1960: riproposizione e consolidamento modifica

L'atteggiamento societario della Juventus fu riproposto durante la seconda metà del XX secolo con l'assunzione della massima carica dirigenziale del club da parte dell'imprenditore Gianni Agnelli, membro del consiglio di amministrazione del club dal 1938, la cui gestione avrà un impatto nella comunità sportiva simile a quello sperimentato negli anni 1920.[38] Influenzato sia dal padre Edoardo che dal nonno, l'omonimo senatore Agnelli,[32] l'Avvocato – come era già noto – portò avanti una serie di riforme in seno alla società, nel frattempo indebolitasi per la distruzione delle proprie infrastrutture quali il centro sportivo, la sede amministrativa e il Circolo societario durante i bombardamenti cittadini[39] e, in particolare, per la liquidazione della CISITALIA, che l'amministrò durante la Resistenza e i primi anni della Ricostruzione. Conferendogli da allora un grado di stabilità considerevolmente superiore a quello delle istituzioni sportive e politiche sia in ambito tecnico[40] che manageriale,[5][41] Agnelli portò la squadra, capitanata dal difensore Carlo Parola e rinforzata dagli acquisti di giocatori di rilievo quali il futuro capitano della nazionale italiana Giampiero Boniperti e i nazionali danesi John Hansen e Karl Åge Præst, a vincere due titoli del campionato di Serie A nel 1950 e 1952 – i primi dopo un quindicennio – nonché a partecipare, in rappresentanza della Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC) quale campione d'Italia 1949-50,[42] a un torneo internazionale disputatosi in Brasile nel 1951, nella quale arrivò in finale esprimendo al massimo livello il gioco a zona,[43] un atteggiamento tattico all'epoca sconosciuto in Sudamerica, una circostanza che permetterà ai bianconeri di estendere la propria popolarità nel continente.[44][45]

Durata sino al 1954, la presidenza di Gianni Agnelli consoliderà il sodalizio tra la Juventus e la dinastia proprietaria della FIAT, il più antico e duraturo nello sport italiano,[46] iniziato un trentennio prima e interrotto tragicamente nel 1935, rafforzando notevolmente l'identificazione fra la squadra e la famiglia, e di cui lo stesso Avvocato diverrà l'immagine pubblica.[47] Tra le altre cose, proprio lui contribuirà anche a riformare le norme contrattuali FIGC, all'epoca ripartite in maniera proporzionale all'importanza della città-sede dei club – un criterio arbitrario stabilito dalla Federazione – e il relativo carovita, in favore del valore di mercato del singolo atleta e del proprio rendimento sportivo.[23]

 
Tre dei neoacquisti bianconeri della stagione 1957-58, Charles, Sívori e Ferrario, riuniti con il giovane presidente del club, il Dottore Umberto Agnelli, e il capitano della squadra, Boniperti

Il metodo gestionale juventino si sarebbe consolidato come modello sportivo-finanziario durante la successiva presidenza di Umberto Agnelli, anche lui imprenditore. Eletto nel 1955 da una giunta di soci, tra cui il fratello Gianni[48] – divenendo il più giovane ad assumere la massima carica dirigenziale nella storia della società, ad appena ventidue anni –, la sua presidenza venne caratterizzata dagli ingaggi di giocatori di rilievo – ma a quel tempo sconosciuti al pubblico italiano – quali il nazionale gallese John Charles e il nazionale argentino Omar Sívori, decisivi per la conquista di tre campionati di lega e due coppe nazionali consecutive dalla stagione 1957-58 all'annata 1960-61,[49] facendo sì che la Juventus emergesse come la squadra-simbolo dell'allora favorevole congiuntura economica interna, anche in virtù di un cospicuo incremento del bacino di simpatizzanti a seguito della massiccia immigrazione meridionale a Torino nei primi anni 1950.[50][51]

