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Governo municipale parigino di Bailly

Antefatti modifica

Le prime avvisaglie modifica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Stati generali del 1789 e Assemblea nazionale costituente.

Dopo essere stato il primo presidente dell'Assemblea nazionale, la popolarità di Bailly tra i deputati e il popolo parigino crebbe notevolmente. Il ruolo fondamentale che egli aveva giocato in questo iniziale momento rivoluzionario di successo fu infatti interamente compreso e apprezzato sia dai suoi colleghi, sia dai suoi concittadini.[1] Ad esempio la camera di commercio della città di Bordeaux mandò una delegazione per ringraziarlo della bontà della sua presidenza e per comprare un suo ritratto, dipinto da Mosnier, pittore della corte del re, in modo che fosse esposto nella propria sala riunioni.[2] Lo stesso Bailly ringraziò gli abitanti di Bordeaux «per la bontà di cui avevano inondato un cittadino che non aveva fatto altro che il suo dovere».[3] Il giornale Point du jour osservava, poco prima del termine del mandato di Bailly: «Un sentimento di dolore era misto col piacere di vedere M. Bailly nel presiedere l'Assemblea nazionale ieri. Purtroppo sta per finire».[4] Bailly ricevette anche dei messaggi e delle delegazioni delle tre accademie di cui lui stesso era membro, le tre accademie più importanti di Francia – l'Académie française, l'Académie des sciences e l'Académie des inscriptions et belles-lettres – oltre che dell'assemblea elettorale parigina e dell'Assemblea Nazionale stessa che espressero la loro approvazione per la sua conduzione degli Stati generali nel loro periodo più tempestoso.[5]

I delegati dell'Assemblea erano capeggiati dall'arcivescovo di Bordeaux e dal duca de La Rochefoucauld, un segnale d'onore visto che il principio guida di Bailly era stato l'uguaglianza del Terzo Stato rispetto agli ordini privilegiati.[5]

Il mandato di Bailly come presidente dell'Assemblea nazionale durò fino al 2 luglio. La sua soddisfazione e quella dei suoi colleghi non durò a lungo comunque. Il licenziamento del primo ministro Jacques Necker e la nomina di Louis Auguste Le Tonnelier de Breteuil al suo posto nella giornata del 12 luglio causarono una costernazione generale nell'Assemblea. Nonostante il suo attaccamento a Breteuil, Bailly condivideva le opinioni dei suoi colleghi, e avrebbe di gran lunga preferito che il licenziato Necker tornasse al suo posto.[5]

«...come uomo, io l'ho visto buono, sensibile, giusto e leale. [...] Quanto ai suoi principi politici, essi non sono né rivoluzionari né costituzionali: ambasciatore per trent'anni, abituato a parlare a nome del re, egli non conosce che la sua autorità; la giustizia da un lato, l'obbedienza dall'altro: ecco le sue massime. Aveva una reputazione di dispotismo che non era favorevole per essere ripreso al ministero nella circostanza degli Stati generali.»

Senza avere coscientemente formulato le sue idee, Bailly diventava implicitamente sia «rivoluzionario» che «costituzionale». Mentre l'Assemblea approvava una legge che dava un voto di fiducia a Necker e stabiliva il principio della responsabilità ministeriale, Bailly scrisse una lettera personale a Breteuil dicendogli, in tante parole, di sentirsi infelice, in fin dei conti, del fatto che questi fosse stato nominato primo ministro al posto di Necker e lo avvertì, ammonendolo di non sottovalutare la determinazione dell'Assemblea nazionale.[5]

Lo stesso giorno Bailly sentì per la prima volta una voce secondo cui stava per essere menzionato per la carica di Prévôt des Marchands di Parigi (il prevosto dei mercanti, una sorta di sindaco facente funzioni), ruolo che apparteneva in quel momento a Jacques de Flesselles.[5] Il licenziamento di Necker e la presenza delle truppe a Parigi fece precipitare la capitale nel caos. Il 13 luglio l'assemblea degli elettori, che, avendo raggiunto il suo scopo già da mesi (eleggere i deputati all'Assemblea Nazionale), si sarebbe dovuta sciogliere da tempo, e che il Bureau de la Ville, la Garde des Sceaux e lo stesso re Luigi XVI avevano tentato senza successo di sciogliere, si costituì comune di Parigi. La rivolta esplose il giorno successivo, il 14 luglio, il giorno della Presa della Bastiglia.[5]

La nomina a sindaco modifica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Presa della Bastiglia.

All'indomani della presa della Bastiglia, il 15 luglio 1789, Bailly fu acclamato, dalla neonata Assemblea elettorale cittadina costituitasi Comune, come sindaco di Parigi, il primo nella storia della città. Assieme a lui il marchese de La Fayette fu acclamato comandante in capo della milizia cittadina, che prese il nome di Guardia nazionale.

 
Una seduta dell'Assemblea nazionale costituente.

Durante la Presa della Bastiglia, intanto, l'Assemblea nazionale costituente svolse un ruolo abbastanza passivo. Le notizie da Parigi raggiungevano Versailles con difficoltà, e i deputati non erano ben informati di ciò che stava realmente accadendo. L'Assemblea continuò comunque a seguire tutta la situazione, i deputati attendevano infatti con ansia l'esito degli eventi. Bailly nelle sue Mémoires presentò la propria interpretazione del significato e dell'importanza della Presa della Bastiglia.[7] Pienamente convinto che l'intenzione della corte fosse quella di sciogliere l'Assemblea Nazionale, citò delle prove per sostenere l'esistenza di un piano preorganizzato del governo per riconquistare la supremazia e prendere il controllo di Parigi intimidendo l'Assemblea. La presa della Bastiglia fu, secondo lui, «un giorno terribile e indimenticabile, il momento in cui la Rivoluzione fu consumata dal coraggio e dalla risolutezza degli abitanti di Parigi...»[8] Dando piena responsabilità al comandante De Launay per gli eventi che ebbero luogo presso la prigione, Bailly insistette che questi avrebbe dovuto arrendersi ben prima di arrivare all'estrema decisione di sparare sui suoi concittadini.[9] Bailly ammise che al fianco del «buon popolo di Parigi» c'erano state comunque delle bande di faziosi e facinorosi che avevano voluto portare la rivoluzione al di là di ogni opposizione ragionevole, e che questi erano responsabili di gran parte dei saccheggi e delle illegalità che caratterizzarono quella «giornata terribile e indimenticabile».

