I munera erano gli spettacoli che si svolgevano negli anfiteatri e che erano incentrati sui combattimenti tra gladiatori. Essi ebbero origine nel III secolo a.C. dalle celebrazioni che famiglie benestanti tenevano come omaggio (munus, pl. munera) dovuto ai propri defunti, durante le quali uomini armati, alla presenza di un arbitro, si battevano per onorare il defunto.[1] Col tempo questi combattimenti persero l'originale connotazione di cerimonia funebre e si trasformarono in spettacoli di massa offerti da facoltosi personaggi e dall'imperatore stesso, assumendo spesso la funzione di propaganda politica per procurarsi consenso ed accrescere il proprio prestigio.[2] La tradizione dei munera, che rappresentarono quell'influente meccanismo di potere efficacemente descritto dalla nota locuzione di Giovenale panem et circenses,[3] corse parallelamente alla storia repubblicana e imperiale per circa sette secoli finché l'imperatore Onorio ne ordinò l'abolizione nel 404[4] e Valentiniano III li proibì definitivamente nel 438.[5]

L'origine dei giochi modifica

L'origine dei giochi gladiatorii è incerta; quella fatta inizialmente risalire agli Etruschi, secondo la tesi sostenuta dallo storico greco Nicola di Damasco (in Ateneo, Deipnosofisti, IV, frammento 153), non presenta però fonti archeologiche a supporto rappresentanti scene di lotta gladiatoria,[6] ad esclusione del cosiddetto gioco di Phersu;[7] Phersu, termine etrusco da cui deriva il latino persona (o maschera), un individuo con maschera rossa barbata e alto berretto a punta, che indossa un corto giubbetto maculato e una fascia rossa stretta ai fianchi, tiene al laccio un cane che assale un uomo incappucciato, forse un condannato a morte che tenta di difendersi con una clava,[8] in quella che potrebbe raffigurare più una damnatio ad bestias che uno scontro gladiatorio.[9] Più attendibile invece pare la derivazione campana, testimoniata dalla presenza, in tombe del IV sec. a.C. della necropoli di Paestum, di oltre trenta affreschi[9] che riproducono combattimenti tra uomini armati di scudi e lance e alla presenza di un arbitro.[10]

Secondo Tertulliano[11] la gladiatura si sviluppa come forma alternativa e meno cruenta ai sacrifici umani che venivano offerti sulle tombe dei defunti; altrettanto sostiene Servio in un suo commento[12] al passo inferias quos immolet umbris dell'Eneide di Virgilio:

(LA)

«inferiae sunt sacra mortuorum, quod inferis solvuntur. sane mos erat in sepulchris virorum fortium captivos necari: quod postquam crudele visum est, placuit gladiatores ante sepulchra dimicare, qui a bustis bustuarii appellati sunt»

(IT)

«le inferiae sono i sacrifici per i defunti, offerti al regno dei morti. Senza dubbio era usanza uccidere i prigionieri di guerra davanti ai sepolcri degli uomini valorosi: da quando tale usanza parve crudele, sembrò opportuno far combattere, davanti ai sepolcri, i gladiatori chiamati bustuarii, da busta»

ma tale interpretazione non è condivisa da tutti gli studiosi.[13]

Si privilegia piuttosto il suo inserimento all’interno dei cerimoniali funebri, intesi come omaggio, o obbligo (munus, pl. munera) da assolvere nei confronti del defunto. A Roma i funerali dei personaggi di rilievo rappresentano l'occasione per le famiglie benestanti di ostentare la propria ricchezza; i primi combattimenti si svolgono attorno al bustum (o pira) per onorare la persona deceduta, e ad essi prende parte il primo gladiatore romano, il bustuarius.

Il primo combattimento gladiatorio, di cui ci dà notizia Valerio Massimo nel suo Factorum et dictorum memorabilium, ha luogo nel 264 a.C. nel Foro Boario:[14]

(LA)

«Nam gladiatorum munus primum Romae datum est in foro boario App. Claudio Q. Fulvio consulibus. Dederunt Marcus et Decimus filii Bruti ‹Perae› funebri memoria patris cineres honorando.»

(IT)

«Il primo spettacolo di gladiatori fu dato in Roma nel Foro Boario, essendo consoli Appio Claudio e Quinto Fulvio. Lo organizzarono i figli di Bruto Pera, Marco e Decimo, per onorare la memoria del loro padre con uno spettacolo funebre.»