Per i seguenti otto anni verrà rafforzata la struttura direttiva della squadra,[52] nei quali andò definitivamente ad affermarsi anche una peculiare politica di reclutamento iniziata alla fine del secondo conflitto mondiale: oltre a puntare soprattutto sull'ingaggio di giocatori italiani – scelta che si rivelerà determinante nei cicli di successi della Nazionale «A» –, inclusi atleti noti per una notevole predisposizione e polivalenza tattica e disciplinare, andando a compensare certi limiti tecnici, e per questo spesso paragonati agli operai della compagnia,[53] il club si segnalò nell'ingaggiare stranieri pescati principalmente nei paesi limitrofi quali la Francia, in virtù dei vincoli storici che tale nazione condivide con la città di Torino, e dell'Europa centrale e settentrionale, in quanto ritenuti «più adattabili» allo stile di vita della capitale sabauda nonché alla disciplina ormai caratteristica della società nei confronti dei calciatori provenienti da altre latitudini.[54]

In virtù al successo ottenuto con la Juventus, il Dottore Agnelli sarà eletto per unanimità presidente della FIGC nel 1959 con l'obiettivo di ristrutturare il calcio italiano dopo il fallimento della squadra rappresentativa tricolore, non qualificatasi al mondiale di Svezia dell'anno precedente. Durante la sua gestione presenterà in Federcalcio un programma di rinnovamento interno basato sulla trasparenza economica, sugli investimenti nel settore giovanile, sull'istituzione di corsi per medici, istruttori e massaggiatori, sul rinnovamento della formazione degli arbitri e degli allenatori, e una riforma della giustizia sportiva.[23]

L'era bonipertiana (1971-1990) modifica

«Ho creato un gruppo, dal 1971 quando sono diventato presidente ad oggi, questo gruppo è rimasto compatto, salvo ringiovanirsi e potenziarsi come dettano i tempi. Abbiamo il medico a tempo pieno, credo che siamo una delle poche società italiane ad averlo e se ne vedono i frutti positivi. Ma soprattutto collettivo in tutti i sensi e meglio ancora l'asso al servizio del collettivo.»[55]
(Giampiero Boniperti, 1984.)

Dopo le rispettive attività dirigenziali a fronte del club i fratelli Agnelli rimasero legati ai colori bianconeri compiendo, in diversi periodi, una serie di incarichi amministrativi, assumendo ulteriormente il ruolo di presidente onorario con cui poterono mantenere la propria influenza sul consiglio di amministrazione della società.[56] Così, il club poté sollevare le tensioni tra la FIAT e i sindacati degli anni 1960, aggravate durante il cosiddetto «autunno caldo», attraverso una «politica dell'economia» instaurata dall'onorevole Vittore Catella su iniziativa di Gianni Agnelli.[57] Tale provvedimento societario sarebbe continuato durante gli anni del terrorismo dal suo successore Giampiero Boniperti, chi assunse la massima carica istituzionale bianconera nell'estate del 1971 su richiesta dell'Avvocato, per affrontare la crisi di risultati delle squadre italiane originate dal divieto di tesseramento di giocatori di nazionalità diversa all'italiana e allenatori che svolgerono l'attività sportiva fuori dal territorio nazionale imposto dalla Lega Nazionale Professionisti (LNP) su iniziativa del presidente federale Giuseppe Pasquale dopo l'insuccesso della cosiddetta Squadra Azzurra al campionato mondiale del 1966 e ulteriormente aggravata dall'emersione del primo scandalo del calcioscommese quattordici anni più tardi,[58] a cui la società bianconera si era opposto in quanto «determinava una condizione sfavorevole per il calcio italiano nelle competizioni internazionali».[23] In quel periodo la Serie A era un netto svantaggio a livello tecnico-tattico nei confronti, principalmente, delle squadre militanti nel campionato dei Paesi Bassi, dove ebbe l'origine il cosiddetto totaalvoetbal, uno stile di gioco offensivo che avrà un forte impatto nel resto del continente; al campionato inglese, le cui ricevettero a metà del decennio un'autorizzazione speciale da parte della Federazione Internazionale del Calcio (FIFA) per ingaggiare giocatori originari nelle altre nazioni costitutive del Regno Unito e nelle antiche colonie dell'impero britannico senza alterare le restrizioni agli acquisti di giocatori di altre nazionalità imposte in precedenza dalla propria associazione nazionale; al campionato spagnolo, le cui squadre poterono ingaggiare la maggioranza dei migliori atleti che parteciparono ai mondiali del 1974 e del 1978 e anche a quello tedesco occidentale, il cui sarebbe stato classificato al primo posto nel ranking europeo alla fine della decade.[59] Per farlo, Boniperti elaborò un progetto a lungo termine gestito con rinnovati criteri industriali, caratterizzato dall'introduzione e successiva applicazione della zona mista, un innovativo schema tattico che coniuga efficientemente i concetti del calcio totale neerlandese e il classico catenaccio italico; dall'inserimento graduale in prima squadra di giovani calciatori forniti nel settore giovanile juventino quali Giuseppe Furino, Roberto Bettega e Paolo Rossi, nonché dall'arruolamento di talenti in prospettiva con presenza attiva nel campionato di Serie A con altri club quali Gaetano Scirea, Antonio Cabrini, Claudio Gentile, Marco Tardelli e Franco Causio; e dalla ferrea disciplina – includendo d'immagine – imposta alla squadra bassata in quella che esperimentò durante l'attività agonistica; dando inizio al periodo di successo più duraturo nella storia del calcio italiano,[60] in cui sarà considerevolmente arricchito il palmarès,[61] e che darà inizio a un periodo aureo per il calcio italiano a partire dalla riapertura delle frontiere e l'autorizzazione ai club di tesserare un giocatore proveniente da un'associazione nazionale estera a partire dalla stagione 1980-81 e la successiva vittoria della rappresentativa italiana ai mondiali del 1982.[62] Nel febbraio del 1990, Boniperti rassegnò le dimissioni in ragione della conflittualità insostenibile con i procuratori,[61] essendo sostituito dall'avvocato Vittorio Caissotti di Chiusano.[63]