Con l'Assemblea nazionale nel ruolo di osservatore tremulo ed impotente, Parigi aveva vinto la sfida e superato la crisi del 14 luglio. La città ribolliva ancora di agitazione, e sia la corte che l'Assemblea la guardavano con diffidenza, temendo che una mossa falsa avrebbe potuto innescare una nuova esplosione. Il giorno dopo la caduta della Bastiglia, il 15 luglio, il re fece il primo passo per porre fine ai disordini visitando l'Assemblea in prima persona, chiedendo l'assistenza dei deputati nella crisi:

«Beh, sono io ad essere tutt'uno con la nazione; sono io che mi fido di voi. Aiutatemi in questa circostanza per garantire la salvezza dello Stato. Mi aspetto che l'Assemblea Nazionale... e contando sull'amore e sulla fedeltà dei miei sudditi, ho ordinato alle truppe di lasciare Parigi e Versailles.»

A Bailly fu chiesto di scrivere questo discorso per il re.[5] Il linguaggio del discorso, però, non era certo quello di Bailly; era ben poco artificioso e, per tale motivo, commovente.[11] Bailly stesso, sia detto a suo merito, osservò: «Questo discorso non era quello che avevo scritto io; [...] Ma credo che questo vada meglio».[12] Tuttavia, il discorso, probabilmente, incarnava gli stessi suggerimenti di Bailly. Per la prima volta, il Re infatti usò il termine "Assemblea Nazionale", ed espresse la sua fiducia nella volontà della nazione.[5]

 
Jean Sylvain Bailly, nuovo sindaco di Parigi.

Accettando l'apertura del re, i deputati adottarono vari provvedimenti e decisero di inviare una una loro delegazione a Parigi, fiduciosi che la vista dei «rappresentanti della nazione» avrebbe avuto un effetto sedativo in città.[13][14] La delegazione includeva Bailly, il marchese de La Fayette, il cardinale Clermont-Tonnerre e l'abate Sieyès. La delegazione portò con sé la buona novella dell'apertura del re per calmare gli animi dei parigini.

Il giornale Point du jour descrisse vividamente la scena, di grande effetto, che si presentò nel dare il benvenuto ai deputati che, lentamente, si muovevano attraverso la città per andare all'Hôtel de Ville.[15] I deputati furono accolti da un corteo costituito da migliaia di parigini acclamanti. Quella dei delegati fu una marcia trionfale per la città, accolti e salutati da ogni parte dalle grida di "Vive le roi", "Vive la nation", "Vive les députés". Alle Tuileries furono accolti come «gli angeli della pace».[16] All'Hôtel de Ville, gli applausi e il tumulto dentro e fuori era tale che la maggior parte dei discorsi che i deputati tennero non riuscirono ad essere sentiti. La Fayette, Gérard de Lally-Tollendal, l'arcivescovo di Parigi Le Clerc de Juigné ed altri luminari cercarono di parlare alla folla e furono accolti con un plauso fragoroso. La Fayette riuscì a dire: «il re è stato ingannato; ma adesso non lo è più»[17] e si congratulò con gli elettori per il loro coraggio nell'aver preso il potere.

 
Gilbert du Motier, marchese de La Fayette, nuovo comandante in capo della Guardia Nazionale.

L'arcivescovo di Parigi propose un Te Deum ed intanto, mentre la delegazione si preparava per partire verso la cattedrale, si levò qualche urlo dalla folla che definiva La Fayette Commandant Général de la Milice Parisienne.[5] In effetti, in mezzo a questa scena di grande eccitazione, le menti più sobrie riflettevano sui mezzi pratici per porre fine all'anarchia. Flesselles infatti, il prévôt des marchands (prevosto dei mercanti) e capo titolare della città, era stato assassinato il giorno prima dalla folla; il luogotenente generale della polizia, De Crosne, si era dimesso e aveva abbandonato la città. Per rimediare a questa mancanza di leadership, La Fayette, quando le voci si moltiplicarono, fu unanimemente acclamato e davvero nominato comandante in capo della neonata milizia cittadina. Bailly, poco dopo di lui, fu proclamato sindaco di Parigi (maire de Paris), il primo nella storia della città.[18][19] Il procès-verbal dell'Assemblea elettorale descrisse bene gli eventi che si verificarono dopo la nomina di La Fayette:

«Nello stesso momento M. Bailly fu unanimemente proclamato prevosto dei mercanti. Una voce si fece sentire: "Non prevosto dei mercanti ma sindaco di Parigi". E con un'acclamazione, ognuno ripeté: "Sì, sindaco di Parigi". M. Bailly era inclinato in avanti sulla scrivania, i suoi occhi erano bagnati di lacrime. Il suo cuore era così pieno che, in mezzo alle sue espressioni di gratitudine, si poteva sentirlo solo mentre diceva di non sentirsi degno di cotanto onore, né in grado di trasportare un così grande fardello. La corona che aveva premiato l'eloquenza patriottica del conte di Lally-Tollendal fu improvvisamente messa sulla testa di M. Bailly. Nonostante la sua resistenza che derivava dalla sua modestia, la mano dell'arcivescovo di Parigi mantenne la corona sul suo capo, come omaggio per tutte le virtù di questo giusto uomo che per primo aveva presieduto l'Assemblea nazionale del 1789 e che aveva gettato le basi per la libertà francese.»

Quando Bailly fu acclamato nuovo sindaco di Parigi e La Fayette nuovo comandante in capo della milizia urbana, ci fu bisogno che anche Pierre-Augustin Hulin – eroe della giornata precedente durante la presa della Bastiglia – approvasse, con la sua immensa popolarità, la scelta appena fatta dagli elettori parigini del loro primo magistrato municipale e del comandante in capo della loro milizia.

Fu lo stesso La Fayette, inoltre, a proporre il nome e il simbolo della milizia di cui era stato nominato a capo, che fu rinominata Guardia Nazionale: come simbolo scelse la coccarda tricolore, blu, bianca e rossa. Al blu e al rosso, i colori della città di Parigi, La Fayette stesso fece aggiungere il bianco, colore della monarchia borbonica: dalla coccarda si originò, in seguito, la bandiera francese.[22][23] Hulin, che era ancora considerato un eroe, l'8 ottobre venne promosso a furor di popolo al grado di capitano-comandante dell'ottava compagnia dei cacciatori assoldati dalla Guardia nazionale parigina.