Circa mezzo secolo dopo, nel 216 a.C., il munus organizzato dai figli di Marco Emilio Lepido in occasione del suo funerale vede contrapporsi oltre quaranta gladiatori[15] mentre, a testimonianza della crescente importanza dei giochi gladiatorii nella società romana, nel 200 a.C. sono venticinque le coppie di gladiatori che si fronteggiano per onorare la memoria del console Marco Valerio Levino

(LA)

«et ludi funebres eo anno per quadriduum in foro mortis causa <M.> Valeri Laeuini a P. et M. filiis eius facti et munus gladiatorium datum ab iis; paria quinque et uiginti pugnarunt.»

(IT)

«E in quell'anno si svolsero per quattro giorni giochi funebri nel Foro per commemorare la morte di Marco Valerio Levino, e uno spettacolo gladiatorio organizzato dai figli Publio e Marco; in esso combatterono venticinque paia di coppie di gladiatori»

e nel 183 a.C. più di cento furono i gladiatori impiegati nell'arena per le esequie di Publio Licinio.[16]

(LA)

«P. Licinii funeris causa uisceratio data, et gladiatores centum uiginti pugnauerunt, et ludi funebres per triduum facti, post ludos epulum.»

(IT)

«Per i funerali di P. Licinio fu concessa una dispensa, e combatterono centoventi gladiatori, e i giochi funebri si tennero per tre giorni, e dopo i giochi si banchettò.»

I giochi si diffondono anche nelle province romane, sia in Occidente (nel 206 a.C., in onore del padre e dello zio, Scipione l'Africano organizza un munus a Carthago Nova, l'odierna Cartagena, mentre nel 140 a.C. 200 coppie di gladiatori combattono per i funerali di Viriato, un eroe portoghese) che in Oriente (Antioco IV organizza combattimenti ad Antiochia[17]).

Gli anfiteatri modifica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Anfiteatro.

La diffusione dei munera e l'interesse del pubblico si accrescono a tal punto che gli spazi destinati ai combattimenti risultano insufficienti a contenere gli spettatori. Al termine del II secolo a.C. allo spettacolo dei gladiatori, il cui svolgimento è pomeridiano, si vanno aggiungendo al mattino le cacce agli animali selvaggi (venationes) e, durante l'ora di pranzo, alcune tra le esecuzioni capitali più cruente comminate ai noxii, i condannati a morte nell'arena, chiamate nel diritto romano summa supplicia, quali la morte sul rogo (vivi crematio o ad flammas), la crocifissione (damnatio in crucem), o l'esposizione alle belve fameliche (damnatio ad bestias).
Gli spettacoli si svolgono nel Foro Romano, nei Saepta Iulia o in altre piazze cittadine, nelle quali le tribune vengono allestite di volta in volta poiché ancora nel I secolo a.C. a Roma non esistono edifici destinati ad ospitare lo svolgimento dei munera, mentre nella vicina Campania sono già sorti a Capua, a Pompei e a Cuma, i primi anfiteatri in muratura,[N 1] la cui struttura architettonica, di forma ellittica, ottimizza la visione dello spettacolo.[18]

Del primo anfiteatro[N 2] eretto a Roma, concepito da Scribonio Curione, ci narra lo storico Plinio:[19] si basava su due strutture semicircolari, ove si svolgevano spettacoli teatrali, che potevano, ruotando su delle basi mobili, congiungersi formando un corpo unico: l'anfiteatro.

È solo nel 29 a.C. che, per iniziativa di un privato cittadino, Tito Statilio Tauro, viene costruito al Campo Marzio il primo anfiteatro stabile, l'anfiteatro di Statilio Tauro. Tale anfiteatro, probabilmente per le ridotte dimensioni, non venne mai usato per cerimonie ufficiali e, sebbene fosse in parte costruito in pietra,[20] sarà totalmente distrutto in occasione del grande incendio di Roma del 64. In seguito, prima Caligola tenta di realizzare un anfiteatro presso i Saepta Iulia, che però resta incompleto,[21] poi Nerone fa costruire al Campo Marzio uno sfarzoso anfiteatro,[22] distrutto anch'esso nell'incendio del 64. Roma deve quindi attendere che il progetto avviato nel 70 dall'imperatore Vespasiano porti, dieci anni dopo, all'inaugurazione del monumento simbolo della romanità, l'anfiteatro Flavio, avvenuta durante il regno di Tito, festeggiata con imponenti munera della durata di cento giorni.