Anni 1990-2010: rinnovamento e ulteriori cambiamenti modifica

Il modello bianconero subì un rinnovamento complessivo nell'estate 1990 con l'introduzione di politiche economiche, applicate precedentemente nella multinazionale Ferrari S.p.A.,[63] dal neo vicepresidente della società Luca Cordero di Montezemolo per contrapporre la cosiddetta «crisi dell'auto» sorta nella regione alla fine del decennio e, più in particolare, le nuove esigenze del mondo del calcio,[64][65][66] in constrasto con le proprie caratteristiche basiche – discrezione, efficienza e, se necessario, austerità[67] –: una maggior copertura mediatica, principalmente a carico della televisione privata, l'uso sistematico di tecniche di marketing e merchandising per generare redditi da capitale e l'ascesa – e crescente influenza – della figura del procuratore sportivo.[61][68] Ciò portò il club a trasformarsi da una associazione sportiva a un'entità economica[69] e a indirizzarsi gradualmente verso una politica di autofinanziamento su iniziativa congiunta dei fratelli Agnelli, portata avanti a partire dalla stagione 1994-95 sotto l'amministrazione di Antonio Giraudo, che darà vita a una efficiente politica di compravendita di giocatori di rilievo per garantire la continuità di alto rendimento della squadra, rispettando contemporaneamente gli impegni del bilancio societario.[23] In questo periodo la Juventus si riposizionerà a livello sportivo come la squadra di riferimento in Europa, in virtù dei successi ottenuti in campo nonché della propria duttilità tattica, allora inedita nel resto del continente, riportandosi al primo posto del ranking confederale (per la prima volta dal 1991);[70] altresì, in ambito finanziario, si inserirà in modo stabile tra le prime cinque società calcistiche a livello mondiale in termini di fatturato, valore borsistico e patrimonio di marca,[71] ciò fino allo scoppio dello scandalo del calcio italiano del 2006.

«Nell'analisi, nella valutazione di cosa significa gestire la Juventus nel 2016 o comunque nell'ultimo decennio [...] e quello che invece significava gestire una squadra di calcio fino all'introduzione dei diritti televisivi, fino ai primi anni '90, erano delle necessità diverse [...] Quando guardiamo oggi la dimensione della Juventus, [...] abbiamo una dimensione oramai che non è più quella ludica, del divertimento e dell'hobby, ma è una vera grande azienda.»[72]
(Andrea Agnelli, maggio 2016.)