Dopo aver eliminato il «tirapiedi della corte», Flesselles, Parigi ora aveva, per la prima volta nella sua storia, un sindaco di sua scelta. Il governo reale, per una volta, fu veloce a prendere vantaggio dalla nuova situazione, spostando la sua attenzione dall'Assemblea a Bailly. In una conferenza nel giorno successivo, il 16 luglio, il re Luigi XVI ribadì al nuovo sindaco la sua ansia per i disordini a Parigi, ed accettò il suggerimento di Bailly di visitare la città di persona.[24]

Il re, inoltre, tentando una pacificazione, dopo aver deciso di ritirare le truppe dalla città, permise a Jacques Necker, come auspicato da Bailly e dagli altri deputati, di rientrare nel suo governo; questi, il 16 luglio, riottenne la carica di Principal ministre d'État, ovvero di primo ministro.

Bailly e La Fayette non parteciparono immediatamente all'amministrazione della città. Anche se profondamente commossi delle scene di grande acclamazione che seguirono la loro nomina, ad entrambi pareva ingiusto essere eletti in questo metodo irregolare: volevano essere, in qualche modo, nominati ufficialmente, attraverso una ratifica legale. Nell'adozione di una serie di misure per ottenere la sua nomina ratificata, Bailly comparve di fronte all'Assemblea Nazionale, li informò della sua nuova posizione, e attese i loro ordini.[25] Il suo annuncio fu accolto con grandi applausi, e la sua nomina fu confermata, assieme a quella di La Fayette.Errore nelle note: L'apertura dell'etichetta <ref> non è corretta o ha un nome errato.[26]

 
Bailly, La Fayette e il re Luigi XVI all'Hôtel de Ville il 17 luglio 1789.

Bailly e La Fayette, desiderando maggiori garanzie, e sfidando il dispiacere di Parigi, guardarono al re per un'ulteriore conferma. Luigi colse l'occasione della sua visita a Parigi per confermare oralmente il nuovo sindaco Bailly nel suo officio, e analogamente il nuovo comandante in capo La Fayette.[27] Il 17 luglio, inoltre, Luigi XVI, seguendo il consiglio di Bailly del giorno addietro, si recò a Parigi all'Hôtel de Ville, dove aveva sede la neo-formatasi Comune di Parigi, e fu ricevuto dal sindaco Bailly e da La Fayette. Per salutare il suo sovrano, Parigi superò in intensità l'entusiasmo che aveva mostrato durante la visita della delegazione dell'Assemblea.

 
Il popolo acclama un busto del re Luigi XVI, un bassorilievo di Bailly e il marchese de La Fayette, portato in trionfo dai soldati.

Bailly incontrò il re nella periferia della città, e lo accolse con un celebre discorso di benvenuto, donandogli le chiavi della città:

«Io porto a Vostra Maestà le chiavi della città di Parigi. Queste sono le stesse che sono state presentate ad Enrico IV. Egli aveva riconquistato il suo popolo; oggi il popolo ha riconquistato il suo re.»

Questa cerimonia fu seguita dalla processione verso l'Hôtel de Ville dove il re salutò gli elettori di Parigi. Luigi XVI, sopraffatto dall'adulazione dei suoi sudditi, non fu in grado di parlare e chiese a Bailly di rivolgersi alla folla in sua vece.[30][31] Poi, con indosso la coccarda rivoluzionaria che Bailly e La Fayette gli avevano dato, il re si congedò dalla città, fedele ma turbolenta, e ritornò a Versailles.

Il 18 luglio, intanto, su richiesta di Bailly e La Fayette di ratificare ufficialmente la loro nomina, l'Assemblea elettorale ordinò ai sessanta distretti cittadini, che si erano appena formati, di radunarsi e di deliberare sulla nomina dei due nuovi leader.[32] Bailly scrisse personalmente una lettera ai distretti, in cui affermava che si sarebbe considerato validamente eletto solo con il loro consenso.[33] Entro il 21 luglio, cinquantacinque dei sessanta distretti avevano ratificato l'elezione di Bailly senza alcuna decisione dissenziente.[34]

Arricchiti da questi travolgenti mandati e con un'immensa popolarità alle spalle tra i parigini, Bailly e La Fayette erano disposto ad accettare la responsabilità di sovrintendere alla gestione della metropoli rivoluzionaria. Il Journal des Etats-généraux commentò, relativamente a Bailly: «Osservate come l'uomo è il prodotto della circostanza. Noto per un′Histoire de l'astronomie, M. Bailly, destinato a finire i suoi giorni su una pacifica poltrona dell'Accademia, si ritrova oggi gettato tra le tempeste della una rivoluzione».[35]

Le motivazioni della nomina modifica

Il fatto che Bailly avesse sentito delle voci relativamente alla sua nomina tre giorni prima che si verificasse suggerisce che la nomina, probabilmente, fu premeditata. In una lettera scritta il 16 luglio a Médéric Louis Élie Moreau de Saint-Méry, presidente pro-tempore dell'Assemblea elettorale, Bailly disse: «Penso che siete stato voi ad aver avuto la bontà di propormi come sindaco di Parigi; io vi devo i suffragi dell'Assemblea».[36] Anche se Moreau de Saint-Méry propose Bailly, c'è un'ulteriore questione sul perché lo abbia fatto: era semplicemente un gesto spontaneo di stima, o c'erano delle macchinazioni dietro? Un indizio curioso e non confermato è offerto nelle memorie di una donna inglese pettegola e spesso imprecisa, Grace Dalrymple Elliot, amante del duca d'Orléans e di Giorgio IV. Questa signora sosteneva di aver pranzato con Bailly e La Fayette assieme al duca d'Orléans il 14 luglio:

«Ho compreso dal tenore generale della loro conversazione che erano venuti a consultare il duca circa gli eventi accaduti a Parigi, e ho appreso più tardi che quello stesso giorno La Fayette fu nominato comandante in capo e Bailly sindaco di Parigi. Mentre eravamo a pranzo, abbiamo sentito i cannoni; subito dopo, abbiamo appreso della presa della Bastiglia, e i signori sono partiti con grande precipitazione.»