È questa l'epoca aurea dei giochi:[23] in tutte le province romane, a Occidente come a Oriente, vengono eretti, principalmente nei primi due secoli dell'Impero,[24] oltre 180 anfiteatri[25] che testimoniano della diffusione e del successo dei giochi e dell'avvenuta romanizzazione della provincia. Tra le costruzioni di maggior rilievo spiccano l'anfiteatro campano e l'arena di Verona in Italia, gli anfiteatri di Tours nella Gallia Lugdunense e di Nîmes nella Gallia Narbonense, di Emerita Augusta e di Italica in Spagna, di El Jem e di Leptis Magna in Africa e di Pola in Illiria.

Valenza politica dei giochi modifica

L'originale connotazione funerario religiosa, che sarà comunque presente fino al termine dell'era repubblicana, va progressivamente scomparendo, per lasciare il posto a uno spettacolo[26] sempre più popolare, che cattura crescenti fasce di pubblico di tutte le classi sociali (trova fonte...). Ma è soprattutto il forte consenso popolare che ne ricava l'organizzatore dei giochi, l'editor (o munerarius), a giustificare lo sforzo economico che viene sostenuto; tale consenso si traduce nel vasto sostegno ottenuto per la propria carriera, dunque un potente elemento di condizionamento della vita politica.[27] Per tale ragione la collocazione temporale del munus è funzionale all'evento politico che riguarda l'editor, e può svolgersi anche a distanza di molti anni dalla morte del defunto al quale è dedicato.[28][29] Cicerone, che aveva ben compreso questo meccanismo, si fa promotore di una legge, la lex Tullia de ambitu, approvata dal senato nel 63 a.C., che impedisce a un editor di candidarsi nei due anni successivi allo svolgimento del munus.[27]

L'età imperiale modifica

I primi due secoli dell'età imperiale coinciserò col periodo di massima popolarità dei giochi. L'importanza assunta dai giochi, così come l'enorme sforzo finanziario necessario per la loro organizzazione impongono che la loro gestione passi sotto il controllo dello stato, e dell'imperatore stesso. Nel 22 a.C. una legge voluta da Augusto stabilì che fosse il Senato ad autorizzarne lo svolgimento;[30] sempre Augusto deliberò che i munera ordinaria si svolgessero due volte l'anno e ne affidò l'organizzazione ai pretori;[31] lo svolgimento aveva luogo a dicembre (in coincidenza con i Saturnalia) e a marzo con il Quinquatrus (la festa della primavera).[32] Augusto incise profondamente nella riorganizzazione dei munera, definendo le categorie gladiatorie (o armaturae), stabilendo le regole del combattimento e persino la disposizione dei posti a sedere nell'anfiteatro in base alle classi sociali.[33]

Grandiosa è la munificenza degli spettacoli organizzati da Augusto (come il munus tenuto nel 7 a.C. in memoria del genero, il generale Marco Vipsanio Agrippa[24]) supera, secondo Svetonio,[34] quella dei suoi predecessori e resterà insuperata dopo che lo stesso Augusto abbasserà a 120 il limite massimo di coppie di gladiatori che si possono esibire in un munus. Lo stesso Augusto ricorderà nel Res gestae di aver offerto al popolo i giochi gladiatorii tre volte a suo nome e cinque a nome di figli e nipoti, giochi nei quali avevano combattuto circa diecimila gladiatori:

(LA)

«Ter munus gladiatorium dedi meo nomine et quinquiens filiorum meorum aut n[e]potum nomine; quibus muneribus depugnaverunt hominum circiter decem millia. Bis athletarum undique accitorum spectaculu[m] p[o]pulo pra[ebui meo nomine et tertium nepo[tis] mei nomine. [...] Venation[es] best[ia]rum Africanarum meo nomine aut filio[ru]m meorum et nepotum in circo aut in foro aut in amphitheatris, popul[o d]edi sexiens et viciens, quibus confecta sunt bestiarum circiter tria m[ill]ia et quingentae

(IT)

«Tre volte allestii uno spettacolo gladiatorio a nome mio e cinque volte a nome dei miei figli o nipoti; e in questi spettacoli combatterono circa diecimila uomini. Due volte a mio nome offrii al popolo spettacoli di atleti fatti venire da ogni parte, e una terza volta a nome di mio nipote.[N 3] [...] Allestii per il popolo ventisei volte, a nome mio o dei miei figli e nipoti, cacce di belve africane, nel circo o nel foro o nell'anfiteatro, nelle quali furono ammazzate circa tremilacinquecento belve.»