La metodologia di lavoro condotta in precedenza da Giraudo è stata recuperata a partire dal 2011, sotto la presidenza del dott. Andrea Agnelli, con l'inizio di un quinquennio ricco di vittorie in ambito sportivo condotto dagli allenatori Antonio Conte prima e Massimiliano Allegri poi, l'istituzione di un insieme di provvedimenti dirigenziali nell'ambito della diversificazione dei ricavi societari quali la costruzione, tra le altre strutture, di uno stadio di proprietà – il primo scenario calcistico moderno concepito nel Paese –, un centro medico-scientifico e un complesso sportivo e amministrativo, la firma e il rinnovamento di convegni commerciali con gruppi di associazioni e aziende di caratura internazionale seguendo la strategia commerciale nota come Less is More ("Meno è di più")[73] per intensificare la visibilità del marchio juventino e delle aziende che la sponsorizzano,[74] e l'uso costante dei media digitali e altri servizi di rete sociale;[75][76] ciò ha portato a raddoppiare gli introiti del club e triplicare il valore di mercato della rosa nel successivo triennio,[77] raggiungendo cifre inedite per il sistema sportivo italiano,[78][79][80] ritornando tra i primi dieci in ambito internazionale per valore redditizio[81] oltreché tra i primi cinque per forza del marchio[82] e diventando la prima società calcistica italiana a ottenere un valore di mercato superiore a un miliardo di dollari,[83] emergendo così come la più valida alternativa alla soluzione dei problemi riguardanti il calcio italiano d'inizio III millennio.[84]

Agnelli ha assunto una posizione più dura rispetto a quella assunta dalla precedente dirigenza bianconera Cobolli Gigli-Blanc[85][86] in merito agli strascichi dello scandalo del calcio italiano 2006 che vide coinvolta la Juventus, chiedendo la revisione del processo sportivo attraverso la presentazione di un esposto in seguito alla pubblicazione della relazione del procuratore federale – nella quale venivano contestate violazioni a diversi tesserati, molti dei quali non coinvolti nel provvedimento sportivo del 2006 – un anno prima; una scelta che generò una polarizzazione dell'opinione pubblica sportiva in Italia.[87]