La donna è certamente in errore nel dire che Bailly e La Fayette furono nominati lo stesso giorno della presa della Bastiglia, e Bailly stesso sostiene di aver trascorso l'intera giornata del 14 luglio a Versailles.[38] Ma forse la data di per sé non è di primaria importanza. Secondo il resoconto dello stesso Bailly, questi aveva in precedenza (il 29 giugno) chiesto il parere del duca d'Orleans sulle manovre politiche nell'Assemblea Nazionale. Il vero scopo della sua visita smentisce però l'apparente innocenza con cui lui spiega l'incontro:

«Ammetto la mia ignoranza qui con semplicità. Anche se nuovo ad ogni intrigo, ben poco istruito delle manovre che erano incessantemente scoppiate, lo ero ancora meno del ruolo che gli [al duca d'Orleans] avevano attribuito; avevo ammirato, quando stava con la minoranza del suo ordine, sia la sua popolarità che trovava la nazione nei comuni, sia il suo zelo per la cosa pubblica che lo portava all'unione. Vidi allora in lui il primo della nobiltà degli stati, e l'ho giudicato come più adeguato per illuminarmi e dirmi fino a che punto potevo sostenere i diritti contro le pretese.31»

William Playfair, nella sua History of Jacobinism, dice abbastanza chiaramente che la nomina di Bailly fu dovuta al lavoro degli Orleanisti:

«Il duca di Orleans e Mirabeau vedevano in lui un uomo adatto per il loro scopo; e introducendo un uomo di lettere e dalla reputata integrità in una tale situazione, si sarebbe ottenuta la fiducia del popolo, e gli intellettuali, in generale, si sarebbero uniti alla Rivoluzione. Quest'ultimo, forse, non era immediatamente un grande obiettivo, ma prometteva in ultima analisi di esserlo. Poiché entrambi [La Fayette e il signor Bailly] appartenevano alla prima delegazione, essi furono proposti e proclamati dal popolo. L'insurrezione fu allora, per usare una loro stessa espressione, organizzata, e due uomini ambiziosi ne furono posizionati a capo.»

La plausibilità di questa spiegazione aumenta se si considera che il racconto di Bailly sui suoi rapporti con il duca d'Orléans fu scritto ben tre anni dopo il fatto, quando una tale confessione avrebbe potuto essere pericolosa e sarebbe potuta essere stata motivata solo dal desiderio di registrare gli eventi come essi si erano verificati.

È inoltre degno di nota che Bailly fosse favorevolmente impressionato dal conte di Mirabeau,[41] nonostante gli intrighi dello stesso Mirabeau contro di lui.[42] Naturalmente, nel 1792 (quando Bailly scrisse le sue memorie) non era pericoloso lodare Mirabeau che, quasi unico tra i rivoluzionari, morì di morte naturale, quando la sua statura politica era ancora intatta. Non ci sono prove incontestabili del fatto che la nomina di Bailly al sindacato sia stata dovuta al lavoro di questi uomini, ma ci sono tutte le ragioni per credere che Bailly non fosse poi così inesperto negli intrighi come avrebbe voluto fare credere ai suoi lettori, mostrando un'innocenza che la maggior parte dei suoi biografi ha comunque accettato senza discussioni. È del tutto possibile che le supposizioni di William Playfair siano corrette, e che Bailly, inebriato dal suo successo in Assemblea, fosse diventato politicamente ambizioso e che, quindi, accettò l'appoggio dei Orleanisti quando questo gli fu offerto.

L'acclamazione popolare di Bailly come sindaco fu confermata, come detto, a tempo debito da un'elezione a cui lui stesso insistette. John Bondfield, un mercante e agente commerciale statunitense a Bordeaux, scrisse a Benjamin Franklin l'8 agosto:

«Il suo amico M. Bailly è il sindaco di Parigi; il marchese de la Fayette è generale e comandante in capo... sono soddisfatto che tu sarai euforico dei sentimenti liberali che sembrano regnare. Vedrai nella relazione del nostro Arcivescovo che essi non sono [manchevoli] alle cause dell'America, che essi citano come modelli.»

L'amministrazione di Bailly modifica

Bailly iniziò la sua nuova carriera con sentimenti liberali, forse, ma senza alcuna nozione delle sue responsabilità e dei suoi doveri. Con la caduta di Necker e l'assassinio di Flesselles, tutto il compito relativo all'approvvigionamento cittadino era divenuto incarico del nuovo comune.

Le dimissioni di de Crosne, il capo della polizia, avevano aggiunto al comune l'onere di occuparsi delle forze dell'ordine. Nessuno tra gli elettori aveva alcuna esperienza nell'amministrazione cittadina, e certamente Bailly nemmeno. Su richiesta di quest'ultimo, Louis Éthis de Corny, il Procureur del Roi, rimase temporaneamente in carica e fornì una serie preziosa di memoranda sull'organizzazione e sulle funzioni del comune. Bailly ammise candidamente che era più preso dall'onore del suo ufficio più che dalle sue responsabilità:

«...accettai senza sapere di quale fardello mi stavo caricando; [...] pensavo molto semplicemente di essere prevosto dei mercanti sotto il nome di sindaco di Parigi. Pensavo che questo ruolo non fosse doloroso, sapevo con quanta facilità esso era stato portato a termine; e non fui colpito che dall'onore che mi aveva reso.»

Bailly era in carica da meno di una settimana, quando comprese l'errore della sua prima impressione. Già martedì 21 luglio era alle prese con la scarsità del pane e il conseguente rialzo del prezzo. Il giorno seguente, invece, fu messo al corrente del pieno significato delle sue responsabilità relative alla polizia cittadina, quando i suoi ordini e quelli di La Fayette furono impotenti nel prevenire gli efferati omicidi di Joseph François Foullon e il suo genero Berthier. Questo giorno orribile e sanguinoso fu una lezione per filosofi-rivoluzionari come Bailly. Quando il cuore grondante di sangue di Berthier fu riportato nelle camere dell'Hôtel de Ville solo pochi minuti dopo che Bailly aveva ordinato la sua liberazione e un salvacondotto per lui in città, Bailly stesso scrisse «abbiamo voltato lo sguardo».[45] Allora la folla ebbe l'idea di presentare la testa di Berthier ai funzionari comunali. Si ordinò immediatamente di sbarrare le porte e l'assemblea comunale in tutta fretta trovò altri affari da discutere.

«Allora, e in quei tempi terribili, si dovettero prendere dei pretesti per negare queste atrocità; vi era un pericolo reale, e non c'era alcun bisogno di coraggio, di parlare il linguaggio della giustizia e dell'umanità. Il popolo frenetico non lo potevano intendere; chiunque non la pensasse come lui era sospettato di tradimento. [...] Che magistratura è quella che non ha l'autorità per evitare che i crimini possano essere commessi sotto i suoi occhi!»