Il disinteresse per questi spettacoli del suo successore riduce ulteriormente, nell'ambito del piano di razionalizzazione della spesa pubblica, il numero delle coppie di gladiatori[35] e spinge molti spettatori fuori dalle mura dell'urbe, ove si svolgono spettacoli finanziati da munifici editores locali. È in questo contesto che nel 27 d.C. si verifica, a pochi chilometri da Roma, la tragedia di Fidenae ove, a seguito del crollo di un anfiteatro ligneo mal costruito, secondo Tacito rimangono uccisi o feriti 50.000 spettatori.[36]

Dopo la tragedia di Fidenae il Senato emana delle misure che da un lato impongono di costruire queste strutture su terreni stabili e dall'altro richiedono un'adeguata disponibilità economica (almeno 400.000 sesterzi) degli editores[37]; tali misure portano a limitare il numero dei giochi offerti dai privati cittadini, finendo per rendere l'organizzazione dei giochi prerogativa dell'imperatore, tanto che i munera divengono uno spettacolo ufficiale e obbligatorio, proprio come i ludi del teatro e del circo. Da qui lo stabilizzarsi e il moltiplicarsi degli anfiteatri.

Fuori della città Augusto mantiene gli ordinamenti di Giulio Cesare che prevedevano la rappresentazione di un munus annuale da parte dei magistrati municipali. A Roma obbliga i pretori in carica a darne due l'anno, in ognuno dei quali duellassero almeno 120 coppie di gladiatori.

Ai munera ordinaria, gli spettacoli organizzati per delle festività, si affiancavano i munera extraordinaria, che si svolgevano in occasioni più rare e particolari.

Note modifica

Esplicative modifica

  1. ^ Tale diffusione, la prima di cui si ha notizia, è un altro indizio a favore dell’origine campana dei giochi, in Guidi, p. 11.
  2. ^ In origine, queste strutture si chiamavano Spectacula, ad indicarne la funzione per la quale erano state concepite. Il termine anfiteatro, derivato da amphi e theatron, ovvero "luogo da cui si vede tutt'attorno", attestato per la prima volta nel De architectura di Vitruvio, lo soppianterà in breve tempo, in Guidi, p. 41.
  3. ^ Druso minore figlio di Tiberio, adottato da Augusto nel 4 d. C.

Bibliografiche modifica

  1. ^ Meijer, pp. 5-7.
  2. ^ Meijer, p. 15.
  3. ^ Giovenale, Satire, X, 81.
  4. ^ Guidi, p. 24.
  5. ^ Il Colosseo, su turismoroma.it. URL consultato l'11 settembre 2010.
  6. ^ Paolucci, pp. 8-10.
  7. ^ Si tratta di una delle raffigurazioni di un affresco murale del VI sec. a.C. nella Tomba degli Auguri, a Tarquinia.
  8. ^ Meijer, p. 5.
  9. ^ a b Paolucci,  p. 11.
  10. ^ Guidi, pp. 10-11.
  11. ^ Tertulliano, De Spectaculis, XII, 2.
  12. ^ (LA) Commentarii in Vergilii Aeneidos, Libro X, 519, su perseus.tufts.edu. URL consultato il 22 agosto 2010.
  13. ^ Meijer, p. 7.
  14. ^ Paolucci, p. 14.
  15. ^ Livio, Ab urbe condita libri, Liber XXIII, 30.
  16. ^ Livio, Ab urbe condita libri, Liber XXXIX, 46.
  17. ^ Livio, Storia, XLI, 20.
  18. ^ Guidi, p. 35.
  19. ^ Plinio il Vecchio, Naturalis historia, XXXVI, 116-120.
  20. ^ Cassio Dione, Libro 51, 23,1.
  21. ^ Vite dei dodici cesari: Caligola, su penelope.uchicago.edu. URL consultato il 13-11-2011.
  22. ^ Guidi, p. 43
  23. ^ Paolucci, p. 104.
  24. ^ a b Paolucci, p. 53.
  25. ^ Paolucci, p. 52.
  26. ^ Guidi, p. 13.
  27. ^ a b Guidi, p. 17.
  28. ^ Giulio Cesare organizzò il munus in onore del padre, morto nell'86 a.C., nell'anno della sua elezione ad edile curule, il 65 a.C.
  29. ^ Guidi, p. 18.
  30. ^ Paolucci, p. 26.
  31. ^ Guidi, p. 20.
  32. ^ Meijer, pp. 21-22.
  33. ^ Nossov, p. 18.
  34. ^ De vita Caesarum, Libro II, 43, 1.
  35. ^ De vita Caesarum, Libro III, 34.
  36. ^ Annales, Liber IV, 62-64, ridimensionati a 20.000 da Svetonio, nel De vita Caesarum, Libro III, 40.
  37. ^ Paolucci, p. 54.

Bibliografia modifica

Fonti primarie modifica

Fonti secondarie modifica

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