Note modifica

  1. ^ Pennacchia, p. 297
  2. ^ Richards, The Orpheus of Soccer
  3. ^ (EN) Old Lady never more sprightly, in Fédération Internationale de Football Association, 11 maggio 2012.
  4. ^ Paul Dietschy, Antoine Mourat, The Motor Car and Football Industries from the early 1920s to the late 1940s: The Cases of FC Sochaux and Juventus, pp. 43-62
  5. ^ a b c Bromberger, p. 149
  6. ^ Patrick Hazard, David Gould, Three Confrontations and a Coda: Juventus of Turin and Italy, pp. 208-209
  7. ^ (EN) Charles L. Killinger, Culture and Customs in Italy, Westport (Connecticut), Greenwood Press, 1987, p. 121, ISBN 0-313-32489-1.
  8. ^ a b Settant'anni di popolarità, in La Stampa, 3 dicembre 1969, p. 19.
  9. ^ a b Bromberger, p. 36
  10. ^ a b c d Patrick Hazard, David Gould, Three Confrontations and a Coda: Juventus of Turin and Italy, p. 209
  11. ^ Giovanni De Luna, Il tifo pro e contro l'Italia. Un laboratorio dell'identità nazionale, p. 1491
  12. ^ Guido Vaciago, Juventus, qui fabbricano vittorie fin dal 1923..., in Tuttosport, 1º marzo 2016.
  13. ^ (EN) Michel Desbordes, Marketing and Football. An international perspective, Londra, Routledge, 2012 [2007], pp. 116-120, ISBN 1-1363-8064-7.
  14. ^ Inteso come sinonimo di un comportamento «deciso, voglioso, grintoso e determinato su tutti i fronti», cfr. Davide Terruzzi, Orgoglio gobbo, 11 luglio 2012.
  15. ^ Semplificazione del classico grido di guerra intonato dai gruppi organizzati del tifo bianconero dagli anni 1960: Fino alla fine forza Juventus. Esso «[...] è la miglior sintesi di quello che significa far parte della Juventus», cfr. «Fino alla fine» nel cuore e sulla maglia, in juventus.com, 31 maggio 2013.
  16. ^ (EN) Ed Vulliamy, Europe’s grand old lady Juventus return to Champions League Final, in The Guardian, 30 maggio 2015.
  17. ^ Mura et al, pp. 189-191
  18. ^ «Assai più di quanto abbiano saputo o potuto fare altre importanti dinastie, senza andare ai cugini europei, si pensi anche solo a fenomeni dinastici a noi più prossimi, come le altre casate locali (gli Acaja, gli Asinari, i Lascaris, i Piossasco, i Saluzzo, ecc.) od anche la dinastia industriale degli Agnelli, lo stile sabaudo ha caratterizzato di per sé la nostra regione.»; cfr. Luigi Brossa (a cura di), Artigianato d'eccellenza e circuito delle Dimore Sabaude (PDF), Osservatorio dell'Artigianato Regione Piemonte, dicembre 2007, p. 9.
  19. ^ Bromberger, pp. 149; 304
  20. ^ L'avv. E. Agnelli presidente del F.C. Juventus, in La Stampa, 28 luglio 1923, p. 2.
  21. ^ a b Mario Pennacchia, Il gioiello di famiglia, in La Gazzetta dello Sport, 27 dicembre 1997.
  22. ^ La «Juventus», in La Stampa, 1º aprile 1931, p. 2.
  23. ^ a b c d e f Passerin d'Entrevès
  24. ^ La Juventus trasformata in «società per azioni», in La Stampa, 19 luglio 1967, p. 8.
  25. ^ Mancini, De Luna, «Film», 8 min 58 s e sqq.
  26. ^ Bernardini et al, «Film», 5 min 52 s e sqq.
  27. ^ Pietra, p. 154
  28. ^ Dietschy, p. 133
  29. ^ Romano; Saoncella, «Film», 5 min 33 s
  30. ^ Pennacchia, p. 306
  31. ^ «Evento cardine dell'incontro tra industria e calcio è dato dall’instaurazione della famiglia Agnelli alla guida della Juventus che rappresenta l’inizio di un periodo di successi ed il susseguirsi di una vera e propria dinastia di presidenti societari, fattore che modifica nel profondo e per sempre l’approccio al sistema sportivo […] proprio come avviene nella vicina Francia con le esperienze di Jean-Pierre Peugeot al Sochaux e Jean-Bernard Lévy con il RC France.» Cfr. Fabrizio Bertini, Dagli anni venti agli anni cinquanta: un'epoca d'oro del Pallone (PDF), in Notiziario del Settore Tecnico, n. 6, ed. 21 dicembre 2010, Firenze, Federazione Italiana Giuoco Calcio, noviembre/dicembre 2010, p. 13.
  32. ^ a b (EN) Franco Amatori, Agnelli Family, in Joel Mokyr (a cura di), The Oxford Encyclopedia of Economic History, Oxford, Oxford University Press, 2003, p. 14, ISBN 0-19510-507-9.
  33. ^ Le politiche imprenditoriali della FIAT agl'inizi degli anni 1920 erano centrate su tre principi: progressiva conquista del mercato attraverso la realizzazione di una produzione di massa; impiego del capitale finanziario in mete esclusivamente produttive; nel settore salariale, una politica riformistica che mira al graduale miglioramento delle condizioni di vita degli operai per evitare le tensioni sindacali e per trasformarli in possibili clienti; cfr.   Silvia Calandrelli, FIAT 1922-1966: Dal Lingotto a Vittorio Valletta, RAI Scuola (RAI Educational), 2012, a 0:02:34.
  34. ^ Bromberger, p. 150
  35. ^ Buttafarro et al, «Film», 48 min 59 s
  36. ^ Buttafarro et al, «Film», 11 min 59 s e sqq.
  37. ^ Buttafarro et al, «Film», 53 min 32 s e sqq.
  38. ^ (EN) Juventus mourn passing of Agnelli, in Union des Associations Européennes de Football, 24 gennaio 2003.
  39. ^ Società Spettacoli Sportivi di corso Marsiglia, su MuseoTorino, Città di Torino.
  40. ^ In sessantotto stagioni disputate dalla Juventus dalla 1929-30, la prima in cui il campionato italiano di calcio venne disputato a girone unico, alla 1999-2000 la dirigenza bianconera decise il cambio d’allenatore in dodici occasioni, includendo quelli di Carcano (1935) e Picchi (1971) legati a motivi estracalcistici, equivalenti a un percentuale di cambiamento del 17.64%, una cifra considerevolmente inferiore alla media di esoneri realizzati da squadre militanti nel campionato di Serie A durante un minimo di dieci stagioni (42.31%); cfr. Marco Tarozzi, Quel record dell’Alessandria, in Calcio 2000, 4 [40], aprile 2001, p. 77, ISSN 1122-1712 (WC · ACNP).
  41. ^ Dal 1923 al 2003, anno della morte dell'Avvocato, la Juventus cambiò il presidente e consiglio di amministrazione in dieci occasioni, l'ultima nel 1990; la Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC), l'organo di governo del calcio italiano, cambiò il presidente e membri del Consiglio Federale un totale di 25 volte durante quel periodo e la Democrazia Cristiana (DC), il principale partito politico in Italia durante la Prima Repubblica, cambiò il segretario generale – la sua massima carica istituzionale – in 23 occasioni dal luglio 1944 fino al suo scioglimento nel 1992; cfr. Buttafarro et al, «Film», 15 min 31 s e sqq.
  42. ^ La Juventus a Rio al «Torneo dei Campioni», in Corriere dello Sport, 14 giugno 1951, p. 4.
  43. ^ Luigi Bonizzoni, Inizio anni Cinquanta: le prime avvisaglie del gioco a zona fanno discutere (PDF), in Notiziario del Settore Tecnico, n. 3, Firenze, Federazione Italiana Giuoco Calcio, maggio/giugno 2002, p. 44.
  44. ^ Vittorio Pozzo, Entusiastici commenti per la Juventus in Brasile, in La Nuova Stampa, 10 luglio 1951, p. 4.
  45. ^ Vittorio Pozzo, La Juventus questa sera parte in aereo dal Brasile, in La Nuova Stampa, 24 luglio 1951, p. 4.
  46. ^ Patrick Hazard, David Gould, Three Confrontations and a Coda: Juventus of Turin and Italy, pp. 209, 215
  47. ^ Giuseppe Berta, AGNELLI, Giovanni, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 1, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2013.
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Bibliografia modifica