Bailly imparò rapidamente che l'unico modo per far fronte alla furia della folla era quello di evitarla. Lo stesso giorno in cui Foulon e Berthier morirono, il sindaco comunque riuscì a salvare de Crosne dandogli asilo in casa sua, e lo scortò personalmente fuori da Parigi il giorno successivo. Bailly aveva fatto un bel po' di strada dal giorno in cui credeva che «quando in un secolo di lumi si chiama la ragione in suo aiuto, la ragione dovrebbe finire per essere la padrona [di tale secolo]».[47]

Bailly ebbe più successo nel far fronte alla minaccia nei confronti di Jean Dussaulx nel mese di ottobre 1789. Dussaulx aveva cercato di calmare una folla in Place de Grève. «Signori – egli disse – voi vedete di fronte a voi il traduttore di Giovenale...», al che la folla rispose urlando: «E chi è Giovenale? Un aristocratico! À la lanterne Giovenale!» e stavano per fuggire con l'anziano accademico e linciarlo, quando Bailly stesso intervenne coraggiosamente e disse con fermezza: «Dussaulx è un mio amico; io ve lo reclamo», riuscendo infine a salvarlo.[48] Fu per gratitudine a quest'atto che Dussaulx in seguito offrì assistenza finanziaria alla moglie di Bailly dopo la morte di suo marito.

Dopo il 5 ottobre ci fu un equilibrio di potere che si mantenne quasi per tutta la durata della prima Assemblea Nazionale e in cui Bailly potenzialmente mantenne una posizione chiave. C'erano quattro forze coinvolte: l'Assemblea stessa, il Club Breton (in seguito Club dei Giacobini), il governo municipale di Parigi, e la Guardia Nazionale. In generale, l'Assemblea ed i giacobini erano alleati contro il comune e le truppe popolari. Ma Bailly era sindaco di Parigi e, almeno in teoria, superiore di La Fayette, inoltre mantenne comunque il suo seggio in Assemblea e partecipò alle riunioni dei giacobini.[49]

Sebbene non fu capace di riunire questi diversi elementi, era tuttavia ben posizionato per monitorare le loro attività. Il suo errore, politicamente parlando, fu il suo ritiro dai Giacobini nell'estate del 1791, dopo il massacro del Campo di Marte.[50]

Più tardi, quando Pétion divenne sindaco e Santerre comandante della guardia, sorse una coalizione formidabile tra l'Assemblea, il comune, il club, e i soldati che rese possibile il grande potere di Robespierre e del comitato di salute pubblica. Bailly non era, purtroppo, l'uomo per giungere ad una tale coalizione, e tra il 1789 e il 1791 concentrò la sua attenzione sul suo mandato come sindaco a scapito del suo prestigio e della sua influenza nei confronti delle altre organizzazioni.

Bailly indubitabilmente fece un buon lavoro come sindaco di Parigi.[51] Fu rieletto nel mese di agosto 1790, per un secondo mandato, sconfiggendo sonoramente l'avversario Georges Jacques Danton con 12.550 voti a 1.460. Quando si dimise dall'incarico l'anno successivo, nel 1791 la città era materialmente in una posizione migliore rispetto a qualsiasi altro momento a partire dallo scoppio della Rivoluzione. Le sue preoccupazioni come sindaco erano queste:

  1. organizzare un'efficace macchina di governo;
  2. fermare la carestia;
  3. fornire lavoro per i disoccupati;
  4. alleviare la situazione carceraria;
  5. attuare la costituzione civile del clero;
  6. sopprimere la crescente ondata di crimine e illegalità.

Un'assemblea di rappresentanti dei comuni di Parigi fu convocata il 25 luglio 1789, apparentemente per elaborare dei progetti per un governo municipale permanente. Cinque giorni dopo, l'Assemblea elettorale, che fino ad allora aveva esercitato l'autorità nel comune, si sciolse. La nuova assemblea fu una fonte di grandi fastidi per Bailly, in quanto cercava costantemente di governare, lasciando la pianificazione a lungo termine ad un comitato di venticinque persone. La commissione non andò avanti nel suo lavoro; rimase in sessione fino ad ottobre 1790; e il suo piano, una volta terminato, era più che deludente, in quanto prevedeva l'istituzione di una pesante burocrazia e delle severe limitazioni sul potere esecutivo del sindaco. Bailly criticò questo piano in due Observations che chiedevano un'amministrazione più leggera e con una maggiore libertà di azione.[52] «È necessario che il consiglio sia il principio della forza, il sindaco dell'unità delle operazioni».[53] Bailly non ebbe mai il tipo di governo municipale che desiderava, e per due anni dovette risolvere ogni problema ed ogni nuova crisi con delle disposizioni ad hoc. In un discorso eloquente al consiglio comunale del 12 novembre 1791, Bailly condannò questo sistema di governo che lo obbligava a muoversi ogni volta con degli espedienti particolari per ogni situazione; egli attribuì questa manchevolezza alla diffusione delle idee repubblicane. I progettisti, a lungo abituati agli abusi di poteri concentrati in poche mani, avevano ora paura di delegare le autorità. Bailly chiese che al suo successore venissero accordati dei reali poteri per affrontare le sue reali responsabilità che non implicavano, comunque, alcun ripudio del principio del governo rappresentativo. «Questo principio non richiede numerose assemblee né poteri troppo divisi».[54] Bailly aveva appreso che la deliberazione non era sempre il modo per realizzare l'azione.

Per quanto riguarda il combattimento contro la carestia e la fame, e l'approvvigionamento cittadino, l'amministrazione di Bailly riuscì ad ottenere un po' più di successo. Fu suggerito che ci fosse uno sforzo concertato da parte degli Orleanisti nell'aver prodotto una scarsità artificiale di cibo, in particolare nei primi giorni della rivoluzione.[55] Nel 1790 Bailly conferì con Luigi XVI su questo tema ed si riporta che abbia detto «Io non gli dissimulai che la povertà era più o meno fittizia...»[56]

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It is a fact that many shipments of grain and flour were waylaid and pillaged before they reached the city, and this created a panic each time it happened.5' The municipality undertook to buy and sell such provisions itself, convoying the shipments with armed guards and distributing them under the closest supervision. By the time of Bailly's resignation, he was able to announce that Paris had in its storehouses over a year's supply of wood, nearly two years' supply of coal, and sufficient flour to last until the next harvest. Bailly was responsible for the establishment of numerous ateliers de charite or public workhouses, designed to relieve the unemployment which resulted from France's acute economic disorder and was made doubly dangerous by the political events of the Revolution. Limited funds prompted the Assembly of the Communes and the National Assembly to several attempts to suppress the ateliers, but Bailly was insistent that the government should not expose itself to the menace of a hungry mob. However, he was careful to avoid an outright system of dole, and much of his energy was directed to the problem of finding legitimate work for idle hands. In this connection it may be observed that Bailly was now in a position to practice and did in fact practice some of the economic theories which he had expounded as early as 1767 in the Eloge de Charles V. Particularly he had praised Charles' administrative economy coupled with realistic expenditure in the public welfare: "dans des temps orageux, il faut des secours prompts." 52 Bailly watched the budget like a hawk, but he was always ready to use public funds to alleviate distress and to encourage a normal economy.53 The whole period of the Revolution was marked by maladministration of the courts and the prisons, and one of Bailly's principal crusades was the hastening of justice and the amelioration of the lot of the prisoner. In an address to the National Assembly on November 18, 1790, Bailly laid before that body a report on the Paris prisons which, in its reasonableness and humaneness, is reminiscent of the report on the hospitals: Les tribunaux sont vacants; les accuses n'ont point de juges. Deja un mois et plus s'est ecoule; il s'ecoulera encore plus de temps avant que les tribunaux nouveaux soient etablis, et cependant les prisons sont remplies; de nouvelles prisons y ont et ajoutees, et cependant les prisonniers y sont entasses. L'innocent y attend sa justification, le criminel la fin de ses remords. Tous y respirent un air malsain, et la maladie est pres d'y prononcer des arrets de mort. Le desespoir y dit: Ou donnez-moi la mort ou jugez-moi.54 A recent historian has observed that Bailly, despite his professed devotion to the law, was "none too scrupulous" in his observance of judicial codes and the

laws protecting the individual.55 It is true that Bailly did interfere arbitrarily in several cases, which may be excused only on the grounds of political expediency, but usually this interference was the only alternative to mob violence which Bailly feared and hated. At any time during his mayoralty he would have been happy to renounce all participation in judicial affairs in favor of an efficient court system functioning under clearly defined laws. One of Bailly's most trying tasks was the implementation of the Assembly's decisions concerning the constitution civile of the clergy. An enactment of July, 1790, forbade the clergy to recognize any foreign authority and made nomination to ecclesiastical office a state matter. This law was accepted by the King and, tacitly, by the clergy. It was followed, however, by a law of November 27 which called upon all members of the clergy to swear an oath of obedience to the state and to the civil constitution; those who did not swear were to be regarded as having automatically resigned their offices. The refusal of the overwhelming majority of the clergy caused a deep rift among the revolutionaries themselves and all but suspended the functions of the church in many areas. Bailly, who had never displayed strong feelings one way or the other on church matters, was reluctant to enforce the letter of the law. When the municipality posted its decree implementing the Assembly's law, some overly enthusiastic clerk had caused to be inserted the warning that "les ecclesiastiques qui ne preteront pas le serment seront regardes comme perturbateurs du repos public." 56 Bailly hastened to denounce this clause: "J'ai ete frappe, afflige quand j'en ai vu le preambule. . . " Six months later a test of the law occurred when a mob attacked a non-conformist priest at the monastery of the Theatins. A battalion of the National Guard protected the priest and dispersed the mob. In a letter of commendation to the commanding officer, Bailly expressed the most liberal views on the freedom of worship:

. . . la doctrine est la meme et chez les preres soumis a la loi qui ont pr&e le serment et chez ceux qui, par conscience ou par d'autres motifs moins louables, ont cru devoir s'y refuser. Ce point, pretendu de conscience, n'est que pour eux; il ne fait rien 'a personne; il n'interesse point le peuple. . . . L'Assemblee nationale a decrete que les opinions seraient libres, que tous les cultes seraient permis.... Oiu est donc leur liberte si vous restreignez et leurs dogmes et leurs actes religieux? 58

A number of pamphlets made Bailly out as an apostate, and Barruel claims that Bailly said that, if it depended on him, the Catholic religion would be annihilated in France.59 Such views seem entirely out of keeping with Bailly's character and are certainly contrary to the evidence of his actions and his official utterances. It was in the matter of policing Paris that Bailly enjoyed least success and encountered greatest criticism. The Revolution produced a widespread amorality which manifested itself in increased prostitution, gambling, pornography, and all manner of petty vice.60 In vain Bailly tried to close the gaming houses, suppress bullfighting, segregate the prostitutes. He gained only the reputation for being puritanical. He was obliged to re-establish substantially the same police measures that had been used by Sartine, Le Noir, and de Crosne, but they were ineffective without the same financial resources, the same espionage and the same lettres de cachet.61 When Bailly tried to stem the tide of pornographic literature by controlling retail sales, he was accused of interfering with freedom of the press: Depuis quelque temps, l'enthousiasme etait dejA bien diminue pour M. Bailly. Aujourd'hui c'est un mecontentement presque general, peut-etre sans beaucoup de fondement. On l'accuse de vouloir retablir l'ancien regime de la police, surtout parce qu'il a borne comme autrefois le nombre des colporteurs a trois cents. Bien du monde, et les brochuriers particulierement, regardent cela comme un attentat a la fiberte de la presse.62 Bailly's detractors probably greatly exaggerated the dangers of his policy; even after his administration had suffered repeated attacks in the press and he had become a target for personal abuse, Bailly still championed freedom of the press, "qui defend la liberte publique." 63 Nevertheless, such measures began to destroy Bailly's popularity even during his first year in office, because they looked too much like old fetters to a populace bent on license. The reason for Bailly's decline in popularity is fairly simple. Hebert saw it clearly at the time of Bailly's trial: "Je citerai un mot remarquable de Vergniaud: c'est qu'en revolution il ne faut jamais stationner; un pas retrograde perdrait infailliblement le parti qui aurait molli." 64 After the civil constitution of the clergy, the King began to be lukewarm to the Revolution, and Bailly, still attached strongly to the monarchy, filled with apprehension at the republican ideas that were beginning to be bruited about, stood still. Everywhere he saw only lawlessness and irresponsibility. His secession from the Jacobins was a protest against the excesses of the Revolution, but it made him automatically a counter-revolutionary. The monarchists, however, would have nothing to do with him, regarding him as a traitor of the blackest sort. Even the King lost faith in his good intentions, received him coolly and on one occasion slammed the door in his face. Bailly's only hope was in the Constitution. Somehow, he was sure, stability must inevitably be re-established through constitutional government. The affair at the Theatins offered Bailly an opportunity for a lengthy public statement of this view in June, 1791.