Libri modifica

  • (EN) Gary Armstrong e Richard Giulianotti, Fear and Loathing in World Football, Oxford, Berg Publishers, 2001, ISBN 1-85973-463-4.
  • (EN) Alan Bainer, Jonathan Magee e Alan Tomlinson (a cura di), The Bountiful Game? Football Identities and Finances, a publication of the International Football Institute (IFI), Oxford, Meyer & Meyer Sport Ltd., 2005, ISBN 1-84126-178-5.
  • (FR) Christian Bromberger, Le match de football : ethnologie d'une passion partisane à Marseille, Naples et Turin, avec la collaboration d'Alain Hayot et Jean-Marc Mariottini, Parigi, Les éditions de la Fondation Maison des sciences de l'homme (MSH), 1995, ISBN 2-7351-0668-3.
  • Gianni Mura, Andrea Gentile e Aurelio Pino, Non gioco più, me ne vado: gregari e campioni, coppe e bidoni, Milano, Il Saggiatore, 2013, ISBN 88-4281-752-X.
  • Mario Pennacchia, Gli Agnelli e la Juventus, Milano, Rizzoli, 1985, ISBN 88-17-85651-7.
  • Italo Pietra, I tre Agnelli. Memorie, documenti, biografie, Milano, Garzanti, 1985, ISBN 88-1173-973-X.
  • (EN) Ted Richards, Soccer and Philosophy: Beautiful Thoughts on the Beautiful Game, Chicago, Open Court Publishing Company, 2013 [2010], ISBN 08-12-69682-4.
  • Marco Sappino (a cura di), Dizionario biografico enciclopedico di un secolo del calcio italiano, vol. 2, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2000, ISBN 88-8089-862-0.

Pubblicazioni varie modifica

Videografia modifica

  • Roberto Buttafarro, Giovanni De Luna e Marco Revelli, episodio 1, Un fenomeno in bianco e nero, consulenza di Leone Piccione, RAI 3, 16 settembre 1986, a 59 min 58 s.
  • Roberto Buttafarro, Giovanni De Luna e Marco Revelli, episodio 2, Un fenomeno in bianco e nero, consulenza di Leone Piccione, RAI 3, 23 settembre 1986, a 60 min 00 s.
  • La grande storia della Juventus: episodio 1, 1897-1956 "Il segreto della Juventus", Roberto Saoncella (con la collaborazione di), RCS Quotidiani, RAI Trade, LaPresse Group, 2005, a 31 min 43 s.

Voci correlate modifica

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