Vous etres libres et vous voulez etre heureux; vous ne pouvez etre heureux et libres que par la loi; toute infraction a la loi est une atteinte a votre liberte. On vous parle de despotisme; il n'y en a plus. Vous avez un roi que vous ch6rissez; il regne par la constitution; il cede le premier a la loi qu'il doit faire executer . . .; bannissez donc les defiances; faites cesser la fermentation et des assemblees et des groupes motionnaires, les attroupements, les mouvements populaires, et tous ces desordres qui effrayent les bons citoyens, eloignent les riches, depeuplent la capitale, aggravent la misere; et, en retablissant la paix et l'ordre public, finissons par la sagesse une revolution que vous avez si heureusement commencee par le courage.65

A month later, forced by circumstance to act, he took the fatal "pas retrograde" at the Champ de Mars. The King's flight to Varennes at the end of June, 1791, accelerated the movement towards republican government, even among the moderates. In the middle of July the Jacobins drafted a petition for the deposition of the King and the establishment of a republic. As the Assembly had shown itself inhospitable to such petitions, it was proposed to have this one signed at a mass meeting at the autel de la patrie on the Champ de Mars. The date was set for July 17. The day before, the National Assembly, fearing a popular uprising, ordered Bailly and Lafayette to use force if necessary to maintain order. Two killings on the morning of the seventeenth were the pretext for the declaration of martial law. Bailly and Lafayette together led the troops that marched on the Champ de Mars in the late afternoon to disperse the crowd. They were stoned and, according to some sources, fired on. The troops returned the fire, and some ten or fifteen persons were killed. The following day Bailly made a full report of the affair to the Assembly and was commended for his resolute action. It was not until Bailly was out of office that his enemies began to suggest that he was in any way at fault for the events of that day.66 Nevertheless, Bailly realized that the last vestige of his popularity was gone and that he was no longer an effective voice in the Revolution. Three months later he tendered his resignation to the municipality in a letter which is singularly dispirited and significant for its lack of revolutionary eloquence:

Je crois que je puis regarder ma carriere comme finie. Je viens vous prier de recevoir ma demission. La constitution est achevee, solennellemnent decretee; elle est accept6e par le roi. Commencee sous ma presidence, j'ai dfi la voir terminer, et accomplir mon serment. Mais j'ai besoin d'un repos que les fonctions de ma place ne me permettent pas.... 67

Bailly was asked to postpone his departure until new elections could be arranged, but no one protested his resignation, and the following month Petion succeeded to the mayoralty to the general relief of all concerned. Bailly's ostentation as mayor was frequently criticized by his friends as well as his enemies. Merard de Saint- Just has left us an account of the great display with which Bailly rivalled royalty:

I1 souffrit que la comnmune arretat que ses gens porteraieint une livree; et cette livr6e fit crier avec raison, car elle etait plus voyante que celle du roi.... II aimait la grande repr6sentation de sa place, son nombreux domestique, son carrosse precede deux ordonnances, a voir prendre les armes quand il sortait ou rentrait dans son h6tel, l'affiluence du monde qui avait des rapports habituels a lui, les audiences publiques qu'il donnait, les deputations de tous les corps de l'etat, de toutes les autorites constituees, qui lui t6moignaient les plus grands egards. . .. II entrait chez lui . . . precede d'un laquais [qui] prononqait ces mots: Monsieur le Maire! . . . On m'a demande souvent pourquoi a la mairie on parodiait Versailles; et je n'ai su que repondre.

Yet Bailly was an honest man who put the general interest above personal gain. If he felt the weight of his office a little too keenly, it was because, on the one hand, he was conditioned by the traditional pomp of the ancien regime and because, on the other, he believed that under popular government the man raised to high office should serve as a visible symbol of authority. Bailly explained that he continued to wear the uniform of the Estates General long after that custom had been abandoned by others, because "un depute inviolable, un legislateur, est un objet de veneration publique et qu'il est bon d'annoncer et de faire connaitre partout par un signe exterieur." 69 It was a combination of reason and pride, of nobility and incapacity, of tenacity and improvidence which, while Bailly and his fellow constitutionalists worked for the regeneration of the monarchy, actually debilitated and destroyed it. Bailly was prepared to make changes without quite knowing their nature or their possible effect. He was determined to preserve the monarchy even as he undermined it; he resisted republicanism even as he prepared the way for it. This is why Nourrisson called him "excellement un revolutionnaire . . . le revolutionnaire sans le savoir." 70 Yet Bailly matured during his two years in the service of the Revolution, and when he retired from office he had lost many of his illusions about reason and law. Human law, unlike natural law, was violable, and the grand order was not, after all, to be the work of pure reason:

Citoyens, vous vous plaignez du defaut de l'ordre public, mais rappelez-vous qu'on a administre dans les temps orageux d'une revolution. Combien de reglements necessaires ont ete suspendus, parce qu'ils n'auraient pas ete execut6s; conibien de mesures sages ont et retirees, combien de fois on n'a pas commande, assure de n'etre pas obei.... Quand on ne peut opposer que la loi aux desordres, il est incertain qu'on puisse les reprimer; il est sfir qu'on a rarement le moyen de les prevenir.71


51 Defresne, Les Subsistances, passim. 52 DISC MEM 1: 18. 53 Brucker, 58-59. 54 "Discours à l'Assemblée nationale, le 18 novembre 1790." 55 Brucker, 63. 56 Avant-Moniteur, Appendix LXXIX. 57 Ibid. 58 "Lettre à M. Le Feuvre d'Arles, 5 juin 1791." 59 History of the clergy 1: 72. 60 Cf. Goncourt, 21-27 and 221-236. 61 Merard de Saint-Just, 95-96. 62 Lescure 2: 412. 63 Recueil, 185. 64 Aulard 5: 508. 65 "Lettre à M. Le Feuvre d'Arles, 5 juin 1791." That Bailly wanted this letter to be published is shown clearly by his concluding remarks: "Voila, monsieur, ce que je desirerais pouvoir dire 'a mes concitoyens; . . . vous etes le maitre de donner a cette lettre la publicite que vous jugerez convenable." 66 Even Danton, who repeatedly attacked Bailly, first alluded to the affair of the Champ de Mars only in July, 1792, a year after the event. (Danton, 152.) 67 "Lettre aux officiers municipaux, 19 octobre 1791." 68 Op. cit., 103-104. 69 Mémoires 1: 69. 70 Op. cit., 334. 71 Recueil, 183.

Note modifica

  1. ^ Gene A. Brucker, Jean-Sylvain Bailly - Revolutionary Mayor of Paris - University of Illinois Press Urbana, 1950, I, p. 13
  2. ^ Arago, Oeuvres, II, 340-41.
  3. ^ Bailly, Mémoires, I, 290.
  4. ^ Point du jour, n° 15, 4 July 1789.
  5. ^ a b c d e f g h i Edwin Burrows Smith, Jean-Sylvain Bailly: Astronomer, Mystic, Revolutionary (1736-1793) (Philadelphia, 1954), p. 511.
  6. ^ Bailly, Mémoires 1: 253.
  7. ^ Bailly, Mémoires, I, 385-92.
  8. ^ Ibid., I, 388.
  9. ^ E' difficile riconciliare i commenti, almeno parzialmente illogici, di Bailly sulla presa della Bastiglia soprattutto per come lui stesso si difese dalle accuse a lui rivolte per il massacro al Campo di Marte due anni dopo (di cui, comunque, non fu fautore materiale). Né la sua giustificazione della folla della Bastiglia né la sua condanna di De Launay sono in accordo con la sua solita posizione di opposizione ad ogni tipo di disordine pubblico.
  10. ^ Ibid., II, 5.
  11. ^ E. Burrows Smith, Jean-Sylvain Bailly: Astronomer, Mystic, Revolutionary (1736-1793), p. 512.
  12. ^ Bailly, Mémoires, II, 5.
  13. ^ Archives parlementaires, VIII, 236-37.
  14. ^ Bailly, Mémoires, II, 3-8.
  15. ^ Point du jour, no. 25, 16 luglio 1789.
  16. ^ Bailly, Mémoires, 2: 17.
  17. ^ Ibid. 2: 20.
  18. ^ Tuckerman, p. 230
  19. ^ Crowdy, p. 42
  20. ^ Procès-verbal dell'Assemblea elettorale; si trova nel Rèimpression de l'ancien Moniteur depuis la rèunion des états-généraux jusqu'au Consulat (mai 1789-novembre 1799, Paris, 1843-45), I, 583.
  21. ^ Bailly, Mémoires, II, 26-27.
  22. ^ Gerson, pp. 81-83
  23. ^ Doyle, pp. 112-113
  24. ^ Bailly, Mémoires, II, 42-44. La conversazione si svolse in forma privata e la relazione di Bailly è l'unica rimasta. Bailly fa una curiosa menzione del fatto che il re, parlando di De Launay, disse che questi «aveva meritato la sua sorte».
  25. ^ Archives parlementaires, VIII, 238.
  26. ^ Bailly, Mémoires, II, 35-36. Il procés-verbal dell'assemblea non menziona la conferma di Bailly e La Fayette, ma è certo che fu concessa, perché lo stesso giorno Clermont-Tonnerre propose una deputazione al re per chiedergli di confermare le nomine di Bailly e La Fayette.
  27. ^ Bailly, Mémoires, II, 67.
  28. ^ Archives parlementaires, VIII, 246.
  29. ^ Bailly, Mémoires, II, 58-59.
  30. ^ Archives parlementaires, VIII, 246-47.
  31. ^ Bailly, Mémoires, II, 67-68.
  32. ^ Lacroix, Actes, ser. 1, I, xiv-xv.
  33. ^ Ibid., ser. 1, I, xv.
  34. ^ Ibid., ser. 1, I, xvi-xvii.
  35. ^ Journal des Ètats-généraux, I, no. 8.
  36. ^ Chassin 3: 566. Il riferimento di Bailly ai «suffragi dell'Assemblea» ha a che fare con la conferma che cercava e ricevette dall'Assemblea Nazionale.
  37. ^ Op. cit., 269-270.
  38. ^ Bailly sostiene di essere andato all'Assemblea alle 10:00 del mattino. «Ho preso solo il tempo di andare a pranzare; poi sono tornato» (Bailly, Mémoires 1: 356 e 360).
  39. ^ Bailly, Mémoires, 1: 257.
  40. ^ Op. Cit., 1: 140-141.
  41. ^ Bailly, Mémoires 1: 303.
  42. ^ Ibid., 2: 154-155.
  43. ^ Collected papers of Benjamin Franklin, American Philosophical Society.
  44. ^ Bailly, Mémoires 2: 26.
  45. ^ Ibid., 2: 123.
  46. ^ Ibid., 2: 123-125.
  47. ^ Bailly, Mémoires, 1: 3.
  48. ^ Berville, xxi-xxii.
  49. ^ Non sappiamo in quale periodo Bailly si unì ai giacobini, ma il suo nome figura nella lista dei membri pubblicata il 21 dicembre 1790. Circa verso la stessa data cominciò ad essere attaccato dagli altri membri, specialmente da Danton. Aulard, La Société des Jacobins, passim.
  50. ^ Bailly ufficialmente si ritirò dal club dei giacobini dopo l'affare del Campo di Marte (circa luglio 1791) per fondare il Club dei Foglianti con La Fayette, Lameth e il duca de la Rochefoucauld. A poco a poco questo club guadagnò la reputazione di rifugio per i reazionari. Il Club dei Foglianti, inoltre, fu il seguito di un altro gruppo sorto in precedenza, la Société de 1789, che aveva un colore politico un po' meno pronunciato. I suoi membri includevano Mirabeau, La Fayette, André Chénier, Nicolas de Condorcet, Marmontel, ed altri. Bailly ne servì, inoltre, brevemente anche come presidente. Fonte: Challamel, Les Clubs contre-révolutionnaires.
  51. ^ Brucker, Jean-Sylvain Bailly, revolutionary mayor of Paris, Urbana, Univ. of Illinois
  52. ^ Le Observations furono pubblicati per la prima volta nei Discours et mémoires 1: 442-454.
  53. ^ Discours et mémoires, 1: 452.
  54. ^ Bailly, Recueil, 168.
  55. ^ Montjoie, Histoire de la conjuration de Louis-Philippe d'Orléans, 1: 153-193, 228-237, 283-291; 2: 23-43, 306-312, 345-348.
  56. ^ Sérieys e André, Anecdotes inédites